DE LUCA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 38 (1990)

DE LUCA, Giuseppe

Gabriele De Rosa

Nacque a Sasso di Castalda (Potenza) il 15 sett. 1898 da Vincenzo e Raffaella Viscardi. Trascorse la fanciullezza a Brienza, piccolo borgo poco distante da Sasso, in casa della nonna materna, essendogli venuta a mancare la madre, colpita da febbre puerperale.

I boschi e la montagna di questa parte della Basilicata, allora fra le aree più povere e poco frequentate della regione, rimasero impressi nella sua mente. Ricordò sempre quella vita semplice, fra gente parsimoniosa, che conservava l'abitudine della pratica dei sacramenti. Il clima religioso che visse in famiglia era alimentato dal culto di s. Alfonso, che il D. definì il suo "maestro di vita cristiana": "Ogni qual volta io comunque mi riaccosto a S. Alfonso - scrisse in una agile biografia del santo - sento risvegliarmi, nel fondo dell'anima, tutta la dolcezza attenta della mia infanzia". Nutrì un grande amore per la sua terra e per il Mezzogiorno, un amore colto, storico e metafisico insieme, l'amore che gli veniva sentendo "sin da fanciullo" nomi come Melandro, Tanagro, Sele, Palinuro, Elea, Metaponto: "mi sento turbare - scriveva ancora un mese prima della scomparsa - tutte le volte da quelle terre, quei cieli, quei boschi, quelle acque, quei luoghi senza storia così poveri e antichi. Tutte le volte...". Non era un meridionalista, non sapeva né di economia, né di riforme sociali. Il suo registro di ascolto era religioso, tale da fargli scrivere e parlare con una incredibile intensità intellettiva di quella luce millenaria di civiltà e di pensiero che dai Focesi ai Bizantini si era sedimentata nel Mezzogiorno; e fu, con molta probabilità, la fusione di queste due esperienze, la frequenza delle meditazioni alfonsiane sin dall'infanzia e la malinconia per una terra perduta, rivissuta filologicamente, il fondamento culturale da cui trasse l'idea di una "storia della pietà".

Dopo due anni di seminario a Ferentino, nel 1911 venne a Roma ed entrò al seminario minore, allora ubicato nell'edificio di S. Apollinare, seminario prestigioso, "organico" alla Roma ecclesiastica, da cui uscì un clero, che con termine familiare, fu chiamato "romano". E. Buonaiuti, scrivendo di mons. Luigi Chiesa, docente di filosofia al S. Apollinare, affermava che era "penetrato fino al midollo di quel senso universalistico della fraternità umana nei vincoli spirituali e carismatici della Chiesa, fatto di bonomia leggermente ironica e di comprensione sconfinatamente caritatevole, che costituisce il fondo inesauribile del ministero cattolico" (Pellegrino di Roma, Bari 1964, p. 26). Un ritratto che può adattarsi a molti altri insigni preti "romani": ad Angelo Roncalli, Alfredo Ottaviani, Domenico Tardini, fino al D. (Paglia, pp. 77 s.). Nel 194 passò al seminario maggiore che aveva sede in S. Giovanni in Laterano, ove ebbe docente, fra gli altri, nel quadriennio di teologia dal 1917 al 1921, lo storico Pio Paschini, di cui ritenne il modo scabro, essenziale, senza fervori, di fare lezione di storia. Più tardi conobbe le ricerche del Paschini e ne apprezzò il gusto e lo scrupolo di quella indagine erudita, che voleva "mettere in vista nella Chiesa e nella società tutta intorno, accanto ai fatti religiosi, i fatti giuridici (diciamo giuridici, non sociologici, non psicologici ecc.); insistere meno sui singoli, più sulla società cristiana" (G. D., Miscellanea Pio Paschini, I, p. 4).

II D. cercò i suoi maestri fuori dal seminario, e li scelse per fornire una base solida di studi alla sua vocazione, come la definiva scrivendo a G. Prezzolini, di "amoroso ricercatore della storia mistica dell'Italia" (De Luca-Prezzolini, Carteggio, Roma 1975, p. 51). Non dava giudizio positivo degli studi religiosi che si facevano in Italia nel primo decennio del secolo. Considerò "rigidissime, spesso repressive e più di una volta liquidatrici" le misure adottate contro il modernismo. Gli anni che seguirono alla condanna e alle misure "rigidissime" gli apparvero di quiete, ma di "quiete paurosa" (Il Popolo, 7 marzo 1925), giudizio che confermò nel 1952: "L'Italia, nel risveglio degli studi religiosi, determinatosi con sorprendente vigore nel secondo Ottocento, rimase addormentata; ... gli italiani oscillavano tra riverberi nuvolosi alla Buonaiuti e scoscendimenti sotterranei alla Benigni... . In Italia ... d'intelligenti in materia di studi religiosi non se ne videro ieri e non se ne vedono oggi se non molto pochi ...".

