GIUSEPPE Bonaparte, re di Napoli

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIUSEPPE Bonaparte, re di Napoli (poi re di Spagna)

Alfonso Scirocco

Nacque a Corte, in Corsica, il 7 genn. 1768, da Carlo e Letizia Ramolino, primo di otto figli. Nel maggio di quell'anno la Repubblica di Genova, non riuscendo a domare la rivolta indipendentista capeggiata da Pasquale Paoli, vendette la Corsica alla Francia, che si impadronì dell'isola con una spedizione militare. Paoli, sconfitto a Pontenuovo nell'aprile 1769, riparò in Toscana. I Bonaparte, già ferventi sostenitori di Paoli (per seguirlo nel 1768 da Ajaccio si erano spostati a Corte, nell'interno dell'isola), passarono dalla parte del vincitore. Carlo, abile nell'assicurarsi prebende e favori, ottenne l'ammissione dei tre figli maggiori in buoni collegi francesi. Contrariamente alle consuetudini, il secondogenito Napoleone fu avviato alla carriera militare, mentre G., per il carattere docile e l'amore per la cultura, fu avviato alla carriera ecclesiastica. A dieci anni, nel 1778, entrò nel collegio di Autun, dove si segnalò per l'impegno negli studi e i buoni risultati, ma nel 1784 sentì di non avere la vocazione per la vita religiosa e decise di dedicarsi alle armi. Invece la morte del padre, nel gennaio 1785, a 39 anni, gli fece assumere il ruolo di capo della famiglia. Egli dunque si stabilì ad Ajaccio, accanto alla madre appena trentaduenne (che non si risposò), curando il patrimonio familiare, impoverito dalla prodigalità paterna, e l'educazione dei fratelli, l'ultimo dei quali, Girolamo, aveva meno di un anno. Sentì molto l'importanza del ruolo: dai fratelli, tranne che da Napoleone, a lui quasi coetaneo, pretese il voi.

Nel 1787 il ritorno in Corsica di Napoleone, diventato ufficiale d'artiglieria, lo sollevò momentaneamente dagli obblighi di capofamiglia; G. poté così trasferirsi a Pisa, per seguire gli studi giuridici nell'Università. Laureatosi in utroque iure, tornò ad Ajaccio nel maggio 1788. Nominato avvocato del Consiglio superiore della Corsica a Bastia, alla vigilia della convocazione degli Stati generali a Parigi lasciò la carica per rivisitare l'Italia, col desiderio di ottenere dal granduca di Toscana il riconoscimento della nobiltà della famiglia, già perseguito dal padre.

Le vicende della Rivoluzione francese stavano avendo contraccolpi in Corsica. Al ritorno ad Ajaccio G. fu segretario del generale Rossi, presidente del Comitato generale dei tre ordini, costituito per stabilire la pace nell'isola lacerata dalle fazioni, ed ebbe un'onorevole posizione nel Consiglio municipale. Il 30 nov. 1789 l'Assemblea nazionale respinse la richiesta di Genova di rioccupare l'isola, abolì il regime militare e dichiarò la Corsica parte integrante del territorio francese; il Paoli tornò in patria e iniziò la collaborazione coi Francesi. A Pisa G. aveva frequentato gli esuli corsi e aveva fatto amicizia con Clemente Paoli, fratello maggiore di Pasquale. Nel settembre 1790 nella consulta di Orezza, che sancì l'autorità di Paoli, fu scelto a rappresentare il distretto di Ajaccio. Non era quello che sperava Napoleone, tornato nell'isola, che constatò la volontà di Paoli di servirsi degli uomini che avevano militato con lui contro i Francesi. Tuttavia G. divenne membro del Direttorio centrale dell'isola e fu nominato giudice di tribunale, ma non riuscì nelle elezioni all'Assemblea legislativa.

Nel 1793 l'applicazione della costituzione civile del clero determinò nell'isola un malcontento sfociato in rivolte, con conseguente repressione. Si formò un partito antigiacobino. Il Paoli, accusato anche di aver fatto fallire una spedizione contro gli Inglesi insediati in Sardegna, si schierò contro la Francia. Dichiarato traditore dalla Convenzione, chiese l'intervento degli Inglesi, che sbarcarono nell'isola, e nel giugno 1794 fece dichiarare l'unione alla Corona britannica; le vittorie napoleoniche nella prima campagna d'Italia indussero però gli Inglesi a ritirarsi, nell'ottobre 1796.

