FEREGUTTI, Giuseppe Adolfo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 46 (1996)

FEREGUTTI (Feragutti, Feragutti Visconti), Giuseppe Adolfo

Elena Longo

Figlio di contadini, nacque in Canton Ticino a Pura, presso Ponte Tresa, il 25 marzo 1850. Il padre Lodovico, per garantire un dignitoso sostentamento alla famiglia, composta dalla moglie Maria Visconti e dagli altri figli Filippina, Amedeo Giuseppe e Cesare Osvaldo, esercitava saltuariamente anche il mestiere di imbianchino-decoratore. da secoli fonte di guadagno degli abitanti del Canton Ticino.

Negli anni 1875-1880 l'artista cominciò a firmarsi con il cognome di Feragutti ma la quasi omonimia col pittore ferrarese Arnaldo Ferraguti (1863-1925) lo indusse prima ad aggiungere il toponimo geografico da Milano, poi al proprio il cognome materno, arrivando finalmente alla firma di Adolfo Feragutti Visconti.

A probabile che il giovane F. abbia appreso i primi rudimenti artistici al seguito del padre o dello zio Clemente, anch'egli esperto stuccatore, e abbia frequentato la scuola maggiore e di disegno di Curio, sorta nel 1850 con l'intento di provvedere alla formazione artigianale di coloro che volevano esercitare un'attività nel settore delle arti. Con la morte del padre nel 1864, il F., primogenito, si prese carico della non felice situazione economica della famiglia e intraprese, sotto la guida dello zio Clemente, il mestiere paterno.

Quattro anni più tardi, il 22 apr. 1868, si iscrisse a Milano all'accademia di Brera, dove seguì i corsi di disegno e figura, di prospettiva, di paesaggio. I mutevoli risultati, segno di un'inquietudine interiore, furono giudicati dai suoi professori come il sintomo dell'incostanza della sua vena artistica, giudizio che accompagnerà il F. in tutto il suo lavoro.

Qualche anno più tardi il F. si trasferì all'Accademia di Firenze al seguito del pittore S. Ussi, ma il soggiorno fu breve. Benché il F. cercasse nelle novità realistiche espresse dal movimento macchiaiolo uno stimolo alle tendenze innovatrici, l'ambiente fiorentino non corrispose del tutto alla sua ansia di ricerca. Dopo un soggiorno di circa un anno e mezzo, nel 1874 rientrava a Milano, dove si poneva al seguito dei pittori dell'Accademia di Brera, G. Bertini e A. Barzaghi Cattaneo, legati alla pittura tradizionale ma non insensibili a quella realista. Fu tra i primi ad'aderire alla Famiglia artistica, sorta nel 1873 con l'intento di creare a Milano un crogiolo delle forze artistiche più innovative del momento.

Dal 1873 al 1879 partecipò alle esposizioni di Brera. Le numerose teste di donna, studi di figure, salutate con entusiasmo dalla critica, indicano l'interesse dell'artista verso studi dal vero, così lontani dai grandi quadri storici e di genere privilegiati dai professori dell'Accademia (per la maggior parte dei dipinti citati nel corso della voce cfr. Foletti, 1991).

Si rammentano: Studio dal vero, esposto nel 1875, Contadina lombarda, nel 1876, Testa di paggio (propr. privata) nel 1877. Dal 1875 espose anche alla Promotrice di Torino. Nel 1880 il dipinto Costume del XVI secolo fu lodato dal critico Ferdinando Fontana, che lo definì "un pezzo di pittura solidissinia e forte" (Scalpellie pennelli, Torino 1980, p. 194).

Sebbene continuasse anche negli anni successivi a prediligere paesaggi, studi di figura e ritratti, furono tre soggetti a sfondo storico, dipinti tra il 1881 e il 1884, Ius primae noctis (Galleria d'arte moderna di Milano), l'Alberigo denunzia le turpitudini di Ugo re di Lombardia (propr. privata), e Acca Larentia (dispersa, esposta alla mostra di arte contemporanea di Torino nel 1884), a consolidare la sua posizione nel campo delle arti. La notorietà che raggiunse con le tele fu tale da allargare la cerchia delle sue conoscenze e della sua clientela rendendo più stabile la sua situazione finanziaria.

