SAREDO, Giuseppe

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 90 (2017)

SAREDO, Giuseppe

Lorenzo Sinisi

– Nacque a Savona il 16 settembre 1832 da Antonio e da Teresa Montereggio.

Il padre, originario di Pontinvrea nell’entroterra savonese, era un modesto impiegato dei magazzini delle privative doganali, mentre la madre era una genovese di origini chiavaresi.

Undicesimo di quattordici figli (di cui solo sei raggiunsero l’età adulta), dopo i primi studi elementari intraprese con profitto quelli ginnasiali, che portò a compimento nel 1846 presso l’Istituto savonese dei padri scolopi. Distintosi per la vivace intelligenza e l’attitudine allo studio e alla scrittura, passò quindi al corso di filosofia iniziando contemporaneamente il percorso che lo avrebbe condotto agli ordini sacri, percorso che però interruppe già nel 1848, quando a soli sedici anni, decise di trasferirsi a Genova per lavorare nel mondo del giornalismo.

Nel clima particolare che tale settore viveva in quegli anni decise ben presto di abbandonare Genova per Torino, capitale di un Regno di Sardegna allora al centro di fermenti politici che offrivano a un giovane ambizioso più possibilità di emergere. Entrato nella redazione del periodico Il Fischietto, dopo un primo periodo come correttore di bozze si mise presto in luce riuscendo a intessere rapporti con influenti personaggi del mondo politico e letterario subalpino come Terenzio Mamiani, Federigo Sclopis, Angelo Brofferio e Costantino Nigra. Fu proprio con quest’ultimo e con Tommaso Villa che, nel 1852, fondò Le scintille per passare l’anno successivo a una iniziativa più ambiziosa rappresentata dalla Rivista contemporanea di cui fu direttore sino al 1855. Il giornalismo politico lo avvicinò in quegli anni inevitabilmente alle personalità più in vista nel panorama istituzionale, Cavour compreso, che lo tenne in considerazione e che s’interessò per farlo riformare dal servizio militare ritenendo più utili i suoi servigi come scrittore che come soldato. Alcune iniziative editoriali poco fortunate e l’esigenza di raggiungere una maggiore stabilità economica lo portarono ad abbandonare il giornalismo militante per l’insegnamento, campo d’azione in cui dimostrò sin da subito particolari capacità. Divenuto professore di lingua italiana nel ginnasio di Bonneville in Savoia nel 1858, l’anno successivo poté unirsi in matrimonio con la novarese Luisa Emmanuel, autrice di apprezzati romanzi storici cui fu legatissimo sino alla morte di lei, nel 1896. I due non ebbero figli.

Promosso alla direzione delle Scuole tecniche di Chambery, vi insegnò anche storia, geografia e letteratura francese, materie che misero in evidenza in lui uno straordinario talento di autodidatta destinato a segnare profondamente tutta la sua carriera. In quel periodo, Saredo si mise nuovamente in luce agli occhi del governo con un opuscolo (Du principe des alliances internationales, Chambery 1860) dedicato al primo ministro Cavour di cui, prendendo lo spunto dai principali avvenimenti politici (Accordi di Plombières e trattato di alleanza franco-piemontese) e bellici (seconda guerra d’indipendenza), difese con grande efficacia l’azione di governo manifestando un’ottima conoscenza, non solo della storia e della filosofia politica, ma anche dei principi del diritto internazionale. Questo scritto, che piacque molto al dedicatario, e la biografia del conte Terenzio Mamiani, con la quale inaugurò la sua collaborazione editoriale con l’Unione tipografico-editrice (UTE) di Torino, destinata a protrarsi a lungo (si vedano per gli inizi gli altri volumetti di ritratti biografici della collana I contemporanei italiani dedicati tra il 1860 e il 1862 a Giuseppe De Maistre, a Urbano Rattazzi, a Marco Minghetti e a Federigo Sclopis), furono il preludio a una svolta importante nella sua vita. Con un decreto del 18 agosto 1860 fu proprio il conte Mamiani, da poco alla guida del ministero della Pubblica Istruzione, a nominare Saredo professore straordinario di diritto costituzionale nell’Università di Sassari.

La chiamata all’insegnamento accademico di una persona come lui, che mai aveva frequentato da studente insegnamenti universitari né tantomeno conseguito la laurea, pur essendo perfettamente legale perché prevista dall’ordinamento scolastico allora vigente (la celebre legge Casati del 1859), generò non poche perplessità che furono però superate dalla conoscenza personale che il ministro aveva di Saredo, in cui ammirava, oltre che l’onestà, la cultura enciclopedica e le straordinarie capacità di studioso.