Nel 1793 G. era riparato in Francia, prima a Parigi, poi a Marsiglia, dove il 1° ag. 1794 sposò Giulia Clary, figlia di un ricco negoziante, ottenendo una cospicua dote. Dal matrimonio ebbe due figlie, Zenaide Carlotta Giulia, nata l'8 luglio 1801, e Carlotta Napoleona, nata il 31 ott. 1802. Datosi agli affari in società col cognato Nicola, nel 1795 si spostò a Genova. Nel 1796 Napoleone lo chiamò nell'amministrazione dell'armata d'Italia, e si servì di lui nelle trattative per l'armistizio di Cherasco (24 aprile), inviandolo a Parigi per convincere il Direttorio a fare la pace col Piemonte.

Tornò quindi in Corsica. Con Cristoforo Saliceti e Francesco Miot riordinò l'amministrazione e il partito francese. Nell'aprile 1797 fu eletto deputato all'Assemblea dei cinquecento, dopo che nel marzo era stato nominato residente presso la corte di Parma. Subito dopo, nel maggio, fu nominato ambasciatore a Roma, col compito di diffondere il giacobinismo nella città, ma seguendo le proprie inclinazioni preferì stringere buoni rapporti con la corte papale, cosicché apparve poco energico e gli fu affiancato il generale L. Duphot. Il vivacizzarsi dell'iniziativa politica portò a gravi incidenti; il 28 dicembre Duphot fu ucciso dalle milizie pontificie e G., rotte le relazioni diplomatiche, tornò in Francia.

Durante la campagna d'Egitto di Napoleone visse a Parigi, facendo vita di società e frequentando i più importanti salotti. Aveva una buona cultura filosofica e letteraria; scrittore egli stesso, nel 1796 aveva pubblicato a Parigi un romanzo, Moina, e in America avrebbe scritto le sue Memorie. Nell'esercizio delle cariche si era arricchito; comprò una tenuta a 40 km dalla capitale, Mortefontaine, con un castello arredato sontuosamente, dove diede grandi ricevimenti.

Ebbe parte poco appariscente nel colpo di Stato del 18 brumaio (9 nov. 1799), che portò Napoleone al potere. Durante il Consolato fu nominato consigliere di Stato e tribuno. Apprezzandone la preparazione culturale e le capacità di negoziatore, Napoleone lo incaricò delle trattative intese a ristabilire buoni rapporti con gli Stati Uniti, concluse a Mortefontaine nell'ottobre 1800, poi di quelle con l'Austria, che dopo tre mesi portarono alla pace di Lunéville (9 febbr. 1801). Nel luglio dello stesso anno firmò il concordato con la Chiesa e come ricompensa ottenne il possesso del palazzo Marbeuf nel centro di Parigi, che aprì a fastosi ricevimenti. Infine condusse felicemente a termine le difficili trattative con l'Inghilterra, concluse con la pace di Amiens (27 marzo 1802). Al successo seguirono cariche e prebende, e la sua ambizione crebbe. Dopo la proclamazione dell'Impero nel 1804, brigò invano per farsi riconoscere erede di Napoleone, allora senza figli. Non gli mancarono i riconoscimenti: i titoli di principe e altezza imperiale, la dignità di grande elettore dell'Impero, tutti accompagnati da lauti appannaggi, e il diritto ad alloggiare nel palazzo del Lussemburgo. Non accettò la corona di re d'Italia, perché importava la limitazione dei suoi diritti alla successione.

Un riconoscimento gli era dovuto. Nel dicembre del 1805 Napoleone decise di scacciare dal loro Regno i Borboni di Napoli, che avevano agito con doppiezza nei suoi riguardi, e di fare del Mezzogiorno d'Italia e della Sicilia uno Stato vassallo della Francia. Nominò G. suo luogotenente e comandante in capo dell'armata destinata alla conquista, in effetti affidata dal punto di vista militare al generale André Masséna. Nel gennaio 1806 G. si fermò per tre giorni a Roma, dove firmò un accordo per le forniture militari, quindi passò il confine con 40.000 uomini. L'11 febbraio entrò nella piazzaforte di Capua e il 15 fece un solenne ingresso a Napoli, accolto dall'omaggio delle autorità. Ferdinando IV di Borbone si era rifugiato in Sicilia e il suo esercito si era ritirato, cosicché sembrava che la conquista fosse cosa fatta; G. intraprese una visita delle province, per conoscere il paese, e in Calabria fu raggiunto l'11 marzo dalla notizia che l'imperatore lo aveva proclamato re. Al rientro nella capitale, il 15 maggio, gli furono rinnovate accoglienze trionfali.

