BILLANOVICH, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani (2012)

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BILLANOVICH, Giuseppe

Carlo Vecce

Nacque a Cittadella (Padova) il 6 agosto 1913 da Eugenio, medico, appartenente a una famiglia originaria di Traù in Dalmazia, e da Maria Ciani.

La formazione, 1930-1936

Dopo gli studi superiori presso i salesiani di Verona e il liceo classico Tito Livio di Padova, si iscrisse nel 1930 all’Università di Padova, dove si laureò in storia antica con Aldo Ferrabino nel 1934, discutendo una tesi sull’ordine equestre nell’antica Roma. Negli stessi anni visse intensamente l’esperienza degli universitari cattolici nella Federazione universitaria cattolica italiana (FUCI) di Giovanni Battista Montini e Igino Righetti, come guida del gruppo padovano e consigliere nazionale per il Triveneto e l’Emilia Romagna (1932-35): un’esperienza che, nel periodo del più forte condizionamento della vita del paese da parte del regime, ne completò la formazione morale e intellettuale in un ampio contesto europeo e sostanzialmente antifascista.

Subito dopo la laurea, iniziò a insegnare nei licei: fu supplente al ginnasio Barbarigo di Padova (1934-35) e vincitore di concorso di lettere italiane, latino e storia, al liceo classico di Bassano del Grappa (1935-36), quindi al ‘suo’ Tito Livio a Padova (dal 1936), dimostrandosi già, per i suoi studenti, un modello di vita (come rammentato e descritto dal suo primo preside: «Austerissimo di vita, parco di parole e pure faceto ed arguto, signorilmente impeccabile, puntuale, preciso, esemplare»: Frasso, 2001, p. 382).

Nello stesso periodo sposò Myriam Dal Zio (m. 1996) – da cui ebbe i figli Maria Pia ed Eugenio – e frequentò il corso di perfezionamento in studi filologici all’Università di Padova (dove ebbe per maestri Concetto Marchesi ed Ezio Franceschini), completato nel luglio 1936 con una tesi sull’edizione critica delle canzonette di Leonardo Giustinian.

L'avvio dell' indagine storico-filologica, 1937-1947

I suoi primi studi, tra 1937 e 1939, si mossero nell’ambito della letteratura italiana tra Medioevo e Rinascimento, ma con un’attenzione particolare al contesto storico e geografico che lo avvicinò subito all’esperienza parallela di Carlo Dionisotti (e non fu un caso che i primi articoli uscissero nel Giornale storico della letteratura italiana, alla cui redazione attendeva il giovane Dionisotti).

Billanovich preferì infatti alla critica letteraria allora dominante (di stampo idealista) il ritorno agli strumenti della scuola storica e dell’erudizione settecentesca. Il legame con storici come Roberto Cessi e Paolo Sambin lo orientò subito a un lavoro di ricerca sulle fonti primarie, con l’uso sistematico dei documenti d’archivio, lo studio dei manoscritti, la ricostruzione di biblioteche antiche. Il metodo, già maturo, incrociava discipline diverse come la filologia testuale, la paleografia, l’archivistica, la storia della lingua ecc. («Sto trascorrendo la vita nell’esercizio della ricerca storica. Ma, filologo o erudito, mi impegno nella navigazione di cabotaggio delle piccole analisi; e manovro gli strumenti, laboriosi ma docili, della documentazione e dell’esegesi»: Dal Medioevo all’Umanesimo, 2001, p. 139).

Ne derivarono attenti esercizi di ricostruzione storico-biografica di figure di intellettuali di ‘frontiera’ come Giustinian e Teofilo Folengo, sospesi tra letteratura alta e popolare, tra latino e volgare, tra storia e mito, tra laicità e istanze religiose; oppure dei grandi della letteratura delle origini, Dante e soprattutto Boccaccio, indagati in aspetti sostanziali (e ancora ignorati) della loro vita e della formazione intellettuale e umana. Billanovich riscopriva così (come aveva fatto un altro maestro padovano della generazione precedente, Giuseppe Toffanin) alcuni aspetti fondamentali della storia culturale italiana d’Antico Regime, come la tradizione del classicismo, o l’influenza della cultura religiosa e della Chiesa cattolica, obliterati dalla linea ‘laica’ risorgimentale (da Francesco De Sanctis e Giosuè Carducci in poi).

