MANCINI, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 68 (2007)

MANCINI, Giulio

Silvia De Renzi
Donatella L. Sparti

Ultimogenito del medico Bartolomeo di Niccolò (morto nel 1578) e di Camilla di Francesco Mucci, nacque a Siena il 21 febbr. 1559 e fu battezzato il 23 dello stesso mese (Arch. di Stato di Siena, Pieve di S. Giovanni Battista, Battezzati, 51, c. 76r).

Il documento, in cui la datazione (1558) è indicata secondo lo stile dell'Incarnazione, certifica che l'epigrafe del monumento funebre eretto nella chiesa di S. Martino a Siena è in errore circa l'anno di nascita. In essa è correttamente riportato che il M. morì il 22 ag. 1630, ma è altresì detto che egli visse 72 anni (e non 71), 5 mesi e 29 giorni (Della Valle; Schudt, p. 9). L'errore non è stato colto nella letteratura con l'eccezione di Maccherini (1997, p. 87 n. 4). I Mancini raggiunsero una discreta agiatezza economica già alla fine del XVI secolo grazie anche al loro schieramento politico a favore dei Medici. Il M. ebbe due sorelle maggiori, Lavinia (1550-96) e Cinzia (nata e morta nel 1553) e un fratello, Deifebo Teodoro Fortunato (Siena, 24 ott. 1555 - post 15 ag. 1632 e ante aprile 1633), con il quale il M. ebbe un forte legame. Deifebo studiò presso i gesuiti a Siena e rivolse i suoi interessi alla matematica, all'architettura, al disegno (e forse anche alla pittura) e in particolare alla storia (Maccherini, 1997, p. 87 n. 4, e 2004, p. 48).

Sembra che il M. diede principio agli studi superiori a Siena nel 1576. Furono questi gli anni in cui, insieme con Deifebo, frequentò il circolo del balì Ippolito Agostini, mecenate e collezionista, a cui inviò diverse opere d'arte da Padova, dove si recò a studiare medicina probabilmente nel 1579 (Ugurgieri Azzolini, p. 537; Sani; Maccherini, 2004, p. 48).

A Padova il M. frequentò le lezioni dei più rinomati professori dello Studio: un elenco ottocentesco di manoscritti molto verosimilmente appartenuti al M. comprende, tra le altre, le lezioni di chirurgia di Girolamo Fabrici d'Acquapendente, quelle sulle febbri di Girolamo Capodivacca, quelle sulla fisica di Aristotele di Francesco Piccolomini e quelle di Bernardino Paterno sugli aforismi di Ippocrate (Siena, Arch. della Società di esecutori di pie disposizioni, Fondo( Mancini, C.XIX, 167, cc. 160r-162r). Dalla corrispondenza con Deifebo si sa che nonostante qualche delusione per le irregolarità con cui si svolgevano le dimostrazioni anatomiche (ibid., 166, c. 27v), il M. intrattenne rapporti cordiali con Fabrici d'Acquapendente (ibid., c. 468r). Si accostò poi a Girolamo Mercuriale, di cui seguì la pratica medica (ibid., c. 133v) e con cui ebbe un intenso discepolato, a giudicare dal fatto che il M. curò ("Julio Mancini excerptus et in capita redactus") nel 1585 l'edizione del De decoratione di Mercuriale e dal fatto che questi lasciò inoltre al M., presumibilmente al fine di promuoverlo nella sua futura carriera, la scelta del dedicatario, il senese Ascanio Piccolomini, arcivescovo di Rodi. Mercuriale incoraggiò il M. anche in occasione della candidatura, nel novembre 1584, al posto di assistente del medico del re di Polonia (ibid., c. 133r). Il carteggio documenta la ricchezza dei contatti e delle amicizie strette durante il soggiorno padovano al di fuori della cerchia universitaria, fra cui quella con l'erudito napoletano Vincenzo Pinelli, e come i rapporti con Mercuriale rimasero stretti anche dopo che il M. lasciò Padova (Maccherini, 2004, p. 48). Probabilmente da far risalire al soggiorno padovano è l'interesse, segnalato dai contemporanei, per la lingua caldea, che il M. avrebbe però poi disprezzato (Rossi [Erythraeus], p. 81).

Non è chiaro se il M. considerasse conclusi gli studi quando, nell'ottobre 1585, si trasferì a Bologna. Nei documenti dello Studio padovano comunque non si conserva traccia di una sua laurea.

A Bologna incontrò Gaspare Tagliacozzi, noto per le operazioni di rinoplastica, e frequentò le lezioni del filosofo Federico Pendasio e il museo di Ulisse Aldrovandi (Fondo( Mancini, C.XIX, 166, cc. 240r, 243rv). Ad Aldrovandi il M. fece avere un suo discorso sulla pianta alcanna che, ora perduto, trattava di cosmesi; sembra che Aldrovandi non lo accolse con entusiasmo (Maccherini, 2004, p. 49).

In seguito a un incidente non del tutto chiaro occorso al fratello (Siena, Arch. della Società di esecutori di pie disposizioni, Fondo( Mancini, C.XIX, 166, c. 280r), nel gennaio 1586 il M. tornò a Siena; ma fu a Bologna ancora nel 1587 (Maccherini, 2004, p. 49). Sebbene non risulti confermata la notizia secondo la quale nel 1585-86 il M. ottenne la cattedra di medicina presso lo Studio senese (Prunai), egli dovette aver ripreso fissa dimora a Siena durante il 1586, dato che il 31 genn. 1587 presentò la sua tesi e il 1( febbraio "fuit doctoratus" in "artibus et medicina" (Siena, Arch. arcivescovile, Studio, Protocolli degli atti di laurea, 6441, c. 118r; Sani, p. 44 n. 21). L'8 giugno seguente fu nominato medico del convento senese di S. Spirito (Maccherini, 2004, pp. 48 s.) e durante quello stesso anno, quando lo Studio fu dotato di una nuova cattedra "ad anotomiam seu chirurgiam", la docenza fu conferita al M. (Cascio Pratilli; Maccherini, 2004, p. 55 n. 26).

