CANEPA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 18 (1975)

CANEPA, Giuseppe

Andreina De Clementi

Nacque a Diano Marina (Imperia) il 15 marzo 1865 da famiglia, agiata. Il padre Gerolamo, commerciante di olio, morì quando egli aveva solo due anni; la madre, Costanza Strafforello, era figlia del noto pedagogista. Dopo gli studi secondari, si laureò in legge all'università di Roma; lì ebbe occasione di frequentare le lezioni di filosofia tenute da Antonio Labriola ed ebbe tra i compagni di corso Benedetto Croce. In quegli anni, si era intorno al 1885, il Labriola svolgeva quel commento al Capitale pubblicato più tardi col titolo Saggiintorno alla concezione materialistica della storia. Questo apprendistato intellettuale e l'amicizia col grande filosofo marxista incisero profondamente sulla formazione del giovane C. e ne determinarono l'adesione al socialismo.

Tornato in Liguria, prese a esercitare l'avvocatura e si diede al tempo stesso, con l'abnegazione e l'entusiasmo del pioniere, alla milizia socialista. Nel 1887 il paese natìo venne distrutto da un terremoto; il C. cooperò alla sua ricostruzione e la popolazione del luogo lo elesse a rappresentarla nell'amministrazione comunale (14 luglio 1890), dove ricoprì anche la carica di assessore (dal 24 nov. 1893), e gli confermò la fiducia il 23 apr. 1894.

Il 1887 fu, per la Liguria, un anno difficile; la denuncia del trattato commerciale con la Francia ebbe ripercussioni rovinose sull'agricoltura della regione, specializzata nella produzione di olio destinato all'esportazione. Il C., proprietario egli stesso di terre situate nel mandamento di Diano Marina, e conoscitore dei problemi agricoli, si adoperò a diffondere metodi di coltura più razionali, fondò il Consorzio agrario cooperativo di Oneglia e la cattedra ambulante di agricoltura della provincia di Porto Maurizio, dove fu chiamato, dietro suo consiglio, il dottor Mario Calvino. Egli concepì queste iniziative inserite in un disegno più vasto tendente a collegare il movimento dei piccoli coltivatori con quello più specificamente proletario della grande industria del Genovesato.

Ma le sue energie non si esaurivano in un ambito puramente regionale. Il C. partecipò in prima persona alle vicende del socialismo italiano di quegli anni. Si iscrisse quasi dalla fondazione al Partito dei lavoratori italiani, trasformatosi poi in Partito socialista italiano, e mantenne contatti epistolari con i suoi maggiori dirigenti. Si legò ad Angiolo Cabrini, convalescente in Liguria da una lunga malattia, e con lui, forte di un'assai più ricca esperienza, plasmò la fisionomia del movimento operaio ligure, già orientato alla collaborazione di classe dalla tradizione mazziniana, dal godimento di privilegi salariali e dalla particolare struttura dei rapporti produttivi.

Con Giovanni Lerda ed altri, il C. fu tra i fondatori del settimanale Era nuova di Genova (1894), che subì numerosi sequestri ed ebbe tra i collaboratori F. Engels, E. De Amicis e Cabrini, e collaborò a La Lima di Oneglia, edizione locale dello stesso. Nell'ultimo decennio del secolo, la sua attività instancabile e multiforme ne fece una delle personalità più in vista del socialismo ligure, tanto che il prefetto di Porto Maurizio, zona in cui il C. aveva presieduto alla fondazione di una serie di leghe (a Diano Marina, a Oneglia, a Cervo, a Diano San Pietro), ebbe a definirlo "il principale agitatore e sovvertitore" di tutta la Liguria (Arch. centr. dello Stato, Casellariopolitico centrale, fasc. 24278). I rigori della reazione crispina non tardarono a colpirlo. Col Cabrini e con Giovanni Vacca aveva organizzato la Lega socialista genovese e contro di essa scattò l'applicazione della legge eccezionale del 19 luglio 1894: la lega venne sciolta con decreto prefettizio (21 ott. 1894) e i suoi esponenti rinviati a giudizio. Il 14 dic. 1894 il C. fu condannato a tre mesi di confino a Pistoia, pena commutata poi in appello (28 genn. 1895) in un mese da scontarsi a Pisa. Lì lo raggiunse la notizia che i socialisti di Oneglia lo avevano candidato alle elezioni politiche per quel collegio. Il C., vera e propria incarnazione di quel socialismo ottocentesco che all'intransigenza teorica e politica anteponeva il culto delle virtù morali, aveva saputo circondarsi del rispetto anche degli avversari; stando infatti al suo biografo Bettinotti, in quella circostanza il suo antagonista, il liberale democratico Giuseppe Berio, corse a Roma per dichiarare che non si sarebbe presentato alle elezioni se l'altro non fosse stato messo in grado di partecipare alla campagna elettorale. Il C. uscì sconfitto dal confronto, ma riportò ben 1.053 voti.

