LA FARINA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 63 (2004)

LA FARINA, Giuseppe

Antonino Checco

Nacque a Messina il 20 luglio 1815 da Carmelo e da Anna Muratori. Sulla sua formazione esercitarono un peso fondamentale la temperie politico-culturale cittadina, da tempo sorda all'indirizzo separatista e più di recente apertasi alla predicazione unitaria mazziniana, e l'influenza del padre, professore di aritmetica e geometria nel collegio Carolino, che nel 1828 era stato arrestato per la sua appartenenza alle sette e tradotto a Favignana insieme con il figlio tredicenne.

Nel 1832 il L. cominciò a frequentare i corsi di diritto, disciplina in cui, senza mai appassionarsi, si laureò nel 1835 a Catania; lo interessavano piuttosto gli studi letterari che gli consentirono di entrare in rapporti più stretti con quel nucleo cospicuo d'intellettuali e scrittori che, in contatto con Napoli e con i nuclei studenteschi calabresi, avevano trovato nel movimento romantico la via di un possibile rinnovamento politico.

Dal 1833 il L. esordì come pubblicista, prima collaborando a Lo Spettatore zancleo - intorno al quale si raccolsero C. Gemelli, G. Morelli, R. Mitchell, F. Bisazza, e G. Saccano - poi, dal 1835, scrivendo articoli, recensioni e rassegne di vario genere in un altro periodico, Il Faro, e pubblicando in particolare un Elogio del cavaliere Vincenzo Bellini (Messina 1836), già letto in una seduta dell'Accademia Peloritana (26 nov. 1835) in occasione della morte del compositore.

Di questa esperienza romantica del L. restano però soprattutto gli studi di dantistica, svolti nell'alveo dell'interpretazione laica e ghibellina, l'adesione, mediata dalla lettura delle opere di G. Romagnosi, alla categoria interpretativa dell'incivilimento e l'ammirazione per S. Pellico. Proprio la ricezione da parte del L. di spunti presenti nelle Mie prigioni e nelle successive Addizioni di P. Maroncelli attesta quanto egli si fosse inserito nei circuiti cittadini inclini a elaborare progetti politici di segno cospirativo.

A metà degli anni Trenta il L. entrò nell'appena costituito Comitato democratico avendo a fianco tra gli altri Gemelli, Morelli, G. Grano, esponente di una ricca famiglia di mercanti messinesi e tra i primi referenti di Mazzini in Sicilia, A. Catania, ricco mercante maltese, e il medico E. Pancaldo.

Arrestato insieme con il padre e il fratello Silvestro per avere diffuso una pubblicazione clandestina contro la polizia (1836), alla stretta repressiva che colpì la Sicilia il L. rispose rappresentando la sua città nella riunione di tutte le società segrete siciliane convocata a Palermo e prendendo poi parte al moto popolare che, facendo leva sulla epidemia del colera e sull'aumento di prezzo dei generi alimentari, a metà 1837 si andò sviluppando nelle città della Sicilia orientale. Fu allora denunciato da una spia e messo nella impossibilità di svolgere qualunque tipo di attività persino di tipo letterario o genericamente culturale, cosa che lo indusse a lasciare Messina e a portarsi, insieme con la moglie Luisa Di Francia, in Toscana, dove giunse il 29 agosto (Livorno) per poi passare a Firenze (12 settembre).

La città ("la divina Firenze dei caffè e dei circoli") gli aprì molte possibilità di crescita culturale: si abbonò al gabinetto di lettura di G.P. Vieusseux; conobbe vari intellettuali, tra cui G.B. Niccolini; visitò le biblioteche; commissionò le copie dei ritratti dei pittori messinesi richiestegli dal padre; approfondì progetti di nuovi commenti alla Commedia e prese visione dei manoscritti dell'Alfieri; partecipò alla preparazione del congresso degli scienziati italiani in un contesto cui non era estraneo l'intento politico e cospirativo. Poi, con la stessa curiosità, visitò Roma e, accolto nell'atelier di scultura di Pietro Tenerani (1776-1869), ne ottenne un ritratto in bassorilievo.

Di questo suo primo esilio, oltre alla testimonianza contenuta nel primo volume dell'Epistolario curato da Ausonio Franchi, altre più dettagliate notizie si trovano nei suoi Ricordi della Toscana e di Roma (in Il Faro, 1838, n. 16, pp. 180-235); allo stesso periodo risale lo scritto Sulla vera effigie di Gesù Cristo, inviato alla Accademia Peloritana e letto in sua assenza nella seduta del 24 marzo 1838 (poi in Memorie storiche e letterarie della R. Acc. Peloritana, a cura di G. Oliva, Messina 1884, pp. 106 ss.).