E fra questi pochi indicava appunto il Paschini, Alberto Vaccari, Angelo Mercati e Antonio Casamassa (Introduzione ad A. Vaccari, Scritti di erudizioni e di filologia, Roma 1952, I, pp. VII-XVI).

Fu ordinato sacerdote il 30 ott. 1921; nell'autunno del 1923 fu nominato cappellano dei vecchi poveri, ospitati dalle piccole suore dei poveri nella casa di piazza S. Pietro in Vincoli. Qui venne anche raccogliendo quella che sarebbe stata una delle più ricche biblioteche private di testi antichi e moderni di Roma, notevolissima per le cinquecentine, e per i titoli attinenti alla storia religiosa e della spiritualità. Fu cappellano fino al 1948.

Nel 1920 si iscrisse al corso di paleografia e diplomatica del Vaticano e alla facoltà di lettere di Roma, dove strinse rapporti di amicizia e di lavoro con Vittorio Rossi, Nicola Festa, Ettore Pais, Giovanni Gentile e Ernesto Buonaiuti. "Giovane - ricordò il D. in una lettera a B. L. Ullman - avevo cominciato filologo, e dovevo dare con Nicola Festa la Poetica di Aristotele in edizione critica, o meglio, nella storia del testo; passai quindi con Vittorio Rossi, e molta della prima ricerca fu cosa mia. Anche Rossi venne meno, e con lui la petrarchesca. Quando vennero i νεώτεροι (Billanovich eccetera o, meglio, et ceteri) io lasciai del tutto quel tema e quei testi" (Guarnieri, p. 278 n.). Non prese mai la laurea in lettere, preferendo la frequentazione assidua delle biblioteche e degli archivi e accumulando una quantità sterminata di note e schede, attraverso la lettura di codici e manoscritti medioevali e moderni, che ne fecero, ancora giovane, un prezioso suggeritore di ricerche e di studi. Ebbe sempre una sconfinata ammirazione per il mondo della grande erudizione ecclesiastica. Ebbe ancora il tempo di vedere, fra gli altri, Franz Ehrle e Louis Duchesne.

Fra il 1924 e il 1935, pur continuando ad alimentare con numerose ricerche il progetto di una storia della pietà, qualcosa che avrebbe dovuto assomigliare alla Geschichte der deutschen Mystik im Mittelalter di Johann Wilhelm Preger (una lettura che fece nel 1922) o anche all'Histoire littérairedu sentiment religieux en France, di Henri Bremond, si impegnò in una intensa attività giornalistica ed editoriale nel campo cattolico. Sembra una prospettiva lontana se non opposta a quella da lui vagheggiata riflettendo sulla ultima grande erudizione ecclesiastica, che aveva avuto appena il tempo di avvicinare, una volta conclusi gli studi teologici.

Quale fosse lo scopo di questo suo giornalismo di Azione cattolica, il D. rivelò al suo maestro Paschini in una lettera del 19 sett. 1924: "Vedere se è possibile a Roma far qualcosa di buono e di serio, per la cultura, oltre a quello che si fa negli altri istituti scientifici, e nei relativi loro Bollettini, Mélanges, Testi e Studi, Beiträge e simili inaccessibili alti forni di cultura.... Se si riuscisse a sostituire ai vari Giardinetti, alle varie Filotee, Scintille e Pagliette dei libri di sana pietà (dei santi e dei saggi cristiani); se si riuscisse a soppiantare i diversi Compendi di vite, vite e vitarelle e vitarelline di santi, con delle oneste monografie, di buon sapere e sapore; e questo, dico, si riuscisse a fare su pochi cattolici italiani, già mi riterrei felicissimo" (la lettera in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XVII[1963], pp. 7 s.). Si direbbe un programma dallo stile erudito settecentesco, che ricorda l'ardente saggio Della regolata divozion de' cristiani (1747) del Muratori. Un tentativo di far convergere tutta l'opera dell'Azione cattolica in una presenza di élite intellettuale, media, addestrata in buoni studi, nuovo nerbo di una borghesia intelligente, informata agli ideali di conciliazione fra cultura e politica, in grado di recuperare il terreno dell'opinione pubblica, oramai dominio degli avversari del cattolicesimo.