Risale a questo periodo senese una serie di consulti medici scritti dal M. per una clientela varia (Siena, Biblioteca degli Intronati, C.IX.4; presso questa Biblioteca sono conservati altri scritti di argomento medico e filosofico molto probabilmente da attribuire al M., con segnature C.IX.1, 3-5, 7-9 e L.XI.9, copie di altri suoi scritti).

Nell'ottobre 1590, nonostante una raccomandazione di Giovanni de' Medici, il tentativo del M. di ottenere la cattedra di medicina di secondo luogo non andò in porto (Maccherini, 2004, p. 49). Stando ai suoi primi biografi dev'essere stato in questi tempi che, al seguito di un litigio, fu incarcerato (Rossi, p. 79; Ugurgieri Azzolini, p. 537). Fu liberato prima del maggio 1591: a quella data risale, infatti, una lettera al M. del senese Patrizio Patrizi, il quale lo sconsigliava di venire a Roma a causa della peste (Maccherini, 2004, p. 49). Fu forse in seguito a questa carcerazione che il M. lasciò Siena e si trasferì a Viterbo, dove ricevette l'incarico di medico condotto della città nell'agosto 1591 (Siena, Arch. della Società di esecutori di pie disposizioni, Fondo( Mancini, C.XIX, 166, c. 606r) e dove rimase per circa un anno (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4316, c. 33r; Maccherini, 2004, p. 55 n. 28).

Non si sa con precisione quando il M. e Deifebo si trasferirono a Roma, dove avevano uno zio speziale. Il M. vi si recò varie volte nel 1592: era lì durante la Pasqua (ibid., p. 48), che quell'anno cadeva il 29 marzo, ma presumibilmente vi prese residenza a seguito dell'esito positivo del concorso per medico presso l'ospedale di S. Spirito in Sassia. Una lettera di Deifebo del 21 sett. 1592 documenta come il M. si fosse infatti precipitato a Roma, da Viterbo, il 20 settembre dopo aver ricevuto tardiva notizia dell'esame per il posto tramite Claudio Borghese, un amico di famiglia (Siena, Arch. della Società di esecutori di pie disposizioni, Fondo( Mancini, C.XIX, 166, c. 719r). Il 24 settembre Deifebo annunciò l'esito positivo della prova e specificò che il 1( ottobre il M. avrebbe dovuto essere a Roma per "baciare insieme agli altri i piedi di S. S." (ibid., c. 720r).

Già nella lettera del 21 settembre Deifebo descriveva le condizioni del posto, compreso il salario di 200 scudi l'anno; e l'8 genn. 1593 confermava che il M. "per concorso si guadagnò luogho di fisico in Sancto Spirito con provvision tale che tratteniamo cinque bocche, cioè due servitori, il cavallo e noi due" (Maccherini, 2000, pp. 111 s.). Queste testimonianze contrastano con l'effettivo salario mensile del M. che nell'agosto 1605 era di 11 scudi e 1/3 di baiocco (Arch. di Stato di Roma, Ospedale di S. Spirito in Sassia, Mandati di pagamento, b. 1911, mandato 1191). La cosa si spiega con il fatto che nel 1595 il salario dei medici dell'ospedale venne drasticamente diminuito (Savio).

Deifebo rientrò a Siena già nel 1598 (Maccherini, 2005, p. 394). Dalla sua corrispondenza con il M. si evince che, fuori dell'ospedale, attraverso "un poco di servizio", come scrisse lo stesso M. della sua pratica professionale (Id., 2004, p. 49), il fratello strinse rapidamente rapporti con alcuni fra i più eminenti prelati e cardinali, fra cui Aldobrandini, Barberini, Bichi, Borghese e Capponi.

Il legame speciale con Pietro Campori, commendatore dell'ospedale di S. Spirito dal 1608 e poi cardinale nel 1616, è documentato nella scelta del M. di nominarlo nel 1610 suo esecutore testamentario (Hess, p. 105). Con il cardinal Francesco Maria Del Monte, che il M. frequentò almeno sin dal 1595, condivise soprattutto la passione per l'arte e, specificamente, per le opere del Caravaggio (Maccherini, 1997; 1998-99, p. 134, doc. 1). Si sa che ebbe in cura il nipote ed erede Uguccione Del Monte, giunto a Roma nel 1626; ma il suo servizio come medico presso la casa del cardinale rimane solo ipotetico (Waźbiński, 1994, pp. 317, 371, 436, 443, 568). Biografi come Rossi hanno celebrato la rapidità e la precisione diagnostica e prognostica del M.: "quem exitum morbus ille esset habiturus, divinabat" (p. 81). Sembra però che a dispetto della sua fama professionale il M. fosse brusco di maniere e calcolatore: pare che egli non esitasse ad abusare della sua posizione professionale per perseguire i suoi interessi artistici ed economici. A tal fine avrebbe fatto intendere in più occasioni ai suoi pazienti più facoltosi, e forse anche artisti, che versavano in condizioni critiche, che avrebbe gradito qualcuna delle loro opere d'arte in cambio del suo aiuto. Così facendo il M. da un lato mise insieme una notevole raccolta e dall'altro gettò le basi per tessere una fitta rete di amicizie nel mondo dell'arte (Haskell, pp. 123 s.).

