MERENDA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 73 (2009)

MERENDA, Giuseppe

Alessandro De Lillo

MERENDA (Merenda Salecchi), Giuseppe. – Discendente di un’antica e illustre famiglia romagnola, figlio di Fabrizio e di Maddalena dei conti Salecchi di Faenza, nacque nel 1687 a Forlì, dove fu attivo come architetto e collezionista.

Il padre fu esponente di spicco del patriziato locale e consigliere di Forlì. Nel 1720 re Augusto II di Polonia conferì il titolo comitale a Fabrizio e ai suoi discendenti di sesso maschile e femminile (Spreti). Il matrimonio con Maddalena, ultima esponente della casata Salecchi, comportò il passaggio delle sostanze di quest’ultima ai Merenda e l’aggiunta del cognome per la discendenza; morì a Forlì il 24 genn. 1736. Furono figli di Fabrizio anche Paolo, che sposò Laura Maldenti, e Cesare nato nel 1700 e morto a Roma nel 1754.

La formazione del M., per tradizione storiografica non suffragata da alcuna documentazione, sarebbe avvenuta presso la bottega forlivese del pittore C. Cignani, dove avrebbe appreso i rudimenti della pittura, e poi a Bologna dove avrebbe studiato matematica, architettura civile e militare (Oechslin, 1969, in linea coi biografi ottocenteschi).

Rimondini (1984) deduce un possibile rapporto fra il giovane M. e l’architetto faentino C.C. Scaletti a partire dal 1705, quando quest’ultimo fu chiamato a Forlì da Fabrizio (eletto «depositario» della costruenda chiesa di S. Teresa) per realizzare il progetto approvato da una commissione di patrizi forlivesi.

Ricevuto cavaliere di giustizia del Sovrano militare Ordine Gerosolimitano, il soggiorno a Malta del M. fra il 1710 e il 1712 (12 maggio 1710: Bonazzi) dovette incidere in maniera senz’altro profonda sul suo tirocinio professionale, dato che durante tale periodo, come egli stesso scrisse ai familiari, ebbe modo di percorrere le coste africane e spagnole del Mediterraneo, visitare numerose città calabresi e siciliane e dedicarsi al disegno cartografico e architettonico (Limarzi). Negli anni 1713-15 il M. era a Roma con il ruolo di «coppiere» del cardinale W.H. von Schrattenbach: fu in tale occasione che dovette instaurare una proficua e duratura amicizia con l’antiquario tedesco Philipp von Stosch. Nel 1716 il M. tornò a Forlì dando inizio alla sua attività di architetto. Poche sono le notizie e le attribuzioni certe, a fronte di una generale tendenza della storiografia locale a dilatare oltre misura il catalogo delle realizzazioni del M.; solo Rimondini (in particolare, 1983) ha operato in chiave di espunzione. Escludendo la chiesa di S. Lucia (Casali e Casadei, pur conoscendo l’esatta data della sua nascita, attribuiscono al M. l’assunzione della direzione dei lavori nel 1702), fra i primi progetti del M. potrebbe collocarsi la chiesa interna al collegio dei padri della missione, iniziato nel 1713, consacrata nel 1721 e tradizionalmente attribuita al M. (Viroli, 1995). È assai probabile inoltre che il M. ricevesse nel 1719 l’incarico di elaborare un progetto per l’ampliamento della cappella di S. Pellegrino in S. Maria dei Servi: tale intervento fu concluso nel 1723. L’opera architettonica più rilevante progettata dal M. (la prima a lui attribuibile con certezza) fu senza dubbio l’ospedale della Casa di Dio (conosciuto in tempi recenti come «palazzo del Merenda»).

Il progetto iniziale prevedeva un corpo centrale a tre corsie, due cortili e un imponente prospetto porticato con lesene binate di ordine dorico: un modello ligneo, oggi conservato presso l’armeria Albicini nello stesso palazzo, conferma la grandiosità degli intenti architettonici del Merenda. La prima pietra della costruzione fu posta nel 1720 e, stando a un’epigrafe del 1722, gran parte dell’edificio sarebbe stata completata in soli due anni; il dato appare piuttosto improbabile alla luce della complessità costruttiva di un’opera di siffatte proporzioni, ma ha dato origine a una tradizione accolta anche in tempi recenti. In realtà la realizzazione delle tre corsie dell’ospedale si protrasse almeno fino al 1766 e la facciata porticata prevista in origine non fu mai realizzata. Nel progetto originario il M. mostrava convinta adesione ai moderni principî di funzionalità dell’edilizia civile ed evidenziava una probabile influenza della grammatica modulare che caratterizzava i quartieri militari torinesi di F. Iuvarra (Rimondini, 1984, senza però chiarire le modalità contestuali di tale relazione).

