GRIMALDI, Girolamo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GRIMALDI, Girolamo

Filippo Crucitti

Nacque a Genova il 20 ag. 1597 da Gian Giacomo, della famiglia dei Grimaldi-Cavalleroni, barone di San Felice nel Regno di Napoli, senatore di Genova nel 1606, e da Girolama De Mari, patrizia genovese figlia di Agostino.

Il nonno paterno, Giovanni Battista, era stato nominato da Carlo V, nel 1525, conte palatino e cavaliere. Da quest'ultimo titolo derivò probabilmente il soprannome di "Cavalleroni". Il G. era nipote di Isabella Grimaldi, principessa di Monaco dal 1545 per avere sposato il principe Onorato I, e di Domenico Grimaldi, vescovo di Savona, Cavaillon e Avignone e vicelegato del Contado Venassino. Suo fratello Giovanni Battista fu commissario generale della Repubblica di Genova nel 1625, durante la guerra contro il Ducato di Savoia, e commissario generale dell'esercito pontificio nel 1630.

Completati gli studi umanistici e giuridici e addottoratosi inutroque iure, il G. entrò nella prelatura e nel 1621 fu nominato da Gregorio XV referendario delle due Segnature. La sua carriera ecclesiastica ebbe grande impulso sotto il pontificato di Urbano VIII. Nel 1625 fu nominato vicelegato del Patrimonio e fu governatore di Roma dal 26 apr. 1628 al marzo 1632. All'inizio del 1630 fece parte della congregazione della Sanità, presieduta dal segretario di Stato Francesco Barberini, costituita per prevenire l'epidemia di peste che stava devastando Milano, Mantova e tutta l'Italia settentrionale.

La congregazione operò fino al marzo 1632 in due direzioni: stabilì un rigido controllo alle porte di Roma e cercò di sovvenire ai bisogni dei poveri. Ciascun membro della congregazione curò l'intervento assistenziale in un rione della città e al G. fu assegnato il rione Parione.

Nel concistoro del 29 marzo 1632 Urbano VIII annunciò ai cardinali la decisione di inviare tre nunzi straordinari presso le potenze cattoliche impegnate nella guerra dei Trent'anni: Lorenzo Campeggi presso Filippo IV di Spagna, il maestro di camera Francesco Adriano Ceva a Parigi presso Luigi XIII e il G. a Vienna, alla corte dell'imperatore Ferdinando II, dove giunse il 21 giugno per affiancare il nunzio ordinario Ciriaco Rocci.

Il papa tentava ancora una volta di riconciliare le potenze cattoliche per unirle contro gli eretici: dopo i successi militari di Gustavo Adolfo di Svezia era preoccupato per le sorti delle armi cattoliche, ma soprattutto per la posizione assunta dalla Francia che, pur senza schierarsi, forniva sostegno finanziario e diplomatico ai protestanti olandesi, tedeschi e svedesi nel tentativo di rompere l'accerchiamento in cui voleva stringerla la Spagna e di estendere la propria influenza sulla Germania. Richelieu, intervenendo nella seconda guerra del Monferrato (1627-31), aveva invaso il Piemonte ed era riuscito ad acquisire, con la pace di Cherasco del 6 apr. 1631, la piazzaforte di Pinerolo da cui minacciava la Spagna nella Valpadana. Urbano VIII si ostinava a mantenere un'ambigua e sterile posizione di neutralità e di equidistanza e si guardava bene dall'assumere il ruolo di arbitro della contesa. Egli temeva che un atteggiamento di maggior rigore verso la Francia potesse favorire un'ulteriore scissione nella Chiesa di Roma. In tal modo finiva per scontentare Spagna e Austria.

La corte di Vienna riservò una calorosa accoglienza al G., latore di un sussidio per le spese militari (130.000 talleri di cui 50.000 per il duca elettore Massimiliano I di Baviera, capo della Lega cattolica) che soddisfaceva, almeno in parte, le insistenti richieste dell'imperatore. Il nunzio, tuttavia, si trovò di lì a poco ad affrontare una situazione diplomatica particolarmente complicata.