Il mese di confino non fu l'unico momento di collisione con le leggi crispine. Nel corso della stessa campagna elettorale, pubblicò un opuscolo per sostenere la candidatura di Garibaldi Bosco; ne seguì il sequestro e poi l'assoluzione dell'autore. Già l'anno precedente aveva subito un trattamento analogo; il luglio 1894aveva pubblicato su La voce del popolo di Ravenna, una lettera aperta diretta a Filippo Turati, in cui esprimeva la sua solidarietà con i protagonisti dei moti di Lunigiana (E per quei di Lunigiana?);il giornale era stato sequestrato, e il C. processato per apologia di ribellione e dei delitti commessi in Lunigiana, ma assolto dal tribunale di Ravenna per inesistenza di reato (28 febbr. 1895). A un altro processo fu sottoposto a seguito dello scioglimento di due circoli socialisti genovesi, costituiti dopo lo scioglimento della Lega; con lui era tra gli altri, questa volta, anche Giovanni Lerda. La condanna fu di quarantadue giorni di confino a Casale Monferrato, ma, sopravvenuta la cessazione degli effetti delle leggi eccezionali, gli imputati furono tutti assolti in appello (11 febbr. 1896).Nello stesso anno, nuova denuncia e nuovo scioglimento dei circoli (12 dic. 1896).

Il C., grazie alla posizione di rilievo raggiunta, fece parte della delegazione della Lega socialista di Oneglia ai congressi di Reggio Emilia (1893) e Imola (1894). Il suo orientamento politico e programmatico era assai vicino a quello della maggioranza turatiana, fortemente impregnato di gradualismo riformista e fautore della necessità di un programma minimo che considerava l'acquisizione socialista delle amministrazioni pubbliche locali come punto di partenza e passaggio obbligato per la rivoluzione sociale. Il 19 apr. 1896 prese parte al IV congresso regionale socialista ligure, che si svolgeva a Genova, e dettò lo statuto della federazione elettorale; l'anno seguente, al congresso nazionale del Partito socialista, a Bologna, firmò con Turati una relazione scritta sull'orientamento programmatico minimo (G. Canepa-F. Turati, Relazione per la riforma del programma minimo politico e amministrativo, Milano 1897); il terzo relatore doveva essere Arturo Labriola che, in disaccordo con gli altri due, ritirò la sua firma.

Il grandioso sciopero generale di Genova del 1900 vide il C. a fianco delle leghe portuali. Diresse l'agitazione Ludovico Calda, altro ragguardevole esponente del socialismo ligure, che divenne subito dopo segretario della Camera del lavoro cittadina e rimase in carica per due decenni.

Nel 1903 il congresso delle Leghe mutue e cooperative liguri (26 aprile) decise la fondazione di un quotidiano; nacque così Il Lavoro e a dirigerlo venne chiamato il Canepa. A causa di questo incarico, egli si trasferì definitivamente a Genova con la famiglia, la moglie Giovanna Acquarone e i loro due figli. Da allora in poi, si dedicò quasi esclusivamente a quest'attività e la sua biografia si identificherà con le vicende del giornale.

