BERTOIA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 9 (1967)

BERTOIA, Giuseppe

Gino Damerini

Nato a Venezia l'8 giugno 1803 fu, con Francesco Bagnara suo maestro, il maggiore degli scenografi della gloriosa scuola veneziana, del periodo romantico e degli anni immediatamente seguenti. Figlio di Valentino, violoncellista nell'orchestra del Teatro La Fenice, poi impresario di spettacoli lirici e legato perciò ai massimi operisti del tempo, il B. poté rapidamente avviarsi nell'arte che gli era congeniale, apprendendone i principi dal Bagnara. Con questo lavorò a lungo, partecipando all'allestimento di quasi tutte le opere che di anno in anno venivano eseguite a Venezia. Sebbene avesse dato ancor fanciullo il disegno delle scene per l'opera di debutto di Donizetti (Enrico di Borgogna, 1818, Teatro di S. Luca) e si sapesse della sua capace e feconda collaborazione con il Bagnara, egli non poté figurare personalmente e pubblicamente, se non quando il maestro, assunto l'insegnamento nella Accademia di Belle Arti, abbandonò la scenografia in proprio. Aliora cominciarono i successi del B., rinnovantisi ad ogni stagione; ed egli fu presto chiamato a lavorare anche fuori di Venezia e specialmente a Torino, per il Teatro Regio e per il Carignano, e a Trieste per il Comunale. Morì a Venezia l'8 agosto 1873.

Prendendo per data di inizio il 1818 e per quella di commiato dal teatro il 1871, anno in cui a carnevale presentò alla Fenice il ballo Camargo,la fatica del B. durò circa mezzo secolo. La sua produzione comprese oltre un migliaio di scene, delle quali, morendo, lasciò al figlio Pietro, rilegati in più volumi, i bellissimi bozzetti. Da questi risultano pienamente le caratteristiche della sua personalità e l'evoluzione della sua arte, in armonia con lo sviluppo del melodramma romantico che egli fiancheggiò con pronta fantasia e rara intuizione. Le realizzazioni sceniche del B. erano di irresistibile effetto dal punto di vista prospettico.

Il B. fu lo scenografo di fiducia di Rossini, di Verdi, di Donizetti, di Mercadante, di Pacirti. Colorista vivace e gradevole, fu fertile di idee anche come scenotecnico; e mentre sapeva toccare i vertici dell'espressione ambientale e interpretare i momenti salienti dell'azione e della musica, si preoccupava altresì di suscitare negli spettatori, oltre alla illusione di una realtà poetica, anche il senso di una pittoresca realtà obiettiva. La sua arte si muoveva così fra gli estremi di un realismo paesistico e di un verismo storico nutrito da una esemplare conoscenza degli stili e del costume di ogni epoca e di ogni civiltà.

Allorché nel 1859, dopo Villafranca, svanito il sogno della libertà, la Società proprietaria della Fenice decise di tener chiuso in segno di lutto il teatro finché il Veneto non, fosse stato riunito all'Italia, il B. lasciò la sua città e andò a lavorare in Lombardia, in Piemonte e nell'Emilia.

Fra le scenografie più ammirate e più ricordate del B. sono da segnalare quelle per i seguenti spettacoli: Iefte di P. Generali (1831, Teatro di S. Benedetto), Marin Faliero, Gemma di Vergy, Lucia di Lammermoor (1839, ibid.), I Lombardi (1844, Teatro Regio), I due Foscari (1845, Teatro di S. Gallo), Attila (1846, Teatro La Fenice), Macbeth (1847, ibid.), Stiffelio (1850, Teatro Comun. di Trieste), Gerusalemme (1854, Teatro La Fenice), Trovatore (1855, ibid.), Giovanna di Guzman (1856, ibid.), Simon Boccanegra (1857, ibid.), Otello, Faust (1864, Teatro Regio di Torino), Romeo e Giulietta di Marchetti (1865, Comunale di Trieste). Con particolare amore curò ed eseguì, in genere, le opere di Donizetti e di Verdi, come dimostrano i suoi bozzetti superstiti. Colse speciali successi con le scene che rappresentavano pittoreschi aspetti di Venezia.

Il figlio Pietro nacque a Venezia il 25 febbr. 1828 e fu egli pure scenografo di grido. Cominciò come collaboratore del padre, nell'ombra del quale rimase a lungo, accontentandosi di una considerazione di riflesso che gli giovò, per la sua attività, molto più fuori della città natia che non in questa. La sua collaborazione, tanto come progettista quanto come esecutore materiale, fu due volte interrotta dagli avvenimenti politici: la rivoluzione del '48-'49 e la guerra dei 1859; all'una egli partecipò volontario con la legione Bandiera e Moro, combattendo nella sortita di Mestre e nella resistenza del forte di Marghera all'assedio austriaco. Dopo l'altra partì esule insieme con il padre; il suo ingegno e la qualità del suo lavoro non si poterono quindi affermare, fino al 1866, se non saltuariamente in qualcuno dei teatri minori di Venezia, e più spesso in quelli delle province liberate. Quando nel 1871 il padre si ritirò a vita privata, egli rimase solo a continuare l'attività dello studio non poco giovandosi del patrimonio scenico costituitovi dal padre e da lui medesimo.

Dal 1870 alla stagione di carnevale del 1899-1900 lavorò alla Fenice, al Teatro Filarmonico di Verona, in quelli di Torino, Ferrara, Treviso, Trieste; creò, fra le moltissime, le scenografle del Don Carlos, della Forza del Destino, del Macbeth, del Falstaff di Verdi; della Manon di Puccini (1893, Teatro Regio di Torino), del Cristoforo Colombo di Franchetti, della Walkiria di Wagner (1898), del Mefistofele di Boito. Si congedò dal pubblico col Trillo del diavolo di S. Falchi alla Fenice di Venezia (carnevale 1899-1900), applaudito alla ribalta dalla folla che gremiva il teatro. Fu un innovatore, specialmente per certe invenzioni scenotecniche e per l'impiego delle luci; per primo adottò la pittura su veli leggeri e trasparenti, anziché sulle solite tele o sulla carta; ideò, per il Mostofele, un diorama girevole che entrò e rimase poi nelle dotazioni sceniche di tutti i teatri; introdusse i velari di vapore acqueo per separare quadro da quadro e per realizzare le dissolvenze sceniche. I suoi bozzetti, vivissimi di colore e arditi talora per il loro realismo, rimasti in patrimonio alla famiglia (Pordenone), sono arricchiti di curiosi appunti manoscritti e di considerazioni interessanti sullo sviluppo della scenografia nella seconda metà dell'Ottocento, e impreziositi dalle firme e da parole cordiali autografe di Verdi, Puccini e altri.

Morì a Venezia il 21 febbr. 1911.

Bibl.: M. Nani Mocenigo, Il Teatro La Fenice, Venezia 1926, passim; G.Damerini, Giardini sulla Laguna ,Bologna 1927, passim; N. Ivanoff, Uno scenografo romantico veneziano, in Ateneo Veneto, III(1940) pp. 99-104; G. Damerini, Scenografi veneziani dell'Ottocento (catalogo delle opere sposte alla Fondazione Cini), Venezia 1962, 18-32 (anche per Pietro); Encicl. dello Spettacolo, II, col. 407.

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