Giudecca

Enciclopedia Dantesca (1970)

Giudecca

Emilio Bigi

Nome (If XXXIV 117) della quarta e ultima delle sezioni in cui è distinto il nono cerchio dell'Inferno.

Tale nome deriva da Giuda che, insieme con Bruto e Cassio, e con Lucifero, è posto appunto in questa sezione; ma, per la forma, D. deve aver tenuto presente il termine ludaica o ludeca, che figura in alcuni documenti dei secoli XI, XII e XIII a designare il ghetto di una città o, più generalmente, luoghi connessi con Giudei o Ebrei. Forse proprio questa connessione di Giudecca con ludaica ha contribuito a fuorviare il Bambaglioli, il quale (seguito dall'Anonimo e dall'Ottimo) spiega, fraintendendo tutto il passo (vv. 116-117): " terra Iudaica; nam Ierusalem est posita sub celsitudine altiori terrae nostrae habitabilis, sub emisperio nostro ".

I commentatori antichi, per la maggior parte, vedono qui puniti i " proditores beneficorum dominorum " (Guido da Pisa); altri, soprattutto moderni, parlano, più genericamente, di traditori dei propri benefattori; mentre alcuni interpreti più recenti, tenendo conto dei peccatori che D. effettivamente nomina, ritengono invece che il poeta abbia riservato la G. a coloro che hanno tradito l'autorità divina sia nel mondo dello spirito che in quello temporale (Porena), ovvero, poco diversamente, " la maestà divina e umana " (Chimenz). Più ragionevole forse l'interpretazione proposta dal Petrocchi, secondo il quale i " benefattori vanno intesi in un senso altissimo di sollecitudine spirituale e umana, che altrimenti troppo assomiglierebbero agli ‛ ospiti ' ": cioè " anzitutto Cristo, che ha recato al mondo il ‛ beneficio ' della sua incarnazione e passione; poi coloro che sono chiamati da Dio a curare la preparazione del ‛ beneficio eterno ' (i vicari di Cristo), e a distribuire in terra i benefici della pace e della giustizia; infine tutti coloro che, nell'ambito della società cristiana, operano per realizzare la carità cristiana, per comunicare a tutti i benefici di Cristo ".

È chiaro, in ogni caso, che per D. la qualità di tradimento punita nella G. è la più grave: lo conferma anche la pena riservata a questi traditori, che consiste (eccettuati, s'intende, Bruto, Cassio e Giuda) nell'essere sepolti completamente nel ghiaccio di Cocito, a " intendere l'animo d'essi peccatori, ove non rimase niente né di carità né di amore " (Anonimo): pena descritta con una sobria e lineare precisione (If XXXIV 11-15 l'ombre tutte eran coperte, / e trasparien come festuca in vetro. / Altre sono a giacere; altre stanno erte, / quella col capo e quella con le piante; / altra, com'arco, il volto a' piè rinverte), che esprime efficacemente " l'immobilità fossile " (Momigliano), in cui le anime, pur nella diversità delle loro posizioni, sono eternamente cristallizzate. Non è da escludere che la suddetta diversità di posizione implichi, nell'intenzione di D., una diversità di colpa e di pena. Secondo il Buti (seguito dal Landino, dal Vellutello e dal Daniello) a giacere sarebbero coloro che hanno usato tradimento ai benefattori loro pari; col capo in su o in giù, i traditori dei propri benefattori di condizione sociale rispettivamente minore o maggiore della loro; quelli " inarcocchiati ", i traditori dell'una e dell'altra categoria di benefattori. Invece secondo il Vaturi (che segue il Pietrobono) " la differenza di giacitura è da ricercarsi nell'evidente richiamo alle posture dei dannati nelle tre zone superiori, e a quella, descritta più innanzi, di Lucifero, secondo che lo si guardi dall'uno o dall'altro emisfero terrestre ". Spiegazioni, ambedue, poco persuasive; tanto che altri interpreti (Pézard, Petrocchi) si limitano a richiamarsi alla " necessità poetica ", che " sollecitava alla pittura di un quadro vario e composito ".

Bibl. - Tra le letture del c. XXXIV dell'Inferno si vedano in particolare quelle di V. Vaturi, Firenze 1928; di V. Rossi, in Saggi e discorsi su D., ibid. 1930, 177-204 (rist. in Lett. dant. 653-665); di A. Sacchetto, nel vol. misc. Dieci letture dantesche, Firenze 1960, 91-108; di A. Pézard, Letture dell'Inferno, Milano 1963, 397-427; di G. Petrocchi, Firenze 1963 (ora in Itinerari danteschi, Bari 1969, 295-310); di A. Vallone, in Nuove lett. III 189-202. Si vedano inoltre L. Pietrobono, Dal centro al cerchio, Bologna 1923, 21-70; A. Bozzoli, Due note dantesche: la G., Lucifero, in " Aevum " XXXVIII (1964) 594-600; e per il termine G., C. Salvioni, in " Bull. " VII (1899-1900) 258-259; e R. Davidsohn, ibid. VIII (1900-1901) 88.

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