DE ANGELIS, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 33 (1987)

DE ANGELIS, Giulio

Giuseppe Miano

Nacque a Roma nel 1845 da Domenico e da Adelaide Agricola. Visse a Perugia fin dalla prima giovinezza: ad appena otto anni risulta infatti iscritto ai corsi dell'accademia di belle arti del capoluogo umbro.

Fu allievo dell'istituto perugino dal 1858 al 1865, discepolo, fra gli altri, di S. Valeri, romano, che vi insegnò pittura dal 1845 al '73. Nei lunghi anni trascorsi a Perugia, il D. si distinse per "non comune predisposizione con premiati concorsi e lodevoli saggi" (Lupattelli, 1895, p. 99).

L'accademia di Perugia conserva un suo olio, Malatesta Baglioni alle mura di Firenze, con il quale partecipò al concorso annuale del 1865, quando frequentava l'ultimo corso.

Durante tutta la sua vita il D. rimase strettamente legato all'ambiente perugino e in particolare alla sua accademia, della quale sarà nominato "accademico di merito" il 9 marzo 1876, appena ventiseienne. Nel 1866 aveva seguito, volontario, Garibaldi durante la terza guerra d'indipendenza.

Se la sua formazione perugina marcò fortemente la personalità del D., ancor più determinante fu la sua presenza ai corsi del politecnico di Milano, da dove uscì diplomato nel 1868. Al ritorno dal capoluogo lombardo, il D., poco tempo dopo, debuttò come architetto a Perugia, dove nel 1874, allorché fu restaurato il teatro Morlacchi, il suo nome compare per interventi, e dove ancora realizzò la sua prima opera, la caserma dei carabinieri, ai piedi della Rocca Paolina, nell'area che risultò libera dopo la demolizione del malriuscito politeama, che il perugino Guglielmo Calderini vi aveva eretto poco prima.

Nello stesso periodo il D. sembra dividere la propria attività fra Perugia e Roma, tant'è che al 1872 risale un suo disegno di spaccato del costruendo ministero delle Finanze nella capitale (Polla, 1979).

Il successo e la notorietà dovevano però arridergli, nella capitale, di lì a poco: nel marzo del 1877 sull'Illustrazione italiana, il prestigioso periodico dei primi decenni postunitari, comparivano pubblicati con corredo illustrativo i villini realizzati dal D. al Macao, una delle zone più eleganti della nuova Roma.

Di questi villini, costruiti dal D. per conto della Società di credito mobiliare, quello che riscosse più successo fu disegnato per lo storico e uomo politico napoletano Ruggiero Bonghi: al n. 5 di via Vicenza, oggi albergo Villa delle rose, una costruzione compatta a tre piani. Il D. scelse per essa uno stile di ispirazione rinascimentale, quattrocentesco lombardo veneto, con finestre a bifora e paraste a decorazioni geometriche e con capitelli di terracotta. Una scelta di linguaggio marcatamente antiromana, che non si sa quanto dovuta al Bonghi, a lungo attivo a Milano, quanto all'influenza settentrionale nell'ultima fase della formazione del De Angelis. Per la realizzazione il D. si avvalse di un gruppo di artisti perugini, alcune dei quali antichi compagni di accademia. Il pittore D. Bruschi approntò le decorazioni di alcune sale nell'interno e i modellatori e scultori R. Angeletti e F. Biscarini, titolari del Laboratorio di terra cotta decorativa a Perugia, fornirono dal loro stabilimento "... il bel davanzale in terracotta della scala..." (De Gubernatis, 1906, p. 566), su disegno del De Angelis. Questa prima prova architettonica romana del D. fu molto apprezzata da personaggi di spicco dell'ambiente artistico, soprattutto settentrionali; G. Mengoni e C. Boito visitarono il villino Bonghi ed elogiarono caldamente il D., al quale il marchese P. Selvatico Estense, uno dei più autorevoli arbitri dell'Ottocento architettonico italiano, espresse il suo apprezzamento (cfr. L'Illustrazione italiana, marzo 1877). Anche E. Dolfi, insegnante presso l'istituto di belle arti di Roma, ne scrisse su L'Opinione.