L'Austria, e soprattutto la Spagna, condizionavano la trattativa alla restituzione di Pinerolo, ma la Francia non era disposta a mettere in discussione la piazzaforte piemontese, rivendicava l'annessione di Metz, Toul e Verdun e aveva occupato una parte dell'Elettorato di Treviri. Nemmeno la morte in battaglia di Gustavo Adolfo a Lützen (16 nov. 1632) servì a unire i cattolici, anzi la Spagna e l'Impero minacciarono una pace separata con i protestanti.

Il G. si adoperò per scongiurare questa minaccia e il papa, allarmato, inviò a Vienna, nell'aprile e nel dicembre 1633, due ulteriori sussidi di 50.000 talleri ciascuno, destinandone la metà al duca di Baviera e ordinando al nunzio di non consegnarli nel caso la pace fosse già stata conclusa. La missione diplomatica non produsse i risultati sperati. Il G. si mosse sempre con avvedutezza e prudenza, ma entro margini di autonomia ristretti. Egli fu fedele esecutore di una linea diplomatica basata sull'unica opzione dell'unione cattolica per la guerra contro gli eretici, una linea diplomatica non più in grado di influire sulla competizione fra le grandi monarchie. Ugualmente privo di risultati fu il tentativo di risolvere la questione della prefettura di Roma.

Dopo la morte senza eredi del duca di Urbino Francesco Maria II Della Rovere (28 apr. 1631) e il passaggio del Ducato alla Chiesa, la carica di prefetto di Roma, tradizionale appannaggio dei Della Rovere, fu attribuita a Taddeo Barberini, nipote del papa. Questi prese troppo sul serio un titolo ridotto ormai a una mera onorificenza esteriore arrivando a provocare incidenti diplomatici e scaramucce armate per la pretesa di ottenere la precedenza nelle cerimonie pubbliche su tutti gli ambasciatori stranieri. Il G. sollevò più volte la questione e propose, su indicazione del cardinale Francesco Barberini, l'acquisto di un feudo imperiale per Taddeo in cambio del riconoscimento del diritto di precedenza, facendo leva sulle necessità economiche dell'imperatore per le spese di guerra e sul prestigio derivante alla casa d'Austria dall'acquisizione di un nuovo suddito della famiglia del pontefice, ma fu tutto inutile. Il 24 dic. 1633 la segreteria di Stato gli comunicò che il suo compito era ormai esaurito, senza tuttavia dargli l'ordine esplicito di partire da Vienna.

Egli decise di congedarsi subito dalla corte e, il 3 genn. 1634, si mise sulla via del ritorno, provocando così l'irritazione del segretario di Stato. Tornato a Roma, fu nominato dapprima governatore di Perugia (1634), poi vicelegato del Ducato di Urbino (1636).

Per l'esperienza diplomatica acquisita e per il gradimento di cui godeva presso la corte di Luigi XIII il G., appena nominato arcivescovo di Seleucia (25 febbraio), il 9 marzo 1641 fu scelto da Urbano VIII come nunzio ordinario in Francia. Messosi in viaggio il 14 marzo, giunse a Parigi il 15 maggio, in una fase in cui i rapporti diplomatici tra la Francia e la S. Sede erano particolarmente tesi e al nunzio uscente, Ranuccio Scotti, la cui intransigenza non contribuiva certo a migliorarli, erano stati addirittura vietati l'udienza presso il re e i rapporti con i vescovi francesi.

Nella primavera del 1641 l'assemblea del clero francese, controllata da Richelieu, aveva approvato una gravosa imposta sui beni ecclesiastici, introdotta da un decreto reale del 30 maggio 1639. Il 5 giugno 1641 Urbano VIII emanò, contro tale imposta, una bolla che il Parlamento di Parigi decretò di non diffondere, e a nulla valsero i tentativi del G. di far revocare il provvedimento. Un suo successo diplomatico fu invece la condanna, da parte dei dottori della Sorbona, dell'opera De concordia sacerdotii et Imperii, seu De libertatis Ecclesiae Gallicanae scritta, su incarico di Richelieu, dal dotto canonista Pietro di Marca, in cui si proponeva un difficile compromesso tra l'autorità del papa e le libertà della Chiesa gallicana.