La grande svolta, nella carriera di studioso, avvenne nel 1939, quando Giovanni Gentile, presidente della Commissione per l’edizione nazionale delle opere di Francesco Petrarca, gli fece ottenere un comando (con decreto a firma di Giuseppe Bottai, ministro dell’Educazione nazionale) presso la Sovrintendenza bibliografica di Roma, con l’incarico di attendere alle edizioni critiche dei Rerum memorandarum libri e l’Itinerarium Syriacum. Il giovane Billanovich entrava in un’impresa prestigiosa per la cultura italiana, grazie alla quale erano già uscite le edizioni dell’Africa a cura di Nicola Festa (1926) e dei primi tre volumi delle Familiari a cura dell’ultimo maestro della scuola storica, Vittorio Rossi (1933-37). Le operette affidategli erano allora considerate minori rispetto ai grandi capolavori, e nulla più che compilazioni erudite, ma Billanovich affrontò la ricerca con entusiasmo, trasformando l’attività filologica in un vasto esercizio di ricostruzione del mondo intellettuale che gravitava intorno a Petrarca, e iniziando a comprendere che le origini autentiche dell’Umanesimo e dell’Europa moderna andavano ricercate, con pazienza e umiltà, nella rivoluzione culturale che tra la fine del Duecento e la metà del Trecento aveva radicalmente cambiato il rapporto tra Antichi e Moderni.

Nell’esercizio della filologia, e negli studi petrarcheschi, guide preziose furono Giorgio Pasquali e Guido Martellotti. Ambiente privilegiato di lavoro fu la Biblioteca Vaticana («La mia università vera l’avevo fatta frequentando la Biblioteca Vaticana»: Un villaggio internazionale, 1998, p. 16), dove poté avvicinarsi al cardinal Giovanni Mercati, e stringere feconde amicizie con Augusto Campana e don Giuseppe De Luca.

Tale promettente stagione di studi fu bruscamente interrotta dalla guerra. Richiamato in servizio militare il 26 gennaio 1941, fece appena in tempo a concludere a Padova, nel dicembre, i prolegomena ai Rerum memorandarum libri, e partì nel febbraio 1942 per il fronte russo: un’esperienza terribile, da cui tornò nel giugno come sergente, un «viaggio in carro bestiame, per fortuna con un biglietto di andata e ritorno [...] del mio reggimento tornammo in cinque» (Frasso, 2001, p. 387).

In quegli anni tragici (e di indisponibilità di fonti e biblioteche) riuscì comunque a completare le edizioni e ad avviare, a Roma, il lungo sodalizio con Dionisotti. Nel frattempo, otteneva la libera docenza universitaria di storia della lingua e letteratura italiana (1942) e la prosecuzione del comando (presso la Sovrintendenza del Veneto fino al 1945, con titolarità al liceo classico di Pescara). Il lavoro editoriale per l’Itinerarium, già in bozze, andò perduto in un bombardamento che distrusse la tipografia, mentre i Rerum memorandarum libri uscirono finalmente per i tipi di Sansoni, con data di pubblicazione «aprile 1943» (il volume fu in realtà finito di stampare a Firenze, subito dopo la Liberazione, il 20 luglio 1945).

Nell’immediato dopoguerra ottenne un nuovo comando, con l’incarico di letteratura italiana all’Istituto universitario orientale di Napoli, dove restò dal 1945 al 1948. In difficili condizioni di vita e di insegnamento, ebbe comunque modo di frequentare Toffanin, titolare della cattedra di letteratura italiana all’Università di Napoli, e di incontrare più volte lo stesso Benedetto Croce. Fu il momento della sintesi degli studi giovanili su Dante e Boccaccio, raccolti tra 1945 e 1948 in volumetti pubblicati, per uso degli studenti dell’Orientale, dall’amico De Luca, che a Roma aveva iniziato l’impresa editoriale di Storia e letteratura (e anche le ricerche folenghiane uscirono in volume, a Napoli nel 1948).

