Giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani

Libro dell'anno del Diritto 2015

Vedi Giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani dell'anno: 2014 - 2015 - 2016

Giurisprudenza della Corte europea dei diritti umani

Sara De Vido

L’obiettivo di questa sezione è di dar brevemente conto dell’attività e della riforma istituzionale della Corte europea dei diritti umani nell’anno 2013 e da gennaio a settembre 2014. Il contributo si soffermerà quindi su due sentenze rese contro l’Italia nel periodo giugno 2013-settembre 2014: la sentenza pilota M.C. e altri del 3.9.2013, relativa agli indennizzi che lo Stato italiano si era impegnato a pagare alle vittime di trasfusioni di sangue infette, e la pronuncia del 7.1.2014 nel caso Cusan e Fazzo, a proposito della “prassi” italiana di trasmissione del cognome del padre al figlio senza possibilità di deroga.

La ricognizione. L’attività della C. eur. dir. uomo nel 2013

In base al rapporto ufficiale per l’anno 2013, la Corte europea dei diritti dell’uomo ha reso 916 sentenze, di cui 13 pronunciate dalla Grande Camera, 684 dalle Camere e 219 dai Comitati1. Oltre la metà delle violazioni accertate ha riguardato il diritto ad un equo processo, garantito dall’art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU). Dall’aggiornamento pubblicato a settembre 2014 risulta poi che il numero di ricorsi decisi con sentenza nella prima parte dell’anno ammonta a 1939. Con riferimento al nostro Paese, la Corte europea ha trattato, nel 2013, 2950 ricorsi contro l’Italia, 2872 dei quali sono stati dichiarati inammissibili o cancellati dal ruolo. Le sentenze pronunciate sono state 39, di cui 34 di condanna. Secondo l’aggiornamento di settembre 2014, i ricorsi contro il nostro Paese decisi con sentenza nella prima parte dell’anno sono stati 101; 1407 ricorsi sono stati invece dichiarati inammissibili o cancellati dal ruolo2.

La Corte, nelle sue diverse formazioni, ha pronunciato, da gennaio a settembre 2014, 37 sentenze contro l’Italia, di cui 33 di condanna.

Nel 2013 è inoltre proseguita la riforma istituzionale della Corte di Strasburgo con l’adozione dei protocolli nn. 15 e 16, non ancora in vigore. Il primo emenda la Convenzione introducendo un riferimento alla dottrina del margine di apprezzamento, e riduce da sei a quattro mesi il tempo massimo, calcolato a partire dalla data dell’ultima decisione interna, entro il quale un singolo può presentare un ricorso alla Corte. Il protocollo n. 16 consente alle più Alte Corti e Tribunali degli Stati parte di chiedere alla Corte un parere consultivo su questioni relative all’interpretazione o all’applicazione dei diritti definiti nella CEDU. Non da ultimo, il 2013 è stato l’anno del raggiungimento del progetto di accordo di adesione dell’UE alla CEDU. Il testo è stato sottoposto alla Corte di giustizia dell’UE affinché ne esamini la compatibilità con i trattati dell’Unione3.

La focalizzazione. I casi M.C. e altri e Cusan e Fazzo

Tra le pronunce che hanno interessato il nostro Paese nel periodo giugno 2013-settembre 2014, rileva la sentenza pilota nel caso M.C. e altri4. Centosessantadue cittadini italiani lamentavano l’impossibilità di ottenere un adeguamento annuale della parte complementare di un indennizzo loro dovuto per legge5 come conseguenza di contaminazione accidentale a seguito di trasfusioni di sangue. Nel 2010, il Governo, con d.l. 31.5.2010, n. 78, aveva escluso l’adeguamento per l’“indennità integrativa speciale” (i.i.s.), anche alla luce di una sentenza della Cassazione. Benché la Corte costituzionale avesse successivamente dichiarato incostituzionale, per violazione del principio di uguaglianza, un articolo del suddetto d.l.6, la decisione giudiziaria relativa ai ricorrenti era passata in giudicato e dunque operava

quale limite retroattivo alla sentenza costituzionale.

I ricorrenti si rivolgevano così alla Corte europea dei diritti dell’uomo, la quale ha accertato, nella sentenza del 3.9.2013, M.C. e altri c. Italia, la violazione da parte dell’Italia degli artt. 6, par. 1, 14 (divieto di discriminazione) CEDU, e 1 primo protocollo (diritto di proprietà). Con riguardo all’equo processo, i giudici hanno sottolineato che il decreto fissava criteri tali da rendere inefficaci potenziali ricorsi presentati dalle vittime con riferimento agli adeguamenti per l’i.i.s. La Corte ha concluso che lo Stato italiano dovesse fissare, entro sei mesi dalla data della sentenza definitiva, un termine specifico entro il quale garantire “l’effettiva e rapida realizzazione dei diritti in questione”, attraverso la previsione in favore dei beneficiari dell’indennità di una somma corrispondente all’i.i.s. rivalutata.