"Formare una classe dirigente", questo era il titolo di un suo articolo programmatico su Gioventti nova, organo dei giovani di Azione cattolica nel Lazio (30 ag. 124). La data ci rimanda alle settimane critiche per il fascismo, dopo il delitto Matteotti, e alle preoccupazioni proprie dei vertici dell'Azione cattolica di tenere i cattolici fuori dal clima delle polemiche del tempo e da ogni responsabilità politica. Le squadre fasciste non risparmiavano le sedi dei giovani cattolici. Di lì a due mesi Luigi Sturzo sarebbe stato costretto a lasciare l'Italia per l'esilio londinese; il D. rispondeva indicando un'altra strada, più lunga e lontana, quella ancora del libro, della formazione nei pochi "di una più solida e viva cultura", della preparazione per una nuova rinascenza del cattolicesimo, dopo gli isolamenti e le scissioni delle coscienze prodottesi con la rivoluzione liberale. Negli articoli del D. non ci sono più le paure del liberalismo e del socialismo, ma l'aspirazione a formare finalmente' una élite (i pochi) di intellettuali cattolici, di sode letture e di fine sentire ecclesiale. Fu l'editore di una collana intitolata "La Piccola raccolta", nella quale uscirono volumetti del benedettino Aidano Gasquet, del gesuita Mario Barbera, di Pio Paschini, Giuseppe Ricciotti, Orazio Premoli.

La collaborazione del D. con l'Azione cattolica durò fino al 1930: non ci fu rottura, ma "abbandono" ovvero progressivo disimpegno. Da una lettera di G. B. Montini, allora assistente ecclesiastico centrale della Federazione degli universitari cattolici italiani, al D., il motivo del ritiro dall'impresa è individuato nel rifiuto del D. di subordinare la sua opera e la sua scienza all'"azione" ovvero alla logica dell'organizzazione di massa: "Tu scegli i libri, io vorrei scegliere le anime". Il dissenso faceva riemergere una delle più forti convinzioni del D., già espresse nel 1924 nell'opuscolo di presentazione della "Piccola raccolta": "Lo studio e la cultura non son quasi mai opera e materia di organizzazione di tutta una massa quanto vasta altrettanto varia".

Contemporaneamente alla sua collaborazione con l'Azione cattolica, si svolgevano i rapporti di proficua amicizia e attività culturale ed editoriale fra il D. e Giovanni Papini.

La data di inizio di questi rapporti risale al dicembre del 1922, quando il D., allora ventiquattrenne, scrisse a Papini offrendo la sua collaborazione per la collana dei "Libri della fede", che usciva per i tipi della Libreria editrice fiorentina (M. Picchi, Un sogno di gioventù, intervento alla tavola rotonda Bremond-De Luca, in Ricerche di storia sociale e religiosa, II [1985], p. 28).

L'amicizia fra i due si fece presto profonda: fra l'altro, i due collaborarono fra il 1930 e il 1940 alla rivista, diretta da P. Bargellini, IlFrontespizio. IlD. divenne presto "la figura determinante nell'organizzazione della rivista stessa", colui che "fornì il sottofondo culturale e indispensabile a che la rivista potesse acquistare una funzione e un ruolo nazionale" (Mangoni, Aspetti della cultura, p. 371).

Giovanni Papini e Giuseppe Prezzolini furono i confidenti più preziosi del D. negli anni in cui, pur non rinunciando a un'attività giornalistica di "bassa forza", come egli stesso la definiva, riempiva schede su schede per il suo progetto di storia letteraria della pietà italiana.