Ma soprattutto, viaggiando tra Padova, Roma e Napoli, Billanovich riprese lo studio intenso e totalizzante di Petrarca, che ora gli appariva «l’arcangelo Raffaele di me piccolo Tobiolo» (così a De Luca nella prefazione de Lo scrittoio del Petrarca, 1947, p. VI). La direzione era quella intuita durante il lavoro sui Rerum memorandarum libri: la ricostruzione capillare della biblioteca petrarchesca (ben oltre i confini raggiunti da Pierre de Nolhac), attraverso l’individuazione dei libri che nelle postille e negli apparati paratestuali testimoniavano concretamente la moderna rinascita degli Antichi. Importante, al proposito, fu la scoperta di un nuovo codice nella biblioteca del collegio dei gesuiti a Posillipo, un manoscritto di s. Paolo, che aprì un altro orizzonte di ricerca: non solo lo scaffale dei classici, ma anche quello biblico-patristico, che negli anni successivi s'illuminò con gli studi sui codici di s. Agostino e s. Ambrogio.

Il risultato più alto, in questo periodo, fu la pubblicazione de Lo scrittoio del Petrarca (sempre per i tipi di De Luca, 1947), che doveva costituire il primo volume di un’opera complessiva sul Petrarca letterato (in realtà, le altre due parti, dedicate alla biblioteca e alla ‘scuola’ del Petrarca, non furono mai pubblicate), notevole progresso rispetto alle ricerche di Nolhac, nel solco tracciato dal cardinal Mercati e da Remigio Sabbadini («gli isolati giganti»: Petrarca e il primo umanesimo, 1996, p. 28).

Al Warburg Institute e a Friburgo, 1948-1960

I tempi sembravano maturi per l’inserimento nei ruoli universitari, ma giunse la delusione per la bocciatura al concorso per la cattedra di letteratura italiana all’Università di Cagliari, dove vinsero Raffaele Spongano, Walter Binni e Giovanni Getto (con una commissione presieduta da Attilio Momigliano, e di cui facevano parte Carlo Calcaterra, Luigi Fassò, Luigi Russo e Natalino Sapegno).

Maturò allora la decisione di continuare le sue ricerche all’estero, in Inghilterra, come aveva fatto Dionisotti, emarginato dal mondo accademico italiano. Già nell’ottobre 1945, su impulso di Paul Oskar Kristeller, aveva preso contatto con Fritz Saxl, direttore del Warburg Institute, per proporgli il progetto di una collana di edizioni critiche di testi latini dalla fine del mondo classico all'età contemporanea, con sede editoriale in Svizzera. Dopo un primo passaggio a Londra nel maggio 1948, ricevette da parte di Gertrud Bing l’invito a diventare Senior research fellow del Warburg (ottobre 1948 - ottobre 1950). Garantito nell’assoluta libertà di ricerca e di là da barriere disciplinari (come era nello spirito del Warburg), si profuse nello studio dei fondi manoscritti del British Museum («mi istruivo e educavo esplorando la folla sterminata dei codici raccolti nel British Museum»: Un villaggio internazionale, 1998, p. 13).

