SAVELLI, Giulio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAVELLI, Giulio.

Giampiero Brunelli

– Nacque a Roma il 5 febbraio 1626 dal secondo principe di Albano, Bernardino, e da Maria Felice Damasceni Peretti, appartenente alla famiglia del defunto pontefice Sisto V.

Non sono noti dettagli sulla sua formazione, ma egli non era il primo nato: lo precedettero i fratelli Francesco (morto ancora bambino), Paolo Francesco e Alessandro (anch’egli morto fanciullo). Paolo Francesco (v. la voce in questo Dizionario) però si avviò alla carriera ecclesiastica e cedette a Giulio i suoi diritti di primogenitura il 19 maggio 1646. Il 13 giugno 1647, papa Innocenzo X indirizzò allo stesso Giulio un breve assegnandogli, al momento in cui fosse vacata, la carica di maresciallo di S. Chiesa, in quel momento occupata dal padre.

Nel 1658, alla morte di quest’ultimo, Giulio e Paolo rimasero cointestatari della relativa eredità (nella quale nel 1655 erano confluiti anche i beni del cardinale Francesco Damasceni Peretti). I feudi aviti, innanzi tutto Ariccia e Albano, continuarono a essere governati a nome di tutti e due. Giulio da solo, però, ereditò il titolo più eminente, soprattutto per il suo ruolo nella corte pontificia, vale a dire quello di mareschallus Sanctae Romanae Ecclesiae, perpetuus custos Conclavis.

La carica risaliva all’ultimo quarto del XIII secolo e dalla metà del successivo toccava a membri di casa Savelli. La sua trasformazione, anche formale, in carica ereditaria era stata decretata da Martino V con bolla del 3 giugno 1430. Si trattava di un’alta dignità, garantita da una posizione speciale nel cerimoniale pontificio, con significativi compiti nel garantire la sicurezza del conclave. Quando spettò a Giulio ricoprirla, essa aveva però perso la collaterale presidenza di un particolare tribunale penale e civile romano, denominato Curia Savella (competente sui laici della Curia), che tramite i suoi introiti contribuiva a finanziarla. Innocenzo X infatti, nel 1652, aveva abolito la giurisdizione in parola, abrogando in perpetuo anche le cariche di notaio, giudice e bargello del maresciallo.

Nella prestigiosa veste, Savelli operò esclusivamente come custode del conclave, prendendo parte all’organizzazione di quelli del 1667, 1669, 1676, 1689, 1691 e 1700. In questi particolari frangenti, egli alloggiava in un appartamento appositamente preordinato, vicino alle porte della clausura, custodendo le tre chiavi esterne e facendo vigilare dai suoi sottoposti che non fossero introdotti memoriali che potessero influenzare le scelte del S. Collegio. Quando gli veniva comunicata l’avvenuta elezione al soglio pontificio, faceva sparare colpi a salve da Castel S. Angelo e riaprire la porta del conclave. Poteva anche essere ammesso fra i primi, dopo i cardinali, al bacio del piede del neoeletto. Gli accadde, ad esempio, in occasione dell’ascesa al soglio di Innocenzo XII, nel 1691.

In queste sue funzioni, si trovava al comando di circa 500 soldati: la compagnia assoldata dalla Camera apostolica, più tre compagnie ausiliarie ingaggiate a sue spese. Il suo stipendio era di 1000 ducati all’anno. Su disposizione della Real cedola datata Madrid 22 novembre 1664, erano le finanze del Regno di Napoli a garantire quella dotazione.

In effetti, Savelli mantenne sempre fortissimi legami con la corte di Spagna. Fu ambasciatore a Roma per Filippo IV, che lo ricompensò nel 1654 con l’aggregazione alla nobiltà di Napoli nel sedile di Porto e con il titolo di cavaliere del Toson d’oro. Creato grande di Spagna nel giugno del 1667, durante la reggenza del minore erede al trono, Carlo II d’Asburgo, ricoprì anche l’incarico di ambasciatore straordinario a Roma per la presentazione al papa della chinea, l’omaggio simbolico per l’alta sovranità pontificia sul Regno di Napoli (luglio 1672). Diverse volte, tra il 1671 e il 1689, fu altresì delegato a consegnare lo stesso Toson d’oro a nobili romani come Urbano Barberini, Filippo Colonna e Matteo Orsini. In tutte le occasioni, volle che la cerimonia fosse tenuta nel suo palazzo di Monte Savello in Roma (che occupava gran parte della sopraelevazione dell’antico teatro di Marcello), con grande esibizione di lusso.