Altra sentenza meritevole di attenzione è quella resa nel caso Cusan e Fazzo7. I ricorrenti, una coppia sposata milanese, si erano visti negare dall’anagrafe la richiesta di trasmettere il cognome della madre alla figlia. Proponevano quindi ricorso, respinto in tutti i gradi di giudizio. Il caso era stato altresì posto all’attenzione della Corte costituzionale, su rinvio della Corte di cassazione, che si pronunciava nel febbraio 20068 nel senso dell’irricevibilità. La Consulta aveva sì rilevato che «l’attuale sistema di attribuzione del cognome è retaggio di una concezione patriarcale della famiglia», ma aveva ritenuto di non poter intervenire, in quanto ciò avrebbe richiesto una “operazione manipolativa esorbitante dai poteri della Corte”. I ricorrenti presentavano allora ricorso alla C. eur. dir. uomo. Quest’ultima, nella sentenza di gennaio 2014, ha ritenuto che la trasmissione del cognome del padre al figlio fosse basata su di una discriminazione in base al sesso dei genitori incompatibile con l’art. 14 CEDU e il diritto al rispetto per la vita privata e famigliare (art. 8 CEDU).

I profili problematici

In entrambe le sentenze in esame, la C. eur. dir. uomo ha richiesto all’Italia l’adozione di “misure generali”, ovvero di misure legislative o amministrative idonee a conformarsi al dettato della Corte.

La questione che sta alla base del caso M.C. e altri è particolarmente delicata. Con il decreto “Pubblica amministrazione” di giugno 2014, il Governo italiano ha stanziato, a titolo di equa riparazione, una somma di 100.000 euro per i danneggiati – che presentino i requisiti previsti ‒ da trasfusione di sangue infetto e di 20.000 euro per i danneggiati da vaccinazione obbligatoria, da versarsi entro il 31.12.20179.

Nulla dice tuttavia sugli adeguamenti per l’i.i.s. Il Ministero della salute ha provveduto al pagamento degli arretrati a circa 9000 persone le cui pratiche amministrative erano rimaste a proprio carico dopo che l’esercizio delle funzioni in materia era stato attribuito alle Regioni. Le Regioni hanno però sospeso gli indennizzi in attesa che lo Stato rifonda quanto anticipato dagli enti territoriali negli anni 2012-201310.

Con riguardo invece alla sentenza Cusan e Fazzo, che per alcuni commentatori ha i caratteri di «faux ou quasi-arrêt pilote»11, va rilevato che poco tempo dopo la pronuncia sono ripresi i dibattiti in Parlamento volti a superare la “prassi”12 della trasmissione del cognome del padre al figlio. La proposta di legge sul doppio cognome si è arenata nel luglio 2014. La Camera ha poi approvato, il 24.9.2014, con voto segreto, il testo unificato dei progetti di legge recanti «Disposizioni in materia di attribuzione del cognome ai figli». Il provvedimento è passato quindi all’esame dell’altro ramo del Parlamento.

Due brevi rilievi conclusivi sulla “forza” delle sentenze della C. eur. dir. uomo. Il primo è che la Corte di Strasburgo, con le sentenze in esame, ha dimostrato di essere in grado di “rompere” l’immobilismo italiano in due materie piuttosto sensibili.

Vero è che i primi tentativi di conformarsi al dettato della Corte non paiono incoraggianti. Va ricordato, tuttavia, che in base all’art. 46 CEDU, il Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa ha il compito di vigilare sul rispetto delle sentenze. Il secondo aspetto è che in entrambi i casi la Corte ha confermato conclusioni raggiunte dalla Corte costituzionale italiana in sentenze che, per il tramite dei giudici di Strasburgo, si auspica trovino ora corrispondenza in adeguati interventi del nostro legislatore.

1 Dati tratti dal rapporto annuale della Corte, pubblicato a marzo 2014, in www.echr.coe.int.

2 V. country profile www.echr.coe.int (accesso 9 ottobre 2014).

3 Le prime audizioni davanti alla Corte si sono svolte all’inizio di maggio 2014 a Lussemburgo.

4 C. eur. dir. uomo, 3.9.2013,M.C. e altri c. Italia (ricorso n. 5376/11), def. 3.12.2013.

5 L. 25.2.1992, n. 210.

6 C. cost., 9.11.2011, n. 293.

7 C. eur. dir. uomo, 7.1.2014, Cusan e Fazzo c. Italia (ricorso n. 77/07), def. 7.04.2014.

8 C. cost., 16.2.2006, n. 6.

9 D.l. 24.06.2014, n. 90 coordinato con l. di conv. 11.8.2014, n. 114, inGUn.190 del 18.8.2014, Suppl. Ord. n. 70.

10 Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, 29.5.2014, proposta di accordo sugli indennizzi previsti dalla l. n. 210/1992.

11 Calogero, M.-Panella, L., L’attribuzione del cognome ai figli in una recente sentenza della Corte europea dei diritti dell’uomo: l’affaire Cusan e Fazzo c. Italia, in Ordine internazionale e diritti umani, 2014, 222 ss., 230. Sulla sentenza v. anche Pitea, C., Trasmissione del cognome e parità di genere: sulla sentenza Cusan e Fazzo c. Italia e sulle prospettive della sua esecuzione nell’ordinamento interno, in Diritti umani e diritto internazionale, 2014, 225 ss.

12 Si tratterebbe, secondo dottrina maggioritaria, di una norma implicita o di sistema.

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