Nel 1949 identificò la mano di Petrarca su uno dei più importanti codici delle storie di Livio, l’Harleiano 2493 (arrivato poi nella Napoli aragonese, e studiato da Lorenzo Valla), ricostruendone le fasi di assemblaggio (testimonianza del livello più alto della filologia applicata da Petrarca sui testi classici), ma anche di una tradizione illustre, passata nel corso del Medioevo attraverso le biblioteche delle cattedrali di Verona e Chartres e della Roma del XII secolo. L’anno successivo approfondì le ricerche su Zanobi da Strada, fondamentale figura di snodo nelle vicende delle scoperte dei codici nel XIV secolo (in particolare a Montecassino), tra Petrarca e Boccaccio; e anche in seguito  riservò un’attenzione privilegiata a quei ‘minori’ che però consentivano di illuminare un intero mondo culturale (Pietro da Moglio, Pietro Piccolo da Monteforte, Francesco da Fiano, Sennuccio del Bene). Ma fu soprattutto la ricerca sul testo di Livio a divenire, nel tempo, paradigma di un metodo innovativo nei confronti della filologia classica. «La tradizione di ogni testo antico non è un magazzino di varianti; ma una miniera di storie» (La tradizione del testo di Livio, 1981, p. 1): sicché più che ricostruire uno stemma, bisognava «tentare di scoprire gli uomini, specialmente i più grandi, che si nascondono dietro ai codici e alle loro varianti: committenti, copisti, lettori» (Premessa, a L.D. Reynolds - N.G. Wilson, Copisti e filologi. La tradizione dei classici dall’antichità ai tempi moderni, Padova 1987, p. XII).

Nel 1950 Gianfranco Contini, allora titolare di filologia romanza all’Università di Friburgo, lo invitò a concorrere per la cattedra di letteratura italiana: con qualche riluttanza, Billanovich presentò domanda (corredata da numerose lettere di sostegno: da Dionisotti a Montini e De Luca). Fu un cambiamento fondamentale. La cattedra di Friburgo lo riportò alla prima sua vocazione, quella dell’insegnamento, ora unita all’eccellenza di una ricerca assurta a una dimensione europea e internazionale: «Dopo il moto pendolare a Londra tra l’Istituto Warburg e il British Museum, a Friburgo mi sopravvenne sempre più urgente la conversione da mediocre studioso di letteratura italiana a convinto ricercatore di filologia medioevale e umanistica» (Un villaggio internazionale, 1998, p. 20).

Insegnò a Friburgo per dieci anni (dal 1950 al 1960), trasferendovi la famiglia (nel vicino villaggio di Pérolles) e continuando la ricerca appassionata di libri del Petrarca (un «romanzo giallo filologico»: ibid.). La prolusione accademica, I primi umanisti e le tradizioni dei classici latini (pronunciata il 2 febbraio 1951; Friburgo 1952), tracciava lucidamente un programma di lavoro che non riguardava più la storia della letteratura italiana, ma gettava le basi di una nuova disciplina, la filologia medievale e umanistica, impostata sulla più ampia libertà di orizzonti metodologici («Ogni coltello è un buon coltello: purché tagli»: Petrarca e il primo umanesimo, 1996, p. 140). Nel 1950 partiva inoltre a Zurigo il progetto della collana di testi latini medievali e umanistici (in collab. con Luigi Rusca e Walter Wili), battezzata «Thesaurus Mundi» (trasferita poi a Lugano, e infine presso l’editrice Antenore di Padova).

All'Università cattolica di Milano, 1955-2000

Nel 1954 Ezio Franceschini, preside della facoltà di lettere e filosofia dell’Università cattolica di Milano, lo convinse a presentarsi al concorso per la cattedra di filologia medievale e umanistica, la prima istituita in Italia (la commissione, oltre che da Franceschini, era composta da Giovanni Battista Pighi, Antonio Viscardi, Spongano ed Eugenio Garin). Billanovich vinse (insieme con Alessandro Perosa e Lorenzo Minio-Paluello) e fu così chiamato alla Cattolica, dove avrebbe insegnato fino al termine della carriera (1955-88).

Il desiderio di lavorare in un ambiente di studio sul modello della Vaticana e del Warburg lo portò alla rifondazione della biblioteca di ricerca umanistica della Cattolica. Con la collaborazione del fratello Guido fondò a Padova la casa editrice Antenore, con la collana «Medioevo e Umanesimo», e la rivista Italia medioevale e umanistica (1958), condiretta dagli amici Dionisotti, Campana e Sambin. La rivista divenne subito lo strumento di comunicazione, lavoro e scambio d’idee del gruppo di giovani ricercatori che si raccoglievano intorno a Billanovich («Da dieci anni non sono più un lavoratore autonomo, ma il lavoratore di un kibbuz. Il mio kibbuz è l’annuario Italia medioevale e umanistica»: I primi umanisti e l’antichità classica, in Classical influences on European culture, a cura di R.R. Bolgar, Cambridge 1971, p. 57).

