GIUSEPPE da Copertino, santo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 57 (2001)

GIUSEPPE da Copertino, santo

Piero Doria

Giuseppe Maria Desa nacque il 17 giugno 1603 a Copertino, presso Lecce, ultimo dei sei figli di Felice, artigiano, e Franceschina Panaca, donna di costumi austeri, divenuta in seguito terziaria francescana.

Nato in una stalla a poca distanza dal piccolo centro salentino dove la madre si era rifugiata per sfuggire ai creditori e alla legge (il padre era ricercato dalla giustizia per insolvenza), ricevette da lei un'educazione severa e improntata ai più rigorosi insegnamenti cattolici. Avviato agli studi all'età di sette o otto anni, G. non dimostrò però una particolare predisposizione; anzi, gli anni di studio furono per lui difficili e trascorsero tra lo scherno dei compagni e una profonda solitudine. A peggiorare la sua già precaria condizione psicofisica intervenne una grave patologia, che tenne il giovane nell'immobilità del letto per quasi cinque anni, facendogli abbandonare la scuola. Guarito ormai quindicenne (per intercessione, come egli credette, della Madonna delle Grazie, al cui santuario nella vicina Galatone, presso Lecce, si era recato in pellegrinaggio accompagnato dalla madre), G. intraprese varie attività lavorative, senza, però, particolare successo. Un profondo sentimento religioso manifestatosi in lui già prima della malattia e accentuatosi nel suo corso lo indusse ad abbandonare il secolo per entrare in un ordine monastico, nonostante l'opposizione dei parenti e in particolare di tre zii, tutti minori conventuali (G. Panaca, G. Caputo, F. Desa), che giudicarono inopportuna la sua vocazione.

Dopo aver prestato per qualche tempo servizi minori nel convento di S. Maria di Casole, presso Lecce, nel 1620 G. fu finalmente accolto come novizio, con il nome di fra Stefano, nel convento dei cappuccini di Martina Franca. Più tardi, però, ritenuto non idoneo, venne privato dell'abito e allontanato; tornando a Copertino, si fermò ad Avetrana, dove incontrò lo zio Desa, impegnato nella predicazione quaresimale in quei luoghi, che lo informò della morte del padre e delle disavventure giudiziarie che aveva ereditato. Così G. rientrò a Copertino in segreto e trascorse quasi sei mesi nascosto in una chiesa, fino a quando, divenuto oblato e potendo perciò godere dell'immunità ecclesiastica, fu aggregato al convento dei frati minori conventuali della Grottella.

Nel 1625 divenne frate laico e, nello stesso anno, chierico, per interessamento dello zio Caputo che l'aveva preso sotto la sua custodia. Concluso l'anno di noviziato, nel quale fu diretto dall'altro zio, il Panaca, nel 1626 G. emise i voti di obbedienza, povertà e castità. Il 3 genn. 1627 prese gli ordini minori, il 27 febbraio divenne suddiacono, il 20 marzo diacono e un anno dopo, il 28 marzo 1628, fu ordinato sacerdote da G.B. Deti, vescovo di Castro di Puglia. Tuttavia, per ragioni legate alla posizione del prelato che rendevano irregolare l'ordinazione, poté celebrare la prima messa solo qualche mese più tardi (non prima del 7 giugno, data del decreto di assoluzione della Sacra Penitenzieria apostolica).

I primi anni di sacerdozio di G. furono segnati da comportamenti esasperati, come ammise successivamente, con lunghi digiuni e dolorose mortificazioni corporali. Il 4 ott. 1630, dopo esperienze interpretate come stati di estasi, durante la processione in onore di s. Francesco G. sperimentò ciò che parve una levitazione. Da allora la tradizione riporta una frequenza quasi quotidiana di tali eventi, tanto che il santuario della Grottella divenne luogo di pellegrinaggio per numerosi fedeli e curiosi. La notorietà di G. oltrepassò i confini del Salento, tanto che, quando nel 1634 il nuovo ministro provinciale dell'Ordine, Antonio da San Mauro, intraprese la visita dei conventi nella sua giurisdizione, lo volle nel suo seguito. Così G. visitò numerosi conventi delle custodie di Brindisi, Lecce, Taranto, Bari, Barletta e Matera. Mentre di questi passaggi rimangono poche notizie, ne restano invece per Giovinazzo, dove G. sostò per la seconda volta sulla via del ritorno, su ordine del ministro provinciale sollecitato dalla città.