Nel 1594 fu cooptato nel Collegio medico di Roma, anche se la sua elezione fu faccenda più lunga e controversa di quanto fosse solito accadere (Arch. di Stato di Roma, Università, b. 49, cc. 116r-118v, 123v). Nel 1598 e 1601 egli ricoprì l'incarico di "examinator" in chirurgia.

Il carteggio con Deifebo consente di datare una serie di scritti di argomento sia medico, sia vario, composti dal M. negli anni Dieci e da lui regolarmente inviati al fratello e ad altri amici senesi per loro commenti. Il via vai di copie tra Siena e Roma indica un processo di revisione continua dei testi, anche ad anni di distanza. Nel 1611 il M. lavorava a un compendio "De sanitate menda" (Maccherini, 1993, p. 227, 28 genn. 1612), forse da identificare con il testo della Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat. 4315, cc. 376r-419v (si veda A. Marucchi a pp. XXIII-XXVI del primo volume delle Considerazioni sulla pittura del M., Roma 1956, abbreviate d'ora in avanti in Considerazioni), e a un trattato perduto sui mali dell'anima (Maccherini, 1993, pp. 213 s.: 24 giugno 1611). Nel 1612 componeva una serie di "discorsi civili" (ibid., pp. 230 s.: 23 marzo 1612), tra cui quello sul conclave (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4315, cc. 250v-264r: Menniti Ippolito, p. 223). Di rilievo il suo interesse per l'astrologia, già indicato da Gabriel Naudé (Pintard, p. 261) e testimoniato dai riferimenti del M. nel 1612 a un "compendietto di astrologia", che avrebbe tratto da Tolomeo e altri su questioni di natività e malattie (Maccherini, 1993, pp. 230 s.: 23 marzo 1612). Nell'ambito delle discussioni in materia astrologica documentate in questi anni a Roma, uno scritto del M. fu apprezzato da Roberto Bellarmino (Bucciantini). Difficile dire che relazioni ci siano tra questo testo e lo scritto del M. sull'opportunità di dare licenza ai medici di leggere opere astrologiche (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4316, cc. 123r-138v). Nelle Considerazioni (I, pp. LVII, 147) il M. informa che in età giovanile scrisse un trattato sull'amore (forse il De amore et eius actu: Siena, Biblioteca degli Intronati, C.IX3) e uno sull'onore (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4314, cc. 1r-179r; Menniti Ippolito, p. 234). Ciò è confermato in una lettera del M. del 27 dic. 1614 in cui egli fornisce inoltre notizia di uno scritto su Filippo Neri (Maccherini, 1993, p. 269). Quest'ultimo è verosimilmente un'operetta in cui il M. dissentiva dall'interpretazione delle palpitazioni sofferte da Filippo proposta dal medico Angelo Vittori; ampi brani dello scritto del M. sono contenuti nella confutazione che venne composta in ambiente oratoriano (Cistellini). Di questi anni anche un'appassionata difesa della medicina rispetto al diritto (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4315, cc. 271r-288v); notevole, ma di più difficile datazione, lo scritto su questioni relative al contributo femminile nella generazione (ibid., 4316, cc. 151r-164r). A questi stessi anni risalgono alcuni suoi pareri medico-legali, per esempio quello su un celebre caso di sospetto avvelenamento nel 1609 (ibid., cc. 245r-290r), e quello sulla vera o simulata stoltezza di un prigioniero del S. Uffizio (ibid., cc. 209v-212r). Da segnalare anche una raccolta di scritture di argomento medico, in parte del M., di cui alcune datate 1617-19, che, con il titolo Praticae medicae vectigal Julij Mancini, è conservata a Londra, presso la British Library (Sloane, 3133, cc. 1-505v). Un'indicazione delle entrate percepite dal M. in aggiunta al suo stipendio a S. Spirito sono i pagamenti di poco più di 3 scudi mensili a lui fatti per l'anno 1616 come medico delle carceri (Arch. di Stato di Roma, Camerale I, Depositeria generale, b. 1878, c. 126v, 127r: Orbaan).

Nel 1621 il cardinale Campori, che sperava di essere eletto papa, dopo il conclave che elevò al pontificato Alessandro Ludovisi (Gregorio XV), fu trasferito, per questioni politiche, al vescovato di Cremona. Deluso, il M. vide svanire la possibilità di avvantaggiarsi per mezzo dell'amico, sebbene poco dopo l'elezione di papa Ludovisi ottenesse l'ufficio di vicereggente del Collegio medico, con il compenso di 60 scudi all'anno (Maccherini, 2004, p. 52). Nel 1623 Campori rientrò nell'Urbe per partecipare al conclave che elesse Maffeo Barberini. Questa nuova delusione durò poco: tre giorni dopo l'elezione, il 9 agosto, Urbano VIII nominò il M. suo medico personale (Schudt, p. 11).