Rientrato a Messina sul finire del marzo 1838, il L., usando come copertura l'attività di avvocato, entrò nel ricostituito Comitato democratico che aveva come referente nel comitato centrale di Napoli il medico messinese G. Raffaele. Interlocutore assai attivo del comitato era, da Malta, N. Fabrizi, che nel 1839 aveva fondato la Legione italica appunto per rilanciare, dopo gli insuccessi mazziniani del 1833-34, l'iniziativa rivoluzionaria facendo leva sulla Sicilia.

Parallelamente al lavorio clandestino, il L. portava avanti anche quello culturale e velatamente propagandistico. Chiusi nel dicembre 1835 lo Spettatore zancleo e nel giugno 1838 Il Faro, nell'ottobre 1839 fondò, insieme con F. Bisazza e D. Ventimiglia, La Sentinella del Peloro; quasi coeva fu la nascita della Società del gabinetto letterario modellata sull'analoga iniziativa del Vieusseux e presto affiancata dall'edizione di un foglio, denominato Il Maurolico, e più tardi Giornale del Gabinetto letterario, che annoverava tra i collaboratori M. d'Ayala, S. Chindemi, V. Capialbi e L. Vigo. Ma lo stretto controllo cui vide sottoposto il proprio lavoro giornalistico costrinse nel 1841 il L. a tornare nell'esilio fiorentino.

Infatti, mentre negli anni 1839-41 le sue recensioni e i suoi saggi di storia dell'arte pubblicati nella Sentinella del Peloro non incontrarono ostacoli, furono i lavori con riferimenti storici locali che subirono gravi mutilazioni (Messina e i suoi monumenti, Messina 1840) ovvero non furono autorizzati, come nel caso di un dramma scritto per raccogliere fondi per la costruzione di un piccolo monumento in memoria del matematico messinese A. Jaci.

Esclusi i lavori per "campare la vita", frutto della collaborazione con il raffinato editore Bardi (L'Italia con i suoi monumenti e le sue leggende, Firenze 1842; La Svizzera storica e artistica, I-VII, ibid. 1842-43; La China considerata nella sua storia, ne' suoi riti, ne' suoi costumi, nella sua industria, nelle sue arti, e ne' più memorabili avvenimenti della guerra attuale, I-IV, ibid. 1843-47), l'attività culturale del L. in quegli anni fiorentini si volse tutta, anche sotto il profilo dei suoi contatti diretti ed epistolari, alla maturazione di un ruolo e di una scelta più netti. Nel 1842 apparve lo studio su Dante e il suo tempo (Studi storici sul secolo XIII, Firenze 1842; 2ª ed., Bastia 1857), prodotto maturo di ricerche e raccolte documentarie del primo esilio fiorentino e romano, solo in parte precedentemente utilizzate e ora sistemate all'interno dello studio del contesto politico e culturale del secolo di mezzo. L'opera, tuttavia, risultava pensata e collocata entro la chiave interpretativa laico-ghibellina e risorgimentale, in chiara antitesi con la rievocazione neoguelfa del Medioevo. Tale orientamento trovò conferma nel sostegno convinto offerto dal L. a G.B. Niccolini (che gli aveva inviato copia del suo Arnaldo da Brescia e che gli chiedeva cosa pensasse delle aspre critiche rivoltegli da C. Balbo nelle Speranze d'Italia). All'accusa di Balbo, secondo cui il Niccolini s'era allontanato dalla scuola italiana dei Manzoni, Pellico, Rosmini, Cantù e Gioberti, per abbracciare quella straniera, il L. replicò che quest'ultima non era "ateistica" ma antipapale, e che in ciò il Niccolini seguiva la scuola italiana di Dante, Machiavelli, Giannone e Alfieri. Nel carteggio con lo storico M. Amari, in esilio a Parigi dopo la stampa a Palermo del celebre studio su Un periodo delle istorie siciliane del secolo XIII (poi ristampato nel 1843 a Parigi con il titolo più esplicito La guerra del vespro siciliano), il L., mentre gli esprimeva la propria solidarietà, lo invitava a ristampare la sua opera a Firenze, a collaborare all'Archivio storico del Vieusseux (collaborazione, poi, effettivamente avviata nell'ottobre 1844) e lo informava di avere in corso una Storia delle opinioni guelfe e ghibelline dalla loro origine a noi (lavoro non pubblicato e poi inserito nella Storia d'Italia narrata al popolo italiano, i cui primi volumi furono stampati nel 1846).

