Girolamo (lat. Hieronlamus)

Dizionario di filosofia (2009)

Girolamo (lat. Hieronlamus) Padre della Chiesa (Stridone, nei pressi di Aquileia, 347 ca


Betlemme 419), santo.

La formazione letteraria

Di un’agiata famiglia cristiana, G. si recò a Roma giovanissimo, con l’amico Bonoso, a perfezionare la cultura letteraria. Qui, sotto maestri valenti (tra cui il grammatico Elio Donato), contrasse quella definitiva passione per la filologia e le lettere che avrebbe caratterizzato la sua vita di asceta e avrebbe fatto di G. il simbolo dell’umanesimo cristiano. Con Bonoso, alla fine degli studi romani – che furono accompagnati da giovanili intemperanze, il cui ricordo angoscerà G. fino alla vecchiaia – passò in Gallia; a Treviri, ancora splendida del fasto culturale e mondano di capitale, trascorse alcuni anni, studiando e trascrivendo opere (sappiamo di quelle di Ilario di Poitiers, ma ce ne furono certo delle altre). Successivamente fu ad Aquileia, dove fece parte di un circolo erudito che si raccoglieva attorno al vescovo Valeriano, frequentato anche dal suo amico Rufino; ma nel 373 «un improvviso uragano» disperse il gruppo, e G., con Bonoso e due altri amici, cercò – attraverso l’Illirico, la Tracia, il Ponto, la Cappadocia, la Bitinia e la Galizia – la via dell’Oriente.

Il ripudio della cultura pagana

Nel 374 era ad Antiochia dove Evagrio lo accolse e l’assistette durante una lunga malattia. In questi anni si usa collocare la rivoluzione intellettuale di G., il suo netto ripudio della letteratura pagana e la decisione di dedicare alla Scrittura ogni sua passione: causa ne sarebbe stata – raccontava egli stesso a Eustochio, in una lettera famosa (XXII, 30) – un sogno in cui Cristo gli aveva rimproverato d’essere «ciceroniano, non cristiano». In effetti il sogno può avere risolto una crisi maturata fin dagli anni di Aquileia, e forse anche prima. Lasciata Antiochia, e ritiratosi nel deserto, si dedicò alacremente allo studio dell’ebraico e dell’esegesi biblica. Indotto a uscire dal suo isolamento dalle ripercussioni del conflitto tra Paolino e Melezio, durante il cosiddetto scisma di Antiochia, G. fu persuaso da Evagrio a prendere le parti del primo (che lo ordinò sacerdote), ma combatté contro l’estremismo dei luciferiani (379). L’anno seguente lasciava però Antiochia per seguire a Costantinopoli le lezioni di Gregorio di Nazianzo e perfezionare lo studio del greco: qui G. tradusse le omelie di Origene su Geremia ed Ezechiele (ne tradurrà in seguito due sul Cantico dei Cantici e 32 su Luca), e si appassionò all’esegesi origeniana.

L’esegesi biblica

Nel 382, con Paolino ed Epifanio di Salamina, G. si recò a Roma e partecipò al concilio indetto da papa Damaso per risolvere lo scisma antiocheno. Assai apprezzato dal papa letterato, fu incaricato di rivedere sui testi greci l’antica versione latina della Bibbia: da quest’opera nacque il Psalterium Romanum (il Gallicanum sarà preparato dallo stesso G. in seguito). A Roma, nella casa di Marcella sull’Aventino, egli riunì attorno a sé nobili matrone delle quali fu guida ascetica e maestro spirituale. Senonché la sua impaziente predicazione di ascetismo restrinse il gruppo degli amici, mentre gli avversari personali si facevano minacciosi: alla morte di Damaso (dic. 384), G. preferì lasciare Roma e tornare alla quiete degli studi. Ad Antiochia lo raggiunse Paola, accompagnata da sua figlia Eustochia; e con loro G. si stabilì (estate 386) a Betlemme, dove diresse un monastero maschile, mentre a Paola fu affidata la cura di uno femminile. Da allora, per oltre un trentennio, G. svolse un lavoro imponente di traduttore, esegeta e polemista. Preparò i commentari biblici: Filemone, Galati, Efesini, Tito (386-87); Ecclesiaste (389-90); Nahum, Sofonia, Michea, Aggeo, Abacuc (393); Giona e Abdia (396); Matteo (398); Osea, Gioele, Amos, Malachia e Zaccaria (406); Daniele (407); Isaia (408-10); Ezechiele (411-14); Apocalisse; Geremia (incompl., 415-19). La sua esegesi procede dall’allegorismo origeniano a un esame più aderente e letterale: G. ha prima bisogno di adornare il testo di finzioni allegoriche, per renderlo adatto alle sue raffinate esigenze culturali; ma poi, grazie alle sue conoscenze di erudito, può accostarsi a esso con intelligenza più sicura e maggiore senso storico. Ovviamente la parte maggiore in questa evoluzione l’ha avuta la lunga esperienza (non meno di 15 anni) di traduttore dell’Antico Testamento (libri protocanonici e Daniele, Geremia ed Ester), che sarà accolta in tutto l’Occidente come la Vulgata.