La nomina giunse mentre il M. si prendeva cura del pontefice, che aveva contratto la febbre malarica a conclusione del conclave (Pastor, p. 242; Ugurgieri Azzolini, p. 538). Egli si trasferì, quindi, nel palazzo papale a Montecavallo. Come archiatra papale partecipò a varie discussioni mediche e filosofiche che si svolgevano a corte, insieme, fra gli altri, con il linceo Johannes Faber e con il medico scozzese Henry Blackwood (Pintard, p. 614 e n.; Ginzburg, p. 178). Con Faber il M. fu inoltre presente nel 1624 alla autopsia, politicamente delicata, dell'arcivescovo di Spalato Marc'Antonio De Dominis (lettera di Faber a Galileo, in Ed. nazionale delle opere G. Galilei, XIII, Firenze 1968, p. 207). In seguito alla sua nuova posizione apparvero diversi testi medici a lui dedicati, primo fra i quali gli Hippocratis aphorismi, di G. Manelfi (Romae 1623). Le qualità professionali del M. furono immortalate già nel 1628 dal ricordato Faber che scrisse di lui: "vir non Aristotelica modo philosophia & Hippocratica Medicina eminentissimus, sed Chymicarum quoque rerum gnarus, Anatomicus insignis" (1651, p. 599). A questi anni risale anche un suo scritto sulla capacità di fare previsioni nel sonno e nella veglia, in cui il M. incorporò brevi passi autobiografici (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4316, cc. 1r-34v). L'inclinazione a interpretare in modo naturale fenomeni da altri spiegati con interventi soprannaturali - si veda in particolare il caso di una donna a parere del M. ingiustamente accusata di stregoneria nel 1626 (ibid., 4337, cc. 24r-31v) - sicuramente acquisita negli anni della formazione padovana si connetteva nel M. a un certo scetticismo per forme diffuse di devozione. In occasione dell'esumazione del cadavere di Camillo De Lellis nel maggio 1625, a fronte dello stupore degli astanti per la perfetta conservazione del corpo, il M. "tratto fuori un coltello diede in quel cadavero un colpo, in uno de' fianchi e n'uscì il sangue con maraviglia di chi era presente e ne furono intinte molte mappe di lino. Onde Giulio huomo peraltro assai di proprio parere, crollando il capo, se n'andò senza dir altro" (Regi). A questi o a episodi simili può legarsi il commento di Naudé il quale definì il M., che non incontrò mai di persona, "grand et parfait athée" (Pintard, p. 262). Anche il suo primo biografo ricorda alcuni atteggiamenti non del tutto convenzionali, per esempio l'incoraggiamento che il M. avrebbe dato a mangiare carne durante la quaresima (Rossi, p. 81). Ma se quest'ultimo aspetto va confrontato con la diffusa convinzione che fosse proprio responsabilità dei medici concedere esenzioni in materia di dieta, "l'ateismo" di cui scrisse Naudé, e che è citato più volte nella letteratura moderna (per esempio Haskell, p. 123; Ginzburg, p. 173), va confrontato con la posizione, i titoli e i benefici goduti dal M. presso la corte pontificia e con la difficoltà di identificare come atee tout court posizioni critiche verso certi aspetti dell'autorità della Chiesa o dell'ortodossia.

La stima di Urbano VIII per il M. si riscontra nei numerosi titoli e privilegi conferitigli.

Nel settembre 1623 divenne cameriere segreto e commensale del papa (Maccherini, 2004, p. 52). Il 7 genn. 1626 ebbe il canonicato di S. Pietro (Biblioteca apost. Vaticana, Urb. lat., 1096, c. 9r). Al più tardi nel 1628 divenne protonotario apostolico e in seguito ricevette i titoli di nobile romano, conte e cavaliere (Maccherini, 2004, p. 52). Nel 1629 fu chiamato a partecipare alle riunioni della congregazione di Sanità, a capo della quale era il cardinale Francesco Barberini, per coordinare le misure da prendere in relazione all'avanzamento della peste (Duranti). I guadagni del M. ascesero a circa 2500 scudi all'anno oltre al capitale investito per esempio nelle proprietà di famiglia nel Senese; tant'è che alla sua morte i suoi beni ammontavano a oltre 60-80.000 scudi (Ugurgieri Azzolini, p. 538; Maccherini, 2000, p. 113 n. 17, e 2004, p. 52). Fu forse in ringraziamento degli onori ricevuti che il M. fece, in una o diverse date sconosciute, dono al pontefice di tre opere d'arte: un'anonima Sacra Famiglia, un rilievo di Jacopo della Quercia rappresentante la Vergine, Gesù e s. Giovanni Battista e un disegno di Luca di Leida (Aronberg Lavin). Il rapporto fra Urbano VIII e il M. dovette essere alquanto familiare, tanto che il pontefice accettò che egli rendesse pubbliche le sue idee contrarie alla politica papale finalizzata ad aumentare l'arsenale pontificio e per la quale il papa si avvalse di bronzo recuperato, tramite il consiglio di Gian Lorenzo Bernini, persino dalle travi dell'atrio del Pantheon. Stando infatti agli Avvisi di Roma il 20 sett. 1625 il M. "disse motteggiando, che quello che non hanno fatto i Barbari facevano i Barberini" (Pastor, p. 868); commento poi divenuto famoso tramite l'epigramma che ne fu ricavato in ambiente rivale ai Barberini: "quod non fecerunt barbari, fecerunt Barberini". Rimane da capire se l'interesse coltivato dal M. e dal papa per l'astrologia fosse causa di avvicinamento o di contrasto. In particolare, si sa che il M. frequentava il convento di S. Prassede, il cui abate Orazio Morandi fu al centro del famoso processo del 1630 in relazione a varie attività di astrologia giudiziaria condotte nel convento, tra cui la previsione di morte del papa (Arch. di Stato di Roma, Tribunale del Governatore, b. 251, c. 2v). Il M. avrebbe anche contribuito alla diffusione di voci sulla salute malferma del pontefice in momenti politicamente molto delicati (Amabile).