Scriveva a Papini il 15 giugno 1924 che sperava di varare un'antologia della mistica, scelta dalle prime fonti "e più ancora il primo volume della Storia letteraria della pietà italiana, primo medioevo;tipo quella del Preger per i tedeschi piuttosto che quella di Bremond per i francesi" (M. Picchi, cit.). Rinviando di anno in anno il suo progetto, ne chiariva però a poco a poco l'impianto. In altra lettera a Papini del 6 genn. 1927 spiegava che voleva lavorare "per la storia religiosa d'Italia, non quella dei chierici ché i chierici non son tutta la chiesa, ma specialmente quella del popolo, tra il quale lo Spirito opera, metà anonima, metà incurante del nome. Insomma, portare la storia della Chiesa da storia ecclesiastica a storia del popolo cristiano, in Italia; come si è fatto per quella civile, che non è più di principi e di dinastie soltanto, ma delle masse" (ibid.).

Fra il 1930 e il 1940 il D. era presente su L'Osservatore romano e L'Avvenire con nutrite e numerose recensioni erudite e letterarie. Tenne lezioni di letteratura, iconografia e arte sacra in diversi istituti cattolici, collaborò dal 1930 all'Enciclopedia Italiana, diresse per la Morcelliana le collane "Per verburn ad verbum", "1 compagni di Ulisse", "Confidenziali". Più tardi, nel 1942, diresse "I fuochi", fortunata collana, sempre della Morcelliana. La sua grande erudizione, le sue qualità anche letterarie, la sua umanità ne fanno un interlocutore ricercato e prezioso per il mondo anche degli scrittori: suoi amici erano Papini, Prezzolini, Giuliotti, Ungaretti, Bo, Betocchi, Baldini, Cardarelli, D'Amico, Cecchi, Palazzeschi, Paricrazi. Fra i politici contava G. Bottai, amicizia che continuò anche dopo la fine del conflitto. Il D. cercò di convincere Bottai, negli ultimi anni del fascismo, a farsi patrocinatore di una struttura culturale capace di ricomporre "la interrotta tradizione tra pensiero medioevale e cultura moderna".

Sosteneva con Bottai che fosse "dovere dello Stato di impegnarsi direttamente nella preparazione del clero italiano attraverso le cattedre e la facoltà di teologia" (Mangoni, p. 415). Ma, pure nella dispersione di una molteplicità di interessi culturali e di interventi operativi suggeriti da un ambizioso progetto di restituire al clero e alla Chiesa un magistero anche intellettuale ai più alti livelli della scienza e dell'accademia, il D. non dimenticava la sua "storia della pietà". Insisteva nello scopo di "portare la storia della Chiesa da storia ecclesiastica a storia del popolo cristiano", ma si orientava sempre più verso la raccolta di fonti. L'idea di una narrazione storica sembrava attenuarsi nei suoi schemi di lavoro.

Il D. aveva indicato come suoi maestri per la sua "storia della pietà" tre francesi: André Wilmart, "l'erudito errante e monaco stabile", Henri Bremond, "scrittore fortunato e fortunoso", e Joseph de Guibert, "piissimo, paterno e fraterno teologo" (Introduzione alla storia della pietà, p. 122). Ma è indubbio che, nonostante le forti riserve e i dubbi sull'opera di Bremond, da questo il D. abbia ricevuto l'impulso a dedicarsi al (4 magnum opus, pour lequel Dieu vous a préparé de toute éternité" (lett. di Bremond del 22 marzo 1931, in Bremond-De Luca, p. 130). Le riserve del D. investivano i criteri dell'Histoire di Bremond: la riteneva troppo incline all'analisi psicologica, troppo letteraria, poco solida teologicamente.

