JASOLINO, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 62 (2004)

JASOLINO (Jazolino, Giasolino), Giulio

Cesare Preti

Nacque con buona probabilità tra il 1533 e il 1538 a Monteleone di Calabria (oggi Vibo Valentia) da Mario, agiato patrizio, e da Lucrezia Galfuna. Non è noto quanti furono i suoi fratelli, ma sappiamo che ne ebbe almeno due, tra i quali un Vespasiano, attivo a Napoli come giureconsulto.

Per quanto riguarda la formazione, sembra che lo J. dapprima fosse attratto dagli studi letterari e umanistici, ai quali preferì poi quelli medici, pur continuando per tutta la sua vita a praticare per diletto le belle lettere. In campo medico fu allievo del siciliano G. Ingrassia. Lo attestano sia alcune dichiarazioni nei suoi scritti sia la lettera accompagnatoria dell'Ingrassia premessa al De aqua in pericardio dello J. (Napoli, O. Salvioni, 1576), nella quale il medico siciliano lo chiama "Iuli mi dilectissime" e lo esorta a dare alle stampe con maggior frequenza i risultati delle sue ricerche. Da un passo di un altro scritto anatomico dello J., le Quaestiones anatomicae et Osteologia parva (ibid. 1573), sembra però potersi dedurre che egli abbia condotto almeno parte degli studi di medicina a Messina, dove l'Ingrassia non insegnò mai. Visto che non esistono testimonianze della presenza dello J. a Palermo dopo il 1554 - quando l'Ingrassia tornò definitivamente nella città siciliana per esercitarvi il suo magistero -, si deve ipotizzare che lo J. negli anni intorno al 1550-51 si recò a Napoli, dove probabilmente conseguì il grado accademico e si avviò alla professione medica.

Cortese ha congetturato che la cattedra nello Studio napoletano lasciata vacante dall'Ingrassia al più tardi nel 1554, sia stata subito attribuita allo Jasolino. Amabile (p. 227) sostiene invece che egli non avrebbe mai avuto una lettura nell'ateneo partenopeo. Entrambe le affermazioni paiono però azzardate. Nel primo caso, l'età troppo giovane dello J. fa ritenere assai improbabile una successione immediata. Nel secondo caso, pur mancando conferme documentali, esistono una testimonianza di un contemporaneo, nonché una prova iconografica a sostegno di ciò che la tradizione biografica ha spesso ripetuto. Il protomedico napoletano G.A. Pisano nella sua lettera accompagnatoria alle Quaestiones anatomicae dello J., in data 5 ott. 1571, afferma che allora lo J. insegnava anatomia già da diversi anni nell'Università di Napoli. La prova iconografica è il ritratto a mezzobusto dello J. inciso da P. Troschel, che correda la Zootomia Democritaea, idest Anatome generalis totius animantium opificii libris quinque distincta di M.A. Severino, allievo a Napoli dello J. (Noribergae 1645).

Il modello fu probabilmente il quadro a olio su tela, oggi non noto alla letteratura, di cui tanto si parla nella corrispondenza tra J.G. Volkamer e il Severino. L'incisione, infatti, raffigura lo J. nell'abito tradizionale del lettore dello Studio napoletano, con goletta e un mantello orlato di pelliccia, e l'iscrizione nella cornice che circonda l'ovale riporta la seguente scritta: "Iulius Iasolinus Hipp.ta phil. med. in Regio Gymnasio Neap. anat. et chirurg. professor".

Probabilmente la lettura nell'ateneo napoletano gli fu assegnata nel settimo decennio del XVI secolo, forse, come ipotizza Buchner (p. 20), nel 1563 e su indicazione dell'Ingrassia. Risale a quegli anni anche l'inizio della sua attività come chirurgo presso l'ospedale degli Incurabili (ce ne dà lui stesso testimonianza, in un passo delle sue Quaestiones anatomicae) dove, a quanto sembra, compì numerose sezioni e dove solo a tarda età, negli anni intorno al 1610, si fece sostituire dal Severino.