Fu, tuttavia, con Matteo Palizzi. Dramma storico (Firenze 1845) - e, soprattutto, con la Prefazione - che il L., in vista di possibili mutamenti del contesto italiano e quasi riconsiderando la sua stagione romantica, definì contenuti, forme e finalità del suo rinnovato impegno di letterato e scrittore.

Da questo versante la Prefazione risulta essere documento programmatico della finalità sociale del lavoro intellettuale, così come dei generi e dei canoni letterari a esso più consoni: l'"utile" inteso nel suo significato di corretto coinvolgimento popolare e di suscitatore di passioni e di eroi positivi; la "coscienza" quale emancipazione dal fatalismo, dalla superstizione, dallo scetticismo, dal conflitto tra autorità e libertà. Ne discendevano la predilezione per il "teatro come scuola dei popoli, il romanzo popolare, le narrazioni storiche, il giornalismo politico" e "l'assunzione, come vincoli vitali della scrittura e misura del giudizio critico, dei parametri dell'utilità e dell'interesse del popolo" (G. Resta, G. L. scrittore, in G. L.Atti, 1989, p. 121).

Sullo sfondo dell'intensa produzione letteraria e del lavoro intellettuale di quegli anni si precisava la sua scelta dell'unitarismo, così come, in linea con le indicazioni mazziniane, era netto il rifiuto sia del municipalismo sia del neoguelfismo, che erano le soluzioni avanzate dalla pubblicistica moderata di matrice giobertiana e azegliana.

Per il L., invece - come peraltro risulta dall'Epistolario - tutte le vicende insurrezionali del 1843-45 stavano a dimostrare quanto ogni progresso della condizione dell'Italia fosse indissolubilmente legato alla conquista di nuovi e più liberi ordinamenti, strappati attraverso una lotta aperta, visibile e tale da allargare il numero dei cittadini consapevoli del suo valore e significato. Il problema era fare emergere, fra le tante proposte, richieste di riforma e aperture dei principi, l'opzione più valida, quella unitaria.

Una frase del L., contenuta in una lettera a M. Amari, sintetizza efficacemente la miscela di sentimenti contrapposti: "I balbiani sono in gran lavori; ne sperate voi nulla? Io no. E pure chi naufraga si attacca spesso anche a un ferro rovente" (Epistolario, I, p. 290). Grande realismo dunque, ma anche consapevolezza del prospettarsi di un punto di svolta. Alla legge sulla libertà di stampa in Toscana si era accompagnata la fondazione e il successo del suo foglio, L'Alba (14 giugno 1847), di orientamento liberale e con collaboratori come E. Mayer, G. Mazzoni, F. Marmocchi, C. Rusconi, P. Thouar, A. Vannucci, G.B. Niccolini. E mentre il fallimento del moto di Reggio Calabria e Messina (1-2 sett. 1847) lo spingeva a considerare con molto scetticismo le aspettative popolari e politiche suscitate da Pio IX che giudicava, così come il governo toscano, troppo legato all'Austria, L'Alba veniva accentuando il suo orientamento radicaleggiante e laico; d'altronde molte delle riforme reclamate nelle campagne di stampa del giornale (per non parlare delle questioni del lavoro, che tanto interesse avevano destato in Germania), esclusa l'istituzione della guardia civica, non trovavano udienza presso il governo toscano, attento a sedare ogni manifestazione di protesta popolare.

L'11 febbr. 1848 il L. si rimise in viaggio per tornare a Messina, già in rivolta e ripetutamente bombardata dai Borboni. Al suo arrivo fu nominato membro del Comitato di guerra e colonnello delle truppe; con Gemelli partecipò ai lavori per l'apertura del Parlamento e si batté invano per una soluzione monocamerale. Eletto deputato nel collegio messinese, fece approvare dal Parlamento un progetto di legge sul porto franco e sull'abolizione del macinato e, dichiarati decaduti i Borboni per un decreto da lui stesso dettato in quanto segretario della Camera dei comuni, cercò di far rinviare la scelta della monarchia costituzionale; poi, con E. Amari e il barone Pisani, prese parte alla missione diplomatica per ottenere il riconoscimento politico del nuovo assetto della Sicilia presso le corti di Roma, Toscana e Piemonte. Caduto il ministero Stabile e composto quello di V. Fardella marchese di Torrearsa, il L. fu chiamato al ministero dell'Istruzione (agosto 1848), in una fase in cui l'esclusione dai dicasteri di membri della Camera alta e la nomina di F. Cordova alle Finanze avevano incrinato i rapporti tra i due rami del Parlamento; e tutto ciò quando già si minacciava da parte di Ferdinando II l'invio di truppe in Sicilia e si approssimavano le prime sconfitte del Piemonte contro l'Austria.