A Sassari, dove si dovette cimentare nell’insegnamento di materie di grande rilevanza politica, come il diritto costituzionale e il diritto amministrativo, cui si aggiunsero gli incarichi di diritto internazionale e di diritto marittimo, trovò un ambiente non particolarmente accogliente sia per la situazione contingente di profonda crisi che il locale ateneo stava attraversando, con pochi studenti iscritti e con l’incombente minaccia di chiusura, sia per la sua estraneità al corpo docente, costituito per lo più da notabili locali che esercitavano la professione di avvocato ed erano impegnati in politica.

L’irruenza giovanile e l’entusiasmo di Saredo si scontrarono inevitabilmente con la chiusura della maggior parte dei colleghi nei confronti delle novità della cultura di Oltralpe e delle relative dottrine insegnate dal professore savonese, che furono da alcuni giudicate «immorali e dannose» (Sinisi, 2007, p. 236). Tali dottrine, di matrice prevalentemente tedesca, costituivano per Saredo la base scientifica sulla quale appoggiare la sua concezione cavouriana di uno Stato liberale che garantisse tutte le libertà di cui l’uomo era titolare per diritto naturale, compresa la libertà d’insegnamento.

Il suo magistero sassarese, seppure di breve durata e piuttosto contrastato, non fu tuttavia privo di soddisfazioni dal momento che le sue lezioni, grazie alle capacità didattiche e alla solida dottrina, risultato di molteplici letture e di un continuo aggiornamento, vennero seguite non solo dai pochi studenti allora iscritti alla facoltà giuridica ma anche da uditori esterni. L’insegnamento sassarese dette quindi origine a un’opera (Principi di diritto costituzionale) che riuscì a vedere la luce in quattro volumi solo fra il 1862 e il 1863 a Parma, città nella quale si era trasferito già nell’ottobre del 1861 a seguito della nomina a professore straordinario di filosofia del diritto. L’esperienza nell’Ateneo parmense, dove Saredo trovò un ambiente non molto diverso da quello sassarese, pur breve come la precedente fu comunque importante perché riuscì a essere promosso al ruolo degli ordinari (5 ottobre 1862) e a ottenere quella laurea ad honorem ormai non più tanto importante ai fini della carriera, quanto per poter conseguire l’allora molto ambito titolo di avvocato, di cui cominciò a fregiarsi nei frontespizi dei suoi lavori, pur non esercitando la professione. Alla fine dell’anno accademico 1864-65, messosi in aspettativa, si attivò per ottenere un trasferimento reso necessario per i forti contrasti con l’ambiente politico della città emiliana. Anche in questo caso fu accontentato, e nel maggio del 1866 prese possesso, presso l’Università di Siena, della cattedra di codice civile, in cui dovette impegnarsi molto per poter velocemente impadronirsi di una materia da lui fino ad allora quasi ignorata e per giunta del tutto nuova essendo incentrata su un testo, il Codice unitario del 1865, appena entrato in vigore.

Si manifestava di nuovo con questo passaggio una delle costanti della carriera accademico-scientifica di Saredo, ovvero il continuo cambiamento di discipline affidategli e la capacità di studio a ritmi serrati, che gli permetteva in tempi assai brevi di dominarle e di dimostrare tutta la straordinaria versatilità del suo talento di giurista autodidatta. I risultati scientifici di questo insegnamento sono contenuti nella prima parte di un Trattato di diritto civile italiano (Firenze 1869) mai completato, che si segnala per i contenuti dottrinali in molti casi all’avanguardia sia per quanto riguarda il metodo, con una presa di distanza dall’indirizzo esegetico prevalente anche in Italia sulla scia della dottrina francese, sia per quanto riguarda la critica alla struttura del codice, alle non poche lacune e alla disciplina di alcuni istituti (per esempio l’autorizzazione maritale e l’indissolubilità del matrimonio civile), ritenuta senza mezze parole illogica e contraria al buon senso.

L’annessione di Roma, nel settembre del 1870, e il trasferimento della capitale in quella città ebbero importanti ripercussioni anche nel mondo universitario e in particolare sugli sviluppi della carriera di Saredo, ormai giurista affermato nel panorama nazionale. Fu per questo che, mentre era ancora in servizio a Siena, dove era stato anche preside della facoltà giuridica, a nemmeno due mesi dalla breccia di Porta Pia fu chiamato a insegnare proprio nella rinnovata facoltà giuridica della Sapienza (che nei disegni del ministero doveva diventare un Ateneo di eccellenza rispetto a tutti gli altri) materie quali il diritto pubblico interno e l’introduzione alle scienze giuridiche e storia del diritto. Da questa materia, passò quindi all’insegnamento della procedura civile cui si aggiunse, nello stesso anno del suo definitivo trasferimento all’Ateneo romano (1873), quello del diritto amministrativo.

