PELLA, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PELLA, Giuseppe

Walter E. Crivellin

PELLA, Giuseppe. – Nacque a Valdengo, nei pressi di Biella, il 18 aprile 1902, secondogenito di Luigi e di Viglielmina Bona, gestori con un contratto di mezzadria di un piccolo podere.

Conseguita privatamente la licenza elementare, frequentò a Biella il triennio delle scuole tecniche, per approdare successivamente a Torino e diplomarsi in ragioneria presso l’Istituto Sommeiller nel 1920. Lo stesso anno, accanto a una prima esperienza lavorativa come procuratore del lanificio Lanzone di Sagliano Micca, si iscrisse al corso di laurea in scienze economiche e commerciali presso il Regio Istituto superiore di Torino, dove si laureò nel 1924.

Educato alla luce dei principi cattolici, negli anni torinesi ebbe modo di partecipare a esperienze associative e politiche che si ispiravano a quegli ideali e che lo misero in contatto sia con giovani coetanei, come Piergiorgio Frassati e Giuseppe Rapelli, sia con personalità autorevoli come Gustavo Colonnetti, Federico Marconcini, Attilio Piccioni, Alessandro Cantono, attivi esponenti del Partito popolare italiano (PPI) al quale Pella si iscrisse.

In particolare Cantono, sacerdote biellese e voce stimata di quella componente del movimento cattolico più sensibile alle tematiche economiche e sociali, esercitò un ruolo notevole nella formazione del giovane Pella. Più in generale, nella Torino dei primi anni Venti, Pella conobbe l’acceso dibattito politico e culturale che si esprimeva soprattutto attraverso La rivoluzione liberale di Piero Gobetti, L’ordine nuovo di Antonio Gramsci e Il pensiero popolare di Piccioni. Parimenti visse il confronto tra l’avvento del fascismo e il ruolo controverso assunto dal PPI e il dibattito maturato al suo interno, specialmente nel congresso torinese dell’aprile 1923, dove si avviò il processo che avrebbe prodotto la definitiva frattura tra il Partito e il governo Mussolini. Lo stesso Pella ricordò il periodo torinese «come momento centrale della sua formazione politica e d’una militanza avvenuta nell’ala ‘sociale’ del popolarismo subalpino» (Neiretti, 1987, p. 13).

Conclusi gli studi e rientrato in famiglia, insegnò tecnica commerciale e ragioneria industriale all’Istituto Bona di Biella. Nel contempo iniziò a esercitare la professione di dottore commercialista, si dedicò ad attività pubblicistiche su argomenti di contabilità aziendale e gestione d’impresa e prese parte attiva agli incontri di categoria degli industriali lanieri, assumendo la segreteria della loro associazione nazionale nel 1928.

Pubblicò inoltre i primi studi monografici, Lavorazione per terzi e tassa scambi (Torino 1926), Riporto su titoli (Torino 1928), seguiti nel decennio successivo da diversi altri contributi, tra i quali i saggi L’imposta straordinaria progressiva sugli utili delle società commerciali (Biella 1938), Riserve tacite e responsabilità degli amministratori nelle società azionarie (Biella 1938), Cicli economici e previsioni di crisi (Milano 1938).

Nei primi anni Trenta iniziò l’attività accademica presso l’Università di Torino, collaborando alla cattedra di tecnica mercantile e bancaria come assistente di Giuseppe Broglia e come docente di costi industriali al Corso superiore per dirigenti d’azienda svolto con Gino Olivetti, Domenico Peretti-Griva e Vittorio Valletta.

Professionista ormai affermato, Pella fu presto considerato negli ambienti biellesi tra i più stimati revisori dei conti. Con l’esercizio della professione si configurò più nettamente il suo rapporto con il fascismo, rispetto al quale assunse un atteggiamento rimasto «fino agli inizi degli anni trenta in apparenza agnostico» (Fanello Marcucci, 2007, p. 31). Alla permanenza nel ruolo dei revisori dei conti e degli amministratori giudiziari fu legata infatti la sua iscrizione al Partito nazionale fascista nel 1932. Nominato membro del Consiglio direttivo dell’Istituto provinciale fascista di cultura e consultore del Comune di Biella, si dimise nel 1934, in base alla normativa vigente che privava di cariche pubbliche i cittadini celibi. In realtà la sua condizione celibataria finì l’anno successivo, quando sposò Ines Maria Cardolle. Dall’unione nacque, nel 1938, l’unica figlia, Wanda. Superata la condizione di celibe, il regime lo investì di nuove mansioni, tra le quali la nomina a vicepodestà di Biella con il compito di riorganizzare il sistema finanziario cittadino.