Rimproverava all'amico francese un esasperato intellettualismo, che lo avrebbe condotto a disperdere la storia della preghiera in quella della poesia. Comunque sia, anche il D. fu mosso a cercare, sull'esempio di Bremond, le fonti per una storia, che egli preferì chiamare della pietà, e non del sentimento religioso, e che non ripetesse gli stilemi della storia ecclesiastica e della storia delle religioni, e si attenesse invece più strettamente a quella categoria del religioso vissuto o della pietà vissuta, che era fra le novità della storiografia francese degli anni Trenta, così come il D. poteva leggere nei saggi di Lucien Febvre, lo storico che egli mostra di stimare di più nella Introduzione alla storia della pietà. Anche in questo caso però le differenze sono sensibili: alle spalle di Febvre c'erano la lezione di Max Weber, i lavori della facoltà di teologia protestante di Strasburgo con in testa Ch. Schmidt, il rinnovamento degli studi di psicologia da Ribot a janet a Dumas, della geografia umana con Vidal de la Blache. Il D. invece veniva da un'esperienza di alta filologia e di erudizione, nella quale ravvisava l'ancora di salvezza dopo i tempestosi conflitti fra modernisti e integristi, esperienza che metteva pero a servizio di una volontà di rottura degli schemi più tradizionali della storia ecclesiastica (Pastor) e di un progetto di storia della preghiera del "popolo cristiano", al quale lo conduceva d'istinto anche la sua condizione di uomo della pietà del Sud.Dunque, dalla storia narrata il D. passò all'inventario dei contenuti di questa possibile storia. Il progetto era già chiaro nel 1941, quando redigeva lo schema del suo prossimo lavoro ed avvertiva che nel campo storico non si era ancora arrivati "i alla fede delle masse semplici, le quali sono rimaste folklore pei profani; gregge pei chierici". Nello stesso anno studiava anche il piano di pubblicazioni per una nuova casa editrice, in collaborazione con Alfredo Schiaffini, le Edizioni di storia e letteratura, che incominceranno a svolgere attività nel 1942. Anno cruciale, di crisi aperta a causa della "marea montante della violenza e dell'odio, del barbarico azzardo cui era commesso il destino dei popoli cosiddetti civili" (C. Dionisotti, in Ricordi e testimonianze, p. 145). "Storia e letteratura", un'endiade lontana da quelle più antiche di "storia e arte", "storia e poesia" e "storia e filosofia" (D. Cantimori, p. 387). I primi nomi che figurano nelle Edizioni indicano già la direzione in cui originariamente si mosse il D.: oltre Schiaffini, ci sono i nomi di Wilmart, Oliger, Paschini, Nardi, Ciampini, Billanovich, Dionisotti, Scaduto, Jedin, Maier, Angelo Mercati, Vaccari, Massimo Petrocchi, Campana, Christine Mohrmann, Branca. Batllori, tutti autori che divennero poi amici. Nel secondo dopoguerra avvia un'altra serie di collane che dal campo della più stretta erudizione arrivano alla storia moderna e contemporanea e alla storia economica.

Fin dagli inizi, il D. dette alla sua casa editrice l'impronta di un'accademia scientifica sui generis, di promozione e di aiuto anche ai giovani autori: "Ciò che ha fatto di lui - ha scritto Fraenkel - un editore veramente unico nel nostro tempo e, accanto e al di sopra della vastità del suo sapere e dei suoi interessi, ancora una volta la forza quasi incommensurabile della sua umanità" (E. Fraenkel, in Ricordi e testimonianze, p. 201). Con la nascita dell'editore, finiva nel D. il poco sicuro ruolo di mediatore di una nuova cultura politica nazionale. Nelle sue edizioni egli concentrava oramai ogni sua energia (a salvarlo dal fallimento nell'estate del 1947 fu Raffaele Mattioli): i tempi di Frontespizio e dell'amicizia con Papini finivano, come erano finiti i progetti di un'Azione cattolica di élite al volgere degli anni Trenta; finiva anche quel suo modo platonico di intendere il rapporto fra politica e società civile. La sua battaglia per una erudizione come linguaggio comune e universale, l'unico possibile fra storici e filologi, ecclesiastici e non, chierici e atei, in un mondo culturale frammentato da integralismi ideologici, venne acquistando la pienezza di un dettato programmatico: alle amicizie di un tempo si aggiungevano le nuove, Cantimori, Chabod, Ullman, Kristeller, Fraenkel, Jaeger, Arnaldo Momigliano, frequentatori di palazzo Lancellotti, la sede delle Edizioni, quindi i più giovani collaboratori, Massa, Guarnieri, Saitta, De Felice ed altri. Importanti e ricchi di progetti i pochi anni che il D. trascorse vicino a Giovanni XXIII (1958-63), che già durante il periodo che fu patriarca a Venezia a lui si rivolse per consiglio nello studio della pietà veneziana, in particolare della figura di Lorenzo Giustiniani.

Il 20 febbr. 1959 il D. sottopose al papa un progetto di scuola di studi storico-eruditi per la formazione di preti archivisti, "di tipo muratoriano", commentò più tardi D. Cantimori: "Il clero - raccomandava il D. - va ricondotto sensim sine sensu agli studi storici"; solo dopo che si fosse formata questa classe di archivisti "degni", si sarebbe passati alla seconda fase dell'operazione, di raccogliere in uno gli archivi delle congregazioni romane, quelli della diocesi di Roma, Vicariato, religiosi, confraternite laiche.