A partire dal 1882 il D. fu attivo al servizio del principe Maffeo Barberini Colonna di Sciarra, intervenendo a varie riprese nell'omonima "isola" con affaccio sulla via del Corso: curò un restauro del teatro Quirino, del quale farà un progetto nel 1883 e che verrà ricostruito interamente nel 1890; poi realizzò l'apertura della galleria Sciarra, iniziata nel 1885, e della "via nuova", oggi via M. Minghetti (1886-87); da ultimo costruì l'edificio fra. via Minghetti e via delle Muratte (1895). Per il medesimo committente il D. eresse anche la villa Sciarra al Gianicolo.

La galleria Sciarra è senza dubbio la parte più riuscita tra gli interventi nell'"isola" omonima: in essa il D. diede la prova più matura e raffinata, tanto che può ritenersi un manifesto, una summa del suo stile, del suo gusto, delle sue idee. Grande rilievo vi ha la struttura metallica: le colonne in ghisa, fornite dalla fonderia Barbieri di Castelmaggiore, sono volutamente evidenziate; il vano centrale sotto lucernaio fu poi impreziosito dalla decorazione ad encausto eseguita su tutte le pareti dal pittore G. Cellini. I temi connessi coi rapporti arte-industria e architettura-arti applicate, tanto cari al D. e sempre ricorrenti nella sua poetica, si concretano in questa galleria, che ne è coraggiosa testimonianza.

Sempre agli stessi anni risalgono altre sue opere mature: lo stabilimento Bocconi (o secondo la denominazione ufficiale magazzini "Alle città d'Italia"), poi La Rinascente sul Corso (1886-87) e l'edificio per la sede de Il Popolo romano o, dal nome del suo direttore, palazzo Chauvet' in via Due Macelli, al n. civico 9 (terminato nel dicembre 1889).

In queste due ultime opere che si rivelano essere, con la galleria Sciarra, le sue più riuscite, il D. diede il meglio di sé e si collocò in posizione di assoluta, indiscutibile originalità nel panorama dell'architettura dei primi decenni di Roma capitale. Dimostrò temperamento indipendente - spregiudicato e padronanza delle tecniche costruttive più avanzate, collegate alla produzione industriale dei suo tempo.

Con lo stabilimento Bocconi il D. approdò nell'ambito tipologico nuovissimo del grande magazzino, un rischio per molti versi, non escluso quello di opporsi ad abitudini e comportamenti sociali radicati, e vinse tale prova di confronto decisamente ardua, dando a Roma il primo edificio di grande mole interamente destinato ad uso commerciale.

I disegni, da lui redatti peraltro in coppia con l'ing. S. Bucciarelli che ebbe mansioni tecniche nell'allestimento di impianti e servizi, erano stati "prescelti dietro pubblico concorso" (Misuraca, 1899) e furono approvati dalla commissione edilizia nel febbraio del 1886. Essi definivano una costruzione compatta a pianta quadrata di m 25 di lato e con cinque piani di altezza attorno ad un ampio vano centrale vuoto; grandi arconi vetrati, tre su ogni lato, corrispondenti al primo e al secondo piano, assicuravano la completa, e inedita per Roma, trasparenza dell'edificio. Una snella struttura di colonne di ghisa donava un tono di innegabile modernità. Ancora in questa occasione il D. confermava la sua fedeltà all'ambiente artistico perugino ricorrendo al pittore A. Brugnoli (Lupattelli, 1895, p. 101) per decorazioni delle quali non resta traccia.

Il "Palazzo industriale" o, come fu allora chiamato, "...er novo Culiseo pe' via der Corso..." (Rugantino, 20 nov. 1887) fu inaugurato il 10 dic. 1887 con gran concorso di pubblico: i giornali dell'epoca parlarono di cinquemila persone.

Anche nell'edificio de IlPopoloromano, eretto per conto del proprietario e direttore del quotidiano, C. Chauvet, il D. fece sfoggio della sua perizia di progettista: la ormai consueta impaginazione con colonne di ghisa in facciata al piano basamentale e i piani superiori trattati con stilemi architettonici riconducibili al Rinascimento settentrionale, ha una impronta riepilogativa di motivi e soluzioni ormai bagaglio di un suo personalissimo linguaggio, tanto più innovativo se confrontato con quello dell'ambiente architettonico romano coevo. D. Bruschi decorò, insieme con A. Benvenuti, l'ingresso degli uffici.

