GIUDICI

Enciclopedia Italiana (1933)

GIUDICI

Giuseppe Ricciotti

. È il titolo di un libro della Bibbia, e il nome conseguentemente dato al periodo della storia degli Ebrei a cui quel libro si riferisce: come il libro, nella serie biblica, tiene immediatamente dietro al libro di Giosuè (v.), così nella consecuzione degli avvenimenti, il periodo dei Giudici viene subito appresso a quello di Giosuè e perdura fino all'istituzione della monarchia in Israele.

Il periodo dei Giudici. - Giosuè era stato per Israele un capo e condottiero d'eccezione: continuatore dell'opera di Mosè, egli l'aveva portata a compimento, introducendo il popolo in Canaan e lasciandone molto avanzata la conquista. L'autorità personale di Giosuè e le circostanze speciali in cui si era svolta l'opera sua avevano più o meno mantenuto quella compattezza fra le varie tribù, che era un'eredità dell'epoca di Mosè, ma che alla minima occasione minacciava di rilasciarsi (v. ebrei: Storia, XIII, p. 335). Alla sua morte, nonostante il fondo comune etnico, religioso e legislativo delle varie tribù, i particolarismi di queste ebbero il sopravvento, favoriti dalla graduale sostituzione della vita nomade con quella seminomade e sedentaria in Canaan.

La prevalenza numerica e l'alterigia di talune tribù - ad es. quella di Efraim - le portò spesso a disinteressarsi delle vicende di altre più esigue, e a far causa a parte dal resto della nazione: anche più spesso il possesso d'una fertile località del territorio nuovamente conquistato metteva in contrasto fra loro estesi gruppi di famiglie e anche intere tribù. Oltre a ciò il frazionamento della compattezza nazionale era provocato, forse anche più, dalle condizioni politiche. Il territorio conquistato era stato spartito e assegnato alle singole tribù sotto Giosuè; ma ciò non significava effettivo possesso del medesimo. La conquista era stata parziale, specie alla periferia; ogni tribù per conto suo avrebbe dunque dovuto completarla, sottomettendo o venendo a un'intesa con i Cananei, ch'erano rimasti padroni di molti centri assai fortificati: il che portava con sé un disgregamento d'iniziative e di forze nella nazione.

Questo stato di cose favorì lo stabilirsi in Israele dell'ordinamento politico dei Giudici, tipicamente semitico. L'unità di governo, mantenutasi da Mosè a Giosuè, cessò: in sua vece si ebbe il regime patriarcale. Lo sceicco, capo di molte famiglie (mishpaḥoth), è un minuscolo monarca: il suo gruppo è un membro della tribù, come la tribù è un membro della nazione intera; ma, di solito, le varie membra vivono per conto loro: i gruppi, con i loro greggi, s'aggirano entro i territorî delle rispettive tribù; fra i varî gruppi e fra le varie tribù vi sono rapporti di pacifica vicinanza, quali possono esistere tra inquilini abitanti nello stesso palazzo che vivano indipendentemente uno dall'altro. Il sentimento di colleganza, che dovrebbe avvincere insieme le varie unità etniche piccole e grandi, in tempi normali è latente e sonnecchia in fondo alla coscienza della collettività. Ma in date circostanze si ridesta: quando, ad es., avvengono contrasti fra unità etniche, per i quali intervengano indiscusse autorità comunemente accettate: specie quando un popolo straniero diventa oppressore di qualche consanguinea tribù. In quest'ultimo caso, spesso tutta la nazione insorge, sia per fierezza nazionale, sia per sentimento religioso-iahvistico: i gruppi autonomi della nazione fanno allora il sacrificio più costoso per essi, di rinunciare cioè alla loro autonomia finché dura il pericolo e accettare l'autorità comune di un solo capo. Questi capi occasionali di tutta o parte della nazione sono in sostanza dittatori nazionali-religiosi. Gli Ebrei li chiamarono shōpheṭīm, "giudici", dalla radice shāphaṭ, "giudicare".

Il termine si ritrova in altri popoli semitici: i fenici Cartaginesi avevano anch'essi i loro suf[f]ētes (cfr. Seneca, De tranquill., IV, 5; T. Livio, XXVIII, 37, 2; XXX, 7, 5), i quali tuttavia erano, non dittatori occasionali, bensì i supremi magistrati abituali della città. Presso gli Ebrei è dubbio che il termine fosse già di uso comune, al tempo dei "Giudici" stessi, per designarli: giacché nei testi più antichi sono a tale scopo preferiti termini più in conformità col carattere dittatoriale dei personaggi, che derivano dalla radice ‛āzar, "salvare" (i "salvatori"). Ad ogni modo anche l'idea di "giudicare", applicata ad essi, aveva un significato più ampio che non quello di esercitare funzioni di tribunale; era piuttosto la giustizia" nazionale-iahvistica, per cui la nazione eletta di Jahvè, e ingiustamente oppressa da una gente straniera, era da Jahvè "salvata" per mezzo del "giudice" dittatoriale. In sostanza, il "giudice" è l'uomo di Jahvè, da lui suscitato per amore alla sua nazione. Di qui anche la sua autorità, nazionale-religiosa, che nuovamente inquadra in temporanea unità gli sparpagliati elementi della nazione per lo scopo individuale di una data liberazione. Egli è dunque un quasi-monarca, con poteri assoluti: è d'elezione teocratica, ma con accettazione democratica, e di costituzione essenzialmente transitoria.