Della stima e dell'amicizia che Giovanni XXIII nutrì per il D. è segno prima la sua nomina a consultore, poi a membro della Pontificia Commissione preparatoria degli studi e dei seminari. Il D. ebbe rapporti anche con i politici del secondo dopoguerra (Togliatti, Rodano, Colombo, De Gasperi, Sturzo, Segni, Morlino, Campilli ed altri), per lo più indirizzati a ottenere aiuti per i suoi progetti editoriali: con Emilio Colombo discusse in più riprese il problema della salvaguardia delle biblioteche e degli archivi ecclesiastici e privati della sua Lucania; ad altri, a Luigi Sturzo, ad Alcide De Gasperi, a Pietro Campilli chiedeva contributi per le collane delle sue edizioni. La politica lo interessò molto indirettamente e sempre nella prospettiva e nel segno di una visione che potrebbe dirsi agostiniana: la sua passione per la prosa cruda, anche violenta di un Veuillot o di un Donoso Cortes dice molto. Fu vicino a Franco Rodano e al gruppo dei giovani che formarono nel 1944 il partito della Sinistra cristiana, verso i quali, pur non condividendone le idee, tenne sempre un comportamento da sacerdote, anche dopo l'interdetto che li colpì.

Nei suoi colloqui, ricorda Adriano Ossicini, "l'elemento religioso era essenziale, non formale" (Ricordi e testimonianze, pp. 275 s.). Palmiro Togliatti, che ebbe più di un incontro col D., rivelò che il terreno delle loro conversazioni non era né quello ideologico né quello politico: "La sua mente e la sua ricerca mi pare fossero volte, nel contatto con me, a scoprire qualcosa che fosse più profondo delle ideologie, più valido dei sistemi di dottrina, e in cui potessimo essere, anzi già fossimo uniti" (ibid., p. 323).

Nel 1951 finalmente uscì la sua tanto elaborata, ripensata e tormentata introduzione al primo volume dell'Archivio italiano per la storia della pietà, sintesi e capolavoro del D., come storico e scrittore dalla prosa "procellosa e ridente" (Branca, ibid., p.58).

Qui il D. dava infine la definizione della sua "pietà": "Riceve qui il nome di pietà non la teoria sola o il solo sentimento dell'una o dell'altra religione in genere, non la sola religiosità vaga, non il solo vertice supremo ed esatto dell'unione mistica, bensì quello stato, e quello solo della vita dell'uomo quando egli ha presente in sé, per consuetudine di amore, Iddio" (p.7).

Il D. si spense a Roma nell'ospedale dei Fatebenefratelli, all'isola Tiberina, il 19 marzo 1962. Qualche giorno prima della scomparsa ricevette la visita di Giovanni XXIII.