Il quotidiano fu essenzialmente organo delle associazioni operaie e rivendicò questo legame in polemica col partito socialista, di cui non intendeva tollerare le ingerenze, e che gli garantiva l'autonomia necessaria a sviluppare il suo discorso riformista fino alle estreme conseguenze. Prese posizione contro l'anticlericalismo "mangiapreti" alla Podrecca e, adesso che era ormai in atto la svolta liberale della politica italiana, adottò un atteggiamento conciliante verso il governo e la classe dingente, ignorando le reticenze e le cautele del Partito socialista; durante il ministero Zanardelli, si pronunciò senza mezzi termini per la partecipazione socialista al governo. Inaugurò anche un nuovo stile giornalistico, che negava spazio alle esibizioni mattatorie dei pubblicisti e alle polemiche personali, imperanti nel giornalismo del tempo. Il primo numero del nuovo quotidiano, Il Lavoro, uscì il 7 giugno 1903.

Con l'avvento dell'età giolittiana e l'insorgere dei contrasti tra riformisti e sindacalisti in seno al Partito socialista italiano, il movimento operaio ligure perse la sua primitiva omogeneità politica e i riformisti locali, il C. in prima linea, cercarono di imporre pesantemente la loro egemonia e di mettere a tacere i dissenzienti. Nel gennaio 1905 si delineò una netta frattura tra la sezione di Genova e quella di Sampierdarena, a carattere più spiccatamente operaio. Gli esponenti riformisti espulsero da quest'ultima sei iscritti di tendenza rivoluzionaria, considerati tra i più molesti; la sezione si dichiarò solidale con gli espulsi e Il Lavoro, con un vero e proprio colpo di mano, ne annunciò lo scioglimento, poi sconfessato. La direzione del partito cercò di arrivare a una conciliazione, ma senza successo; si giunse così alla costituzione di due sezioni distinte. Resisi invisi alla base, gli uomini più in vista del movimento ligure, il C., L. Calda, R. Savelli e altri, erano rimasti esclusi dalle organizzazioni e, sul finire dell'anno, costituirono una Federazione socialista genovese autonoma dal partito, di cui il C. era l'esponente di maggior rilievo.

Il tentativo riformista di egemonizzare il movimento operaio locale era dunque fallito. Alla vigilia del IX congresso nazionale (1906) i riformisti erano quasi ovunque, in Liguria, fuori del partito. Era però loro intenzione rientrarvi e riconquistare le posizioni perdute; chiesero infatti, fin dal 31 agosto, di venire ammessi all'imminente congresso nazionale e a condurre le trattative, concluse con esito positivo, vennero delegati il C. e il Savelli.

Questa prima fase della crisi riformista era dovuta alla radicalizzazione delle lotte operaie di quegli anni che aveva temporaneamente tolto spazio alla collaborazione con la classe dirigente giolittiana, ma volgeva ormai al termine. Le ripercussioni delle sconfitte subite nonché le prime avvisaglie della crisi del 1907 giocarono a favore del blocco turatiano, di cui il C. era il vero e proprio avamposto in Liguria, che riguadagnò le precedenti posizioni maggioritarie. Con la vittoria del congresso di Firenze (1908) il C. entrò a far parte della direzione del partito e vi rimase fino all'espulsione del gruppo bissolatiano, cui egli stesso apparteneva.

Alle elezioni del 1909 il leader genovese venne candidato nel collegio di Genova I, dove risultò secondo dopo l'operaio verniciatore Pietro Chiesa, il quale, eletto contemporaneamente a Sampierdarena, optò per quest'ultimo collegio.

Le libertà democratiche garantite dal regime giolittiano avevano mutato l'atteggiamento del C., schierato ormai su posizioni conseguentemente moderate, e, alla lunga, ciò non mancò di richiamare l'attenzione delle autorità di polizia: intorno al 1911 rividero definitivamente il giudizio sulla sua pericolosità e cessarono la stretta vigilanza cui era stato sottoposto fino allora (cfr. Arch. centr. d. St., Casellario).