Collegate all'attività di lettore di anatomia e chirurgia sono le tre pubblicazioni che lo J. diede alle stampe a Napoli tra il 1573 e il 1577 presso O. Salvioni. Si tratta di tre esili volumetti in ottavo piccolo, stampati con poca cura: Quaestiones anatomicae et Osteologia parva cuncta in hoc libello (1573); De aqua in pericardio quaestio tertia. Adiecimus huic tractatum, sive quaestionem de poris colidochis et vesica fellea pro Gal. adversus neotericos anatomicos: in qua plura a nobis nuper observata extant. Nova methodus medendi carunculas in vesicae ductu obortas de veterum mente elucescit (1576); De poris colidochis et vesica fellea pro Gal. adversus neotericos anatomicos. Plura noviter observantur quae in sequenti pagina ostenduntur (1577).

Le tre opere, pur di limitato valore scientifico, furono lette e utilizzate da alcuni tra i più celebri studiosi d'anatomia del tempo, quali il francese J. Riolan figlio, il tedesco H. Konring, il danese K. Bartholin, lo svizzero K. Bauhin, e intorno alla metà del Seicento furono ristampate per due volte in Germania, all'interno di una miscellanea anatomica intitolata dapprima Collegium anatomicum clarissimorum trium virorum, Iulii Iasolini Locri, Marci Aurelii Severini Thurii, Bartholomaei Cabrioli Aquitani per quos singulos collatae operae posteriore paginae facie patescent. Collect. et prom. Ioanne Georgio Volcamero Norimbergensis Reipublicae med. (Hannover 1654) e poi Celeberrimorum anatomicorum Severini Castrensis, Iasolini et Cabrioli varia opuscola anatomica (Francoforte sul Meno 1668). È però da precisare che l'inclusione nella silloge fu dovuta in gran parte all'affetto del Severino e all'amicizia che legava costui al Volkamer.

Delle tre opere la prima, le Quaestiones anatomicae et Osteologia parva, oltre a trattare la pinguedo e l'adeps come due forme differenti di grasso animale (prima Quaestio) e a ipotizzare che il grasso che si trova intorno al cuore, sorgente del calore del corpo umano, deve la propria particolare localizzazione al bisogno di energia della macchina cardiaca (seconda Quaestio), comprende anche una spiegazione di termini anatomici greci e una serie di tabelle, sette, nelle quali è riassunta la dottrina osteologica secondo il punto di vista dell'Ingrassia e di A. Vesalio, materiali questi ultimi che hanno uno scopo palesemente didattico.

La seconda pubblicazione, la De aqua in pericardio quaestio tertia, tratta solo della prima parte dell'argomento annunciato nel lungo titolo, ossia del liquido che riempie il pericardio e la cavità toracica, e della sua origine. In essa, appoggiandosi all'autorità di Ippocrate, Platone e Galeno, lo J. afferma che detto liquido non sarebbe altro che siero acquoso trasudato dai polmoni, lì giunto in quanto scivolato attraverso la trachea nell'atto del bere, in piccolissime quantità a ogni sorso. La congettura, attardata rispetto al sapere anatomico del tempo, fu criticata perfino dal Severino che nelle sue Quaestiones anatomicae quattuor (Napoli 1623), ricordò le conoscenze acquisite sulla funzione dell'epiglottide e indicò le conseguenze impossibili dell'ipotesi del maestro.

Il terzo trattato, De poris colidochis et vesica fellea, tratta della cistifellea e dei dotti biliari ed è, tra le pubblicazioni anatomiche dello J., quella di maggiore spessore scientifico. In quest'opera egli corregge le teorie del Vesalio e di G. Falloppia circa la posizione della cistifellea, il cui apice, secondo lo J., sarebbe sempre volto verso l'alto, e il cui canale di secrezione condurrebbe verso il duodeno non in direzione orizzontale, ma obliqua. Inoltre egli nega che, come voleva il Falloppia, sia la pressione del fegato a spingere entro sottilissimi vasi la bile verso la vescica, e assegna questo compito a una muscolatura propria di questo.

Frattanto, l'interesse dello J. stava sempre più indirizzandosi verso l'isola d'Ischia e le sue sorgenti. È noto che fin dai primi anni Settanta vi si recava regolarmente, per studiarne le sorgenti termali, i sudatori e le sabbie calde, conducendo con sé dei pazienti, ai quali prescriveva crenoterapie. I successi professionali, a quanto sembra, furono notevoli, tanto da garantirgli una clientela aristocratica piuttosto vasta e assicurargli una fama crescente come clinico. È quindi comprensibile che in lui sia gradualmente maturata la decisione di scrivere un'opera medica sull'isola e le sue sorgenti.