Il ripetersi del fenomeno del passaggio da una disciplina all’altra costituì una circostanza fortunata che permise a Saredo di dimostrare nuovamente il suo grande talento per l’insegnamento del diritto perché riuscì a impadronirsi velocemente anche di una materia come la procedura civile sino ad allora quasi ignorata da lui, che era per giunta digiuno di pratica forense. Da questo incontro scaturì un chiaro manuale (Istituzioni di procedura civile, I-II, Firenze 1873) destinato a imporsi come punto di riferimento per la successiva letteratura processual-civilistica, venendo più volte edito e adottato anche in altri atenei.

Questo non fu certo l’unico frutto del periodo dell’insegnamento romano, rivelatosi tra i più fertili per la sua produzione, che non si limitò a interventi monografici (si pensi al primo volume dell’incompiuto Trattato delle leggi e al Saggio sulla storia del diritto internazionale privato che doveva servire da introduzione al secondo volume, mai uscito, dello stesso trattato), ma si sviluppò soprattutto attraverso i numerosissimi interventi scientifici di varia estensione pubblicati in riviste giuridiche, prima fra tutte La Legge, di cui era divenuto nel 1871 direttore e proprietario.

L’insegnamento del diritto amministrativo lo segnalò ben presto al governo per la particolare competenza raggiunta in una disciplina che, da lui coltivata sin dagli esordi sassaresi, aveva acquisito una crescente rilevanza. Il suo posizionamento politico a destra non gli impedì di collaborare, a seguito della ‘rivoluzione parlamentare’ del 1876, con il primo ministro Agostino Depretis che, dopo averne saggiato le capacità come consulente giuridico esterno del governo, il 20 novembre 1879 lo nominò consigliere di Stato. Il passaggio dall’insegnamento universitario a questo importante organo consultivo e giurisdizionale in cui diede saggio delle sue doti di acuto giurista e di infaticabile servitore dello Stato, raggiungendo successivamente la promozione a presidente di sezione (1891) e quindi, nel 1898, quella a presidente capo, non interruppe però la sua attività scientifica, che continuò a essere ricca grazie non solo agli articoli pubblicati nei periodici, ma anche alla ripresa, dopo più di vent’anni, del rapporto di collaborazione con la casa editrice UTE di Torino.

Da tale rapporto, scaturirono una ricca serie di raccolte legislative commentate chiamate, secondo lo stile del tempo, ‘codici’, in relazione ai vari settori del diritto nazionale interessati, l’ideazione, nonché la direzione scientifica, di un’importante impresa enciclopedica in ambito giuridico (Digesto italiano, I-XXIV, 49 tomi, Torino 1884-1921) e quella che con tutta probabilità è la sua opera maggiore, La nuova legge sulla amministrazione comunale e provinciale commentata con la dottrina, la legislazione comparata e la giurisprudenza (I-VII, Torino 1889-1998), un ricco trattato in forma di commentario della legge di riforma dell’ordinamento amministrativo locale da poco varata dal governo Crispi, legge alla cui elaborazione lo stesso Saredo aveva contribuito in misura non irrilevante.

L’ampia introduzione storica, la ricchezza della documentazione raccolta, la sensibilità alla comparazione giuridica e le profonde riflessioni in cui non manca di manifestare anche le proprie convinzioni, in dissenso con il testo di riferimento, favorevoli a un decentramento amministrativo in chiave regionale, furono all’origine del successo di quest’opera – destinata a rimanere un punto di riferimento per la dottrina amministrativistica per gran parte del secolo scorso – che vide anche l’uscita di una seconda edizione (Torino 1902-1907, in 9 volumi) il cui aggiornamento, avviato dallo stesso Saredo, fu completato dopo la sua morte.

Nominato senatore del Regno nel 1891 riuscì, nonostante le crescenti responsabilità nel Consiglio di Stato, a partecipare con una certa continuità alla vita parlamentare sfiorando in più occasioni la nomina a ministro. Fermamente legato sin dai suoi esordi giovanili a un senso del dovere di ispirazione kantiana e a un personale «concetto della responsabilità umana» (Sinisi, 2007, p. 236), non si sottrasse agli incarichi più delicati come quello affidatogli nel 1891 di regio commissario straordinario di Napoli, in occasione di una grave crisi politica e finanziaria attraversata dall’amministrazione comunale della metropoli partenopea (si veda al riguardo: Relazione del R. Commissario Straordinario Giuseppe Saredo al Consiglio comunale di Napoli, Napoli 1891), e quello ancora più gravoso di presidente di una commissione di inchiesta nominata dal governo Saracco nel novembre del 1900 per contrastare, sempre a Napoli, fenomeni diffusi di corruzione e di malcostume politico nell’amministrazione comunale e provinciale su cui avevano richiamato l’attenzione alcuni organi di stampa.