La guerra di Libia lo vide a fianco dei suoi fautori socialisti e di essi condivise la sorte allorché il partito socialista, il cui equilibrio interno si era nuovamente spostato a sinistra, ne decretò l'espulsione. La maggioranza socialista genovese si allontanò dal partito in segno di protesta contro un provvedimento ritenuto ingiustificato, rinnovò al C. la sua completa fiducia e si costituì in gruppo autonomo. Alle elezioni dell'anno successivo il C. presentò nuovamente la sua candidatura, e in suo favore si pronunciarono i gruppi autonomi e altre organizzazioni operaie. Candidato ufficiale del Partito socialista fu Costantino Lazzari, che gli strappò solo qualche centinaio di voti, mentre la direzione del partito autorizzò a votare lui, A. Cabrini, Q. Nofri e Arturo Labriola nei ballottaggi. Il Manzotti avanza l'ipotesi che il C. avesse chiesto l'aiuto della massoneria per cautelarsi dalla concorrenza del candidato di destra Rembado.

Allo scoppio della guerra mondiale sostenne le ragioni dell'interventismo democratico. In nome della democrazia e della libertà, era necessario schierarsi a fianco dell'Intesa contro l'aggressione perpetrata dal militarismo tedesco. La rinuncia del proletariato a partecipare alla guerra gli avrebbe fatto perdere il diritto a trasformarsi in classe dirigente.

La sua ripulsa del neutralismo del Partito socialista fu netta ed egli, in specie dalle colonne del Lavoro, divenuto polo d'attrazione dell'interventismo genovese, non esitò a combatterlo con tutti i mezzi, leciti e illeciti, come avvenne in occasione della missione compiuta dal Südekum in Italia (sett. 1914) per spiegare le ragioni del cedimento della socialdemocrazia tedesca di fronte alla guerra. L'accoglienza del Partito socialista al leader tedesco fu fredda, ma gli interventisti colsero lo spunto per accusare i socialisti italiani di solidarietà col blocco austro-germanico e Il Lavoro dette il la a questa campagna pubblicando una serie di notizie raccolte da certo Paoloni passato poi al Popolo d'Italia -, secondo cui i socialisti tedeschi intendevano prendere accordi col Partito socialista per garantire la neutralità italiana e impedire un conflitto italo-austriaco.

L'iniziativa del Lavoro fuin questo periodo parallela a quella del Popolo d'Italia e quando Mussolini si recò a Genova per tenere una conferenza all'università popolare la sera del 29 dic. 1914, seguito da una folla ostile e urlante, si recò poi alla redazione del Lavoro, dove ebbe un colloquio con il Canepa. Anche Salandra, poco prima dell'intervento italiano, il 15 maggio, consapevole del seguito e del prestigio di cui, sia pure in misura ora assai più limitata, il C. continuava a godere in Liguria, lo invitò espressamente a fare opera di moderazione.

Dopo l'intervento, il C., già cinquantenne, si arruolò volontario nell'esercito col grado di capitano e fu assegnato al 90º fanteria dove era volontario anche il figlio diciottenne Gerolamo, mentre la figlia prestava servizio nella Croce Rossa. Comandante della 4ª compagnia, rimase ferito al viso combattendo sul Mrzli (21 ott. 1915) e fu decorato con medaglia d'argento.

Il successivo ritorno alla vita civile lo vide per qualche tempo tra i protagonisti della politica italiana. Egli pronunciò alla Camera un discorso che suscitò una vasta eco (15 marzo del 1916) e che fu una delle cause non secondarie della caduta del gabinetto Salandra, nel giugno successivo; vi sostenne la necessità di stabilire un legame più stretto tra paese, Parlamento e governo dando vita a un ministero di solidarietà nazionale. Alle dimissioni di Salandra seguì la formazione del governo Boselli, di cui furono chiamati a far parte esponenti del socialismo riformista, quali Bissolati e Bonomi e, sulla loro scia, il C., che dal gennaio al giugno 1917 fu sottosegretario all'Agricoltura. Il loro ingresso nell'area governativa avvenne a titolo personale, senza cioè la delega del loro partito, che mantenne un atteggiamento di autonomia e cautela, di collaborazione critica.

L'esperimento di coalizione ebbe, però, una breve durata: quando il generale Giacinto Ferrero occupò l'Albania e la proclamò protettorato italiano, senza una previa discussione e decisione del Consiglio dei ministri, il Bissolati addusse l'episodio a riprova dell'impossibilità di continuare a condividere responsabilità di governo, e con lui si dimisero anche i suoi compagni di fede.