Forse il destino occorso ai due personaggi di spicco, committenti del D. negli anni del nono decennio del secolo, non fu estraneo alla cessazione della libera professione dell'architetto. Il principe Sciarra e Costanzo Chauvet, il gran "maneggiatore", nel 1893 furono coinvolti nello scandalo della Banca romana: il primo fuggi in Francia, il secondo fu gettato in carcere. Da allora, il D. si indirizzò verso cariche pubbliche.

Egli sedette nel Consiglio comunale di Roma come assessore dal 1889 alla prima metà del 1895 e dal 27 genn. 1897 entrò a far parte del Consiglio direttivo del Museo d'arte applicata all'industria assieme a E. Ferrari, L. Bazzani, F. Jacovacci e C. Aureli. Subito dopo diventò direttore dell'Ufficio tecnico per la conservazione dei monumenti di Roma e provincia e delle province di Aquila e Chieti. Nel quadriennio 1899-1902 curò il restauro di numerosi e celebri monumenti a Roma, nel Lazio e in Abruzzo.

Si riportano qui soltanto alcuni dei monumenti il cui restauro fu eseguito sotto la direzione del D.: le terme di Caracalla in Roma, la loggia e il palazzo papale di Viterbo, il palazzo Vitelleschi a Corneto (oggi Tarquinia), e S. Maria della Vittoria nella piana di Tagliacozzo in Abruzzo.

Nel 1890 il D. partecipò attivamente alla Mostra nazionale di architettura di Torino e fu caldo sostenitore di una mostra e di un congresso di architettura a Roma nel 1893.

Un lato particolarmente interessante della problematica, del temperamento e in generale della figura del D. è il suo mai mancato interesse per i temi connessi con il rapporto arte-industria e per l'adeguamento ad essi dell'insegnamento tecnico. Il D. aveva dimostrato viva attenzione alle qualità positive riposte nelle arti applicate fin dagli anni di Perugia; di ciò fu una riprova la costruzione, si può dire in équipe, del villino Bonghi a Roma. Ugualmente sfruttò le occasioni in cui temi del genere potessero essere dibattuti e divulgati anche attraverso esposizioni. Il D. tenne infatti il discorso inaugurale della Esposizione provinciale umbra del 1876 a Perugia (pubbl. Perugia 1879), nel quale sottolineava l'importanza di un sempre più stretto sodalizici fra architettura e arti applicate alla produzione industriale.

Un'altra occasione che si presentò al D. e in cui egli poté appieno esprimere il proprio pensiero fu una premiazione agli scolari dell'accademia perugina nel 1888.

Nel discorso (Nella solenne premiazione agli scolari della Perugina Accademia di Belle Arti il 23 settembre 1888. Discorso letto dall'Ingegnere Architetto Cav. Giulio De Angelis, Roma 1889), il D. esprimeva le sue idee sul riordinamento e sul ruolo di tutte le città per la diffusione del "civile progresso": "Non dal centrò alla periferia (non è questo anzi che vogliamo dall'unità politica) ma, dall'uno e dall'altra e dalle zone intermedie, vogliamo sia un confondersi, un armonizzarsi di forze vive, che tutta la patria invadano, sia come una grande onda di scienza, d'arte, di pensiero moderno" (p. 5); quanto alle scelte di linguaggio il D. affermava, anche se il suo discorso in tal caso era riferito alla pittura, che l'artista deve innanzitutto "... saturarsi... dello spirito del proprio secolo..." raggiungendo la sua "temperatura morale", e poi, dopo aver ben ordinato nella mente "le idee del... secolo" si può "così raggiungere il fine di rappresentarle...". Il suo secolo, il XIX, appariva al D. epoca "d'individualità", in cui precetti e formule preconfezionate avrebbero limitato il gusto e lo stile dei discenti: "a ciascuno la libertà più ampia di seguire le sue particolari predilezioni, a ciascuno il preferire ciò che è più conforme al suo organismo, al suo temperamento, a ciascuno l'obbligo di studiare con cura più attenta ciò che meglio risponde allo sviluppo del suo spirito" (p. 8). Da tutto ciò si deduce come la posizione del D., e come temperamento e come scelte, fosse delle più singolari e indipendenti nel quadro della Roma capitale; il dibattito sullo "stile romano" animato dal Boito e il modello stilistico del neocinquecentismo perseguito con ostinazione dal suo coetaneo G. Koch sembrano lasciare il D. totalmente indifferente. In chiusura del suo discorso egli auspicava un "maggiore sviluppo... insegnamenti sulle arti applicate all'industria..." (p. 10) e si dichiarava favorevole alla presenza di allieve.