L’inchiesta, che coinvolse persone assai in vista a cominciare dal sindaco Celestino Summonte, costretto alle dimissioni, suscitò molto scalpore per la gravità dei fatti emersi (inquadrati dalla Commissione come atti di ‘alta camorra’ in quanto praticati da persone di livello sociale elevato) e per il rigore di Saredo che, non aiutato da un cambio di governo e soprattutto dal ritorno alla ribalta in veste di ministro degli Interni di Giovanni Giolitti, suo fiero avversario, fu fatto oggetto sulla stampa locale (in primis Il Mattino) di violenti attacchi che non riuscirono però a sminuire il lavoro suo e della commissione i cui esiti sono tramandati in tre ampi volumi contenenti, i primi due la Relazione sulla amministrazione comunale (Roma 1901, rist. anast. 1998) e il terzo quella sull’amministrazione provinciale (Roma 1902).

Minato nel morale per le numerose amarezze patite e nel fisico per la febbrile attività svolta, che lo aveva visto, ormai in età avanzata, fare la spola per mesi fra Roma (dove lo chiamavano i propri doveri di senatore e di presidente del Consiglio di Stato) e appunto Napoli, Giuseppe Saredo morì dopo una breve malattia nella sua casa romana di via Modena il 29 dicembre 1902.

Severo e rigoroso prima ancora che con gli altri con se stesso e del tutto alieno dalle mondanità della capitale, condusse una vita ritirata soprattutto dopo la morte della moglie. Decorato delle più alte onorificenze cavalleresche nazionali e gratificato di riconoscimenti per la sua ricchissima produzione scientifica, fu persona di grande sobrietà e modestia, doti che confermò nelle sue ultime volontà con il divieto di inutili pompe per le esequie nonché di pubbliche commemorazioni.

Fonti e Bibl.: Sulla carriera accademica fonte significativa è il fascicolo personale conservato in Roma, Archivio centrale dello Stato, Ministero della pubblica istruzione, Fascicoli personali, anni 1860-90, b. 1912; per il periodo romano si veda anche M.C. De Rigo, I processi verbali della Facoltà giuridica romana 1870-1900, Roma 2002; l’attività politica è documentata soprattutto negli interventi parlamentari, per i quali si veda Atti parlamentari, Senato, Discussioni, Legislature XVII-XXI.

Per i principali contributi biografici, S. Giustiniani, G. S., Torino 1902; A. Casaccia, G. S., Savona 1932; E. Giorgianni, Vita e ricordi di amministrativisti. G. S., in L’amministrazione italiana, 1985, n. 3, pp. 369-737; F. Verrastro, S., G., in Il Consiglio di Stato nella storia d’Italia. Le biografie dei magistrati (1861-1948), a cura di G. Melis, I, Milano 2006, pp. 378-390; Id, S., G., in Dizionario biografico dei giuristi italiani (XII-XX secolo), II, Bologna 2013, pp. 1801-1803; sugli apporti dottrinali della sua ricchissima produzione cfr. F. Cipriani, Storie di processualisti e di oligarchi, Milano 1991 (in partic. pp. 13-52); G. Cianferotti, Storia della letteratura amministrativistica italiana, I, Milano 1998 (in partic. pp. 129-133); L. Sinisi, Dal giornalismo all’accademia. G. S. giurista per caso nell’italia postunitaria, in Materiali per una storia della cultura giuridica, XXXVII (2007), 1, pp. 225-237. È impossibile dare qui conto della bibliografia completa prodotta, della quale si hanno solo dati parziali dovuti alla mancanza di uno spoglio sistematico di tutte le principali riviste, giuridiche e non, cui Saredo collaborò per lunghi anni. Limitatamente ai molti titoli pubblicati per i tipi della UTE (poi UTET) di Torino, si veda Catalogo storico delle edizioni Pomba e UTET 1791-1990, a cura di E. Bottasso, Torino 1990, ad indicem.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

TAG

Diritto amministrativo

Diritto internazionale

Diritto costituzionale

Filosofia del diritto

Breccia di porta pia