Lo scontro con Rufino e le ultime polemiche

Tutto questo lavoro non si compì pacificamente: a parte la pausa del 393, dovuta alla violenta polemica contro Gioviniano – dove si riafferma l’assoluta superiorità dell’astinenza e della verginità – o la breve disputa epistolare con Agostino, va ricordato in partic. lo scontro con Rufino. La disputa, che ha i suoi documenti principali negli scritti (400-01) di Rufino e in quelli di risposta (401-02) di G., riguardava l’accusa di origenismo fatta a quest’ultimo e da lui furiosamente respinta. Naturalmente G. distingueva tra Origene esegeta e Origene teologo, riconoscendo semmai i meriti solo del primo e consapevole che il suo metodo esegetico era meno eccellente di quel che non gli fosse parso in un primo tempo. Tuttavia, dallo scritto contro Rufino e da quello contro Giovanni di Gerusalemme, un altro sostenitore della medesima accusa, sembra chiara la fondamentale insensibilità di G. per i problemi dottrinali che animavano le dispute della sua età. Di qui la sua chiusa diffidenza per i teologi greci, quale esplose nella ostilità contro Giovanni Crisostomo; di qui anche la calma che nella polemica seguiva allo sfogo violento. Nelle ultime polemiche contro Vigilanzio, e contro Pelagio (Adversus pelagianos, 415), domina la preoccupazione di evitare nella pratica ascetica turbamenti e mitigazioni che altri tentavano di giustificare con ragioni teologiche: un’opera di difesa dei suoi monaci, per i quali aveva scritto durante questi anni leggende di edificazione (le vite di Paolo, Malco e Ilarione, sull’esempio della vita di s. Antonio Atanasio). Importante fonte per la storia della letteratura cristiana è il De viris illustribus riguardante, sull’esempio di Svetonio, gli scrittori cristiani. La sua rielaborazione del Chronicon di Eusebio ebbe importanza fondamentale nella cultura del Medioevo e del primo Umanesimo, ed è tuttora fonte insostituibile di notizie, soprattutto per ciò che concerne la cronologia della letteratura latina. Raffinato letterato e scrittore pregevole, di grandissima erudizione profana oltre che sacra, G. deve la sua maggior fama all’elegante stile delle lettere (ca. 150) forse ancor più che alla traduzione della Bibbia: questa lo raccomandò alla cultura medievale, ma nelle epistole gli umanisti quattro-cinquecenteschi ritrovarono la testimonianza di un dramma culturale, nel contrasto fra Cicerone e Cristo, che era ancora vivo in loro.

Iconografia

Vastissima e assai nota è l’iconografia relativa a Girolamo. Nelle Bibbie uscite dallo scrittorio di Tours (sec. 9°, ma ispirate a un codice romano del sec. 5°) G. appare imberbe, giovane, tonsurato, in veste e pallio, così come nel mosaico di S. Clemente a Roma (sec. 12°); più tardi il tipo di s. G. si fissa in quello di vecchio maestoso, barbuto, che attende ai suoi studi nella cella ben provvista di libri (motivo che specialmente ispirò Pisanello, i fratelli de Limbourg, Antonello da Messina) o che, seminudo e macerato dagli stenti, fa penitenza nel deserto (si ricordino i dipinti di L. Lotto e di Tiziano). Per errata tradizione sorta a Bologna nel 13° sec. è spesso in abito cardinalizio (per es., nel mosaico absidale di S. Maria Maggiore a Roma, 1295), e gli è vicino il leone cui avrebbe tolto una spina dal piede (episodio che in realtà si riferisce a s. Gerasimo, e che è stato spesso rappresentato: per es., da Colantonio e da V. Carpaccio). Il leone è suo frequente attributo.

Biografia