Non si sa a tutt'oggi in quali circostanze e tramite chi il M. fosse introdotto al mondo e al mercato dell'arte dell'Urbe; sembra tuttavia ragionevole suggerire che sia il cardinal Del Monte sia l'architetto Ottaviano Mascherino, che al tempo in cui il M. fu assunto al S. Spirito andava costruendo la facciata della chiesa dell'ospedale (Hess, p. 105), vi contribuirono, insieme con coloro dai quali, come già detto, il M. pretese opere d'arte in cambio di sue prestazioni.

Nelle Considerazioni sulla pittura il M. ricorda come Mascherino gli fornì alcune notizie (I, pp. 215, 222). Allievo dei Carracci, Mascherino fu membro dell'Accademia romana di S. Luca sin dal 1576, divenendone principe nel 1604 all'epoca del protettorato (1595-1626) del cardinal Del Monte. Dalle Considerazioni si evince che l'ambiente accademico era del tutto familiare al M. tanto che nel 1619 gli fu richiesta una copia del testo per la biblioteca dell'istituzione (Maccherini, 2002, p. 125); e lo stesso M. ricorda di aver frequentato mostre allestite nella chiesa dell'Accademia in occasione della festa patronale (Considerazioni, I, p. 260). È possibile che in principio Mascherino o Del Monte o entrambi ricorressero al M. in qualità di medico per se stessi e, o per i loro conoscenti artisti. Fu solo a ridosso del 1617, infatti, che l'Accademia istituì un posto fisso per un medico che si prendesse cura degli accademici infermi. Si spiegherebbe così perché il M. ebbe in cura il Caravaggio - mentre alloggiava presso il cardinal Del Monte (Maccherini, 1998-99, p. 134, doc. 1) - e fu al corrente dei malanni, fra gli altri, di Annibale e Ludovico Carracci e Agostino Tassi (Considerazioni, I, pp. 217-219, 252).

Dalla corrispondenza con Deifebo si apprende che il M. cominciò a collezionare disegni e quadri almeno sin dal 1606 e nell'ottobre tentò invano di acquistare la Morte della Vergine del Caravaggio oggi al Louvre (Maccherini, 1997, pp. 81 s.). Le lettere documentano inoltre come sin dal principio il M. avesse intrapreso quest'attività specificamente a scopo commerciale, a dispetto di quanto è stato scritto anche di recente. Egli acquistava le opere a Roma per poi spedirle a Siena dove Deifebo, su istruzione del M., le mostrava e vendeva ai migliori offerenti (Id., 1998-99, pp. 136 s.). Acquistò in prevalenza opere toscane e bolognesi; a conferma dello scopo commerciale della sua quadreria già nel 1617 egli raccomandava al fratello di vendere l'intera raccolta se avesse trovato un acquirente, fatto che si realizzò nel 1620, quando la collezione fu venduta a Michelangelo Vanni, figlio del più noto Raffaello (Id., 1997, pp. 73, 86; e 2005, p. 396). Oltre a quadri, fra cui erano opere del Caravaggio, Federico Barocci, Antiveduto Gramatica, Annibale e Antonio Carracci, del Cavalier d'Arpino (Giuseppe Cesari), del Domenichino (Domenico Zampieri), di Guido Reni e Giovanni Lanfranco, il M. raccolse bronzetti e disegni (Id., 2004, p. 49), questi ultimi ordinati in volumi divisi per autore (Id., 1997, p. 81, doc. 1). Che l'approccio al mondo dell'arte da parte del M. fosse anzitutto commerciale è inoltre confermato dalle parole di Faber (p. 599): "liberalium plurium[(] artium non tam amator, quam exactissimus iudex & aestimator" e da quelle di Rossi (p. 81): "ab aliis eas tabulas quam minimo emebat, ut carissime venderet". Ma solo due studiosi hanno esplicitamente scritto che a loro parere questo approccio non è in contraddizione con gli scritti sull'arte del M. (Mahon, p. 329; Haskell, pp. 124 s.). Da medico o da mercante d'arte, il M. strinse rapporti con tanti artisti, fra cui Lavinia Fontana, il Caravaggio, i Carracci, Reni, Lanfranco, Tassi, il Cigoli (Ludovico Cardi), il Passignano (Domenico Cresti), Francesco Rustici, Raffaello e Michelangelo Vanni (Considerazioni, II, commento di L. Salerno, Roma 1957, p. XXVIII; Maccherini, 2004, p. 49). Frequentò inoltre molti eruditi e amatori d'arte, fra cui Ferrante Carli, Giovan Battista Crescenzi, Cassiano Dal Pozzo, Vincenzo Giustiniani - che fu suo paziente nel 1612 - e Fabio Chigi, poi Alessandro VII (Delcorno; Maccherini, 1998-99, p. 75, e 2000, pp. 112 s. e n. 9; Sani, p. 44).

Il M. è noto oggi prevalentemente per i suoi testi storico-artistici, e in particolare per le Considerazioni sulla pittura, pubblicate soltanto nel 1956.