All'ottimismo palermitano (si assumeva come cosa ormai accolta dal Borbone lo sgombero della Cittadella, che invece continuava a scaricare bombe sulla città) corrisposero l'eroica resistenza di Messina alle truppe borboniche, la sua caduta insieme con quella di Milazzo e la chiamata al ministero della Guerra (settembre 1848) del L., accolta per senso del dovere ma nella consapevolezza dell'assoluta scarsità di armi, munizioni, denaro e di alti ufficiali in grado di assumere compiti di comando delle operazioni militari; e quando si mise al lavoro, gli giunse da Palermo la comunicazione dell'armistizio già concluso. Accusato in Parlamento di imperizia nella conduzione delle cose militari, il L. tentò di fare approvare dalle Camere un progetto di legge per la formazione di un corpo di sicurezza interna che sostituisse la guardia nazionale, che era stata creata dal rivoluzionario P. Calvi, ministro degli Interni, ma che progressivamente si era imposta allo stesso esecutivo: e però l'opposizione al progetto fu tanto forte da costringere il Torrearsa e l'intero esecutivo a dimettersi, quando peraltro dalla Toscana e da Roma giungevano notizie che dovevano incoraggiare condotte più responsabili e unitarie.

La lotta interna si fece invece più feroce dando vita a circoli e giornali di tendenze opposte, rivelatori della netta contrapposizione tra chi auspicava la rottura armata della tregua e credeva ancora nella possibilità di resistere e chi invece era pronto, con la mediazione di Inghilterra e Francia, a cedere le armi. Insieme con M. Raeli, F. Crispi, G. Natoli, P. Paternostro e C. Papa, il L. costituì e si mise a capo di una legione universitaria destinata a operare in appoggio alle truppe regolari; ma, giunto a Misilmeri, gli fu comunicato di rientrare a Palermo e di sciogliere la legione avendo le Camere accettato la resa. Caddero nel vuoto tutti i tentativi suoi e di pochi altri deputati per convincere il presidente R. Settimo a respingere la resa incondizionata.

Su questi avvenimenti il L. sarebbe tornato con la Istoria documentata della rivoluzione siciliana e delle sue relazioni co' governi italiani e stranieri (1846-49), edita nel 1850 dalla Tipografia Elvetica di Capolago, e anche nella corrispondenza privata, per mettere l'accento sulle molte divisioni interne, sulle persistenze indipendentiste presenti in parte dello schieramento liberale, anche quando si era profilata la possibilità di una federazione italiana di Stati, sull'azione dissolvente della diplomazia straniera, soprattutto francese, e sul mutamento della politica italiana dopo la seconda disfatta piemontese a Novara.

Tra gli ultimi a lasciare l'isola, il 22 apr. 1849 il L. si imbarcò alla volta di Marsiglia e di lì, il 1° giugno 1849, raggiunse Parigi. Non gli fu applicata l'amnistia del restaurato regime borbonico; similmente, il padre e il fratello non poterono riprendere le loro attività professionali e d'insegnamento, per cui al dolore della sconfitta e dell'esilio si sommarono le gravi condizioni economiche familiari. Ripresi immediatamente i contatti con l'editore Guigoni, il L. si gettò nel lavoro di redazione della Storia d'Italia dal 1815 al 1850 e nella stesura di una Storia della rivoluzione siciliana, disponendo, a suo dire, di documenti di prima mano connessi alle cariche da lui ricoperte e ai rapporti diplomatici fra la Sicilia e gli altri Stati d'Italia. In effetti l'opera fu completata nel corso dell'anno e pubblicata nel luglio del 1850, aggiungendosi polemicamente alle altre (G. Pepe, G. La Masa) e dando la stura alle ricostruzioni polemiche di altri protagonisti (G. Raffaele, P. Calvi).