Nell'ambito della disputa scatenata dalla pubblicazione, nel 1640, dell'Augustinus di Giansenio, che vide contrapporsi i gesuiti e i seguaci del vescovo di Ypres, il G. trovò Richelieu ben disposto a uniformarsi ai desideri di Roma e ottenne facilmente l'autorizzazione a diffondere in Francia il decreto del S. Uffizio del 1° ag. 1641 che proibiva espressamente, perché pubblicate senza il permesso pontificio, l'opera di Giansenio e le tesi dei gesuiti di Lovanio. Sollecitato dal cardinale Francesco Barberini riuscì, nel corso del 1641, ad avvicinare il giurista e teologo olandese Ugo Grozio, allora ambasciatore di Svezia a Parigi, e a ottenere il suo parere, che fu favorevole ai gesuiti e contrario all'Augustinus.

Le cose si complicarono per il G. con la morte di Richelieu (4 dic. 1642) per il rinvigorirsi delle tendenze gallicane nel clero francese, per l'ostilità del Parlamento di Parigi verso i gesuiti e ancor più per la pubblicazione a Roma (19 giugno 1643) della bolla contro Giansenio In eminenti…, la cui autenticità fu a lungo contestata dai giansenisti, soprattutto attraverso le opere di Antoine Arnauld Observations sur une bulle prétendue e Secondes observations sur une fausse bulle. Lo smarrimento dell'esemplare della bolla a lui destinato indusse il G. a dare credito alle osservazioni dei giansenisti, a dubitare dell'autenticità del documento e ad adoperarsi addirittura per impedirne la divulgazione. Dopo alcuni mesi però, essendosi accertato della sua autenticità, si sforzò, senza successo, di ottenerne la pubblicazione dall'assemblea dei vescovi francesi. Solo verso la fine del 1643 l'arcivescovo di Parigi si decise a pubblicarla, mentre la Sorbona, il 15 genn. 1644, si limitò a includere le proposizioni condannate nel registro della facoltà teologica e a vietare ogni disputa pubblica sull'argomento. Infine, in merito alle polemiche suscitate dalla pubblicazione del libro dell'Arnauld Traité de la fréquente communion (1643), il G., consapevole del consenso di cui l'autore godeva presso l'episcopato francese, in una lettera del 19 apr. 1644 al cardinale Francesco Barberini ne sconsigliò la condanna.

Il conflitto fra le potenze europee si era nel frattempo esteso con l'intervento della Francia contro la Spagna e con le ribellioni della Catalogna e del Portogallo che, appoggiati da Richelieu, nel 1640 proclamarono l'indipendenza. Il G. non cessava di sollecitare l'invio di plenipotenziari del re a Colonia per una conferenza di pace che mai prese avvio. I suoi tentativi, tuttavia, non riuscirono a scalfire le posizioni del cardinale ministro che, vedendo volgere in suo favore le sorti della guerra, si dichiarava disposto ad aprire una trattativa solo a condizione di mantenere le posizioni acquisite sul terreno. Lo scoppio della guerra di Castro (13 ott. 1641) fra i Barberini e il duca di Parma Odoardo Farnese rese ancora più difficile la posizione del nunzio.

Egli si trovava a rappresentare lo Stato pontificio alla corte di un sovrano che appoggiava lo sforzo militare del Farnese, favoriva la lega di Stati italiani a lui favorevole e accusava il papa di essere mal disposto verso la Francia e di ricercare l'alleanza con la Spagna. La missione del G. si concluse nel marzo del 1644, ed egli partì da Parigi lasciando il suo uditore Giovanni Battista Candiotti ad attendere il nuovo nunzio.