Nel 1723 il M. era di nuovo a Malta, chiamato dal gran maestro dell’Ordine Emmanuel de Vilhena per eseguire opere di fortificazione difensiva; mentre nello stesso anno il fratello Cesare, dottore in diritto civile e canonico, si trasferiva a Roma in qualità di uditore del cardinale Francesco Borghese. I due fratelli, spinti da una comune passione, collaborarono strettamente nella costituzione progressiva di un’importante raccolta d’arte di famiglia; sembra che il primo nucleo di tale collezione risalisse addirittura al 1709 (Limarzi, cui si fa riferimento, dove non altrimenti indicato, per tutte le notizie sul collezionismo dei Merenda).

L’attività di acquisizione di dipinti negli anni dovette essere continua e incessante visto che la collezione, intorno al 1756, comprendeva circa 500 dipinti. Nel 1838 Casali affermava che la raccolta d’arte dei Merenda riuniva, fra gli altri, dipinti di G. Reni, del Guercino (G.F. Barbieri), del Tintoretto (I. Robusti), di A. Sacchi, di Palma il Giovane (Iacopo Negretti), di A. Carracci, di Pietro da Cortona (P. Berrettini), di N. Poussin e dipinti di scuola raffaellesca; un’importante sezione era costituita da diverse opere di P. Batoni (Calzini), di cui Cesare era estimatore e protettore. A partire dagli anni dei primi soggiorni romani del M. la collezione si arricchì anche di gemme, calchi, cammei e medaglie, probabilmente dietro suggerimento del barone von Stosch (Rosetti), oltre che di una sezione cartografica e di reperti archeologici e fossili. La collezione, rimasta praticamente intatta fino alla dispersione a causa dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, era fortemente denotativa della formazione dei due fratelli, basata sul classicismo emiliano e bolognese in particolare, ma sapientemente indirizzata a recepire le novità del barocco romano, soprattutto grazie alla trama di relazioni artistiche intessuta da Cesare a Roma, testimoniata da numerosi riscontri epistolari.

Per quanto attiene alle altre realizzazioni architettoniche del M., una più sorvegliata ricognizione della documentazione disponibile ha permesso negli ultimi anni di chiarire la reale portata di alcuni suoi interventi.

La chiesa del Suffragio, edificio tradizionalmente riferito al M. (in tempi più recenti anche da Oechslin, 1970, e dalla Matteucci, 1972), è stata convincentemente sottratta al catalogo merendiano da Rimondini (1983) e assegnata al frate camaldolese G.A. Soratini sulla base di una lettera autografa del 1724-25 scritta a sostegno del progetto, erroneamente attribuita in passato al M. stesso. Sembra che il M., in una fase di interruzione dei lavori, rifiutasse di subentrare al camaldolese con un nuovo progetto. Neanche l’intervento del M. nella chiesa del Carmine, che sarebbe consistito in un ampliamento con l’aggiunta dell’abside e di un presbiterio decorati a pesanti volute e mensole (Oechslin, 1970; Viroli, 1994), risulta comprovato da adeguata documentazione: l’unico disegno, del 1735, è oggi irreperibile. Certo è invece che il M. ebbe l’incarico, intorno al 1732, di elaborare un nuovo progetto per la chiesa di S. Teresa dei Carmelitani scalzi, più nota come chiesa di S. Antonio Abate in Ravaldino. Il padre Fabrizio, nel luglio del 1713, aveva lasciato l’incarico amministrativo di «depositario» della chiesa a seguito di critiche ricevute nell’esercizio di tale attività; e, dopo varie interruzioni dei lavori dovute a ragioni economiche, il M. propose una riduzione delle dimensioni dell’edificio, pur conservando l’originale impostazione ottagonale concepita da Scaletti. Nell’aspetto attuale, la chiesa è il risultato di un terzo intervento architettonico, operato circa quarant’anni dopo quello del M. dall’architetto G. Stegani. Altre tradizionali attribuzioni al M., anch’esse prive di sostegno documentario, riguardano la chiesa di S. Giacomo (esclusa però da Rimondini, 1983), l’oratorio dei Ss. Angeli Custodi (1761) a Traversara e la chiesa di S. Gherardo dei Cavalieri in Borgo S. Pietro (entrambi demoliti), lo scalone riccamente decorato di palazzo Reggiani, la cappella della Madonna del Fuoco in S. Francesco a Meldola; è piuttosto evidente che lo stato attuale della ricerca consente una ricostruzione solo parziale e non priva di criticità del linguaggio architettonico del Merenda.