I soggetti dei primi due dipinti, ispirati alla storia medievale, esprimono in modo indiretto ed allusivo gli ideali patriottici e religiosi della stagione risorgimentale. Ius primae noctis, dipinto nel 1881, fu presentato all'Esposizione nazionale di belle arti di Brera insieme con due studi di testa, Femia e Marcellina. Qui il F. incentrò l'interesse sul corpo semisdraiato della giovane in primo piano ed escluse il feudatario, la cui presenza è simboleggiata dal buffone sghignazzante in fondo a sinistra. Tratto dall'opera Geschichte der Stadt Rom im Mittelalter di Ferdinando Gregorovius, l'Alberigo, dipinto nel 1883 ed esposto a Brera insieme con quattro studi dal vero e La lupa, raffigura il momento in cui il nobile, postosi a capo di una rivolta popolare, denuncia i soprusi del patrigno Ugo di Borgogna re d'Italia, e di Giovanni XI, suo fratello, rappresentato in secondo piano nella tela. Come nella precedente opera, dietro l'episodio medievale si legge un preciso messaggio politico: il disprezzo per l'immoralità del potere, il dispotismo e la tirannide. Non si deve dimenticare, infatti, che il F., liberale e anticiericale, era impegnato nella agitata vita politica ticinese della seconda metà dell'Ottocento.

Le due tele, pur nella scia dei modelli tardoromantici, furono considerate dalla critica contemporanea esempi di rinnovamento stilistico; soprattutto il primo dipinto, dove il contrasto tra la luce e l'oscurità, sottolineato dal candido corpo della giovane, rivela la buona vena coloristica dell'artista, influenzata dal pittoricismo di Tranquillo Cremona, nell'ambito della scuola realista lombarda.

Alla Promotrice delle belle arti di Torino nel 1883 il F. partecipava con lo studio Testa di ragazzo e la sua prima natura morta (Uva). Tre anni più tardi, all'esposizione annuale della Permanente di Milano, presentava due nature morte dal titolo La gola a dieci anni e La gola a vent'anni.

Questo genere si rivelava particolarmente adatto al pennello del F. tanto da suscitare un notevole interesse da parte del pubblico e della critica. Il successo che ottenne gli impose di dedicarsi quindi con impegno al genere pittorico che probabilmente aveva prodotto, almeno all'inizio, per puri scopi commerciali. La natura morta divenne, così, non meno importante del ritratto o del paesaggio per sperimentare con gli stessi risultati gli avviati studi sulla luce e il colore. Il F. infatti passerà dai primi soggetti veristici, caratterizzati da una luce vibrante, a nature morte quasi prive di forma degli ultimi anni.

Altra importante composizione di carattere storico fu l'affresco intitolato 12 ottobre 1492, raffigurante la scoperta dell'America.

L'opera (distrutta durante la seconda guerra mondiale), commissionata nel 1890 da Cristoforo Crespi, pioniere dell'industria cotoniera lombarda, per il proprio palazzo in via Borgonuovo A a Milano, fu successivamente riutilizzata come manifesto pubblicitario dell'Esposizione italo-americana di Genova in occasione del quarto centenario della scoperta di Colombo (1892) e come copertina dello spartito dell'opera Cristoforo Colombo del maestro A. Franchetti (che andò in scena a Genova al Carlo Felice il 6 ott. 1892). Il bozzetto ad olio fu presentato all'esposizione annuale della Permanente nel 1889, con Pigmalione e Uva per il vin santo, e l'anno successivo all'Esposizione nazionale di Berna.

