BATTISTA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 7 (1970)

BATTISTA (Battisti, Batista, Batisti, Batisto), Giuseppe

Enzo Noè Girardi

Nato a Grottaglie (Taranto) l'11 febbr. 1610 da Cesare e Macedonia Fasano, perse ben presto i genitori, ereditandone molti debiti e alcuni poderi, le cui rendite sarebbero andate soprattutto a vantaggio di amministratori e tutori disonesti. A sedici anni, sia per sottrarsi alle macchinazioni di un suo parente che mirava ad impadronirsi delle sue sostanze, sia per completare la propria educazione, ch'era stata fino ad allora esclusivamente letteraria, passò a Napoli, nel collegio dei gesuiti, ove si applicò, complessivamente per un settennio, alla filosofia, con il p. Aniello Frattasi, e alla teologia, materia nella quale si addottorò, con il p. Bernardino Mazziota. Entrato in dimestichezza con G. B. Manso, il famoso mecenate, già protettore del Tasso, fu accolto ancor giovanissimo nell'Accademia napoletana degli Oziosi, di cui il Manso era "principe", ricoprendovi la carica di censore delle lingue volgare e latina. Vestì l'abito ecclesiastico ed ebbe un canonicato nella chiesa collegiata di Grottaglie. Aveva una casetta con molti libri e alle pareti "alcune dipinture, dalle quali l'occhio bee colori e l'animo divozione", coltivava un "orticello ad imitazione di Diocleziano, dove popolo di fiori distinto in aiuole m'è tributario d'anima odorata": amante della vita semplice e ritirata, privo di ambizioni di carriera e tutto assorbito dall'amore delle lettere, non volle altri riconoscimenti. Così rifiutò sia la proposta fattagli dal conte Ottinelli, residente modenese in Napoli, di trasferirsi alla corte di quel duca, sia analoghi inviti del residente veneziano F. Bianchi, di Michele Giustiniani e di Carlo della Monaca, i quali ultimi l'avevano chiamato alla corte di Roma. Tuttavia, dopo la morte del Manso (1645), finì per accettare l'ospitalità di Francesco Caracciolo, principe di Avellino, che lo tenne con sé, sembra per un decennio, con lo stipendio di 25 ducati al mese.

Non è chiaro se il B. si trovasse già presso il principe d'Avellino nel 1647, quando scoppiò la rivolta di Masaniello. Fedele al governo vicereale, è probabile che egli non abbia disapprovato il movimento finché questo rimase nei limiti di una rivendicazione economica; ma quando esso assunse un significato antispagnolo, risolse di fuggire, mentre i Francesi del duca di Guisa bombardavano la città. Fermatosi qualche tempo a Pozzuoli presso quel vescovo F. Martino de León y Cardenas, passò poi in patria.

Durante il viaggio, nel Vallo di Bovino fu assalito dai briganti, che lo spogliarono del bagaglio, contenente molti manoscritti, tra cui le poesie italiane; e a Grottaglie cadde gravemente ammalato: ridotto "in sembianza di cadauero", per poco non giunse "a picchiare all'uscio dei morti". Non si sa quando tornasse a Napoli. Molte sue lettere, purtroppo prive di indicazioni cronologiche, sono datate da Taranto, Bari, Salemo, Paestum, Mergellina, Sorrento, città dov'egli dice d'essersi recato "più per destino che per elezione", forse, opiniamo, dopo aver lasciato il principe d'Avellino, nella cui casa non si trovava a suo agio. A questi viaggi si può comunque presumibihnente riferire quanto egli scrive in una lettera sulle misere condizioni in cui vivono i letterati contemporanei: "Mi cadon le lacrime dagli occhi in pensando che tutti quasi i letterati del nostro secolo siano costretti a scendere e salir per l'altrui scale o a ricoverar ne' chiostri religiosi per mendicare un tozzo".

Nel 1653 aveva pubblicato a Venezia le giovanili Epigrammatum centuriae tres e le prime due parti delle Poesie meliche, di cui l'intera raccolta apparve successivamente, tra il 1659 e il 1670, parte a Venezia e parte a Bologna.

Esse offrono copiosa messe di esempi ai ricercatori di secentisterie. Soprattutto i componimenti di carattere amoroso (un amore irreale, come avverte lo stesso B.) ben riflettono i propositi del poeta di "non murar sul vecchio", ma di voler scrivere, come fecero del resto i suoi prediletti poeti greci e latini, "con l'ingegno proprio, non pigliato a pigione, e con pensiero d'esser il primo"; il che peraltro non gli impedisce di riprendere qualche figura dal Marino o dall'Achillini. Ciò tuttavia non menoma, i suoi meriti stilista vigoroso, quale si manifesta, indipendentemente dall'adozione del linguaggio più peregrino, anche e meglio nelle poesie di ispirazione autobiografica e filosofico-morale. Qui il B. esprime, in forme non sempre artificiose, il suo amore dei libri e della solitudine operosa secondo un severo moralismo che lo avvicina, in qualche punto, al Parini; mentre dai casi avversi della vita ("giuro che non segnai / io con candida pietra un giorno mai") trae motivo per frequenti meditazioni "de miseria hominis", di gusto tipicamente senechiano. Sembra pertanto ancora valida, per il B., l'indicazione del Croce (Storia dell'età barocca, pp. 421-423) che lo colloca tra i barocchisti meridionali della terza generazione, i quali portarono all'estremo la logica della scuola, cioè "il dualismo tra una forma germinale seria e un'altra di maniera".