Lo scritto fu pubblicato, in due libri, con il titolo De' rimedi naturali che sono nell'isola di Pithecusa oggi detta Ischia nel 1588 (Napoli [ma Vico Equense], G. Cacchi). Lo J. vi aveva lavorato almeno dal 1580 (p. 97), procedendo dapprima a una stesura in latino, che fu ben presto tradotta in volgare in seguito alle pressioni di alcune sue illustri pazienti (p. 5) e terminata. Infatti, già nell'estate 1582, questa prima stesura italiana manoscritta fu data in lettura al censore ecclesiastico, il medico G.F. Lombardo, che, seppure non ufficialmente, l'approvò. Tutto ciò risulta dalla ricognizione che è stata condotta da Buchner (pp. 30-34) su una copia manoscritta di tale prima stesura, oggi in mano privata. Ma non fu questa la versione dell'opera che venne data alle stampe. Quella definitiva, sulla quale lo J. lavorò per altri cinque anni, è notevolmente diversa, non solo perché è molto più ampia (furono aggiunti, a detta del Buchner, gli interi capitoli 9 e 10, e gran parte dei capitoli 2, 5 e 6), ma soprattutto perché il materiale fu suddiviso in maniera più organica e molti dati, quali per esempio le indicazioni delle distanze tra i bagni misurate in stadi, poco accurati nella prima stesura, furono corretti. Inoltre, fu aggiunta una bella e dettagliata carta topografica dell'isola, notevole opera dell'incisore romano M. Cartaro, datata "15 Calendis Sextilis 1586".

L'opera, una pietra miliare tra gli studi balneologici sull'isola di Ischia, elenca 59 praesidia naturalia termali, una quarantina in più rispetto a quelli precedentemente conosciuti. In essa, lo J. riferisce di esperienze fatte soprattutto con cinque di questi stabilimenti, due bagni (quelli del Gurgitello e di Olmitello), due sudatori (le stufe di Castiglione e di Testaccio) e una sabbia calda (quella di Lacco Ameno); fornisce inoltre un'analisi, conforme ai metodi del tempo, delle proprietà chimiche e fisiche delle acque curative. Buchner (pp. 83 s.) ha però sottolineato che, per quanto riguarda le opinioni espresse intorno alle terapie, alla casistica delle patologie alle quali applicarle e allo stile di vita da adottarsi durante le cure, il trattato iasoliniano è poco originale, dipendendo soprattutto dal De thermis di A. Bacci (Venezia, V. Valgrisi, 1571) e dal De medicatis aquis di G. Falloppia (ibid., G. Ziletti, 1564).

In questi anni lo J. non cessò di coltivare gli studi umanistici. Strinse rapporti con la cerchia di letterati che si ritrovava presso la libreria di G.B. Cappello e presso quella detta della Gatta, e giunse così a fornire un contributo alla seconda edizione del poema di T. Costo che celebrava la vittoria di Lepanto: La vittoria della Lega, da lui medesimo corretta, migliorata ed ampliata. Aggiuntovi nel fine parecchie stanze del medesimo autore in varii soggetti. Con alcune brevi annotazioni ne' fini de canti del signor Giulio Giasolini (Napoli, G.B. Capello, 1582). Le annotazioni, per un totale di sei pagine, evidenziano l'erudizione e l'approfondita conoscenza della mitologia antica possedute dallo Jasolino.

L'impegno letterario non andò certo a discapito dell'impegno in campo medico: sempre più ricercato, egli divenne il sanitario di una serie di conventi napoletani, quali quelli delle monache agostiniane di S. Andrea delle Dame, delle clarisse di S. Maria della Sapienza e dei chierici regolari di S. Paolo Maggiore. La fiducia di cui evidentemente godeva presso i vertici della Chiesa napoletana, fece sì che quando fra T. Campanella, sotto processo a Napoli per i fatti di Calabria, prese a fingere la pazzia, egli fu incaricato, insieme con P. Vecchione, di studiare il caso e di stendere una perizia. Dopo avere visitato il domenicano nei giorni che precedettero il momento in cui questi fu sottoposto alla tortura della veglia, lo J. formulò il suo parere a Ischia il 15 giugno 1601. Al pari del collega evitò un giudizio definitivo, pur dichiarando di inclinare all'opinione che si trattasse di simulazione. D'altronde, questa non fu la sola occasione in cui lo J. si trovò coinvolto nelle drammatiche vicende del suo conterraneo. Sette anni dopo, nel 1608, in occasione del viaggio a Napoli di J. Faber, ufficialmente per ragioni collegate al suo incarico di semplicista dell'orto botanico pontificio, ma in realtà per verificare la possibilità di interventi a favore del Campanella secondo il piano di K. Schopp, anche lo J. fu contattato. Nulla sappiamo di questo incontro, se non che lo J. donò al tedesco una copia del suo De' rimedi naturali, oggi conservata presso la Biblioteca apostolica Vaticana, sulla quale il Faber di suo pugno appuntò "Neapoli dono accepi ab ipso auctore 15 Aprilis a. 1608 Johannes Faber S.D.N. simplicista".