Sopperire alle spese imposte dal suo status riuscì nondimeno arduo. Già nel luglio del 1661, era stato costretto a vendere Ariccia al cardinale Flavio Chigi e ai principi Mario e Agostino Chigi per 358.000 scudi. Nello stesso anno, dopo una supplica ad Alessandro VII e il conseguente breve di autorizzazione (datato 11 agosto 1661), aveva cercato di ricostruire l’antica roccaforte della famiglia, situata ai piedi di Albano, Castel Savello, eretto in ducato per mezzo di un altro, contemporaneo, breve pontificio. Savelli ne aveva fatto rifare le mura, restaurare la chiesa parrocchiale di S. Maria de Porta Coeli, l’aveva arricchito con nuovi edifici per abitazioni. Il ripopolamento tuttavia era riuscito scarso e l’iniziativa era fallita, anche per la cronica penuria di acqua del luogo.

Continuava invece inesorabile il deterioramento del suo stato patrimoniale a causa dell’eccessivo indebitamento. Venduto il feudo di Venafro, anch’esso parte dell’eredità Damasceni Peretti, al duca di Seminara, Giovan Battista Spinelli, Savelli fu quindi costretto dalla Congregazione dei baroni a mettere all’asta, nel 1696, gran parte di altri beni della stessa provenienza (dei quali dopo la morte del fratello nel 1685 era rimasto unico proprietario), compresa villa Montalto a Termini (che fu acquistata dal cardinale Giovan Battista Negroni). Nello stesso anno, con editto del 2 giugno, finì all’asta anche il principato di Albano. Savelli tentò di impedire l’alienazione rivendicando l’alta sovranità imperiale, non pontificia, sul feudo. Ebbe addirittura contatti in tal senso con l’ambasciatore imperiale a Roma, il conte Georg Adam von Martinitz. Ma Innocenzo XII rispose con un atto deciso: al momento dell’asta fece valere la sua prerogativa di sovrano e incamerò Albano, esborsando 440.000 scudi ai creditori di Savelli. Era la fine del principato: all’inizio del 1701, comunque, il pontefice succeduto al soglio, Clemente XI, fece dono a Savelli del palazzo di Albano con casale e vigna annessi.

Si poneva in modo stringente all’inizio del nuovo secolo il problema della successione. Savelli aveva sposato il 30 giugno 1647 Caterina Aldobrandini, figlia di Pietro, duca di Carpineto, da cui aveva avuto il figlio Bernardino (nato il 16 novembre 1653 e duca di Castel Savello dal 1661). Il parto era stato però fatale alla pronipote di papa Clemente VIII. In seconde nozze, il 2 settembre 1663, Giulio aveva sposato Caterina Giustiniani, figlia di Andrea principe di Bassano. Da quest’ultima, pronipote di Innocenzo X, non aveva avuto figli. L’unico suo discendente, Bernardino, sposato il 21 giugno 1670 a Flaminia di Camillo Pamphili, era morto a causa di un violento attacco febbrile il 16 aprile 1672. Anche questo evento aveva contribuito ad accrescere i debiti di Savelli: infatti, per restituire l’ingente dote a Flaminia, nipote di Innocenzo X, aveva dovuto assumersi un debito di 115.000 scudi (garantito tramite le entrate del principato di Albano).

Da ultimo, intorno al 1701 (ma non è possibile precisare meglio la data, allo stato degli studi), indirizzò al pontefice una supplica, chiedendo di poter scegliere un successore come maresciallo di S. Chiesa e custode del conclave, entro il quarto grado dei suoi congiunti, a condizione che si impegnasse a prendere cognome ed emblema araldico di casa Savelli. Non ricevette risposta. Nel testamento, datato 30 giugno 1703, mise umilmente la carica a disposizione del pontefice.

Visse ancora alcuni anni, morendo a Roma il 5 marzo 1712. Fu sepolto in S. Maria in Aracoeli, nella cappella di famiglia.

Già il 6 marzo 1712 il principe Agostino Chigi chiese con una supplica al papa Clemente XI che gli fosse conferita la carica vacante. Seguì poco dopo, il 23 marzo, il breve pontificio di nomina. Chigi non si curò tuttavia di approfondire i compiti legati alla carica. La morte di papa Albani (il 19 marzo 1721), lo colse del tutto impreparato. Ricorse così alla vedova Savelli, Caterina Giustiniani, che gli fornì un dettagliato manoscritto, dopo aver fatto intervistare due o tre anziani servitori del defunto marito.

Fonti e Bibl.: N. Del Re, L’ultimo dei Savelli, maresciallo di S. R. C., in Lunario romano, X (1981), pp. 43-59; G. Sacchetti, La bandiera del maresciallo di Santa Romana Chiesa, custode del Conclave, in Strenna dei romanisti, LIII (1992), pp. 573-578; M.A. Visceglia, Morte e elezione del papa. Norme, riti e conflitti. L’età moderna, Roma 2013, pp. 491, 563.

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