GIUDA Iscariota

Enciclopedia Italiana (1933)

GIUDA Iscariota

Salvatore ROSATI
Alfredo Vitti

Negli elenchi degli apostoli contenuti nei Vangeli è messo sempre all'ultimo, e con l'appellativo di "traditore", προδότης. Era figlio di Simone, e tanto al padre, quanto al figlio, è aggiunto l'epiteto di iscariota; questo sembra riferirsi al villaggio d'origine, certo del padre, e propriamente si pensa al moderno el-Qaryatēn (Giosuè, XV, 25, Qĕriyyōth) nella parte meridionale della Giudea; quindi, poiché 'ish significa "uomo", 'ishqeriyyoth, significava l'"uomo di Qeriyyoth", il "qeriyyothita". Giuda perciò sarebbe d'origine non galilea; cosicché, e anche per distinguerlo dall'omonimo discepolo soprannominato Taddeo, viene indicato insolitamente col paese d'origine.

G. appare liberamente eletto da Gesù come suo seguace, al pari degli altri, né c'è ragione per assegnare a costui un'iniziale brama perversa, per la quale si sarebbe intruso nel collegio apostolico. Tuttavia gli evangelisti rilevano lineamenti foschi nel suo carattere; prevale in lui la fredda simulazione sin dalla promessa eucaristica di Cafarnao, allorché Gesù accennò alla mancanza di fede d'uno dei suoi, ed egli, pur non avendo quella fede, rimase fra gli apostoli; a Betania finse amore verso i poveri, mentre (Giov., XII, 6) sembra accennarsi anche a un uso non retto della cassa comune affidatagli (cfr. XIII, 29). Dopo tale episodio, avvenuto sei giorni prima della Pasqua, G. entrò in relazione con i sacerdoti, i quali una prima volta dopo la resurrezione di Lazzaro avevano stabilito di uccidere Gesù a qualunque costo, ma in seguito alla sua entrata trionfale in Gerusalemme cercavano di attuare il loro disegno due giorni prima di Pasqua. A tale loro intenzione andò incontro G. con gioia dei sacerdoti, che pattuirono, per la manovra, il premio di 30 sicli d'argento. Essi gli dovettero offrire moneta in uso nel tempio, ove era in corso, come keseph, il tetradramma fenicio, pari a circa lire 10,50; la somma, probabilmente intenzionale, era quella che di solito si dava per il riscatto d'uno schiavo.

G. interviene alla cena dell'agnello pasquale; anche a lui lavò i piedi Gesù, che poi accennò al tradimento vagamente più d'una volta. Ma quando Giuda osò domandare se fosse lui il traditore, la risposta datagli da Gesù e l'offerta di un boccone inzuppato nella salsa caratteristica (Giov., XIII, 26, 27) furono tanto sottili, che i discepoli non mostrarono d'aver individuato né reo né reato.

È controverso se Giuda abbia preso parte all'istituzione dell'eucaristia; il testo evangelico non l'imporrebbe, né mancano indizî per negarlo, quale la successione dei fatti data da Giov., XIII, 2-32: lavanda dei piedi, indicazione del tradimento, boccone offerto a Giuda, uscita di costui dal cenacolo, eucaristia. Così l'intendeva il Diatessaron (v.), almeno nella recensione araba; la sentenza contraria, oggi comunemente abbandonata, ebbe tuttavia sostenitori quali S. Giovanni Crisostomo, Hom. in Mat., 82, e S. Agostino, In Ioan. tract., LXII, 3.

Il bacio di Giuda a Gesù nell'orto di Getsemani è l'ultimo atto del tradimento. Poco dopo, reso il danaro ricevuto, che fu in seguito adoperato a comprare un campo per sepoltura, chiamato perciò Aceldama (v.), G. si strozzò, e le sue interiora, per esser caduto bocconi, si sparsero fuori.