Sin dal primo Novecento è ricordato come teorico dell'arte alla stregua di Giovanni Battista Agucchi o Giovan Pietro Bellori. Dalle Considerazioni è evidente come egli si rivolga alla figura emergente del conoscitore ("huomo di diletto di simili studij": I, p. 5), che andava costituendo il nuovo pubblico di cui egli stesso faceva parte (II, p. XXIII). In ciò, appunto, risiede l'importanza del M., oggi come allora. Tant'è vero che le Considerazioni non furono teoricamente innovative rispetto alla letteratura artistica precedente (da Leonardo a G. Vasari a G.P. Lomazzo). Oltre ai classici e a vari autori a lui coevi, come Onofrio Panvinio, la sua fonte principale per il passato è, nonostante le critiche sui dati cronologici e romanzati, Vasari; e per il presente egli attinge agli artisti stessi e alle notizie avute a viva voce. Né, a dispetto di quanto è stato scritto, è nuovo il fatto che il M. ritenga come, fra le altre materie, il disegno (e per esteso l'arte) debba essere alla base dell'educazione dell'uomo "civile"; egli spiega come tale concetto risalga ad Aristotele (Politica, VIII, 3: Considerazioni, I, pp. 6, 11 s., 161), che peraltro è l'autore più citato nelle Considerazioni. Già il Cinquecento, infatti, aveva fatto proprio il consiglio aristotelico in particolare nel Cortegiano di Baldassare Castiglione (Venezia 1528, I, 52). La novità del M. consiste nel fatto che egli, andando oltre i precetti aristotelici, fu il primo a spiegare come l'uomo "civile" potesse acquisire gli strumenti necessari a "giudicare" un quadro, ruolo sino ad allora - e ancora per oltre un secolo circa - riservato agli artisti. Il M. stabilì dunque i "principi della conoscenza e della critica figurativa: la classificazione delle pitture secondo tecnica, epoca e modo di composizione, secondo valore e non-valore, in quanto originale o copia" (Schlosser Magnino, p. 614). È controversa l'ipotesi secondo cui le capacità diagnostiche del M. l'avrebbero condotto a formulare un metodo per determinare l'autografia di un'opera (Ginzburg, pp. 173 s.). Piuttosto è notevole, in relazione all'interesse del M. per il valore delle opere d'arte, lo scritto sulla moneta (Biblioteca apost. Vaticana, Barb. lat., 4315, cc. 218v-226v), in cui discutendo di come si stabilisca il valore monetario di una serie di beni, il M. segnala, oltre al pane e ai servizi di una prostituta, anche pitture, gemme e sculture. Nelle Considerazioni egli spiega inoltre come vada allestita una quadreria e quali siano le tecniche per conservare e restaurare le opere (basandosi tuttavia in gran parte sulle opinioni dei cinquecenteschi Giovan Battista Adriani e Raffaello Borghini e in diverse occasioni dissentendo da quelle dei pittori coevi, per esempio sul merito di "lavare" una pittura: De Benedictis - Roani, pp. 30, 34). Il M. è stato sinora considerato fra i primi, insieme con Agucchi, a suddividere la pittura in "scuole" (toscana, romana, bolognese, oltremontana ecc.); perciò il suo scritto è stato interpretato dalla critica novecentesca quale precoce tentativo di presentare lo sviluppo dell'arte in termini di storia dello stile. Ma le novità del trattato sono state in larga parte fraintese (Sparti).

La scrittura delle Considerazioni si svolse in tre fasi: nel 1617-19 il M. scrisse una prima redazione breve conosciuta con il titolo Discorso di pittura (pubblicata in appendice all'editio princeps del 1956, di cui sembra esista una diversa versione in Siena: Maccherini, 2002, p. 126). Ma il fatto che egli ricordi nel testo di aver ricevuto informazioni fra gli altri da Mascherino, morto nel 1606, significa che prima di allora raccolse notizie e prese appunti, sebbene non sia ancora chiaro in che forma, né esattamente da quando. Se tuttavia si considera che, come si è visto, acquistava opere d'arte almeno sin dal 1606, è verosimile che la raccolta dei dati biografici sugli artisti andasse di pari passo con quella delle opere. È persino possibile che l'idea di fornire indicazioni su come collezionare nascesse dalla sua esperienza personale. È stato suggerito che l'idea dell'opera fosse maturata nel M. osservando quanto andava facendo Ferrante Carli, nella speranza di diventare custode della quadreria di Paolo V Borghese (Id., 2004, p. 52); ma questa ipotesi non tiene conto del fatto che il M. aveva cominciato a raccogliere dati su artisti prima del 1606. Dopo il 1619 il M. elaborò ed estese una seconda redazione conosciuta come le Considerazioni, delle quali sono note due versioni: una più semplice (da datare intorno al 1619-21) e una, stesa intorno al 1621, più lunga e divisa in due parti. Gli indizi per la cronologia delle varie stesure sono interne ai testi, e si sa che il M. continuò ad aggiungere numerose postille almeno sino al 1628 (I, pp. XXX s.). Dell'ultima versione più lunga, la prima parte - Alcune considerationi attorno alla pittura come di diletto di un gentilhuomo nobile e come introduttione a quello si deve dire - tratta di vari argomenti, teorici e storici, mentre la seconda - Alcune considerationi intorno a quello che hanno scritto alcuni autori in materia della pittura, se habbin scritto bene o male, et appresso alcuni agiognimenti [sic] d'alcune pitture e pittori che non han potuto osservare quelli che han scritto per avanti - è sostanzialmente una raccolta di biografie di artisti coevi (II, p. IX). Molte di esse sono di grande interesse perché sono le prime compilate su certi artisti (fra cui il Caravaggio, Pietro da Cortona e Nicolas Poussin); altre perché sono le uniche disponibile su artisti cosiddetti minori. L'impostazione personale si combina a un'approfondita rassegna delle attività artistiche dell'epoca. Nonostante la seconda parte, scritta in seguito, sia indipendente dalla prima, ne costituisce in realtà una estensione, tant'è che in essa confluisce molto materiale già discusso. Alla stessa stregua sembrerebbe che il Viaggio per Roma per vedere le pitture che si ritrovano in essa, del 1623-24 (pubblicato solo nel 1923 a Lipsia a cura di L. Schudt), sia una revisione del "ruolo delle pitture in Roma" esposto nella prima parte delle Considerazioni. Il Viaggio è di grande importanza perché segna la nascita della guida moderna, ben diversa da quella medioevale dei mirabilia; nuova attenzione viene data all'arte paleocristiana (Previtali, pp. 47 s.), in consonanza con le indagini di inizio secolo di Cesare Baronio, Antonio Bosio, entrambi citati, e Giovanni Severano. Si sa infine che era intenzione del M. presentare insieme le due parti delle Considerazioni e anche il Viaggio, come poi è stato fatto nell'edizione del 1956 (I, pp. XXXVI s.); ma poiché all'epoca la pubblicazione non fu realizzata, il M. non si preoccupò di eliminare le molte ripetizioni che risultano da un tale assemblaggio. Eppure l'intenzione di offrire le Considerazioni alle stampe dev'esserci stata, visto che entrambe le versioni contengono, in due differenti stesure, il testo di dedica, nel quale manca tuttavia il nome del dedicatario. Di recente è stato dimostrato che il M. aveva in mente di dedicare l'opera, arricchita di immagini, al granduca Cosimo II; ma il progetto non si materializzò e, in seguito alla morte del granduca, il M. si rivolse, nel marzo 1621, al cardinale Luigi Capponi, il quale sembra lo consigliasse di presentare il trattato "a corte" dopo averlo riscritto (Maccherini, 2002, pp. 124 s.). È ragionevole suggerire che fu da questa occasione, dunque, che il M. trasse la seconda e più lunga versione della sua opera. Si sa infine che nel maggio 1621 Giovambattista Figone, assistente del M. presso il S. Spirito, divenne medico personale del cardinale Maurizio di Savoia, a sua volta grande collezionista e amatore d'arte, e nell'agosto seguente il M. scrisse a Deifebo proponendogli la dedica che oggi si trova nella seconda versione priva di nome, specificandogli che egli la intendeva per il cardinale di Savoia (ibid., pp. 124 s., 127 n. 21). Rimane da chiarire, tra le altre questioni, perché la vicenda della dedica al cardinale di Savoia non avesse esito positivo e perché il M. non si rivolgesse ad altri per finanziare la stampa dell'opera. Ciò nonostante il manoscritto ebbe una notevole circolazione come testimoniano le molte copie pervenuteci. Ma, come è stato notato (Bowcutt Butler, p. 732), non si è trattato di una fortuna critica delle idee espresse dal M.; piuttosto i suoi manoscritti furono utilizzati ad hoc in virtù delle notizie biografiche in essi contenute. Fra gli altri si servirono dei manoscritti delle Considerazioni, e talora anche del Viaggio per Roma, Fabio Chigi, l'abate S. Lancellotti, Dal Pozzo, G. Baglione, Bellori, G.C. Malvasia, F. Baldinucci e più tardi G. Bottari, G. Della Valle, J.-B. d'Agincourt, L. Pungileoni, A. Nibby, M. Gualandi, G. Milanesi (Mahon, pp. 320-326; Considerazioni, II, pp. XXXI s.; Angelini).