Il governo insediatosi a Napoli aveva iniziato immediatamente un'intensa attività. Era volontà di Napoleone che il Regno vassallo prendesse gli ordinamenti da lui dati alla Francia, ispirati a criteri di accentramento e di efficienza burocratica. Dalla fine di marzo si susseguirono provvedimenti che investirono tutti i campi dell'amministrazione, avviando una profonda trasformazione dello Stato e della società. Nella capitale i ministeri di Polizia generale, Interni, Finanze, Giustizia, Esteri e Guerra formarono gli organi centrali dell'apparato governativo. Momento essenziale della modernizzazione dello Stato fu l'eversione della feudalità, che eliminò privilegi e differenze tra i cittadini nel campo giudiziario e fiscale, e fece della borghesia la classe dirigente. Il territorio fu diviso in 14 province, rette ciascuna da un intendente, che esercitava uno stretto controllo sui Comuni. L'amministrazione della giustizia, distribuita regolarmente sul territorio con tribunali di vario grado, fu regolata da codici. Dal punto di vista tributario divenne fondamentale l'imposta fondiaria, basata sul catasto. Nel ricondurre a sé la direzione di tutti i settori della vita della società, lo Stato dettò norme nell'economia, nell'assistenza, nella pubblica istruzione.

Nel 1806, durante i febbrili primi mesi di governo, G. si dedicò intensamente all'impianto del nuovo Stato, assistito da collaboratori venuti con lui dalla Francia, come Cristoforo Saliceti, amico dai tempi degli studi a Pisa, Francesco Miot, Pierre-Louis Roederer, e da napoletani come Marzio Mastrilli marchese di Gallo, che vedevano realizzate le riforme desiderate da tempo. Era suo intendimento guadagnare la simpatia dei sudditi. In occasione del primo ingresso a Napoli assistette in cattedrale al Te Deum di ringraziamento, e fece omaggio di una collana di diamanti al patrono della città, s. Gennaro. Abbellì la capitale, protesse la cultura e, secondo le sue abitudini, si circondò di artisti e diede feste sontuose.

I Francesi, però, non riuscirono a consolidare rapidamente la conquista. Sconfitti a Maida da un corpo anglo-borbonico (luglio 1806), persero il controllo della Calabria, che rioccuparono interamente solo nel 1808, e dovettero combattere un agguerrito brigantaggio, incoraggiato dai Borboni dalla Sicilia. A ristabilire l'ordine non bastarono le più severe misure militari, consigliate insistentemente da Napoleone, che accusava il fratello di avere il cuore "troppo buono". Altro problema che angustiò il governo fu l'imposizione da parte dell'imperatore del pagamento di grosse somme per sopperire ai bisogni della Francia, dissanguata dalle continue guerre.

Il re si rendeva conto della necessità di dare pace all'Impero e al sistema che ne dipendeva, e il 29 marzo 1807 ne scrisse a Napoleone. L'imperatore pensava invece a portare anche la Spagna sotto il suo dominio e decise di trasferire a Madrid il fratello, che accettò malvolentieri. Ambizioso, ma poco resistente al lavoro e amante dei piaceri, G. a Napoli si era trovato bene e aveva avuto modo di manifestare in pieno la sua capacità di dirigere e amalgamare uomini di diversa formazione e di essere, secondo una definizione a lui cara, "re filosofo".

La moglie non lo aveva accompagnato a Napoli, adducendo una salute malferma. Per ordine di Napoleone raggiunse la capitale nel 1808, alla vigilia della partenza di G., per non far trapelare l'imminente sostituzione del sovrano, ed esercitò la reggenza durante l'assenza del marito nelle settimane dal 23 maggio al 5 luglio, in cui gli atti di governo continuarono a essere intestati a lui. L'impressione finale su un regno che fu "una delle più attive e più feconde manifestazioni del sistema" creato da Napoleone (Rambaud, p. 553) fu macchiata da azioni che denunziavano una visione personale dello Stato: G. si fece liquidare la parte della lista civile che in precedenza aveva lasciato al Tesoro, e fece elargizioni a persone a lui devote; alla duchessa d'Atri donò terre demaniali per un valore di 472.000 ducati. Invischiato in una vita sentimentale assai movimentata, a Napoli si era innamorato della trentunenne Maria Giulia Colonna, moglie del duca d'Atri, forse il più grande amore della sua vita, e nel settembre 1807 ne aveva avuto un figlio, Giulio, non legittimato.

Con l'inganno Napoleone aveva convinto ad abdicare il re di Spagna Carlo IV di Borbone e il figlio, il futuro Ferdinando VII, e aveva dato il trono al fratello. Nominato il 7 luglio 1808 re di Spagna e delle Indie, G. promulgò a Bayonne una costituzione che per la Spagna significava la fine dell'antico regime e nelle sue intenzioni doveva aprire un periodo di riforme simile a quello attuato a Napoli. Le accoglienze non furono però quelle sperate. Egli si accorse subito dell'ostilità della popolazione, sottoposta a saccheggi e violenze dalle armate francesi. Il 20 luglio entrò in Madrid, percorrendo strade deserte. Dovette abbandonarla il 31, ritirandosi nel Nord del paese, a causa della grave sconfitta subita dai francesi a Bailen. Vi rientrò l'8 dicembre, grazie all'intervento diretto di Napoleone.