Scritti. S. Agostino, De Catechizandis rudibus, trad. di G. De Luca, Firenze 1923; S. Benedetto, Vita e regole in antichi volgarizzamenti, a cura e con prefaz. di G. De Luca, ibid. 1924; A. Gasquet, Ciòche l'Inghilterra deve a Roma, traduz. e nota introduttiva di G. De Luca, Roma 1924, Id., La vita religiosa di re Enrico VI, traduz. di G. De Luca, Firenze 1924; Id., Ilcard. Newman, premessa e traduz. di G. De Luca, Roma 1925; Di un antico lezionario nella Biblioteca del Seminario Romano Maggiore. Notizie ed estratti a cura del sac. G. De Luca, ibid. 1926; S. Francesco di Sales, Lettera sopra la predicazione, a Mgr Andrea Frémyot arcivescovo di Bourges, introduz. e traduz. del sac. G. De Luca, ibid. 1928, S. Bonaventura, Trattato sulla preparazione alla Messa, ibid. con introduz., versione e note di don G. De Luca, ibid. 1929; N. Tommaseo, Ai giovani. Consigli di moralità sociale, ripubblicati a cura di don G. De Luca, ibid. 1929; S. Augustini, De fide rerum quae non videntur liber. Testo riveduto sui codici. Versione, introduz. e note a cura di don G. De Luca, ibid. 1930; S. Bonaventura, A le suore su la perfetta vita, a cura di don G. De Luca, Brescia 1931; S. Giovanni della Croce, Aforismi e poesie, a cura di G. De Luca, Brescia 1933; H. Ghéon, S. Teresa di Lisieux, con prefaz. di G. De Luca, Brescia 1935; Commenti al Vangelo festivo, Roma 1935, 5 ed. 1968, Prose di cattolici italiani d'ogni secolo, raccolte da G. Papini e G. De Luca, Torino 1941; Luigi Maria Grignion da Montfort. Saggio biografico, Roma 1943, 2 ed., integrata da altri brevi articoli sul santo, con una presentazione di S. de Fiores, Roma 1985 (cfr. G. De Rosa, in Ricerche di storia sociale e religiosa, XXVII [1985]); Scritti su richiesta, Brescia 1944: testo autobiografico fondamentale per capire le scelte del D., le sue crisi, negli anni seminariali ("abbiamo sofferto le incursioni del dubbio nelle ore che ci parevano più sicure e salde") e la vastità delle letture e degli interessi, nella quale consumò la sua giovinezza; Mons. Paschini, la sua scuola, i suoi studi, in Miscellanea Pio Paschini, I, in Lateranum, XIV (1948), nn. 1-4, pp. 1-26, N. Monterisi, Trent'anni d'episcopato, con prefaz. di G. De Luca, Isola del Liri 1950; G. De Luca, La ragione diquesto libro e di queste onoranze. Introd. ad A. Vaccari, Scritti di erudiz. e di filologia, Roma 1952; Introduzione al primo volume dell'Arch: ital. per la storiadella pietà, Roma 1951, poi pubblicata come volume a sé nel 1962. - Nell'avvertenza a questo volume R. Guarnieri riproduce la lettera con la quale il D. accompagnò l'invio del primo volume dell'Archivio a B. Croce. Al testo dell'Introduzione segue quella del D. al primo tomo (Scrittori di religione) dei Prosatori minori del Trecento, Milano-Napoli 1954; premessa ad A. Roncalli, Ilcardinale Cesare Baronio, Roma 1961; Bailamme, ovverosia pensieri del sabatosera, Brescia 1963, prefaz. di M. Picchi: raccoglie gli articoli che il D. scrisse sull'Osservatoreromano nella rubrica che intitolò appunto Bailamme; Giovanni XXIII, in alcuni scritti di donG. De Luca con un saggio di corrispondenza inedita, a cura di L. F. Capovilla, ibid. 1963: importante per capire i rapporti del D. con il papa e le sue angosce per la conduzione delle Edizioni; S. Alfonso, ilmio maestro di vita cristiana, a cura di O. Gregorio, Alba 1963 (ristampa anastatica per le Edizioni di storia e letteratura, Roma 1983); Commento al Vangeloquotidiano. Dal mercoledì delle Ceneri al sabatoin Albis, ibid. 1962; Don Orione, con prefaz. di L. F. Capovilla, Roma-Tortona 1963, Letteratura di pietàa Venezia dal '300 al '600, prefaz. di V. Branca, Firenze 1963; Tommaso da Kempen, L'imitazione di Cristo, versione di G. De Luca, prefaz. di R. Guarnieri, Brescia 1965; Meditazioni e pregiere, a cura di R. Guarnieri, prefaz. di A. Baron, Roma 1967; Ilcardinale Bonaventura Cerretti, ibid. 1939 e 1971; Mater Dei, bollettino dell'Opera Mater Dei, prefaz. di D. Dottarelli, ibid. 1972; Scritti sulla Madonna, prefaz. di U. Terenzi, ibid. 1972 Intorno al Manzoni, a cura di M. Picchi, ibid. 1974, John Henry Newman. Scritti di occasione e traduzioni, ibid. 1975; G. De Luca-G. Prezzolini, Carteggio 1925-1962, Roma 1975; L'anno del cristiano, Roma 1981 (raccoglie articoli apparsi in giornali e periodici); G. De Luca-G. Papini, Carteggio, I, (1922-1929), a cura di M. Picchi, Roma 1985; G. Bottai-G. De Luca, Carteggio 1940-1957, a cura di R. De Felice e R. Moro, Roma 1989.

Non c'è ancora una bibliografia degli articoli e note dei D. su Frontespizio, sia di quelli a sua firma, sia di quelli siglati o con pseudonimo. Comunque, si vedano le indicazioni di R. Guarnieri, Don G. D. tra cronaca e storia, p. 297 n.; Notizia bio-bibliografica di don G. D., in Rivista di storia della Chiesa in Italia, XVII (1963: si leggano le considerazioni di P. Bargellini, in Ricordi e testimonianze, pp. 24-38, e di L. Mangoni, ibid., p. 368 n.).