Esemplare, nella nuova definizione del programma di studi e d’insegnamento, la prolusione del 1955, Dall’antica Ravenna alle biblioteche umanistiche (ried. in Dal Medioevo all’Umanesimo, 2001, pp. 25-96), in cui la ricostruzione delle vicende di un’enciclopedia storico-geografica tardoantica (risalente alla Ravenna del V secolo) divenne un appassionante inseguimento attraverso i secoli, fino a Petrarca e all’Umanesimo.

Nel 1961 avviò il censimento dei codici petrarcheschi, che avrebbe costituito una vera mappa intellettuale della storia europea fra Tre e Cinquecento. Sempre presso la casa editrice Antenore partirono la collana «Studi sul Petrarca» (1974) e la nuova serie della rivista Studi petrarcheschi (1984). La conoscenza della biblioteca di Petrarca si allargava ai testi di retorica, agli storici latini minori, ai padri della Chiesa e infine ai grandi poeti (a due manoscritti come l’Orazio Morgan e il Virgilio Ambrosiano sarebbero stati ora dedicati alcuni studi fondamentali). Nella tradizione del testo di Livio, Billanovich comprese il ruolo che, ancora prima di Petrarca, aveva avutoil circolo degli intellettuali padovani tra fine Duecento e inizio Trecento, da Lovato Lovati ad Albertino Mussato, obbligandolo a ripensare la questione delle origini dell’Umanesimo. Nella storia delle biblioteche di cattedrali e monasteri, fu determinante l’identificazione dell’antica biblioteca di Pomposa come uno fra i principali centri di trasmissione dei classici nel Medioevo.

Nel 'kibbuz' della Cattolica si distinse per la straordinaria generosità nel rapporto con gli allievi: gli importava non costituire una ‘scuola’ in senso accademico, ma trasmettere un metodo, educare alla libertà della ricerca, e anche al suo esercizio severo e umile, a un’etica del lavoro intellettuale, tanto più necessaria nel «nostro secolo […] preso nel moto velocissimo del progresso tecnico»; e concludeva: «Il nostro vestito grigio di ogni giorno diventa il grande abito di gala. Questa coerenza aspra e monotona al proprio dovere d’intellettuali era difficile ieri; è difficilissima oggi» (Dal Medioevo all’Umanesimo, 2001, pp. 140, 144).

Lo studioso capace di intessere un dialogo così intenso col passato era infine pienamente consapevole delle ansie e delle trasformazioni del presente, al punto da comprendere che il destino di quella che chiamiamo cultura umanistica, e della stessa civiltà occidentale, in un tempo breve, si sarebbe anch’esso consumato in una vicenda di ‘trasmissione’ (non dissimile da quella della tarda antichità, e della transizione da Medioevo a Umanesimo).

Morì a Padova il 2 febbraio 2000.

Opere

Restauri boccacceschi, Roma 1945 (II ed., ibid. 1947); Petrarca letterato, I, Lo scrittoio del Petrarca, Roma 1947 (II ed., ibid. 1995); Tra don Teofilo Folengo e Merlin Cocaio, Napoli 1948; I primi umanisti e le tradizioni dei classici latini, Friburgo 1952 (ried. in  Petrarca e il primo Umanesimo, 1996, pp. 117-141; Dal Medioevo all’Umanesimo, pp. 1-24); La tradizione del testo di Livio e le origini dell'Umanesimo, Padova 1981; Petrarca e il primo Umanesimo, Padova 1996; Dal Medioevo all’Umanesimo, a cura di P. Pellegrini, Milano 2001; Itinera. Vicende di libri e di testi, a cura di M. Cortesi, Roma 2004; Lezioni di filologia petrarchesca, a cura di D. Losappio, introduz. di G. Frasso, Venezia 2008.

