MONTANELLI, Giuseppe

Enciclopedia Italiana (1934)

MONTANELLI, Giuseppe

Antonio Panella

Patriota e uomo politico, nato a Fucecchio il 21 gennaio 1813, morto ivi il 17 giugno 1862. Giovanissimo, collaborò all'Antologia del Vieusseux e al Giornale Pisano. Nominato nel 1840 professore di diritto civile e commerciale all'università, vi si distinse più per una certa facilità di parola che per profondità di pensiero. Di natura sentimentale e perciò incline a prendere iniziative che in pratica non avevano fortuna, come ad accettare dottrine che gli colpivano il cuore più che l'intelletto, costituì nel 1843 un'associazione dei "Fratelli italiani" con scopi soprattuíto di rigenerazione morale, raccogliendo scarsi proseliti e, nello stesso anno, insoddisfatto del sansimonismo, al quale si era accostato fin dagli anni universitarî, partecipò al movimento evangelico promosso a Pisa da Carlo Eynard. Ma non passò molto che, entusiasmato della politica riformatrice di Pio IX, diventò neoguelfo; e prima con la stampa clandestina, poi con la fondazione del giornale L'Italia, fu un ardente sostenitore del programma giobertiano, sebbene non fosse rimasto troppo contento di un colloquio che nel novembre 1847 aveva avuto col pontefice.

Scoppiata la guerra contro l'Austria, assunse il comando della colonna dei volontarî pisani, fu ferito a Curtatone, fatto prigioniero e condotto a Innsbruck. Tornato nel settembre 1848 in Toscana, dove, non essendosi avute più sue notizie, era stato creduto morto, fu eletto deputato dell'Assemblea toscana. Mandato a Livorno come governatore per ristabilirvi la calma turbata dai tumulti, vi bandiva la Costituente italiana. Intanto cadeva il ministero Capponi e il M., incaricato dal granduca di comporne uno nuovo, assumeva la carica di presidente, chiamando come ministro dell'Interno il Guerrazzi. La Costituente montanelliana diventò allora programma del ministero. Ma l'adesione del granduca a un'iniziativa che, nel primo disegno del M., aveva carattere spiccatamente rivoluzionario, portò ad una modificazione o, meglio, sdoppiamento: non più una Costituente nazionale che subordinava il problema dell'indipendenza all'instaurazione di governi democratici; ma una Costituente operante per gradi in due stadî differenti, "l'uno anteriore e l'altro posteriore allo affrancamento della nazione, il primo radunatore di forze e tutto inteso a riscatti; il secondo disputatore e artefice di statuto italiano". Ma col maturare degli eventi egli venne modificando anche questo programma. Allo scopo d'impedire il sopravvento del Regno sardo nella questione italiana, cercò di formare una Costituente toscopontificia, che, dopo la fuga del papa da Roma, avrebbe dovuto avere la presidenza di Leopoldo II, e ciò come preparazione alla fusione dei due stati in uno stato dell'Italia centrale. La partenza del granduca fece naufragare anche questo disegno, che aveva del resto già incontrato difficoltà per la proposta Costituente federale del Gioberti.

Rimasta la Toscana senza sovrano, il M. fece parte col Guerrazzi e col Mazzoni del governo provvisorio e sostenne l'opportunità della proclamazione della repubblica e dell'unione con Roma; ma prevalse l'opinione del Guerrazzi tendente a non precipitare gli eventi. Sciolto il triumvirato e dati dall'assemblea toscana i pieni poteri al Guerrazzi, il M. si recò in Francia con la missione di raccogliere forze militari e prepararvi l'opinione pubblica a favore della Toscana; ma la caduta del Guerrazzi e il ritorno del granduca resero vana l'opera sua, costringendolo a trasformare il volontario soggiorno in esilio.

Coinvolto nel processo di lesa maestà per i fatti del 1849, fu condannato in contumacia alla pena dell'ergastolo a vita. In quello stesso anno (1853), volendo giustificare la sua condotta politica, mossa non da fini personali, "né per gusto di agitazione, ma unicamente per trionfo di idee liberali", pubblicò i due volumi di Memorie sull'aalia e specialmente sulla Toscana dal 1814 al 1850 (Torino 1853).

Non più distratto dalla politica militante, tornò in quegli anni di esilio alle muse e scrisse un poema in nove canti: La S'entamone, ispiratogli da un quadro del pittore olandese Ary Scheffer, e una tragedia di argomento greco, La Camma, che fu rappresentata a Parigi da Adelaide Ristori nell'aprile 1857. Intanto aderiva al movimento favorito da molti esuli italiani per porre sul trono di Napoli Luciano Murat.

Sulla questione italiana egli non aveva mai avuto un orientamento sicuro e non lo ebbe neppure dopo il 1859. Tornato in Italia col proposito di partecipare alla guerra, si arruolò nei Cacciatori delle Alpi; poi, deputato dell'Assemblea toscana, votò per la decadenza della dinastia lorenese, ma fu contrario alla fusione col Piemonte. Soltanto dopo il plebiscito che consacrava l'unione della Toscana al Piemonte, finì col rassegnarsi ai fatti compiuti. Tuttavia fu propugnatore caldissimo del sistema regionale proposto da M. Minghetti. A pochi mesi di distanza dalla morte, era entrato a far parte del parlamento nazionale per il collegio di Pontassieve.

Bibl.: A. Marradi, G. M. e la Toscana dal 1815 al 1862, Roma 1909; A. De Rubertis, Vincenzo Gioberti e la Costituente di G. M., in Archivio storico italiano, II (1921), pp. 251-290.

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