Dal giugno all'ottobre 1917 fu affidata al C. la direzione del Commissariato generale degli approvvigionamenti e consumi, incarico assai delicato, che egli amministrò con onestà (si valutò che avesse gestito un movimento di circa 18 miliardi senza, come allora avveniva spesso in circostanze del genere, approfittare dell'occasione per arricchirsi), ma senza altrettanta abilità. Fu infatti nel periodo della sua gestione che si verificarono i moti di Torino dell'agosto 1917 e su di lui ne ricadde una sia pur indiretta responsabilità. Sul suo operato Antonio Gramsci ebbe a formulare un giudizio piuttosto pesante, attribuendo la mancanza di pane, occasione dei moti, non al caso ma "al sabotaggio della burocrazia giolittiana, e in parte all'inettitudine di Canepa..." (A. Gramsci, Passato e presente, Torino 1952, pp. 51 s.).

Nel frattempo anche il socialismo interventista si poneva il problema di stringere legami tra le sue diverse correnti. Nel novembre 1917 il C. fu uno dei membri del comitato promotore dell'Unione socialista italiana, in cui erano rappresentate tendenze di varia provenienza e le istanze socialiste erano subordinate alle esigenze belliche; al congresso costitutivo (12-14 maggio 1918), egli entrò nella direzione centrale. Presenziò ad alcune importanti assise internazionali, quali la conferenza internazionale di Londra, che dette l'avvio alla ricostituzione della II Internazionale (settembre 1918) e la successiva conferenza di Lucerna, in cui la delegazione italiana propose tra l'altro l'istituzione di un Consiglio superiore internazionale del lavoro con poteri consultivi. Fu anche uno dei dirigenti del Movimento per le nazionalità oppresse, che si richiamava all'interventismo democratico di marca bissolatiana.

Gli avvenimenti del dopoguerra, le ripercussioni della rivoluzione russa, la radicalizzazione dei contrasti sociali misero in crisi il riformismo anche in Liguria. Il suo orientamento mal si conciliava con i nuovi problemi e le nuove istanze espresse dalla classe operaia. I suoi maggiori esponenti videro scemare il prestigio di un tempo e i sintomi più tangibili di ciò furono le dimissioni di Ludovico Calda dalla Camera del lavoro di Genova a seguito della secessione dell'organizzazione rossa di Sampierdarena e la sconfitta riportata dal C. alle elezioni del 1919.

Tendenze ccntrifughe e autonomistiche contrassegnarono il processo di disgregamento del socialismo riformista; in Liguria si formò un Partito del lavoro a base regionale che raccolse interventisti riformisti, tra cui il C., e gli interventisti nazionalisti e dannunziani che facevano capo al capitano G. Giulietti. Costoio formarono una lista elettorale in cui confluirono i primi. Posto in concorrenza col Giulietti, che contava sulla forte base dei lavoratori del mare, il C. ebbe la peggio.

Quando il fascismo era ormai alle porte e molti partiti ed esponenti politici di rilievo non furono in grado di individuare la portata della svolta in atto e si resero disponibili per molteplici compromissioni, il C. si mostrò assai più intransigente di alcuni suoi stessi compagni di fede. In vista delle nuove elezioni del 1921, molti candidati del Partito socialista riformista aderirono ai blocchi nazionali; il leader genovese, sempre attraverso quella sua creatura che era Il Lavoro, si oppose invece energicamente sia al movimento fascista sia ai blocchi e uscì dal partito di Bissolati per fondare il Partito socialista autonomo, di dimensione regionale, in cui confluirono nuclei di operai genovesi. Il C. tentò dapprima di mettere insieme una lista unica con i socialisti unitari di A. Baratono, ma senza successo; si presentò quindi alle elezioni con una lista "Socialista autonoma", e venne rieletto.

La rappresaglia fascista non tardò a colpirlo: nel marzo 1922 la sede del Lavoro venne devastata per la prima volta. Alla fine del 1922 si ritirò dalla direzione del quotidiano e la riassunse dopo due anni; il suo posto fu per pochi mesi di Ludovico Calda e poi di Carlo Bordiga. Nello stesso periodo aderì al Partito socialista unitario a nome del quale, il 6 febbr. 1923, lesse alla Camera una dichiarazione programmatica in cui si precisavano i motivi dell'opposizione di principio al regime.