Il luogo dal quale fu firmato il parere sul Campanella ci attesta che ancora nei primi anni del XVII secolo lo J. non si sottraeva ai disagi e ai pericoli del viaggio per mare al fine di recarsi, con regolarità, a Ischia. Sembra, però, che negli anni immediatamente successivi, intorno al 1604, decidesse di rinunciare a operare sull'isola: l'età, ormai avanzata, lo portò a ridurre progressivamente i suoi impegni e a dedicarsi quasi esclusivamente all'insegnamento e alle attività caritatevoli. Raccolse intorno a sé un gruppo di allievi (i suoi "prattici"), tra i quali spiccava M.A. Severino e con i quali condivideva l'attività nei conventi napoletani. Fu proprio in uno di questi che, con il Severino, ebbe come paziente il futuro santo Andrea Avellino.

Le due dichiarazioni giurate, del 15 apr. 1614 e dell'8 ag. 1617, rilasciate dallo J. in occasione del processo di canonizzazione dell'Avellino, sono per noi molto importanti, in quanto, mancando documenti o testimonianze che attestino l'esatta data della morte dello J., avvenuta a Napoli, essi ci forniscono uno dei confini temporali entro i quali porre l'evento. Il terminus ad quem è indicato da Buchner (p. 16) nel 1622: è l'anno in cui il Severino assunse la lettura di anatomia e chirurgia nello Studio partenopeo. Il testo di una iscrizione pubblicata da G.B. D'Urso (p. 256) ci informa che lo J. morì a ottantaquattro anni. Fu sepolto in S. Chiara, in una cappella gentilizia, ora scomparsa, dove riposarono anche i resti mortali del fratello Vespasiano.

Fonti e Bibl.: Napoli, Biblioteca nazionale, Fondo S. Martino, 640, I, Processi di beatificazione e canonizzazione, S. Andrea Avellino, cc. n.n.; Mss., XI.AA, 35, 36 (copie delle lettere inviate da M.A. Severino a J.G. Volkamer, nelle quali si parla del ritratto dello J.); XIV.A.28: B. Chioccarelli, De illustribus scriptoribus qui in civitate et Regno Neapolis ab orbe condito ad annum usque 1646 floruerunt, cc. 19-22; altri autografi dello J. sono segnalati in Iter Italicum, I, coll. 313a, 404a; II, col. 26a; C. D'Engenio Caracciolo, Napoli sacra, Napoli 1624, p. 241; G.B. D'Urso, Inscriptiones, Neapoli 1643, pp. 224 s., 256; A. Portal, Histoire de l'anatomie et de la chirurgie, II, Paris 1770, pp. 39-41; A. von Haller, Bibliotheca anatomica, I, Tiguri 1774, pp. 242 s.; G.A. Brambilla, Storia delle scoperte fisico-medico-anatomico-chirurgiche, II, Milano 1782, pp. 37-40; V. Capialbi, G. J., in Biografia degli uomini illustri del Regno di Napoli, VIII, Napoli 1822, pp. n.n.; L. Accattatis, Le biografie degli uomini illustri della Calabria, II, Cosenza 1870, pp. 66-69; S. De Renzi, Storia della medicina in Italia, III, Napoli 1845, pp. 161-165, 301, 490; L. Amabile, Fra Tommaso Campanella. La sua congiura, i suoi processi e la sua pazzia, II, Napoli 1882, pp. 227-229; N. Cortese, Lo Studio di Napoli nell'età spagnola, Napoli 1924, p. 133; P. Buchner, G. J., Milano 1958; A. Borrelli, Scienza e scienza della letteratura in Sertorio Quattromani, in Bernardino Telesio e la cultura napoletana. Atti del Convegno… 1989, Napoli 1992, pp. 279 s.

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