Alla meditazione sull'umana miseria sono ispirati anche i ventidue Epicedi eroici, Venezia 1667 e Bologna 1670 (il B. sarebbe stato il primo ad usare il nome classico per tal genere di componimenti funebri) di vario metro (ottave, quartine, canzoni): nella maggior parte libreschi, tratti dalla mitologia, dalla storia antica, dall'agiografia; qualcuno d'argomento contemporaneo e con note personali, come quello per la morte di uno zio assassinato per motivi di interesse.

Scritta negli ultimi anni e rimasta interrotta per la morte del B., la Poetica, Venezia 1676, pubblicata postuma dal nipote Simon Antonio, tratta precettisticammte, ma non senza il riferimento delle diverse opinioni, del poema epico (favola, costume, sentenza, locuzione) soprattutto sulla scorta della Gerusalemme Liberata. Particolare rilievo vi ha la trattazione della metafora, "di tutte le figure la più bella", che "aggiunge grandezza alle cose grandi, picciolezza alle picciole, spavento alle spaventevoli, mestizia alle meste" e la considerazione dei poeti greci e latini come maestri di "stile nobile e peregrino". Per il resto, l'opera offre una sintesi chiara dei precetti degli aristotelici, dal Castelvetro al Piccolomini, al Maggi e al Riccoboni.

Scarsa o nessuna importanza hanno le altre opere del B., cioè le Giornate accademiche, Venezia 1673, discorsi storico-fantastici o filosofico-morali o in risposta a questioni proposte dal Manso agli Oziosi; l'Assalonne, Venezia 1676, una storia del personaggio biblico scritta con intenti di edificazione; la Vita di s. Giovanni Battista (Venezia s. d.), e quella del B. Felice, cappuccino (ibid. 1654), e infine La patria di Ennio (Venezia 1678), che sostiene essere Rudiae, presso Grottaglie; indispensabili alla conoscenza dell'uomo e della sua vita sono invece le Lettere (Venezia 1678), scritte in uno stile tutto a "minutissimae sententiae" che richiama, ancora una volta, il modello senechiano, e dirette al Manso, al Caracciolo, al Muscettola e ad altri signori e letterati napoletani.

Accolto e onorato negli ultimi anni tra gli accademici Gelati di Bologna, e tra gli Oscuri di Lucca, il B. incontrò invece qualche opposizione, per la sua poesia, tra i compatrioti. Il poeta grottagliese D. Giovanni Cicinelli aveva composto una Censura del parlar moderno, Napoli 1672, contro i traslati e lo stile turgido degli scrittori contemporanei e specialmente dei Battista. Questi, credendo che la censura fosse opera di Federico Meninni, scrisse o, come vuole il Pedio, fece scrivere da un amico, contro il gravinese, gli Affetti caritativi di N. N. (Padova s. d.), suscitando prima una Risposta del Sig. F. Meninni agli Affetti caritativi del petulante ludimagistro G. Battista (stampata falsamente in Padova s. d.) e poi, anonimi, ma dello stesso Meninni, i Furti svelati nelle poesie meliche e negli epigrammi di G. B.(s. n. t.). Contro il Meninni si mossero gli amici del B., capeggiati dal principe Caracciolo; ma il poeta, seguace anche in questo del Marino che aveva interceduto in favore del Murtola, li pregò di perdonare all'avversario.

Sofferente di podagra, sciatica e febbri, il 1º marzo 1675 perse l'uso della parola per un colpo d'apoplessia; morì pochi giorni dopo, il 6 o il 9 marzo 1675, in Napoli.

Fu seppellito in S. Lorenzo Maggiore; Lorenzo Crasso dettò l'epitaffio, Donato Antonio Gravilo, accademico Trasformato, così si dolse della sua morte: "Ios. Baptista gutta moritur: / Heu guttis Baptista perit, qui fulserat alter / Sol; Phoebus guttas quo cadat inter habet". Gli amici ne onorarono la memoria con una pubblicazione: Musarum Luctum in obitu Ios. Baptistae.I  Gelati gli fecero solenni funerali e conservarono un elogio di lui nelle loro Memorie.

Bibl.: L. Crasso, Elogii de gli uomini letterati, I, Venezia 1666, pp. 334-341; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 1, Brescia 1758, pp. 552 ss.; C. Pignatelli, Biogr. degli scrittori grottagliesi, Napoli 1875, pp. 28-48; C. Minieri Riccio, Notizie biografiche degli scrittori napoletani fioriti nel secolo, XVII, Napoli 1877, pp. 15 ss.; E. Pedio, G. B. poeta. e letterato del Seicento, in Rassegna pugliese, XIX(1902), pp. 81-89; M. Marti, G. B. e i poeti salentini del sec. XVII, ibid., XX(1903), nn. 6-7, pp. 155-163; C. Trabalza, La critica letteraria nel Rinascimento, Milano s. d., pp. 269 ss.; Lirici marinisti, a cura di B. Croce, Bari 1910, pp. 409-445; B. Croce, Saggi sulla letteratura italiana del Seicento, Bari 1911, p. 174; M. Rigillo, La vita, i tempi e le opere di G. B. scrittore pugliese..., in Apulia, V (1914), pp. 142 ss.; B. Croce, Storia dell'età barocca in Italia, Bari 1929, pp. 421-423; A. Belloni, Il poema epico-mitologico, Milano s. d., p. 174; Id. Il, Seicento, Milano s. d., passim; C.Calcaterra, Il problema del Barocco, in Questioni e correnti di storia letteraria, Milano 1949, passim; G. Getto, Marino e i Marinisti, II, Torino 1953, introduzione; G. G. Ferrero, Marino e i Marinisti, Milano-Napoli 1954, pp. 1003 ss.

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