Durante la sua nunziatura il cardinale Giulio Mazzarino gli cedette l'abbazia benedettina di St-Florent-les-Saumur, di cui era titolare, e Urbano VIII lo incluse nella promozione cardinalizia del 13 luglio 1643. Rientrato a Roma, ricevette il cappello cardinalizio il 13 luglio 1644, pochi giorni prima della morte del papa (29 luglio). Con l'elezione di Innocenzo X (15 sett. 1644) il G. perse il favore di cui godeva presso la corte pontificia. Il 17 ottobre il nuovo pontefice gli concesse il titolo di S. Eusebio e nell'agosto 1645 lo incaricò di consacrare arcivescovo di Aix-en-Provence Michele Mazzarino, fratello del primo ministro francese, nella chiesa della Minerva in Roma.

Non poteva, tuttavia, esserci sintonia tra un papa fieramente avverso ai Barberini e alla fazione cardinalizia filofrancese e il G., che aveva fatto proprio della consuetudine con quella famiglia il tratto distintivo della sua carriera ecclesiastica e in conclave era stato uno dei pochi a votare contro il futuro pontefice. Egli si trovò così pienamente coinvolto nell'aspra contesa tra papa Pamphili e i parenti di Urbano VIII.

I tre cardinali Barberini, dopo aver visto sfumare in conclave l'elezione del loro candidato, Giulio Sacchetti, e profilarsi l'elezione del Pamphili, per non inimicarsi il futuro pontefice decisero di appoggiarlo anche contro l'indicazione dell'ambasciatore francese a Roma Saint-Chamont. Una volta eletto, Innocenzo X non tenne in alcun conto un appoggio così palesemente strumentale e, nel giugno 1645, avviò una serie di inchieste sull'operato dei Barberini, sul loro smodato arricchimento e soprattutto sulla gestione finanziaria della guerra di Castro. Le inchieste accertarono lacune ed errori nei conti presentati dai Barberini; la confisca di tutti i loro beni decisa dal pontefice e la sorveglianza cui furono sottoposti indussero il cardinale Antonio Barberini a fuggire in Francia la notte fra il 28 e il 29 sett. 1645.

I rapporti tra Innocenzo X e il G. si guastarono definitivamente quando questi, contravvenendo a un ordine preciso del pontefice di non fare uscire da Roma gli altri membri della famiglia Barberini, nella notte fra il 16 e il 17 genn. 1646 aiutò il cardinale Francesco, suo fratello Taddeo e i quattro figli di questo a uscire dalla città e a raggiungere Fiumicino, dove una nave li attendeva per condurli in Francia. Per tutto il pontificato del Pamphili il G. si strinse sempre più al partito francese e agì come rappresentante a Roma degli interessi della corte di Parigi. Più volte si oppose apertamente al papa in concistoro e assoldò gruppi di armati per difendere se stesso e i propri amici. Quando la Camera apostolica prese possesso dei beni confiscati ai Barberini occupò il palazzo del cardinale Antonio, alle Quattro Fontane, sostenendo che era stato venduto al re di Francia, e vi installò una sua guarnigione. Il 29 apr. 1646 partecipò con i suoi uomini al fianco dei soldati del cardinale Rinaldo d'Este, protettore di Francia, a uno scontro armato con gli spagnoli dell'ambasciatore Cabrera, che aveva più volte minacciato di fare prigioniero il cardinale d'Este, passato, alla fine del febbraio 1646, al partito francese. Più volte domandò udienza al pontefice per rappresentargli le esigenze della corte di Parigi ma ricevette spesso dei rifiuti, e in seguito a uno di questi si astenne per lungo tempo dal partecipare alle riunioni del concistoro. Su indicazione della corte di Francia si adoperò presso il pontefice per la riconciliazione con i Barberini, ma senza successo. Verso la fine del 1645 sollecitò il primo ministro Mazzarino a un intervento militare contro i Presidi spagnoli sulle coste della Toscana e gli inviò le piante dettagliate dei luoghi. Durante l'azione militare, che ebbe inizio il 10 maggio 1646, diede appoggio organizzativo e logistico all'esercito francese, inviò all'assedio di Orbetello soldati reclutati da lui stesso e comandati da suo fratello Francesco e si recò di persona tra gli assedianti per sostenerli con la sua presenza e con il suo consiglio.