Nel 1851 apparvero a Torino i 6 volumi della Storia d'Italia dal 1815 al 1850 (che L. Zini avrebbe proseguito portandola fino al 1866): oltre a ribadirvi gli antichi convincimenti sul temporalismo come più valido punto d'appoggio per la dominazione straniera, il L. riaffermava la sua idea di libertà, come essa prende via via corpo e si manifesta nella eterna lotta contro il principio di autorità. Ma affioravano qua e là nell'opera, sulla scorta del fallimento della rivoluzione siciliana, riflessioni e dubbi sulla bontà dei metodi rivoluzionari e sulla legittimazione dei gruppi dirigenti, e ne derivava la scelta d'isolamento del L. a Parigi rispetto ai travagli e alle difficoltà operative insorti nei rapporti tra Mazzini e gli esuli italiani, costituitisi in Comitato democratico. Tra il L. e Mazzini corse allora nei mesi di maggio-giugno 1851 un carteggio che ruotava intorno a due grandi questioni: quella della più produttiva organizzazione della rappresentanza degli esuli e della composizione dei comitati; e quella, conseguente, delle basi politico-dottrinarie dell'iniziativa, da cui dipendeva il tipo di sbocco istituzionale della rivoluzione nazionale.

Comunque, sollecitato dallo stesso Mazzini, il L. non rifiutò di collaborare alla costituzione del comitato parigino; si professò repubblicano convinto ma si disse avverso all'ipotesi di un governo insurrezionale concentrato nelle mani di pochi uomini, avanzata da A. Saliceti sulla stampa e data per accettata dal Comitato nazionale (con istruzioni segrete ai comitati interni ai vari paesi), quando lo stesso Comitato sulla questione aveva aperto una discussione che era ancora in atto. E che la questione non fosse di metodo, ma politica, lo palesavano l'esperienza dell'insorgenza del 12 genn. 1848 a Palermo e la dannosa - a giudizio del L. - prevenzione e preclusione settaria rispetto al rapido mutamento delle condizioni della lotta politica e nei confronti di gruppi e personaggi di orientamento eterodosso.

Si trattava in sostanza per il L. di respingere la rigidità dottrinaria e l'esclusivismo settario che avevano caratterizzato le insurrezioni precedenti e che si erano rese inaccettabili dopo che la questione nazionale era entrata nel novero delle grandi questioni europee. Con la lettera a Mazzini del 3 giugno 1851 il L. lasciava dunque scorgere il suo orientamento per il futuro: "Io sono qual era pria del 48, qual fui nel 48 e 49, cioè unitario e repubblicano. Non credo che oggi le due questioni si possan dividere; ma in ogni caso io sono unitario innanzi tutto, perché per me primo bisogno d'Italia è essere" (Epistolario, I, p. 415); e pochi mesi dopo: "La repubblica è per me il modo d'essere e l'unità l'essere; e se i fati ci niegassero un'Italia repubblicana, sarebbe per me stoltezza non volere un'Italia" (ibid., p. 417).

Sul piano privato seguì un periodo denso di dolori per l'arresto del fratello Silvestro, per la condanna a ventiquattro anni di galera di due suoi cognati e per la perdita del padre. Spostatosi a Tours nel luglio 1853, trovò sostegno nell'ospitalità di Ernesta Fumagalli Torti e nell'amicizia di V. Gallina, mentre le lezioni private d'italiano lo aiutavano a sopperire alle necessità economiche, aggravate dalla perdita durante la rivoluzione delle rendite e dei risparmi. L'interruzione degli studi non gli impedì tuttavia di scrivere il romanzo storico Gli Albigesi che stamperà nel 1855 a Genova.

Durante il suo esilio in Francia (1849-54) oltre i lavori già citati furono pubblicati: Un chapitre de l'histoire de la révolution sicilienne de 1848-49. Campagne d'avril…, Paris 1850 (ed. it., Firenze 1850); Storia delle contenzioni fra la podestà ecclesiastica e la civile dai tempi di Gregorio VII ai nostri, Torino 1853.

Il 21 ag. 1854 il L. rientrò in Italia e si stabilì a Torino. Si diede subito a preparare con l'editore Pomba un nuovo periodico, la Rivista enciclopedica italiana, chiamando a collaborare, fra gli altri, A. Vannucci e G. Montanelli. Difficoltà finanziarie sopraggiunte provocarono la chiusura della testata nel giugno 1856, non prima però che il L. avesse pubblicato (cfr. vol. II, 1855, pp. 3-8) un importante articolo, Della partecipazione del Piemonte alla guerra d'Oriente, in cui erano rintuzzate le polemiche mazziniane; alla fine del conflitto apparve anche un indirizzo di plauso a Cavour redatto insieme con M. d'Ayala.