Oltre alle opere già trattate, si ricordano qui alcuni edifici minori sempre a Roma, come i due villini Loreti in via N. Fabrizi 7 (38 oggi liceo scientifico F. Kennedy) e in via Calandrelli 42; il villino Peggion (1885) in via Garibaldi; infine il villino Orfini (De Gubernatis, 1906) e il restauro e l'ampliamento della palazzina del principe F. Borghese (1899) in via Tomacelli 107.

Il D. morì di "malattia cardiaca", ad Anzio (Roma) il 14 marzo 1906.

Tra gli scritti del D., oltre a quelli già citati nel testo, si ricordano: Storia di un quadro, in Corriere dell'Umbria, 14genn. 1876; Ufficio tecnico per la conservazione dei monumenti di Roma e provincia e delle Provincie di Aquila e Chieti, Relazione dei lavori eseguiti dall'ufficio nel quadriennio 1899-1902, Roma 1903.

Fonti e Bibl.: Oltre ai necrol. in Kunstchronik, XVII (1905-1906), 20, p. 310, e in Natura ed arte, XV (1905-1906),10, p. 720, cfr. Perugia, Arch. Acc. di belle arti "P. Vannucci", Registri, ad a. 1858-1865; Roma, Arch. Capit., Fondo Titolo 54; Villini al Macao, in L'Illustr. ital., 4 marzo 1877, pp. 130 s., 140; G. L. Ferri, Letter., industria e commercio, in Fanfulla della domenica, 18 dic. 1887; Dalle Coppelle ai Due Macelli, in Il Popolo romano, 15 dic. 1889; G. Sacheri, Le mie impressioni alla I Esp. ital. di archit., Torino 1891; A. Lupattelli, Storia della pittura inPerugia e delle arti ad essa affini dal risorgimento..., Foligno 1895, pp. 8, 99, 101; G. Misurace, Magazzini Bocconi in Roma, in Edil. mod., VIII (1899), p. 72; R. Gigliarelli, Perugia antica e moderna, Perugia 1908, p. 791; A. Calza, Roma moderna, Milano 1911, p. 45; A. Arduini, Dame al Macao, Roma 1944, passim; M. Piacentini-F. Guidi, Le vicende edilizie di Roma dal 1870ad oggi, Roma 1952, p. 55; P.Portoghesi, L'eclettismo a Roma 1870-1922, Roma s. d., pp. 54-74; G. Accasto-V. Fraticelli-R. Nicolini, L'archit. di Roma capitale 1870-1970, Roma 1971, pp. 103, 134-139, 143-150; R. Lefevre, Roma1887. Il "Palazzo industriale" dei fratelli Bocconi, in Strenna dei Romanisti, XXXVI (1975), pp. 249-256; I. de Guttry, Guida di Roma moderna, Roma 1978, pp. 16 s., 115; E.Polla, Il palazzo delle Finanzedi Roma capitale, Roma 1979, p. 30; V. Fontana, La Scuola speciale di architettura (1865-1915), in Il Politecnico di Milano. Una scuola nella formazzone della società industriale. 1863-1914, Milano 1981, pp. 231, 238-240; G. Spagnesi, Le matrici eclettiche nell'architettura di Raimondo D'Aronco, in Atti del Congresso internazionale di studi su "Raimondo D'Aronco e il suo tempo" Udine 1982, pp. 175 s., 180-84; G. Miano, in Roma capitale 1870-1911. Architettura e urbanistica. Uso e trasformazione della città storica (catal.), Venezia 1984, pp. 37-39; S. Pasquali, ibid., pp. 412-24; F. Giovanetti, in I ministeri di Roma capitale (catal.), Venezia 1985, pp. 83, 91; A.De Gubernatis, Diz. degli artisti italiani viventi. Firenze 1906, p. 583; U.Thieme-F. Becker, Künstlerlexikon, I, p. 507 (s. v. Angelis, Giulio de); Macmillan Encycl. of Architects, I,London 1982, pp. 521s.

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