In questa fase, il suo atteggiamento fu di rigorosa e attiva opposizione al fascismo; ad esso chiese conto, in Parlamento, dell'arresto di Piero Gobetti (4 giugno 1923) e denunciò le violenze e le devastazioni subite da alcune società di mutuo soccorso genovesi ad opera degli squadristi. Come sempre, il suo maggiore strumento d'intervento fu IlLavoro, il cuiorientamento aveva più volte ispirato ai fascisti locali propositi di rappresaglia.

Nel corso dell'arroventata campagna elettorale del 1924 si ebbe a Genova una grave aggressione fascista. Il 27 gennaio, prima domenica elettorale, era in programma un comizio del socialista unitario Gonzales nella palestra Umberto I. Appena questi ne varcò la soglia, fece irruzione un gruppo di fascisti armati di bastone, che dispersero brutalmente i convenuti e tennero il comizio. Il bilancio fu di una quindicina di feriti, tra cui il C., il Gonzales e Raffaele Rossetti. Il C. si era presentato nella lista del Partito socialista unitario e venne poi eletto con Francesco Rossi deputato per la Liguria.

La crisi seguita al delitto Matteotti lo vide schierato tra gli aventiniani, ma contro voglia, più per disciplina di partito che per convinzione. Egli dissentiva da una tattica che considerava rinunciataria e sostenne l'opportunità di combattere frontalmente una dittatura che minacciava altrimenti di durare un ventennio; previsione di sapore profetico, ma che suscitò l'incredula ironia di Filippo Turati.

Dopo aver partecipato, con Turati, Treves e altri, al II congresso internazionale di Marsiglia (settembre 1925), subì le conseguenze della sua partecipazione all'Aventino. Nell'ottobre 1926 Il Lavoro dovette sospendere le pubblicazioni (le riprese poi nel maggio 1927), e un mese dopo il C. fu tra i deputati dichiarati decaduti dal regime; negli stessi giorni la sede del giornale e la sua abitazione furono devastati e saccheggiati. Ciò segnò nella sua vita una vera e propria svolta. La sua generosa combattività subì un colpo che si riverberò sul sua stesso impegno politico. Lasciò Genova e, di fatto, la vita pubblica, e si trasferì a Diano Marina, dove, da allora in poi, condusse vita molto ritirata. Senza piegarsi apertamente al regime né rinnegare le sue convinzioni, optò per una soluzione di compromesso.

Nel 1927 Il Lavoro riprese a uscire sotto la sua direzione e si allineò sulle posizioni di Problemi del lavoro, l'organo dell'Associazione nazionale studio, fondata il 16 genn. 19-27, dopo l'autoscioglimento della Confederazione generale del lavoro, da un gruppo di dirigenti riformisti tra cui Rinaldo Rigola. Problemi del lavoro si proponeva di far accettare ai lavoratori i principi della collaborazione di classe e dello Stato corporativo, ritagliandosi entro questo ambito margini di autonomia che non compromettevano l'interessata tolleranza del regime nei suoi confronti. Il C. fu personalmente estraneo a questa iniziativa, ma l'allinearsi ad essa gli consentì l'esercizio di un relativo anticonformismo che valse la collaborazione al Lavoro, tra gli altri, di Giovanni Ansaldo, Luigi Salvatorelli e del giovane Leo Ferrero. Da allora in poi egli rinunciò comunque a qualsiasi aperta manifestazione di dissenso col regime, tanto che, nel 1929, venne radiato dallo schedario dei sovversivi.

Nel marzo 1938, ormai avanti negli anni, lasciò a Ludovico Calda la direzione del Lavoro, e vi rimase in veste di redattore. Nell'aprile 1940 il regime lo costrinse a vendere il giornale, di cui era anche il maggior azionista, alla Confederazione dei lavoratori dell'industria, mediante la cessione della maggioranza del pacchetto azionario. Fu questo forse l'episodio più doloroso della sua vita.