L'azione militare si proponeva di occupare dei capisaldi di grande importanza strategica per il controllo del Mediterraneo occidentale e di avvicinarsi ai confini dello Stato ecclesiastico per premere sul pontefice e indurlo a un atteggiamento più benevolo verso la Francia e i Barberini. I Francesi si impadronirono facilmente di Talamone e Santo Stefano, strinsero d'assedio Orbetello e, con un'azione dimostrativa, penetrarono con la flotta nel porto di Civitavecchia suscitando sconcerto e paura presso la corte pontificia. A metà giugno però la loro situazione volse al peggio. Orbetello resisteva all'assedio e riceveva via terra e via mare rinforzi di soldati e munizioni dal Regno di Napoli. Il 14 giugno, in una violenta battaglia navale contro la flotta spagnola, più numerosa ma peggio equipaggiata, l'ammiraglio francese J.-A. Maillé, duca di Brézé, fu ucciso da un colpo di cannone e la sua flotta, benché vittoriosa, senza comandante e senza porti di appoggio in Italia, fu costretta a tornare in Provenza. Davanti a Orbetello le truppe francesi non furono più in grado di sostenere l'assedio e il 16 luglio desistettero dall'impresa.

Nel settembre successivo Mazzarino inviò di nuovo la flotta in Italia centrale; il G. reclutò 200 cavalieri e si mantenne in contatto con i generali francesi. La minaccia questa volta ebbe il suo effetto e il 17 sett. 1646, all'avvicinarsi delle navi francesi, Innocenzo X convocò il cardinale d'Este e il G. per informarli della sua decisione di graziare i Barberini e di restituire loro tutti i beni, le cariche e gli emolumenti confiscati.

Il 1° sett. 1648 morì a Roma, a pochi giorni dal suo arrivo, il cardinale Michele Mazzarino, inviato dalla Corona di Francia come ambasciatore straordinario. Sulla sua successione alla guida della diocesi di Aix si accese una disputa tra Parigi e la S. Sede. Innocenzo X cercava di fare valere il concordato del 1515 che attribuiva al papa la nomina dei successori dei prelati morti presso la corte pontificia. La Francia invece sosteneva che, trovandosi il Mazzarino a Roma solo in quanto ambasciatore della Corona, il re manteneva il diritto di nomina come se il cardinale fosse morto sul suolo francese.

Il 20 sett. 1648 la reggente, spinta dal primo ministro Giulio Mazzarino, nominò il G. arcivescovo di Aix e gli concesse l'amministrazione delle entrate della diocesi e il diritto alle relative rendite, nella speranza che la scelta di un cardinale italiano trovasse più facilmente l'approvazione del pontefice. Innocenzo X tuttavia mantenne la sua posizione e nominò l'uditore di Rota francese De Noizet rifiutando al G. le bolle confermative. La questione rimase irrisolta fino al termine del pontificato e solo dopo l'elezione di Alessandro VII il G. si vide confermare, nel concistoro del 30 ag. 1655, la nomina arcivescovile. Nel frattempo egli, rispettoso della regola che impediva a un vescovo nominato dal sovrano di esercitare la sua giurisdizione prima di avere ricevuto la conferma del papa, si era astenuto da qualsiasi intervento nella diocesi, che era rimasta così senza titolare per circa sette anni.

Dopo avere ricevuto il pallio e avere scambiato (11 ott. 1655) il proprio titolo cardinalizio di S. Eusebio con quello della Ss. Trinità in Monte Pincio (Trinità dei Monti), il 25 novembre il G. giunse nella sua diocesi, il 3 dicembre ne prese possesso e avviò subito un'intensa attività pastorale, assumendo come modello l'opera di s. Carlo Borromeo.