In questa visita celebrò la messa nella cattedrale e passò nel monastero di S. Giovanni Battista; si riporta che in entrambe le occasioni si manifestarono le ormai ricorrenti esperienze estatiche e di levitazione. Nei confronti di G. vennero però presentate denunce al vicario apostolico G. Palamolla e il 26 maggio 1636 fu redatto e inviato a Roma un formale atto di accusa contro di lui, che al momento fu archiviato. In seguito, però, divenuto vescovo di Giovinazzo C. Maranta (settembre 1637), nei primi mesi dell'anno seguente questi ebbe l'ordine di assumere informazioni sull'accaduto, esaminando vecchi e nuovi testimoni. L'Inquisizione romana ritenne le prove sufficienti perché G. fosse convocato a Napoli per esservi interrogato dal S. Uffizio. Ricevute le lettere obbedienziali, partì da Copertino il 21 ott. 1638, giungendo nella capitale del Regno alla fine di novembre. A Napoli fu interrogato dall'inquisitore A. Ricciullo il 25 e 27 novembre e il 1° dicembre. Concluse le audizioni, G. dovette superare l'ultima prova, la celebrazione della messa davanti agli inquisitori, nella chiesa del monastero di S. Gregorio Armeno. I documenti riportano che, conclusa la funzione, durante l'atto di ringraziamento ebbe ancora un'esperienza di levitazione; dopo di ciò il Ricciullo chiuse l'istruttoria, inviando gli atti al S. Uffizio a Roma. In attesa delle decisioni della congregazione, G. fu in stato di costrizione a Napoli, nel convento di S. Lorenzo. Convocato a Roma, partì dopo aver superato alcune difficoltà sorte dalla sua crescente fama.

A Roma risiedette presso il convento dei Ss. Apostoli. Il processo, presieduto da F. Albizzi, si concluse il 18 febbr. 1639 con la piena assoluzione dall'accusa di affettata santità e abuso della credulità popolare. Tuttavia, per tenerlo lontano dalla curiosità popolare, il tribunale decise di trasferire G. dal santuario della Grottella in un luogo dello Stato pontificio non distante da Roma. La scelta cadde sul convento di Assisi, dove egli giunse il 30 apr. 1639. Accompagnato dal custode nella locale basilica, si racconta di una nuova levitazione di fronte alla Madonna del Cimabue. Ad Assisi, tuttavia, non gli mancarono i problemi; il nuovo custode e vecchio amico, Antonio da San Mauro, tenne nei suoi confronti un atteggiamento ispirato a freddezza e rigidità. A complicare le cose sopraggiunsero un indebolimento fisico e l'animosità di confratelli gelosi, che progettarono di rapire G. e gettarlo dalle mura del convento. Ma furono in primo luogo la nostalgia del monastero della Grottella e della terra natia ad accentuare il suo sentimento di disagio e a spingerlo a scrivere più volte ai superiori di Roma per chiedere di essere trasferito a Copertino. Questo desiderio era però difficilmente esaudibile, stante il decreto del S. Uffizio.

Nel febbraio 1644 G. si recò a Roma, dove incontrò anche Giovanni Casimiro Wasa, fratello del re di Polonia Ladislao VII, per perorare senza successo la causa del trasferimento; tornò ad Assisi il 6 marzo. Qualche tempo dopo fu colpito da un grave lutto, la morte della madre, avvenuta il 15 genn. 1645. Nel 1646 le notizie sulle sue presunte esperienze mistiche divennero così frequenti che gli fu fatto divieto di celebrare in pubblico. Nonostante una vita condotta ormai in perfetto isolamento, la fama di G. richiamava un numero crescente di fedeli che si recavano al convento per incontrare il futuro santo. Ebbe anche visitatori illustri, come la principessa Maria, figlia di Carlo Emanuele di Savoia, e soprattutto il protestante Giovanni Federico di Sassonia, convertitosi successivamente al cattolicesimo. Dopo questi fatti il S. Uffizio intervenne nuovamente e il 19 luglio 1653 Innocenzo X ordinò il trasferimento di G. nel convento di S. Lazzaro di Pietrarubbia, presso Macerata. Ma ancora, nonostante la collocazione periferica del nuovo monastero, l'afflusso alle celebrazioni eucaristiche del frate suggerì un nuovo spostamento. Il 28 sett. 1653 venne tradotto a Fossombrone, dove rimase fino al 6 luglio 1657, quando per ordine di Alessandro VII fu trasferito a Osimo, presso Ancona, dove trascorse gli ultimi sei anni di vita in completo isolamento.

G. morì a Osimo il 18 sett. 1663. Beatificato il 24 febbr. 1753 da Benedetto XIV, venne canonizzato da Clemente XIII il 16 luglio 1767.

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