Parallelamente, partiva la sua propaganda filopiemontese diretta agli esuli meridionali a Malta, a Genova e in Francia. Poi, con l'adesione al progetto di D. Manin e G. Pallavicino, dal 1° giugno 1856 il L. prese a fare uscire il Piccolo Corriere d'Italia, mentre con l'opuscolo Murat e l'Unità italiana confutava decisamente l'eventualità che ai problemi del Regno borbonico si desse la soluzione murattiana, caldeggiata da gruppi di esuli meridionali. Prese di qui l'avvio di rapporti politici molto stretti con Cavour e di una strategia avente due obiettivi di fondo: rafforzare la rete organizzativa della Società nazionale; mantenere in vita, attraverso l'ascendente dello stesso L., i contatti tra il governo piemontese e gli esponenti più in vista della Sinistra democratica, onde affiancare alla via diplomatica alcuni atti insurrezionali mirati.

I fatti di Lunigiana (25-26 luglio 1856), con il coinvolgimento di esponenti moderati, la tolleranza sulla presenza clandestina di Mazzini a Genova per preparare un moto insurrezionale nel Mezzogiorno e in Sicilia nell'estate del 1857 (su cui peraltro già dal 1855 lavorava lo stesso L.), la partecipazione di G. Nicotera alla spedizione di Sapri in qualità di agente cavouriano, testimoniano a sufficienza che, almeno sino all'attentato di F. Orsini a Parigi (gennaio 1858), la strategia cavouriana sembrò produrre effetti positivi. Quanto alla rivoluzione antiborbonica, il L. sosteneva la necessità che essa scoppiasse in Sicilia al grido di "Italia e Vittorio Emanuele" e quindi con un indirizzo unitario, il solo che avrebbe consentito l'adesione dei liberali napoletani e reso possibile il sostegno militare di uno Stato militarmente organizzato per contrastare la reazione dell'esercito borbonico.

Fondando la Società nazionale italiana (1857) e ottenendo l'adesione di Garibaldi, il L., che della Società assunse la segreteria, compì l'atto politico più qualificante in vista di quell'insurrezione dell'Italia centrale che avrebbe accompagnato la guerra contro l'Austria; non poté però impedire che tra gli esponenti moderati dell'emigrazione siciliana emergesse un vasto schieramento attardato ancora su rivendicazioni indipendentiste e antinapoletane (F. Ferrara, V. D'Ondes Reggio, E. Amari, F.P. Perez), spinte sino all'accettazione di restaurazioni murattiane o alla ricerca di tutele inglesi.

All'intenso lavorio svolto dal L. nel 1858 per la sollevazione e l'invio di volontari per l'imminente conflitto, soprattutto dall'Italia centrosettentrionale, si accompagnò l'infittirsi dei rapporti con Garibaldi e la definizione di un piano per l'insurrezione di Massa e Carrara, concordato con lo stesso Cavour. Nello stesso tempo il L. diffondeva il suo Credo politico della Società nazionale italiana e La rivoluzione, la dittatura e le alleanze (Torino 1859), un vero e proprio manifesto programmatico di un'organizzazione che non voleva avere più nulla di settario e si proponeva di affiancare concretamente l'azione diplomatica condotta dal Cavour in Europa. In questa ottica la Società nazionale raccoglieva fondi, reclutava volontari dai vari Stati italiani e li smistava verso Torino (compresi i disertori dell'esercito austriaco), e dalle colonne del Piccolo Corriere confutava le critiche rivolte da Mazzini alla politica sabauda.

I frutti della strategia lafariniana si cominciarono a raccogliere quando allo scoppio della guerra con l'Austria tennero dietro le sollevazioni popolari nell'Italia centrale.

La crisi venne dopo, allorché, adirato per la cessione di Nizza e della Savoia, Garibaldi lasciò la presidenza della Società nazionale e riprese a lavorare con i mazziniani per un rilancio dell'iniziativa democratica. Per non restare tagliato fuori, il L. si adoperò per riprendere i contatti con Garibaldi e convincere lo stesso Cavour a non ostacolare la partenza dei garibaldini da Quarto, agevolandone anzi la navigazione verso la Sicilia, onde evitare possibili e pericolose digressioni verso lo Stato pontificio. Politicamente anche più importante fu l'azione con cui il L. procurò alla spedizione l'appoggio degli affiliati siciliani della Società nazionale e creò il Fondo per un soccorso alle province non ancora libere.

Caduta Palermo, Cavour - preoccupato per le prime misure prese da F. Crispi come segretario della dittatura - inviò il L. in Sicilia insieme con F. Cordova (1° giugno 1860), trascurando il fatto che il L., che era stato eletto deputato nel collegio di Busto Arsizio (VII legislatura), per aver votato a favore della cessione di Nizza era considerato da Garibaldi alla stregua di un nemico; a ciò si aggiunga che i due cavouriani si resero protagonisti di alcune iniziative plateali volte a enfatizzare il pericolo repubblicano e a ottenere l'annessione immediata dell'isola, e come tali sgradite a Garibaldi che il 7 luglio ordinò l'arresto e quindi l'espulsione del L.; pari trattamento fu volutamente riservato a due spie.