Il M. fu scrittore prolifico e versatile, ma nessuna delle sue opere venne pubblicata. In aggiunta agli scritti già ricordati, vanno segnalati i testi conservati nel Barb. lat. 4315 della Biblioteca apost. Vaticana: Del parlar cortigiano (cc. 139r-145v) da datare a prima del 1617 (Menniti Ippolito, pp. 235-242, n. 42) e Della origin e nobiltà del ballo (cc. 157r-186v) in cui, seguendo una opinione diffusa al tempo, la danza viene presentata come un'attività di ricreazione utile alla conservazione della salute. Nelle Considerazioni (I, p. 147) il M. scrive in proposito "quella po' di consideration che per spasso in gioventù feci del ballo" (Mahon, p. 330 n. 178). Nello stesso codice vi sono inoltre i trattati: Che cosa sia il disegno (cc. 147r-155r), Della ginnastica (c. 187v), Della musica (190rv) e Della pittura (cc. 200r-208v) che, come molti degli scritti del M., testimoniano della sua familiarità con i precetti aristotelici, assai probabilmente acquisiti a Padova, in materia di educazione e in particolare, come egli ricorda (cc. 187), quelli della Politica (VIII, 3). Il codice contiene anche vari scritti politici, di cui l'esistenza di copie fa desumere una loro circolazione (Menniti Ippolito, pp. 225-234): De domino et servo (cc. 227r-241r), Della ragion di Stato (cc. 241r-243r), Modo di governarsi et avanzarsi in Roma (cc. 243r-250r), Avvertimenti per il nipote di papa cardinale ch'abbia governato (cc. 264v-271r). Infine, Modo e regola di far viaggio (cc. 291rv), Breve ragguaglio delle cose di Siena (cc. 292r-338v), di interesse storico-artistico e presumibilmente da datare intorno al 1615 (Salerno, 1956, pp. 10 s.; Sani, p. 45 n. 23). Il Barb. lat. 4316 contiene, oltre ad alcune note autobiografiche già ricordate, Della nobiltà (cc. 35r-99v) e varie "questioni, pareri, difese in medicina legale" (Considerazioni, I, p. LVII, che però va corretto: le cc. 91r-373v non contengono il trattato Della sanità che è invece, come si è detto, in Barb. lat. 4315). Tra questi pareri, da segnalare, oltre a quelli già descritti, un De salubritate aeris et de aedificatione seminarii (cc. 375r-443r) che contiene anche consulti sottoscritti da altri medici e che, secondo A. Marucchi (Considerazioni, I, p. LVIII) sarebbe "ricavato dalla trattazione" dello stesso soggetto in Barb. lat. 4279, cc. 37r-43v. Consultazioni, pareri professionali e ricette si trovano in Barb. lat. 4317 e 4337 (quest'ultimo contiene inoltre alle cc. 1r-21v Consideratione delle pitture, che si ritrovano in Siena nella camera della Balia dell'evento di Alessandro III quando fu in Venetia, un testo di interesse storico piuttosto che storico-artistico); mentre copie di scritti medici del M. sono in Barb. lat. 315, cc. 25r-30v e Barb. lat. 324, cc. 211r-214v.