Per la collaborazione del D. ai molti giornali, giornaletti, bollettini e riviste cattolici dal 1924 al 1962, ancora R. Guarnieri, Don G. D. tra cronaca e storia, pp. 288 n., 297 n.

Fonti e Bibl.: Don G. D. Ricordi e testimonianze, a cura di M. Picchi, Brescia 1963: raccoglie i ricordi e le testimonianze di molti scrittori, filologi, storici, italiani e stranieri, che lo conobbero; Don G. D. et l'abbé Henri Bremond (1929-1933). De "L'Histoire littéraire du sentiment réligieux en France" à l'"Archivio italiano per la storia della pietà" d'après des documents inédits, Roma 1963: importante per la corrispondenza scambiata fra i due storici e per la chiarificazione dei criteri di lavoro e di ispirazione del D. per la sua storia della pietà. Il volume uscì senza l'indicazione dei nomi dei curatori, che furono H. Bernard Maître e R. Guarnieri; C. Dionisotti, Ricordo di don G. D., in Italia medievale e umanistica, IV (1961), pp. 327-39; I. Colosio, Don G. D. storico della spiritualità, Firenze 1962, G. Antonazzi, Don G. D. e una nuova scienza. La storia della pietà, in Studi cattolici, XII (1968), pp. 606-617; J.Dagens-M. Nédoncelle, Entretiens sur Henri Bremond, Paris 1967: alla p. 222un intervento di H. Bernard Maître sul D.: D. Cantimori, In ricordo di don G. D., in Storici e storia, Torino 1971, pp. 386-96;R. Guarnieri, Don G. D. tra cronaca e storia, in Modernismo, fascismo, comunismo, a cura di G. Rossini, Bologna 1972, pp. 249-362;L. Mangoni, Aspetti della cultura cattolica sotto il fascismo; la rivista "Il Frontespizio", ibid., pp. 363-41:indulge qui e lì a un'interpretazione strumentale dell'erudizione deluchiana, più latamente "vaticana"; R. De Felice, Alcune lettere di mons. G. D. a G. Bottai, ibid., pp. 419-451; La storia della pietà; fonti e metodi di ricerca (seminario di studio all'Istituto per le ricerche di storia sociale e religiosa, Vicenza, dal 31 maggio al 2 giugno 1976, con la partecipazione di M. Vovelle, A. Zambarbieri, L. Billanovich, F. Salimbeni, P. Pampaloni, A. Turchini, A. Gambasin, G. De Rosa: si confronta il D. con la scuola francese di storia religiosa); G. De Rosa, Sturzo e D . "lettori" di Bremond, in IlTempo, 29 sett. 1978;Id., La storiografia socio-religiosa in Italia e in Francia, in Quaderni di Schema, 2 febbr. 1980, facoltà di scienze politiche, università degli studi di Padova; Id. La rivoluz. di un asceta della cultura. G. D., in IlTempo, 19 marzo 1982; Id. M. Batllori-C. Fabro-G. Petrocchi, Tavola rotonda su G. D. sacerdote e scrittore, in Sociologia, II-III (1982), pp. 187-213; G. Antonazzi, Pietà e ricerca storica. La storia locale, in Rassegna degli studi e delle attività culturali nell'Alto Lazio, IV (1983), pp. 5-23; P. Zovatto, La "nozione" di pietà in don G.D., in L'uomo e la storia. Studi storici in onore di M. Petrocchi, Roma 1983, III, pp. 395-421; G. De Rosa, Tradizione eccles. e pietà in Angelo Roncalli e G. D., in Erudiz. e pietà dei papi del concilio, Cassino 1985, pp. 9-51; Bremond-De Luca, in Ricerche di storia sociale e religiosa, XXVIII (1985), con interventi di G. Cracco, G. De Rosa, E. Goichot, L. Mangoni, M. Picchi, E. Poulat, T. Tessitore, L. Billanovich; V. Lembo, Don G. D. a vent'anni dalla morte, Reggio Calabria 1985, opuscolo che esalta la figura del sacerdote, unendo anche una scelta dei "pensieri" del D. in materia di fede; L. Mangoni, "In partibus infidelium", Roma-Bari 1989.

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