In Sicilia il L. poté tornare solo il 2 dic. 1860 in veste di consigliere della Luogotenenza per la sicurezza e gli affari interni. Non riuscendo però a mitigare l'opinione negativa di chi gli rimproverava il suo unitarismo, il 27 genn. 1861 dovette rinunciare alla carica e tornare a Torino. Qui, dopo l'apertura solenne del Parlamento (VIII legislatura, 18 febbr. 1861), il L., eletto nel II collegio di Messina, fu nominato vicepresidente della Camera elettiva, ai cui lavori partecipò interessandosi soprattutto al tema della separazione della potestà civile da quella religiosa. Altri contributi parlamentari importanti riguardarono il decentramento amministrativo, da lui avversato, il disavanzo dello Stato, la vendita straordinaria dei titoli della rendita pubblica, la libertà d'associazione, il brigantaggio.

Nell'estate del 1863, già in precarie condizioni di salute, il L. si recò a Messina a riabbracciare la madre e i suoi amici più cari. Tornato a Torino a metà agosto, il 5 sett. 1863 non sopravvisse a una violenta apoplessia cerebrale.

Fu sepolto nella galleria del grande sepolcreto torinese e, per iniziativa della Società nazionale e di numerosi senatori e deputati, si formò un comitato per la esecuzione di un monumento funebre che fu inaugurato soltanto il 1° giugno 1884. Il 21 marzo 1872 le ceneri furono traslate a Messina; a spese della moglie un monumento funebre gli fu eretto nella fiorentina basilica di S. Croce.

Tra gli scritti del L., non citati nel testo, va ricordato Sovra un passo del canto XXXIV dell'Inferno della Divina Commedia. Lezione, in Il Faro, aprile 1836. Al secondo periodo fiorentino appartengono: Il 13 ott. 1841 in S. Croce (discorso), Firenze 1841; Giovanni Dupré. Considerazioni artistiche, ibid. 1843; L'Abele moribondo, statua di Giovanni Dupré, Milano 1844; C. Denina, Le rivoluzioni d'Italia, precedute da una prefazione e seguite da un discorso storico di Giuseppe La Farina, Firenze 1844-46; All'Italia (ode per l'apertura della strada ferrata da Lucca a Pisa), Lucca 1846 (poi compresa in F. Guardione, Poeti siciliani del XIX secolo, Torino 1892); Storia d'Italia narrata al popolo italiano, 568-1815, I-VII, Torino-Firenze 1846-53 (poi Torino-Milano, 1860-64); Della guerra attuale e degli ultimi casi del Veneto, Roma 1848; Storia d'Italia narrata al popolo italiano, I-VII, Firenze 1848-53; Il ministero di Guerra e Marina dal 24 sett. 1848 all'8 febbr. 1849, Palermo 1849; Discorso storico sulle rivoluzioni d'Italia dal 1791 ai nostri giorni, Firenze 1850; La nazione è unica e vera proprietaria dei beni ecclesiastici: discorso, ibid. 1854; Saggi di filosofia civile, s.l. 1855; Sicilia e Piemonte: lettere ad un amico in Sicilia, ibid. 1857; Dei fatti più notevoli della Repubblica romana, ibid. 1857; La storia d'Italia narrata ai giovanetti, ibid. 1857; Le forze liberatrici d'Italia nella probabilità della prossima guerra, ibid. 1858; Sulle presenti condizioni d'Italia: pensieri, ibid. 1862; Epistolario di Giuseppe La Farina, raccolto e pubbl. da A. Franchi, I-II, Milano 1869; Scritti politici di Giuseppe La Farina; I-II, a cura di A. Franchi, Milano 1870 (dove furono inseriti gli articoli pubblicati in L'Alba); Scritti politici, con una introd. di D. Mack Smith, Palermo 1972.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Messina, Processi criminali dal 1821 al 1847; Processi politici per i fatti del 1° sett. 1847; Processo per i saccheggi avvenuti in Messina nei giorni 8 e 9 sett. 1848; Pratiche e atti riguardanti l'epoca delle guerre e fatti del 1860-61; Messina, Arch. del Gabinetto di lettura, Docc. della rivoluzione siciliana del '48 (3 voll.); Ibid., Arch. della Biblioteca regionale, FondoLa Corte Cailler, n. 163: Autografi e ricordi inediti vari di G. L.; Fondo nuovo, n. 280: Docc. sul conferimento di cittadinanza onoraria a G. La Farina.