L’attività di docenza e gli impegni professionali lo portarono nuovamente a dimettersi. D’altra parte, nel corso del decennio, quale delegato degli industriali italiani alle conferenze internazionali laniere in varie capitali europee, ebbe modo di esprimere i suoi orientamenti liberoscambisti, contrastanti con gli indirizzi protezionistici e autarchici dell’economia corporativa. I contatti mantenuti con ambienti cattolici e con esponenti locali del disciolto popolarismo sturziano, che a livello nazionale soprattutto attorno ad Alcide De Gasperi andava elaborando idee e programmi di un nuovo soggetto politico, favorirono la ripresa dell’attività politica di Pella.

All’indomani della caduta del fascismo (25 luglio 1943), aderì all’iniziativa dell’architetto biellese Alessandro Trompetto, in contatto con gruppi cattolici milanesi e romani, partecipando alla sottocommissione democratico-cristiana di Biella nella quale venivano illustrate e discusse con Colonnetti e Cantono le degasperiane Idee ricostruttive, base programmatica del nascente partito della Democrazia cristiana (DC). Dopo l’8 settembre 1943 offrì la sua competenza alle forze impegnate nella Resistenza, prestando consulenza finanziaria al Comitato di liberazione nazionale di Biella.

Con la fine delle ostilità e la Liberazione, Pella partecipò attivamente alla vita del nuovo Partito sia con vari interventi giornalistici sul settimanale della DC locale Vita biellese, sul quotidiano torinese del Partito Il popolo nuovo e sul bisettimanale cattolico Il Biellese, sia nella preparazione del programma per le elezioni comunali di Biella, intervenendo sulle questioni del risanamento finanziario e la riorganizzazione dei servizi comunali.

Presentatosi come capolista, ottenne largo consenso personale e il suo Partito la maggioranza relativa, anche se l’amministrazione venne affidata alla vincente coalizione socialcomunista.

Eletto deputato alla Costituente per la DC con 25.632 preferenze nella circoscrizione Torino-Novara-Vercelli, si distinse per gli interventi sui temi economici all’interno del gruppo parlamentare del suo partito e nella commissione Finanza e Tesoro di cui fu nominato segretario. Il 19 settembre 1946, in occasione del dibattito sulla fiducia al secondo governo De Gasperi, Pella pronunciò il suo primo intervento a Montecitorio a nome del gruppo democratico-cristiano, «propugnando l’imposta patrimoniale straordinaria, chiedendo un consistente prelievo fiscale sui profitti di guerra, richiamando i passaggi obbligati della ricostruzione economica, a partire dalla stabilizzazione della lira, dalla lotta all’inflazione, dalla tutela del risparmio, del reddito fisso, e di salari e stipendi» (Neiretti, 1999, p. 426). Il mese seguente assunse il primo incarico governativo quale sottosegretario al ministero delle Finanze, incarico conservato anche nel successivo governo De Gasperi nel febbraio 1947. A maggio, con la rottura del fronte unitario e l’esclusione dall’esecutivo dei partiti socialista e comunista, nel quarto governo guidato da De Gasperi e con la vicepresidenza affidata a Luigi Einaudi, Pella divenne, su indicazione di quest’ultimo, ministro delle Finanze e dal 1947 al 1953 partecipò a tutti i governi De Gasperi, assumendo un ruolo di protagonista della politica economica e finanziaria.