Nel 1891 il F. sposò la modella Giuseppina Riva, dalla quale aveva avuto l'anno precedente il figlio Ugo. Dall'unione nacquero altri quattro figli: Amalia nel 1892, Lodovico nel 1898, Giovanni nel 1900 e Maria Ester l'anno seguente. La vita familiare non si rivelò facile: numerosi problemi - primo tra tutti quello economico - ben presto coinvolsero la stabilità dei matrimonio, provocando il divorzio nel 1906. Sempre a causa della sua instabilità fitianziaria il F. fu costretto nel 1888 anche ad abbandonare la nazionalità elvetica per quella italiana. In Italia, infatti, raggiunta una certa notorietà, poteva sperare di ottenere i lauti riconoscimenti messi in palio dalle esposizioni nazionali. Nel 1891 vinse l'ambitissimo premio Principe Umberto con il Ritratto di signora (Galleria d'arte moderna di Milano), presentato all'Esposizione nazionale di Brera.

Si tratta della nobile Elena Cottalorda Tellini, rappresentata a figura intera a passeggio in una via milanese. Il dipinto, eseguito en plein air, fuinsieme con l'altra opera esposta, Testa di obeso, ammirato dalla critica. Ciò che si ritenne innovativo fula scelta di collocare il soggetto in un ambiente naturale, una via cittadina; ma, a ben guardare, il contrasto un po' troppo evidente tra la sagoma verde della donna e lo sfondo luminoso mise a fuocola difficoltà del pittore a rappresentare lo spazio in termini tonali, secondo le ricerche della pittura impressionista.

Nello stesso anno il F. partecipò all'Esposizione svizzera di belle arti di Lugano e all'Esposizione internazionale di Monaco, dove vinse la medaglia d'oro; l'anno seguente fu all'Esposizione internazionale di Genova. Con i dipinti Le gemelle eil Ritratto del cav. Spatz del 1894 e L'onomastico della mamma del 1897 tornava ad ottenere la medaglia d'oro alla Triennale di Milano. In queste opere è chiaro come il F., abbandonata oramai da qualche anno la pittura en plein air, affrontasse il rapporto tra luce e colore secondo la logica dei pittori cresciuti nella tradizione accademica e verista, al chiuso dell'atelier. Non a caso la critica fu concorde nel sottolineare come il F. si fosse interessato alla luce a discapito del colore. Nel 1898 ricevette il diploma d'onore all'Esposizione d'arte sacra di Torino con la tela ANazaret, raffigurante una scena dell'infanzia di Gesù.

A cavallo del secolo la maniera pittorica del F. subì una svolta in direzione del movimento simbolista. Nel 1891 aveva partecipato sempre con il Ritratto di signora all'Esposizione internazionale di Monaco, dove fu premiato con la medaglia d'oro. Probabilmente questo riconoscimento favorì un suo incontro con il nascente movimento secessionista di Monaco, che si poneva in toni di polemica nei confronti della pittura accademica e tradizionalista. Nel 1896 il F. risultava iscritto all'Associazione simbolista come socio corrispondente. Le opere che si possono collocare in questo ambito apparvero nelle esposizioni più importanti dei momento: l'Addolorata (proprietà della Confederazione Elvetica) alla Permanente di Milano del 1898; La notte e Ilmeriggio (propr. privata), insieme con Ricordati della mamma e Calendimaggio alla Biennale di Venezia del 1903; Le maghe persiane (Museo civico di Lugano) alla Permanente di Milano del 1904, per poi essere esposta l'anno successivo alla Biennale di Venezia e all'Esposizione secessionista di Monaco.

Quest'ultima opera mostra una particolare aderenza al movimento simbolista: qui il superamento del realismo si nota nell'audace prospettiva delle figure e nella tavolozza cromatica; questo trittico venne realizzato interamente col pastello, il cui tocco sfumato e morbido rendeva possibile delicatezze cromatiche che ben si adeguavano alle innovazioni secessioniste.

Nel 1906, all'Esposizione internazionale milanese per il traforo del Sempione, il F. espose quattro dipinti nella sala del Gruppo di artisti lombardi presentati da Leonardo Bazzaro. Nel 1907, all'età di 57 anni, lasciò Milano per recarsi in Argentina.