G. Ricciardi, Profili biografici di contemporanei, Napoli 1861, pp. 60-66; Lettere di G. Pallavicino, D. Manin, G. Garibaldi a G. L., in La Discussione. Piccolo Corriere d'Italia (suppl. al Bollettino settimanale, n. 42), Torino 1863; A. Vannucci, Ricordo di G. L., Firenze 1868; A. Catara Lettieri, In onore di G. L., Messina 1872; G. L.: una vita per l'Italia, Messina 1872; C. Gemelli, Onoranze a G. L. in S. Croce, Messina 1877; P. Preitano, Biografie cittadine, Messina 1881, pp. 181-202 (rist. anast., a cura e con introd. di M. D'Angelo - L. Chiara, ibid. 1994); G. Biundi, Di G. L. e del Risorgimento italiano dal 1815 al 1893, I-II, Milano 1893; T. Palamenghi Crispi, I Mille: da documenti dell'Archivio Crispi, Milano 1911, pp. 211-235, 367-371; G. Avarna di Gualtieri, Ruggero Settimo nel Risorgimento siciliano, Bari 1928, pp. 106-151, 156-159, 168-173, 184-189; M.C. Genova, Crispi e L.: contributo alla storia della rivoluzione siciliana del 1860, Palermo 1931; G. Oliva, Annali della città di Messina, VIII, Messina 1954, pp. 268-277; G. Marrone, L'Alba di G. L., in Clio, XIV (1978), pp. 215-226; Id., G. L. storico e pubblicista, Caltanissetta-Roma 1981; S. Candido, I rapporti tra F. Crispi e G. L. durante e oltre l'esilio: 13 lettere inedite di G. L. (1849-1858), in Arch. stor. siciliano, XII-XIII (1986), pp. 107-149; C. Salvo, L'esperienza giornalistica messinese di G. L., in Nuovi Quaderni del Meridione, XXV (1987), pp. 99-106; G. L. Atti del Convegno, Messina… 1987, a cura di P. Crupi, Marina di Patti 1989; F. Giannetto, L'unitarismo lafariniano e la Sicilia dal 1856 al 1860, in Arch. stor. messinese, LVI (1990), pp. 125-179. Molti riferimenti all'azione politica del L. in: R. Romeo, Il Risorgimento in Sicilia, Bari 1950, pp. 297-376; F. Brancato, Storia della Sicilia post-unificazione, Bologna 1956, ad ind.; D. Mack Smith, Garibaldi e Cavour nel 1860, Torino 1958, ad ind.; W. Maturi, Interpretazioni del Risorgimento, Torino 1962, ad ind.; P. Pieri, Storia militare del Risorgimento, Torino 1962, ad ind.; R. Grew, A sterner plan for Italian unity, Princeton 1963, ad ind.; L. Tomeucci, Messina nel Risorgimento. Contributo agli studi sull'Unità d'Italia, Milano 1963, ad ind.; M. Gaudioso, I democratici siciliani nell'emigrazione, in Il Risorgimento in Sicilia, IV (1968), pp. 595-618; V (1969), pp. 15-101; G.B. Furiozzi, L'emigrazione politica in Piemonte nel decennio preunitario, Firenze 1972, ad ind.; Lettere di Rosolino Pilo, a cura di G. Falzone, Roma 1972, ad ind.; F. Della Peruta, Mazzinianesimo e democrazia nel Mezzogiorno (1831-1847), in Cahiers internationaux d'histoire économique et sociale, V (1975), pp. 19-25; Id., Il giornalismo dal 1847 all'Unità, in A. Galante Garrone - F. Della Peruta, La stampa italiana del Risorgimento, Roma-Bari 1979, ad ind.; G. Ciampi, I liberali moderati siciliani in esilio nel decennio di preparazione, Roma 1979, ad ind.; R. Romeo, Cavour e il suo tempo, III, Roma-Bari 1984, ad ind.; F. Della Peruta, Conservatori, liberali e democratici nel Risorgimento, Milano 1989, ad ind.; L. Riall, Sicily and the Unification of Italy. Liberal policy and local power, 1859-1866, Oxford 1998, ad ind.; C. Duggan, Creare la nazione. Vita di F. Crispi, Roma 2000, ad ind.; Diz. del Risorgimento nazionale, III, s.v.; Enc. Italiana, XXI, s.v.; Bibliografia dell'età del Risorgimento in onore di A.M. Ghisalberti, IV, Indici, ad indicem.

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