Alla caduta del fascismo, riallacciò una serie di contatti politici, specie con Soleri, Bonomi e Caviglia ed entrò nel Partito socialista italiano di unità proletaria. Consultore nazionale in rappresentanza della Camera dei deputati, nel giugno 1946 venne eletto nella lista socialista deputato all'Assemblea costituente per il collegio di Genova. Dopo la scissione di palazzo Barberini, aderì al Partito socialista dei lavoratori italiani; il 18 apr. 1948 fu nominato senatore a vita. Alla fine dell'anno, il 22 dicembre, morì a Roma nella clinica Villa Bianca, per i postumi di una caduta occorsagli mentre si recava al Senato.

Fonti e Bibl.: Arch. centrale dello Stato, Casellario politica centrale, fasc. 24278; F. Turati-A. Kuliscioff, Carteggio, a cura di A. Schiavi, V, Dopoguerra e fascismo, Torino 1953, pp. 129, 150 s., 484, 503, 522, 540, 552, 559; VI, Il delitto Matteotti..., ibid. 1959, pp. 7, 9, 15 s., 22 s., 54, 69, 86, 92, 98, 101, 107, 155 n., 159 n., 165, 170, 176, 201, 345, 349 s., 360, 402 s., 407, 424, 427, 429, 471, 497, 500, 503. Cfr., inoltre, necrol. in L'Umanità, 23 dic. 1948 e 30 dic. 1948, e in Genova, dicembre 1948; A. Angiolini, Social. e socialisti in Italia, Firenze 1900, pp. 209, 268, 304, 347; F. Paoloni, I südekumizzati del socialismo ital., Milano s.d., pp. 170, 234, 246; G. Giolitti, Mem. della mia vita, Milano 1922, p. 84; G. Piastra, Figure e figuri della Superba, Genova 1926, pp. 115-120; F. Meda, I cattolici italiani nella guerra, Milano1928, pp. 68, 70, 72; M. Bettinotti, Vent'anni dimovim. operaio genovese. P. Chiesa,G. C., L. Calda, Milano 1932, pp. 21, 29, 72 s., 74-77, 81, 83, 85, 88, 104, 127, 142, 175, 194 s., 200 s., 206; A. Malatesta, Ministri deputati,senatori dal 1848 al 1922, Milano 1940, sub voce; I. Bonomi, La politica ital.da Porta Pia a Vittorio Veneto, Torino 1944, pp. 289, 293, 378; L. Salvatorelli-G. Mira, Storia d'Italia nel periodo fascista, Torino 1957, pp. 234, 256, 290, 319, 360, 375; P. Spriano, Torino operaia nella grande guerra, Torino 1960, pp. 228, 257, 268, 279 n.; L. Ambrosoli, Né aderire nésabotare, Milano 1961, pp. 29, 205, 284; G. Perillo, Socialismo e classe operaia nel Genovesato ..., in Movim. operaio e social. in Liguria, VII (1961), pp. 35-36, 285-333; S. Cannarsa, Il socialismoin Parlamento..., Roma 1965, pp. 93, 123, 137, 142, 152, 156, 164, 197, 213, 218, 261, 277, 292, 298-99, 302; R. De Felice, Mussolini il rivaluzionario, Torino 1965, pp. 149, 175, 328, 333, 382; F. Manzotti, Il socialismo riformista inItalia, Firenze 1965, pp. 31, 42 s., 58, 60, 118, 121 s., 126, 128, 132, 134, 156 s., 159 s., 165 ss., 186 s.; Ch. F. Delzell, I nemici di Mussolini, Torino 1966, p. 92; G. Mammarella, Riformisti e rivoluzionari. P.S.I. 1900-1912, Padova 1968, pp. 234, 262 s., 270, 344, 349 s.; L. Cortesi, Il social. italiano tra riforme e rivoluzione,1891-1921, Bari 1969, pp. 22, 83 s., 87, 124, 136, 141, 329, 557; Id., Le origini del P.C.I, Bari 1972, pp. 26, 68, 332 n.; Encicl. dell'antifascismo e dellaResistenza, I, pp. 441 s.; Encicl. Italiana, App., II, 1, p. 501; III, 1, p. 304.

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