I motivi di questo lungo viaggio vanno ricercati nelle incomprensioni familiari, nelle difficoltà economiche che avevano da sempre costretto il F. ad accettare commissioni private mal pagate, e infine nelle logoranti dispute che travagliavano l'ambiente artistico lombardo e ticinese. Giunto a Buenos Aires, tenne la sua prima personale il 1º luglio nel Salon Castillo in calle Florida 256. La mostra, probabilmente organizzata in Italia, ebbe un discreto successo economico. Durante il soggiorno il F. si dedicò al ritratto e alle rappresentazioni del paesaggio e degli animali della pampa. Nel gennaio del 1908 partì per la Terra del Fuoco. Il viaggio si inseriva in un progetto dei governo argentino che intendeva documentare le popolazioni indiane che ancora abitavano quelle gelide terre.

Dopo aver soggiornato per qualche tempo a Ushuaia, capitale della Terra del Fuoco, il F. decise di visitarne l'interno, dove rimase per circa un mese. Quando fece ritorno a Buenos Aires nel maggio successivo organizzò una personale con le tele eseguite durante il viaggio. Contrariamente alle aspettative, non ottenne il successo economico sperato. I paesaggi e le figure dipinte nella Terra del Fuoco sono caratterizzate da una vivacità di colori che non trova confronti con la produzione pittorica giovanile. La massa cromatica, che pure aveva avuto la sua importanza nei dipinti che precedono il periodo simbolista, dà luogo a un pulviscolo incandescente di calde vibrazioni.

Tra il dicembre 1908 e il gennaio 1909 il F. faceva ritorno in Italia. Nel dicembre 1909 allestì una personale alla Permanente di Milano con le opere eseguite in Argentina.

Nel 1911 partecipò con quattro tele (Jagana, Confidenze, Anime del mare e Misteri della notte) alla Mostra degli indipendenti di Roma, mentre nel 1912 tornava a Brera con il noto Autoritratto. Tra gli indi della Terra del Fuoco (Galleria d'arte moderna di Milano) e alla Permanente con cinque opere tra pastelli e monotipi. L'anno successivo espose per l'ultima volta a una manifestazione artistica svizzera.

Si trattava della prima Esposizione di belle arti della Svizzera italiana, dove presentava cinque opere. Nel corso della vita il F. era rimasto sempre legato alla terra natale, partecipando alla vita artistica espositiva e lavorando per i nobili e ricchi borghesi come ritrattista. Il nuovo stile pittorico, basato sull'assoluta libertà cromatica, caratterizzò l'ultima prolifica stagione artistica del Feregutti. La veloce e sintetica pennellata carica di accesi colori che assicurava ai dipinti una morbida visione di delicati effetti pittorici fu accolta con entusiasmo dalla critica del tempo e gli valse finalmente la tanto sospirata tranquillità economica. I soggetti privilegiati tornarono ad essere studi sulla figura femminile.

Negli ultimi anni il F. continuò ad esporre puntualmente alle più significative mostre milanesi, benché dal 1915 si fosse ritirato a Vanzago, a pochi chilometri da Milano; nel 1914 espose alla Permanente, partecipandovi anche l'anno successivo, e a Brera; nel 1916, oltre ai due consueti appuntamenti milanesi, il F. aderi con quattro opere all'Associazione degli acquarellisti lombardi, cui prese parte anche nei tre anni seguenti. Nel 1917 espose Freddo nel mio studio (propr. privata) alla mostra annuale della Famiglia artistica. Nel 1920 fu presente alla mostra annuale della Permanente e a Zurigo; nel 1921 partecipò all'esposizione di arte italiana contemporanea allestita alla galleria Pesaro e a quella degli artisti veneti, toscani e lombardi alla Permanente.

Quasi alla vigilia della tanto attesa personale, che stava preparando alla galleria Pesaro, il F. morì improvvisamente il 10 marzo 1924 a Milano.

Inauguratasi ai primi di maggio, la mostra ebbe il merito di segnare all'indomani della scomparsa dell'artista le tappe della sua feconda attività, proponendo ottanta opere circa tra pitture, pastelli, acquerelli, acqueforti.

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