Rieletto deputato nel 1948 con 50.848 voti di preferenza, ricoprì la carica di ministro del Tesoro e ad interim del Bilancio, raccogliendo l’eredità di Einaudi eletto capo dello Stato; nel 1951 fu riconfermato ministro del Bilancio e nel febbraio 1952 riprese l’interim del Tesoro. Durante la permanenza ai due ministeri e nella complessa fase della gestione degli aiuti collegati al Piano Marshall rappresentò il governo italiano nell’Organizzazione europea di cooperazione economica (OECE) e ricoprì la carica di vicepresidente del Comitato per la ricostruzione industriale.

Noto per il suo rigore nella gestione delle finanze statali e contrario a politiche di espansione della spesa pubblica, si rivelò fermo sostenitore della libera iniziativa di cui lo Stato deve essere garante e controllore, e della necessità di mettere in atto «ogni sforzo per rendere possibile una ripresa produttiva che consenta il reinserimento dell’Italia nel circuito delle esportazioni», risultato da perseguirsi «incoraggiando quanto più possibile le imprese, e con esse i liberi imprenditori» (Fanello Marcucci, 2007, p. 84). La sua concezione economica e finanziaria, d’ispirazione einaudiana e ormai definita la ‘linea Pella’, che incontrò tra gli altri il sostegno di Luigi Sturzo e l’appoggio di uno tra i suoi più stretti collaboratori, Piero Malvestiti, più volte sottosegretario e in seguito ministro, si contrappose a modelli di interventismo statale sostenuti, oltre che dalle forze della sinistra, da componenti della DC che soprattutto in Giuseppe Dossetti trovarono il loro propugnatore e che in più circostanze collocarono Pella al centro di critiche e contrasti. La sua visione moderata della politica economica, tuttavia, com’è stato evidenziato, non intese ridursi a semplice riproposizione della tradizionale visione liberale, ma, «pur ispirata al liberalismo e all’economia di mercato, differiva dal liberismo classico, e risentiva delle istanze sociali e solidaristiche presenti nella cultura politica dei cattolici» (Malgeri, 2004, p. 56).

Rieletto nel 1953, dopo il fallimento del disegno degasperiano di ricostruire un governo centrista, si aprì per Pella la strada della presidenza del Consiglio dei ministri, alla quale lo chiamò il presidente Einaudi. Il suo governo monocolore democratico cristiano, definito ‘d’affari’ e accompagnato da malumori all’interno del suo partito e accettato «come una necessità ma con poca convinzione» (Malgeri, 2002, p. 150), venne subito coinvolto dal riaccendersi della questione di Trieste con le pretese del presidente della Jugoslavia, Jozip B. Tito, sul territorio libero e le decise reazioni di Pella con la mobilitazione militare e i relativi riflessi e tensioni in politica estera e negli ambienti diplomatici. Altri contrasti sorsero attorno al problema dell’amnistia e dell’indulto e alla vertenza degli statali, con la rottura delle trattative tra governo e organizzazioni sindacali. Il divario che si andò via via approfondendo investì soprattutto i rapporti tra Pella e il suo partito. Da una parte egli giudicava troppo debole il sostegno della DC al governo, dall’altra gli organi di quel partito ritenevano troppo autonoma la linea politica di Pella (Malgeri, 2004, p. 72). Un rimpasto ministeriale che prevedeva la nomina di Salvatore Aldisio alla guida del ministero dell’Agricoltura provocò l’ennesimo conflitto che portò alle dimissoni di Pella nel gennaio 1954.

Fuori da impegni governativi, assunse tra il 1954 e il 1956 la presidenza dell’assemblea comune della Comunità europea del carbone e dell’acciaio (Ceca), succedendo a De Gasperi, in un momento di particolare difficoltà nel cammino per l’integrazione con il fallimento della Comunità europea di difesa (Ced). In questa prospettiva, che riteneva doversi realizzare gradualmente, Pella accompagnò la paziente ricerca dell’intesa «con la determinazione nel perseguire il disegno strategico di una progressiva cessione di sovranità dagli Stati membri alle istituzioni europee» (Giuseppe Pella (1902-1981), 2012, p. 15). La sua visione europeista venne chiaramente delineata già nel discorso di insediamento come presidente dell’assemblea della Ceca, là dove sostenne l’esigenza di creare un’Europa «ispirata al concetto di soprannazionalità, costruita non contro le nazioni ma con la collaborazione sincera delle nazioni» e il cui futuro dovrà essere caratterizzato da «forza di coesione» e «volontà di integrazione» (ibid., pp. 72 s.; Cova, 2004, pp. 97 s.).