La leggenda non tardò a impossessarsi di Giuda; già Papia, nella relazione datane da Teofilatto, avrebbe saputo d'una sopravvivenza al suicidio, giacché G. sarebbe in realtà perito sotto le ruote d'un carro, da lui non visto, perché diventato idropico e gonfio. L'arabo Vangelo dell'infanzia, XXXV, parla di G. invasato ancor bambino dal demonio e condotto dalla madre presso il piccolo Gesù, il quale ne avrebbe ricevuto un colpo al costato, là dove poi ebbe la trafittura della lancia. Abbonda negli apocrifi copti il tema di G. ritrovato nell'inferno (Vangelo di Bartolomeo, Acta Andreae et Pauli).

Nell'arte paleocristiana si trovano su pochi monumenti rappresentazioni della scena del bacio nel Getsemani e del suicidio di G. Notevole per esecuzione è il sarcofago di S. Massimino, presso Marsiglia. L'arte bizantina ci ha lasciato molte rappresentazioni di G., tra cui importante un mosaico in S. Apollinare Nuovo a Ravenna, con la scena del bacio. E vi sono figurazioni numerose su avorî (cofanetto del British Museum, lipsanoteca di Brescia), miniature di evangeliarî, ecc. In generale, nel Medioevo, G. non manca in nessuna delle rappresentazioni cicliche della Passione. Citeremo ancora i rilievi delle colonne del ciborio di S. Marco a Venezia, dove sono raffigurate anche le scene della restituzione dei trenta sicli al tempio e dell'impiccagione. Nella Cappella dell'Arena a Padova, Giotto ha rappresentato G. con la borsa in mano, nell'atto di trattare il tradimento coi sacerdoti, mentre un demonio nero gli si avvicina. Ma le rappresentazioni più frequenti si hanno nella scena del bacio e nella Cena, le quali hanno fornito il soggetto a moltissime opere del Rinascimento.

Nella Cena, G. sta di solito in disparte dagli altri apostoli e Leonardo, nel suo Cenacolo, lo ha raffigurato con la borsa. Raramente però la pittura ha voluto riprodurre un determinato momento secondo uno dei Vangeli: di solito, gli elementi dei varî racconti sono stati liberamente combinati a formare una certa disposizione divenuta tradizionale, che solo in tempi recenti si è tentato di variare.

Nella letteratura G. cominciò ad apparire con una certa importanza di narrazione nella Heliand (Heiland), vita di Cristo scritta da un monaco del tempo di Ludovico il Pio, e nel Liber Evangeliorum, composto tra l'863 e l'868 dal monaco Otfrid. Ma della figura di G. s'impadronì assai presto la leggenda popolare, la cui forma più diffusa è quella che si trova in Iacopo da Varazze, secondo la quale G. tra l'altro è parricida e incestuoso. Dante stesso intitolò a G. col nome di Giudecca il quarto girone di Cocito. L'episodio di G. passò poi in moltissimi misteri medievali tedeschi, inglesi, francesi e italiani.

Durante il Romanticismo e nel nostro tempo, G. ha avuto una vera drammatizzazione umana, spirituale, specie nella letteratura tedesca, con una tragedia di O. F. Gensichen (1869; trad. it., Torino 1881), con liriche di varî autori e un romanzo di V. Strauss (1855). Per l'Italia, da ricordare i sonetti del Monti e una tragedia di F. V. Ratti (Firenze 1924).

Bibl.: D. Bergamaschi, G. I. nella leggenda, nella tradizione e nella Bibbia in Scuola catt., 1909, I, pp. 292-303, 423-435, 574-580; A. Spiteri, Die Frage der Judaskommunion, in Theol. stud. der österr. Leo-Ges., XXIII, Vienna 1918; D. Haugg, Judas Iskarioth in den neutestamentlichen Berichten, Friburgo in B. 1930; C. L. Cholevius, Geschichte d. deutschen Poesie nach ihren antiken Elementen, Lipsia 1854; A. D'Ancona, La leggenda di Vergogna e quella di Giuda, Bologna 1869; P. Lehmann, Judas Iscarioth in d. latein. Legendnüberlieferung d. Mittelalterts, in Studi medievali, n. s., II (1929), pp. 286-346.

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