Visitò frequentemente le parrocchie, riunì con regolarità il sinodo diocesano, sottolineò presso i fedeli l'importanza dei sacramenti della penitenza e dell'eucarestia, istituì la terza parrocchia della città (la chiesa dell'ospedale del S. Spirito dedicata a S. Girolamo). Convinto dell'importanza della formazione dei giovani sacerdoti, nel 1656 fece avviare, a sue spese, la costruzione di un seminario e lo dotò di 1000 franchi di rendita sulla mensa arcivescovile. Deciso assertore della superiorità del clero secolare sul clero regolare, stabilì, con grande disappunto dei gesuiti, che a dirigere il seminario non potessero essere chiamati dei regolari, pena la perdita della rendita. Concesse la chiesa del seminario da lui costruito, inaugurata il 4 nov. 1658, alla Confraternita dell'Adorazione del Ss. Sacramento. Sorvegliò in modo particolare l'osservanza della regola nei monasteri della sua diocesi. Intervenne drasticamente sul monastero di Celles, presso Brignoles, in cui erano frequenti le trasgressioni alla clausura e alla disciplina, e dove le famiglie eminenti del luogo collocavano le figlie di cui volevano liberarsi. Il 29 ott. 1658 decretò il trasferimento del monastero ad Aix, in un edificio appositamente costruito e ne affidò, nel 1660, la riforma e la cura spirituale a due religiosi provenienti dal Val-de-Grâce di Parigi. Potendo contare su introiti molto consistenti, derivanti dalla mensa episcopale e dai numerosi benefici di cui era titolare, destinò grosse somme a sostegno dei poveri e delle opere caritative.

Il G. condusse tuttavia un'esistenza sfarzosa, fece restaurare il palazzo episcopale di Aix e si fece costruire a Puyricard un magnifico castello. Li arredò con mobili, quadri e arazzi preziosi non tralasciando di comportarsi da munifico mecenate con artisti e letterati. Il 17 apr. 1656 si recò a Parigi per prestare giuramento nelle mani del re e il 1° agosto ricevette in pompa magna Cristina di Svezia ad Aix, e la ospitò nel palazzo arcivescovile.

Il 14 e 15 febbr. 1659 ad Aix scoppiò una sedizione popolare contro il primo presidente del Parlamento della Provenza, Henri Mainier de Fourbin, barone d'Oppède, in seguito alle gravi ferite che un amico di questo aveva inferto in duello a un giovane. I rivoltosi avevano assalito la casa del presidente ma erano stati respinti; fecero quindi irruzione nel palazzo del Parlamento e assediarono i membri dell'assemblea. Forte del prestigio di cui godeva in città, il G. si recò al palazzo, raggiunse Mainier de Fourbin e, scortandolo attraverso la folla in armi, lo sottrasse al linciaggio conducendolo nella sua carrozza nel palazzo arcivescovile senza opposizione. Il pericolo si ripresentò quando la folla circondò l'arcivescovado, ma il fermo contegno del G. riuscì a placare il tumulto.

I rapporti fra il G. e il Mazzarino furono sempre caratterizzati da grande sintonia. Il solo momento di difficoltà si ebbe durante un soggiorno ad Aix del re di Francia (17 gennaio - 4 febbr. 1660). In tale occasione il G., che aveva la precedenza sul ministro, ricevette l'ordine di allontanarsi dalla città e di non farvi rientro prima della partenza della corte. Sebbene intimamente colpito dal provvedimento, egli obbedì senza fiatare e si ritirò a Villeneuve-les-Avignon. Se ne lamentò poi con Jean de Chazelle, prete della chiesa metropolitana di Aix, e con il suo confessore, l'oratoriano Jean Cabassut, che l'avevano accompagnato nel suo esilio temporaneo. Mantenne tuttavia, anche dopo quest'episodio, sentimenti filofrancesi e nel 1662 fu uno dei pochi vescovi d'Oltralpe ad appoggiare l'ambasciatore di Luigi XIV a Roma, Créqui, nel duro scontro diplomatico che lo vide opposto ad Alessandro VII dopo gli incidenti verificatisi a Roma fra il seguito dell'ambasciatore e i soldati corsi dello Stato pontificio.