Fra le testimonianze autobiografiche di rilievo, si vedano: La Fuci veneta, in Studium, LXXXI (1985), pp. 82-88; In ricordo di Ezio Franceschini, in Atti e memorie dell’Acc. patavina di scienze, lettere ed arti, Atti, CI (1988-89), 1, pp. 57-67; Augusto Campana e don Giuseppe De Luca, in Testimonianze per un maestro. Ricordo di Augusto Campana, a cura di R. Avesani, Roma 1997, pp. 17-26; Un villaggio internazionale, in Maestri italiani a Friburgo (da Arcari a Contini e dopo), Locarno 1998, pp. 13-23.

Per una bibliografia esaustiva si vedano: Bibliografia di Giuseppe Billanovich, a cura di M. Ferrari, in Vestigia. Studi in onore di Giuseppe Billanovich, a cura di R. Avesani et al., Roma 1984, pp. XXI-XXXV; Bibliografia di Giuseppe Billanovich, a cura di M. Ferrari - C.M. Monti, in Petrarca e il primo Umanesimo, cit., pp. XV-XXXIII.

Fonti e Bibliografia

Acc. nazionale dei Lincei, Biografie e bibliografie degli accademici Lincei, Roma 1976, pp. 741-743; F. Rico, G. B., in Anuario de estudios medievales. Barcelona, 1974-79, n. 9, pp. 641-656; G. Pozzi, Italiano e Italiani a Friburgo. Un episodio di storia letteraria all’estero, Friburgo 1991, ad ind.; V. Fera, La filologia umanistica in Italia nel secolo XX, in La filologia medievale e umanistica greca e latina nel secolo XX, I, Roma 1993, pp. 239-273; C. Dionisotti, [Discorso di un vecchio amico per G. B.], in Italia medioevale e umanistica, XLI (2000), pp. 1-5; C. Segre, L’uomo che dava del tu a Petrarca, in Il Corriere della sera, 4 febbraio 2000; A. Sottili, G. B., in Wolfenbütteler Renaissance-Mitteilungen, XXIV (2000), pp. 103-105; G. Frasso, Per G. B., in Libri & documenti, 1999 [ma 2000], 1/3, pp. 1 s.; G. Bernardi Perini, G. B. (1913-2000), in Quaderni folenghiani, III (2000-01), pp. 177-184; G. Pozzi, Commemorazione di G. B., in Aevum, LXXV (2001), pp. 879-883; M. Ferrari, Ricordo di G. B., in Neulateinisches Jahrbuch, III (2001), pp. 5-10; G. Frasso, Un maestro dell’Università cattolica. Ricordo di G. B., in Annali di storia moderna e contemporanea, VII (2001), pp. 377-398; P. Pellegrini, Postfazione, in Petrarca e il primo Umanesimo, cit., pp. 139-164; M. Pastore Stocchi, Ricordo di G. B., in Atti e memorie dell’Acc. galileiana di scienze, lettere ed arti già dei Ricovrati e Patavina, CXIV (2001-02), pp. 87-93; M. Ferrari, In ricordo di un maestro della filologia medioevale e umanistica: G. B., in Annali dell’Istituto universitario orientale di Napoli. Dipartimento di studi del mondo classico e del Mediterraneo antico. Sez. filologico-letteraria, XXIV (2002), pp. 15-35; G. Frasso, G. B.: in memoriam, in Euphrosyne, n.s., XXX (2002), pp. 349-355; G. Bernardi Perini, Un ricordo di G. B., in Studi petrarcheschi, XV (2002), pp. 1-14; G. Velli, G. B. filologo e storico della cultura, ibid., pp. 15-23; Per G. B., a cura di M. Cortesi, Firenze 2007; L’antiche e le moderne carte. Studi in memoria di G. B., a cura di A. Manfredi - C.M. Monti, Roma-Padova 2007; Per G. B., in Aevum, LXXXII (2008), pp. 891-916.

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