Pella tornò al governo nel maggio 1957 quale vicepresidente del Consiglio e ministro degli Affari esteri nel governo Zoli fino al luglio 1958. Rieletto deputato nelle elezioni dello stesso anno con circa 113.000 preferenze, partecipò al secondo governo Segni (febbraio 1959 - marzo 1960) ancora alla guida degli Esteri. In tale ambito dimostrò di ispirare la sua politica sia al radicale inquadramento nelle alleanze occidentali, sia alla rivendicazione di una propria indipendente iniziativa dell’Italia nell’area del Mediterraneo e del Medio Oriente. Contribuì inoltre ad avviare le procedure per il mercato unico della nuova Comunità economica europea.

Con gli anni Sessanta iniziò il declino della parabola politica di Pella. Benché ancora ministro del Bilancio nel terzo governo Fanfani (luglio 1960 - febbraio 1962), il suo atteggiamento nettamente contrario alla nazionalizzazione dell’energia elettrica e, più in generale, alla svolta del centrosinistra lo portò a uscire dalla scena ministeriale, dove fece un’ultima comparsa per pochi mesi come ministro delle Finanze nel primo governo Andreotti (febbraio - giugno 1972). Concluse la sua esperienza politica in Senato, eletto nel 1968 e rieletto nel 1972.

Nell’intero arco delle sue responsabilità politiche non abbandonò l’impegno intellettuale e il lavoro scientifico, tenendo corsi di contabilità nazionale soprattutto nella facoltà di economia e commercio di Torino e pubblicando articoli, saggi, relazioni su testate giornalistiche (La Gazzetta del popolo, La Stampa, Il popolo) e su vari periodici, in particolare quelli di cui fu promotore, quali il settimanale di attualità politica Il Domani e la rivista Stato sociale, ai quali affidò le sue riflessioni su delicati aspetti della vita pubblica italiana di quegli anni, dai rischi della partitocrazia, alla questione della moralizzazione della vita pubblica, agli eccessi dello statalismo economico, riecheggiando molti aspetti della polemica sturziana negli anni Cinquanta.

Lasciata definitivamente l’attività parlamentare nel 1976, si dedicò soprattutto alla presidenza dell’Associazione nazionale degli istituti assicurativi, dell’Associazione dei dottori commercialisti e a Piemonte Italia, istituto promozionale di studi sull’economia subalpina, da lui fondato negli anni Sessanta con l’allentarsi degli impegni istituzionali. Contribuì inoltre alla fondazione della Città degli studi di Biella, di cui fu presidente.

Pella morì a Roma il 31 maggio 1981.

Opere. Oltre ai lavori citati, Pella pubblicò alcune raccolte di scritti, comprendenti saggi, relazioni, conferenze, elaborati in varie circostanze e in parte ospitati in riviste e periodici. Tra le più significative si segnalano: Tre documenti della rinascita, Bologna 1953; La Comunità europea del carbone e dell’acciaio. Risultati e prospettive, Roma 1958; OCSE. Dalla cooperazione europea alla cooperazione euro-americana, Roma 1961; Scritti e discorsi, s.l. né data (materiale relativo agli anni compresi tra il 1950 e il 1962). Sotto forma di opuscoli monografici sono stati pubblicati numerosi suoi interventi parlamentari, reperibili integralmente nelle raccolte istituzionali della Camera dei deputati e del Senato.

Fonti e Bibl.: L’archivio Pella, in attesa di riordinamento e di inventariazione informatica, è conservato a Biella presso il Centro di documentazione europea ospitato nella Biblioteca universitaria di Città studi. Ulteriore documentazione è reperibile presso l’Archivio centrale dello Stato, Presidenza del Consiglio dei ministri; nell’archivio OECE dello European university institute di Fiesole e negli archivi del Parlamento europeo in Lussemburgo.