Il 28 sett. 1664, nella chiesa dei carmelitani di Aix, consacrò vescovo di Tolone Louis Mainier de Fourbin d'Oppède, figlio del presidente del Parlamento di Provenza. Sempre ad Aix, nel corso di una grandiosa cerimonia svoltasi nell'aprile 1667 nella chiesa metropolitana del Ss. Salvatore alla presenza del cardinale di Retz, consegnò, su incarico del papa, il berretto cardinalizio al duca di Mercoeur, governatore della Provenza, che divenne il cardinale di Vendôme.

Il G. partecipò al conclave del 1667 e contribuì all'elezione di Clemente IX. Nel 1670 fu costretto invece, per motivi di salute, a disertare il conclave di Clemente X. Il 28 genn. 1675 gli fu assegnato, in aggiunta all'arcivescovato di Aix, il vescovato di Albano, ma egli ritenne di non poter cumulare le due cariche e ottenne di essere sostituito da fra Angelico, al secolo suo fratello Angelo, dell'Ordine dei domenicani; continuò quindi a dedicarsi alla diocesi francese.

Nel 1676 partecipò al conclave di Innocenzo XI e contribuì alla sua elezione. Per le sue simpatie verso il rigorismo degli agostiniani piuttosto che verso le tendenze lassiste dei gesuiti si trovò in sintonia con il clima dottrinale introdotto dal nuovo pontefice. Il 2 marzo 1679 Innocenzo, nonostante l'opposizione della Compagnia di Gesù, fece condannare con un decreto dell'Inquisizione 65 delle 100 proposizioni probabiliste redatte dall'Università di Lovanio. Il G. se ne felicitò con il papa e gli suggerì altre proposizioni che, a suo giudizio, meritavano di essere ugualmente condannate, attirando così su di sé qualche sospetto di giansenismo.

Nell'ambito dello scontro che oppose, dal 1673 al 1693, la Francia alla S. Sede sulla questione della regalia (cioè sul diritto del re di amministrare i benefici ecclesiastici vacanti e di riscuoterne le rendite) e sulla sua estensione a tutto il territorio della Corona, il G. si adoperò a lungo per un riavvicinamento fra le parti: suggerì l'invio di un nunzio in Francia e propose dapprima un prelato francese ben introdotto a corte, il vescovo di Grenoble Le Camus, poi il vescovo di Albi, Serroni. Le posizioni tuttavia si inasprirono e Luigi XIV, nel giugno 1681, convocò per il 1° ottobre un'assemblea generale del clero francese imponendo nelle assemblee provinciali, tramite i suoi funzionari periferici, procedure che garantivano la scelta di prelati favorevoli alla Corona. Il G. protestò e si rifiutò di convocare la sua assemblea. Sottoposto a forti pressioni da parte del re e alla minaccia di far convocare l'assemblea di Aix da un altro vescovo, fu costretto a cedere e il 12 settembre, dopo aver ottenuto formali ma inutili garanzie di libertà nella scelta dei deputati, riunì finalmente il clero della diocesi, che espresse ugualmente rappresentanti favorevoli alle posizioni della Corona. Il re manifestò tutta la propria irritazione nei suoi confronti rifiutandogli, nel 1682, il diritto di designare un coadiutore nel vescovado. Dopo la morte del cardinale Cesare Facchinetti (30 genn. 1683) al G. sarebbe spettato il titolo di decano del S. Collegio, ma l'attaccamento alla sua diocesi e i malanni dell'età lo indussero a rimanere ad Aix e a rinunciare.

Morì nel suo palazzo episcopale il 4 nov. 1685 e fu seppellito nella chiesa metropolitana del S. Salvatore di Aix.

Solenni funerali in suo onore, presieduti dal vescovo di Apt Jean de Gaillard, furono celebrati il 10 novembre nella stessa chiesa. L'orazione funebre fu affidata al canonico del S. Salvatore, J. Thoron d'Artignose. Il G. lasciò i suoi beni al seminario da lui fondato, agli ospedali, alle comunità religiose e alle opere di carità della città.

Il G. scrisse De sacra ordinatione, seu sacrarum ordinationum formula…, Romae 1677 e due Costituzioni sinodali, una delle quali contiene le istruzioni di s. Carlo Borromeo ai confessori.

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