Egli agì allora con abilità, cercando la collaborazione di parte della nobiltà e di conquistare la simpatia della popolazione mostrandosi re nazionale. Come a Napoli, abbellì la capitale, protesse le lettere e le arti. Per rafforzare il suo prestigio, combatté i ribelli mettendosi personalmente alla testa delle armate francesi. Il 19 nov. 1809 riportò a Ocaña una grande vittoria, che gli permise di fare sfilare a Madrid 18.000 prigionieri, subito liberati per mostrare la clemenza del sovrano. Nei primi mesi del 1810 percorse l'Andalusia, accolto con calorose manifestazioni.

La sua posizione era però indebolita dall'impossibilità di impedire gli eccessi delle truppe francesi e dalla politica di Napoleone, che nel 1812 richiamò parte dell'armata per servirsene nella campagna di Russia. L'esercito anglo-borbonico, guidato dal futuro duca di Wellington Arthur Wellesley, prese il sopravvento. Costretto ad abbandonare la capitale l'11 ag. 1812, G. vi rientrò nuovamente il 2 novembre, per ritirarsi ancora nel giugno 1813. Il 21 a Vitoria le truppe da lui comandate subirono una sconfitta disastrosa. Fuggì con pochi uomini, abbandonando cortigiani e carriaggi, e si rifugiò in territorio francese. L'avventura spagnola era finita. Per imposizione di Napoleone, che desiderava chiudere la vertenza, nel dicembre riconobbe re di Spagna Ferdinando VII di Borbone.

Nel 1814 restò al fianco di Napoleone, che lo nominò luogotenente generale, e dopo l'abdicazione si rifugiò in Svizzera. Nel 1815, dopo il ritorno di Napoleone a Parigi (20 marzo), raggiunse il fratello ed ebbe la presidenza del Consiglio dei ministri quando l'imperatore partì per la guerra. Nel giugno, dopo Waterloo e la definitiva abdicazione di Napoleone, G. scelse di rifugiarsi negli Stati Uniti d'America; il 28 agosto sbarcò a New York, dove prese il nome di conte di Survilliers. Ben fornito di denaro, nel 1816 acquistò una tenuta a Point Breeze, presso il fiume Delaware, e la ingrandì in seguito, come aveva fatto per Mortefontaine. Nella bella casa, e nella villa di Filadelfia che abitava d'inverno, riprese la vita fastosa di un tempo. Seguì da lontano le vicende della famiglia e la politica francese. Nel 1830, dopo la rivoluzione che portò sul trono Luigi Filippo d'Orléans, rivendicò i diritti del figlio di Napoleone, e nel 1832 tornò in Europa, a Londra, sperando d'ottenere il rientro in Francia dei Napoleonidi. Dal 1835 fu di nuovo a Point Breeze, e nel 1841 ebbe il permesso di risiedere in Italia: fu prima a Genova, poi a Firenze, dove morì il 28 luglio 1844. Napoleone III nel 1862 ne fece portare le ceneri a Parigi, agli Invalidi.

A Firenze si era ricongiunto alla moglie, che non lo aveva seguito in America, e alla figlia Zenaide, maritata col cugino Carlo Luciano; l'altra figlia, Carlotta, era morta nel 1839. Tra i tanti amori, G. in Spagna aveva avuto una relazione duratura con la marchesa di Monte Hermoso; in America nel 1822 ebbe una figlia illegittima, Carolina, da una quacchera, Annetta Savage, e forse un figlio, Felice Giuseppe, dalla creola Emilia Lacoste, moglie d'un ex ufficiale dell'esercito imperiale.

Fonti e Bibl.: A. Du Casse, Mémoires et correspondance politique et militaire du roi Joseph, I-X, Paris 1854-55; J.S.C. Abbot, History of Joseph B.in America, New York 1869; A. Du Casse, Les roisfrères des Napoléon Ier, Paris 1883; J. Bertin, Joseph Bonaparte enAmérique, Paris 1893; F. Masson, Napoléon et sa famille, I-IX, Paris 1897-1909; R.M. Johnston, The Napoleonic Empire in SouthernItaly, London 1904; J. Rambaud, Naples sous JosephBonaparte, Paris 1911; C.E. Macartney - G. Dorrance, The Bonapartes in America, Philadelphia 1939; B. Nabonne, Joseph Bonaparte, le roi philosophe, Paris 1949; O. Connelly, The gentle Bonaparte, New York 1968; G. Girod de l'Ain, Joseph Bonaparte, leroi malgré lui, Paris 1970; M. Ross, The reluctant king, London 1976; Enc. Italiana, XVII, pp. 379 s.

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