Perticari, Giulio

Enciclopedia Dantesca (1970)

Perticari, Giulio

Febo Allevi

Letterato (Savignano 1779 - Pesaro 1822), è, come il Monti (di cui sposò la figlia Costanza), espressione dell'età neoclassica. Tra i suoi studi risaltano quelli su D. e la sua opera. Alcuni suoi scritti danteschi si leggono nella " Biblioteca Italiana " e nel " Giornale Arcadico "; ma il primo studio di respiro più largo e duraturo, anche per la ricercata eleganza e la fine arguzia, è quello che s'intitola Degli scrittori del Trecento e dei loro imitatori (Milano 1818), incluso nella Proposta montiana (I I 55-211).

La valutazione di questo studio non può prescindere dalle dispute sulla questione della lingua, riemersa nella seconda metà del Settecento. Come il Monti e il Cesarotti, anche il P. volle essere un poco l'arbitro della disputa, e in polemica con il Cesari si fece sostenitore di quel volgare illustre di derivazione dantesca (" per poco - egli scrive - non ci vergognavamo di Dante ", Proposta, p. 56) che per lui, data l'ampia corruzione dei testi, sarebbe soggetto a limiti ben chiari e determinati, anche negli scrittori del sec. XIV (il cap. VIII s'intitola, ad esempio, Della fondazione della lingua illustre divisa da tutti i volgari plebei, compreso fra questi " anche il volgar Fiorentino ", Proposta, pp. 83 e 85): a suo avviso la formazione della lingua italiana non è ancora giunta al suo termine, né potrà mai giungervi " per universale e perpetua legge d'ogni idioma " o " favella " che subisce continua trasformazione e " nelle voci la lenta permutazione delle loro significanze " (pp. 139 e 145): quasi una balenante esigenza di più tarda critica semantica.

Per questo motivo il frainteso criterio dantesco della selezione e della scelta nel campo dell'idioma nazionale, inteso quale simbolo dell'unità politica d'Italia, rimane per il P. ancor valido e operante. Il nostro idioma assume quindi in lui il volto e il colore degl'Italiani e in questo sviluppo egli avverte quasi il rapporto fra il popolo e la stessa lingua. Ma il processo riveste pur sempre un carattere letterario, e in questo senso - è ben noto - la prima risposta la ebbe dal Tommaseo poco dopo con Il P. confutato da D. - Cenni (Milano 1825): un opuscolino di 68 pagine contenenti 184 pensieri o paragrafi o " cenni " intesi a mettere in evidenza appunto errori ed eccessi delle sue teorie.

Altro trattato dottrinale è Dell'amor patrio di D. e del suo libro intorno al volgare eloquio, anch'esso inserito nella montiana Proposta (II II 9-398): le due parti in cui resta diviso sono rispettivamente dedicate alla Difesa della D.C. (pp. 9-58) e " ai libri della Volgare Eloquenza " (pp. 59-398) e tendono a dimostrare l'amore " alto e gentilissimo " per Firenze del poeta contemplativo e solitario, " il più grande cittadino d'Italia, e l'ottimo e certissimo maestro della nostra nobile favella " (p. 10) che scagiona dalla taccia di ghibellinismo partigiano. In particolare nella seconda parte il P. sconfina in un'indagine estesa a tutta l'area romanza italo-provenzale: un'iniziale storia antologica della letteratura italiana con frammenti inediti o rari dalle origini a Dante. Partendo dall'ipotesi del francese Raynouard, secondo cui la formazione del nuovo linguaggio andava ricercata nel latino agreste, il volgare illustre si sarebbe svolto da questo stesso latino, non senza un determinante apporto fiorentino: anche qui una via di mezzo fra i cruscanti e la tesi dantesca.

Di D., abbiamo detto, il P. si occupò anche in altra sede e in polemica con l'abate Lami sui versi di Nembrot e di Pluto (" Giorn. Arcadico " maggio-luglio 1819); nell'emendamento del testo del Convivio per l'edizione del '26 curata dal Monti, dal Trivulzio e dal Maggi; nelle Annotazioni e Postille alla Commedia, pubblicate in parte a Bologna nel 1819 in parte postume a Milano nel 1825 e a Faenza nel 1853. Come il Monti, di cui fu in un certo senso discepolo, P. intese la grande realtà della poesia dantesca, la forza delle sue immagini e la sua ampia apertura, al di là dei pregiudizi e degli errori destinati a perpetuare le ben note riserve giunte dal Bembo ai critici d'impronta illuministica. Animato da un profondo senso d'italianità nella disputa sull'uomo D., sulla sua lingua e sul suo impegno teorico, difese altresì l'unità del nostro idioma, " simbolo sacro dell'unità politica d'Italia "; e se la sua discussione sul De vulg. Eloq. " ebbe forse più oppositori che estimatori " (Vallone), questo suo afflato patriottico gli sarà riconosciuto da tutta una schiera di grandi figure che vanno dal Mazzini al Carducci.

Anche Costanza Monti P. si dedicò, sotto la guida del padre e del marito, agli studi: del suo culto per la poesia di D. sono testimonianza i Pensieri sopra alcuni passi dell'Inferno di Dante.

Bibl. - V. Monti, Proposta di alcune correzioni ed aggiunte al vocabolario della Crusca, voll. 4, Milano 1828-29, 1831; G. Mazzini, Dell'amor patrio di D., in Scritti letterari di un italiano vivente, I, Lugano 1847, 149-170; T. Labande-Jeanroy, G.P. et Raynouard, in " Revue de Littér. Comparée " I (1921) 338-361; R. Murari, G.P. e le correzioni degli editori milanesi al " Convivio ", in " Giorn. d. " V (1898) 481-502; F. Vandemini, Discorso intorno alla vita e alle opere di G.P., Bologna 1875; G. Mazzoni, D. nell'inizio e nel vigore del Risorgimento, in D. e l'Italila, Roma 1921, 347-380; G. Albini, G.P., Savignano 1923; B. Migliorini, La questione della lingua, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano 1949, 50-53 e passim; A. Vallone, La critica dantesca nell'Ottocento, Firenze 1958, 51.

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