Il libro dei Giudici. - Questo libro, che occupa il settimo posto nella Bibbia, narra la storia del suddetto periodo, ma non in maniera organica e concatenata, bensì come florilegio di episodî staccati, in cui si astrae spesso dalla successione cronologica e dal loro eventuale sincronismo. Lo scopo del libro non è, infatti, la relazione annalistica di detto periodo: esso ha invece una chiara mira religiosa, ed è il dimostrare che ogni qual volta la nazione declina dalla fedeltà a Jahvè, cade sotto l'oppressione di nemici esterni: ogni qual volta, invece, si converte a Jahvè, egli la salva per mezzo di un "giudice". Tale scopo è significato espressamente nella breve introduzione generale, Giudici, II, 11, segg., premessa al florilegio.

Per conseguenza il florilegio è schematico. Il redattore, utilizzando precedenti documenti, sceglie dalle varie tribù i personaggi di 6 episodî su cui si diffonde alquanto, e sono i cosiddetti Giudici maggiori perché a noi meglio noti; occasionalmente ne nomina poi altri 6, i cosiddetti Giudici minori perché ne sappiamo poco più che il nome. Si ottengono così 12 "Giudici", esattamente quante erano le tribù d'Israele. (Abimelech [v.], non fu, né viene presentato come vero "giudice"; il suo tentativo monarchico fu un'usurpazione, e nello schema fa parte della giudicatura di Gedeone [v.] come sua conseguenza).

Contenuto. - Il libro, dopo un riassunto delle gesta di Giosuè (assai disputato per le sue referenze), Giudici, I-II, 10, e dopo la suaccennata presentazione del proprio scopo, II, 11 segg., offre il florilegio secondo lo schema seguente (i nomi in corsivo sono i giudici minori):

A questo florilegio schematico il libro fa seguire, a guisa di appendice, due episodî indipendenti dal resto del libro e fra loro stessi: il primo (Giudici, XVII-XVIII) narra l'origine del santuario settentrionale di Dan, in occasione dell'emigrazione interna di questa tribù dal sud al nord; il secondo (XIX-XXI) tratta del misfatto commesso dagli abitanti di Ghibea (Gabaa) della tribù di Beniamino sulla moglie di un levita, ospite nella loro borgata, e della punizione fattane dall'intera nazione.

L'autorità di questi "giudici" sembra che non si estendesse mai all'intera nazione, ma solo a una o a poche tribù: è tuttavia probabile che fossero riconosciuti "giudici" di tutto Israele Eli e Samuele, i quali tuttavia restano fuori dello schema del libro e preludono all'istituzione della monarchia. Quanto alla loro cronologia, molto si è disputato circa le surriferite cifre offerte dalla Bibbia. Parecchi critici hanno voluto considerarle convenzionali, in relazione alla cifra 40 (o suoi multipli o frazioni) la quale era l'usuale per designare il periodo di una "generazione"; non si vede tuttavia come si possano interpretare altre cifre dello stesso schema, che non hanno alcuna relazione (né di multiplo né di frazione) con 40. È certo invece che parecchi di quei "giudici" furono fra loro almeno parzialmente contemporanei, appunto perché la loro autorità si estendeva solo a una parte della nazione. A seconda delle diverse interpretazioni e anche in dipendenza della data che si assegna alla penetrazione degl'Israeliti in Canaan, mentre alcuni studiosi ritengono che l'intero periodo dei Giudici durasse poco più di tre secoli, terminando verso la metà del sec. XI a. C., con l'istituzione della monarchia; altri - oggi alquanto più numerosi - restringono lo stesso periodo a circa un secolo e mezzo, terminando verso la stessa data. Per i varî documenti confluiti nel libro dei Giudici, alcuni dei quali d'antichità e valore letterario particolari (ad es., il "Cantico di Debora"), sono da consultarsi i commenti.

Bibl.: Oltre alle varie storie d'Israele menzionate a ebrei, XIII, p. 344, e alla bibl. a giosuè, cfr.: F. de Hummelauer, Commentarius in libros Judicum et Ruth, Parigi 1888; K. Budde, Richter, in Kurzer Hand-Commentar z. A. T., Friburgo in B. 1897; W. Nowack, Richter, Ruth und Bücher Samuelis, in Handkommentar z. A. T., Gottinga 1902; J.M. Lagrange, Le livre des Juges, Parigi 1903; G. A. Moore, Judges, in The internat. critical Commentary, 2ª ed., Edimburgo 1908; G. A. Cooke, The book of Judges, Cambrdige 1913; C. F. Burney, The book of Judges, Londra 1918; V. Zapletal, Das Buch d. Richter, Münster 1923; A. Schulz, Das Buch d. Richter und das Buch Ruth übers. u. erklärt, in Die heil. Schrift des A. T., Bonn 1926; J. Garstang, Joshua, Judges, Londra 1931; specie per le fonti, oltre all'ed. di G. F. Moore nella Bibbia Policroma di P. Haupt (Lipsia 1900), cfr. O. Eissfeldt, Die Quellen des Richterbuchs, Lipsia 1925; H. M. Wiener, The compos. of Judges II, 11 to I Kings II, 46, Lipsia 1929.

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