Il M. redasse il suo testamento il 21 maggio 1610, durante, come egli spiega, una malattia, e nominò esecutore, come ricordato, l'amico Campori (Arch. di Stato di Roma, Ospedale di Santo Spirito in Sassia, b. 293, cc. 76v-79v; Siena, Biblioteca degli Intronati, ms. B.V.34, cc. 2-5; Roma, Istituto storico austriaco, cartone I, 41: trascrizione di W. Kallab).

Erede universale del M. non fu la Confraternita dei Disciplinati di Maria Santissima sotto le volte dello Spedale (Maccherini, 2000, pp. 110, 113 n. 17), bensì suo fratello Deifebo. Il M. specificò che nel caso Deifebo o i suoi figli maschi legittimi o il suo cugino Claudio Mancini o i suoi figli maschi legittimi morissero le sue facoltà dovevano essere "impiegate nella erettione di un collegio nella sua patria di Siena" (Schudt, p. 11 n. 4) per giovani meritevoli di essere agevolati negli studi di teologia, medicina o legge tramite un sussidio annuo. Se ciò fosse avvenuto, l'eredità doveva essere amministrata dalla Venerabile Società della Beata Vergine Maria associata all'ospedale di S. Maria della Scala a Siena. Il M. dispose che il suo corpo fosse sepolto nella chiesa dell'ospedale di S. Spirito, per essere poi trasportato nella cappella di famiglia nella chiesa senese di S. Martino.

Il M. morì a Roma il 22 ag. 1630 dopo "alcuni giorni di indisposizione" (ibid.).

Un resoconto del funerale, che ebbe luogo il 23 agosto, conferma che il M. morì nel palazzo pontificio di Montecavallo. Il funerale ebbe luogo nella chiesa dei Ss. Vincenzo e Anastasio e fu celebrato, con la processione, in grande stile: insieme con i canonici sanpietrini e i confratelli del sodalizio dell'ospedale di S. Spirito vi partecipò l'intera famiglia papale (Biblioteca apost. Vaticana, Arch. del Capitolo di S. Pietro, H.59c, p. 248). Deifebo dettò testamento il 15 luglio 1632. In esso suggellò le volontà del M. nominando amministratore della propria eredità (che ora comprendeva quella del M.) la Compagnia della Madonna sotto lo Spedale affinché fossero agevolati adolescenti bisognosi con un sussidio negli studi di teologia, filosofia e medicina. Il suo testamento assicurò quindi che l'eredità dei due fratelli rimanesse intatta. Dispose inoltre di volere, come il M., riposare nel sepolcro di famiglia a Siena; e poiché nel 1632 il corpo del M. non era ancora stato trasferito da Roma a Siena, egli ribadì la volontà del M. di essere traslato. Il 10 e il 15 agosto Deifebo aggiunse due codicilli riguardanti la biblioteca del M. (Arch. di Stato di Siena, Notarile post-cosimiano, originali 576, 15 luglio 1632; Roma, Istituto storico austriaco, cartone I, 41: trascrizione di W. Kallab; per varie copie di mss. del M. vedi le segnature indicate da A. Marucchi in Considerazioni sulla pittura, I, Roma 1956, pp. XIV-LVI). L'amministratore dell'eredità di Deifebo, la Confraternita dei Disciplinati di Maria Santissima, nei secoli divenne la Società di esecutori di pie disposizioni; ed è per questo che nel loro archivio è tuttora custodito un fondo costituito dalle eredità congiunte dei due fratelli. Il fondo comprende quasi 5000 lettere familiari (datate fra il 1559 e il 1633), in gran numero del M. a Deifebo. Nell'aprile 1633 la Confraternita dei Disciplinati traslò il corpo del M. che fu tumulato, in accordo con il testamento, nel sepolcro di famiglia sulla parete sinistra della terza cappella a destra della chiesa senese di S. Martino. Alla memoria del M. fu eretto un epitaffio sormontato da un busto in bronzo entrambi ancora in situ. Scolpito dall'orafo fiorentino Francesco Morelli il busto fu commissionato a Roma, presumibilmente da Deifebo, all'indomani della morte del M., ma fu completato nell'aprile del 1633 su insistenza della stessa Confraternita e l'epigrafe fu posta soltanto nel 1639 (Maccherini, 2000, p. 110). Si spiega così l'errore, sopra ricordato, circa il numero degli anni che il M. sarebbe vissuto. Il M. si interessò a lungo della decorazione della cappella per la quale si susseguirono, senza realizzarsi, una serie di commissioni; sfumò altresì la volontà testamentaria di porre sull'altare una Pietà di Annibale Carracci appartenente al M. dal momento che egli vendette la sua collezione, come ricordato, nel 1620. Nel 1628 Lanfranco accettò di dipingere un Martirio di s. Bartolomeo; ma, dopo la morte del M., Deifebo entrò in disputa con il pittore. Nel 1635 la Confraternita dei Disciplinati commissionò un altro Martirio di s. Bartolomeo al Guercino (Giovan Francesco Barbieri), tuttora in sito, che fu consegnato due anni dopo (Maccherini, 2004, pp. 50 s., 54).

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