La biografia più ampia e recente è quella di G. Fanello Marcucci, G. P. un liberista cristiano, Soveria Mannelli 2007; la sua attività di consigliere nazionale della DC è documentata in Atti e documenti della Democrazia Cristiana 1943-1967, I-II, a cura di A. Damilano, Roma 1968 e in G. Fanello Marcucci, I congressi nazionali della Democrazia Cristiana, Roma 1978. Riferimenti a Pella e al suo pensiero politico ed economico si riscontrano, oltre che negli studi sull’Italia repubblicana, in diversi contributi presenti nelle varie storie della DC o di qualche sua fase o di singoli protagonisti: si segnalano i volumi della Storia del movimento cattolico in Italia, diretta da F. Malgeri, V-VI, Roma 1981 e Storia della Democrazia Cristiana, a cura di F. Malgeri, II-IV, Roma 1989, accanto allo studio di A. Giovagnoli, Il partito italiano. La Democrazia cristiana dal 1942 al 1994, Roma-Bari 1996. Si vedano inoltre La cultura economica nel periodo della ricostruzione, a cura di G. Mori, Bologna 1980; P. Roggi, I cattolici e la piena occupazione. L’attesa della povera gente di Giorgio La Pira, Milano 1983 (20043); B. Bottiglieri, La politica economica dell’Italia centrista, Milano 1984; G. Formigoni, La Democrazia Cristiana e l’alleanza occidentale (1943-1953), Bologna 1996; F. Malgeri, La stagione del centrismo. Politica e società nell’Italia del secondo dopoguerra (1945-1960), Soveria Mannelli 2002; Id., L’Italia democristiana. Uomini e idee del cattolicesimo democratico nell’Italia repubblicana (1945-1993), Roma 2005, pp. 189-206; particolare attenzione alla figura e all’opera di Pella ha dedicato Marco Neiretti, autore di numerosi contributi, tra i quali Al servizio del Biellese. Cronache e documenti della rinascita 1946-1966, Biella 1967; G. P.: dal Partito Popolare all’Assemblea Costituente, Biella 1987; P., G., in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia. Aggiornamento 1980-1995, diretto da F. Traniello - G. Campanini, Genova 1997, pp. 398-402; G. P., in I deputati piemontesi all’Assemblea Costituente, a cura di C. Simiand, Milano 1999, pp. 422-431; G. P.: attualità del pensiero economico e politico, a cura di M. Neiretti, Biella 2004; La cultura cattolica e la nascita della Repubblica: il caso biellese, in Verso la Costituzione. Dibattiti e prospettive dei cattolici in Piemonte (1945-1947), a cura di W.E. Crivellin, Roma 2007, pp. 51-86. Si vedano inoltre Rivista biellese, 1953, n. 4, con diversi articoli dedicati a Pella; G.C. Re, Fine di una politica, Bologna 1971; F. Boiardi, G. P., in Il Parlamento italiano, XV, Milano 1991, pp. 471-490; A. Cova, L’Italia e l’integrazione economica dell’Europa: il ruolo di G. P., in G. P.: attualità del pensiero economico e politico, cit., pp. 81-114 (nello stesso volume v. i saggi di M. Neiretti, F. Traniello, F. Malgeri, P. Barucci, D. Ivone).

Alla politica europea di Pella fanno riferimento molti studi dedicati alle tematiche europeiste e federaliste, di cui si segnalano L’Italia e l’Europa (1947-1979), a cura di P.L. Ballini - A. Varsori, I-II, Soveria Mannelli 2004 e, su specifiche questioni, La Comunità europea del carbone e dell’acciaio 1952-2002. Gli esiti del Trattato in Europa e in Italia, a cura di R. Ranieri - L. Tosi, Padova 2004; La Comunità Europea di Difesa (CED), a cura d P.L. Ballini, Soveria Mannelli 2009. Si veda infine G. P. (1902-1981). Raccolta di discorsi, interviste e scritti sull’Europa 1950-1960, a cura di G. Susta con la collaborazione di F. di Lascio, Soveria Mannelli 2012.

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