Intorno al 1737 il M. subentrò al padre nel Consiglio di Forlì; ma la sua appartenenza ai cavalieri dell’Ordine di Malta e la professione di fede, con l’assunzione dei voti solenni, avvenuta nella chiesa di S. Maria del Tempio a Bologna, lo privarono del seggio consiliare, non senza qualche rammarico da parte del M. (per consuetudine familiare i Merenda avevano sempre rivestito ruoli di primo piano nella comunità cittadina), che cercò di ottenere informazioni sull’effettiva incompatibilità dei ruoli e su eventuali precedenti significativi (Daporti).

Nulla si sa di una concreta attività pittorica del M.; il solo Foschi ipotizza un suo intervento nella decorazione ad affresco (con paesaggi campestri e scene mitologiche nelle sovrapporte) del salone al piano nobile di villa Merenda alla Monda, nei dintorni di Forlì, dove il M. si ritirò nell’ultima parte della sua vita e morì nel 1767.

Fonti e Bibl.: G. Casali, Guida per la città di Forlì, Forlì 1838, ad ind.; G. Rosetti, Vite degli uomini illustri forlivesi, Forlì 1858, pp. 435-447; E. Calzini, La galleria Merenda in Forlì e le pitture del Batoni in essa contenute, in Arte e storia, XV (1896), 17, pp. 129 s.; 18, pp. 138 s.; F. Bonazzi, Elenco dei cavalieri del S.M. Ordine di S. Giovanni di Gerusalemme, I, Napoli 1897, p. 210; E. Casadei, La città di Forlì e i suoi dintorni, Forlì 1928, ad ind.; W. Oechslin, in Dizionario enciclopedico di architettura e urbanistica, IV, Roma 1969, pp. 17 s.; Id., Contributo alla conoscenza dell’architettura barocca nella Romagna. Fra G. M. e Gianfrancesco Buonamici, in Barocco europeo, barocco italiano, barocco talentino. Congresso internazionale sul barocco… 1969, a cura di P.F. Palumbo, Lecce 1970, pp. 265-272; U. Foschi, Antiche ville della provincia di Forlì, Bologna 1970, pp. 267-272; G. Daporti, Per G. M., in Studi romagnoli, XXIII (1972), pp. 97-102; A.M. Matteucci, La chiesa del Suffragio in Forlì, ibid., pp. 49-61; G. Limarzi, Il collezionismo di G. e Cesare Merenda, ibid., XXXIII (1982), pp. 249-284; G. Rimondini, La chiesa del Suffragio di Forlì (1723-1748) su disegno di fra’ Giuseppe Antonio Soratini, in Romagna arte e storia, III (1983), pp. 59-78; Id., Materiali per la ricostruzione del regesto di G. M. architetto forlivese, in Romagna: arte e storia, IV (1984), pp. 21-40; A.M. Matteucci, L’architettura del Settecento, Milano 1992, pp. 101, 104; G. Viroli, Chiese di Forlì, Forlì 1994, pp. 135-137, 154, 161, 174, 207, 213, 221 s.; Palazzi di Forlì, a cura di G. Viroli, Forlì 1995, pp. 31, 66-68, 70, 76, 97 s., 109; G. Viroli, Chiese, ville e palazzi del Forlivese, Forlì 1999, p. 95; Storia dell’architettura italiana. Il Settecento, a cura di G. Curcio - E. Kieven, Milano 2000, I, pp. 255 s., 259; U. Thieme- F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, p. 411; V. Spreti, Encicl. storico-nobiliare italiana, App., II, p. 322.

A. De Lillo

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