ZANARDELLI, Giuseppe

Enciclopedia Italiana (1937)

ZANARDELLI, Giuseppe

Aldo Romano

Uomo politico, nato a Brescia il 29 ottobre 1826 da Giovanni e Margherita Caminada, morto a Maderno il 26 dicembre 1903. Fece i primi studî nel collegio di Santa Anastasia in Verona; si iscrisse poi alla facoltà di giurisprudenza dell'università di Pavia. Colà stava per compiere la sua carriera scolastica quando scoppiò la rivoluzione del '48, alla quale egli, che già nutriva sentimenti liberali e patriottici, aderì incondizionatamente prendendo parte attiva al movimento rivoluzionario. L'anno seguente era a Brescia dove partecipò all'eroica e ardente difesa della città: nell'ultima di quelle memorabili dieci giornate lo Z., con altri pochi suoi giovani compagni, riuscì ad arrestare un convoglio di armi e munizioni scortato da centottanta soldati austriaci i quali dovettero arrendersi con armi e bagagli. Fu l'ultimo smacco che i Bresciani diedero al Haynau, e uno degli episodî in cui più rifulse il giovanile ardore dei difensori.

Dovendo scampare alle ricerche della polizia austriaca durante l'immediata reazione, riparò in Toscana e visse in esilio fino a quando l'amnistia del 1851 non gli permise di rientrare in patria dove cercò di campare la vita impartendo lezioni. In Toscana conseguì la laurea in legge (che dovette ripetere a Pavia perché fosse valida nel Lombardo-Veneto) e collaborò a qualche giornale, specialmente alla Costituente. Più tardi, nel 1857, scrisse sul Crepuscolo, diretto dal Tenca a Milano, una serie di articoli su Brescia che furono poi raccolti in volume. Non avendo mai rinunciato alle sue idee unitarie e avendo anzi continuato a cospirare, nel 1859 dovette nuovamente rifugiarsi all'estero, in Svizzera: ma subito dopo da Lugano passò a Como, presso Garibaldi, che lo inviò a Brescia a promuovervi l'insurrezione. Fu eletto deputato il 25 marzo 1860, per il collegio di Gardone (soppresso questo, fu poi deputato di Iseo). Nel 1866, annesso il Veneto, fu inviato a Belluno come commissario del re. Dopo aver militato ininterrottamente nella Sinistra, all'opposizione parlamentare, avvenuta la caduta della Destra (18 marzo 1876), lo Z. assunse il dicastero dei Lavori Pubblici in un ministero al quale, sotto la presidenza di Agostino Depretis, collaborarono gli uomini più rappresentativi di quella che era stata l'opposizione: e quel dicastero lo Z. tenne fino al 14 novembre dell'anno successivo. Fu nuovamente chiamato al governo agl'inizî del regno di Umberto I, il 24 marzo 1878, e questa volta, nel gabinetto Cairoli, egli assunse il portafoglio dell'Interno in un periodo particolarmente difficile per la sciagura toccata all'Italia con la morte di Vittorio Emanuele II e per le divergenze politiche di alcuni degli uomini più rappresentativi della Sinistra. Rimase al potere fino al 19 dicembre 1878. Dopo molti incarichi parlamentari di minor conto nei quali egli si occupò con la consueta alacrità del suo mandato (il 21 dicembre 1880 presentò una memorabile relazione sulla riforma della legge elettorale che fu approvata), fu ministro di Grazia e Giustizia dal 29 maggio 1881 al 25 maggio 1883 nel quarto gabinetto Depretis e in tale qualità riuscì, con grande fermezza e alto senso di dignità nazionale, a far respingere la domanda austriaca di estradizione per i compagni di Oberdan. Fu di nuovo guardasigilli dal 4 aprile 1887 fino al 6 febbraio 1891 (ultimo gabinetto Depretis e I-III gabinetto Crispi): l'interruzione fu dovuta al fatto che lo Z., ligio alle sue idee apertamente democratiche, non approvò l'evoluzione verso la Destra tentata dalla politica trasformistica del Depretis (fece parte, anzi, della "Pentarchia" che avversò nettamente il "trasformismo") e solo acconsentì a collaborare più tardi con lui, quando il Depretis si unì nel governo a Francesco Crispi. Durante la presidenza del ministro siciliano, lo Z. preparò il nuovo codice penale, approvato il 1° gennaio 1890, il quale, anche se con difetti e lacune non lievi, fu certo una delle manifestazioni più importanti della legislazione italiana dell'età umbertina.

Dal 24 novembre 1892 fino al 20 febbraio 1894, lo Z. fu presidente della Camera. Nei primi giorni di dicembre 1893, caduto il primo ministero Giolitti, fu invitato dal re a formare un gabinetto; ma lo Z. non poté raggiungere lo scopo perché l'Austria si oppose alla nomina del trentino O. Baratieri a ministro della Guerra. Nel nuovo ministero Crispi lo Z. non collaborò, perché dissenziente sui metodi di repressione dei moti socialistici di Sicilia e di Lunigiana e sulla politica africana. Ritornò alla presidenza della Camera il 6 aprile 1897, ma rinunziò alla carica per assumere nuovamente il prediletto dicastero di Grazia e Giustizia, sotto la presidenza del di Rudinì, il 14 dicembre dello stesso anno. Rimase invece fuori dall'ultimo ministero di Rudinì (1-29 giugno 1898), per divergenze sorte con i suoi colleghi conservatori, circa la repressione dei tumulti milanesi del maggio 1898, domati con un nuovo stato d'assedio. Fu di nuovo presidente della Camera dei deputati (17 novembre 1898-25 maggio 1899), mentre il governo era retto dal generale Pelloux e mentre il paese sempre più tumultuava in incomposti moti operai. Alla tragica morte di Umberto I, dopo un breve ministero Saracco, dal nuovo re Vittorio Emanuele III lo Z. fu chiamato il 15 febbraio 1901 alla presidenza del consiglio dei ministri, e quella carica conservò fino al 29 ottobre 1903, due mesi prima della morte. In premio alla sua lunga attività politica e all'opera delicatissima che in quel tempo svolgeva, il 2 giugno 1901 lo Z. veniva nominato cavaliere dell'O. S. della SS. Annunziata.

Il governo di G. Z. fu di transizione tra il vecchio e il nuovo, tra la vecchia Italia dell'Ottocento e la nuova Italia del Novecento. Chiamando a collaborare al ministero il Giolitti, lo Z. aprì la via alla nuova politica italiana per tutto un decennio. Quantunque di sentimenti anticlericali, lo Z. si tenne lontano da una politica di tal genere, anche perché, quando tentò l'introduzione del divorzio in Italia, trovò la viva opposizione perfino di qualche suo collaboratore al ministero, come P. Giusso. Si accontentò di operare nel campo della politica interna molte riforme sociali, (soprattutto quella che riguardava le contribuzioni erariali come, per esempio, l'abolizione del dazio sulle farine), che contribuirono moltissimo ad alleviare le condizioni disagiate delle classi non abbienti. In politica estera, il suo ministero del 1901-03 (ministro degli Esteri era G. Prinetti) significò non solo la continuazione, ma anzi l'accentuazione dell'indirizzo dei suoi immediati predecessori, nel senso di conservare alla Triplice Alleanza un valore puramente difensivo, avvicinandosi sempre più alla Francia (accordi italo-francesi del 1902).

Bibl.: Oltre ai Discorsi parlamentari di G. Z., pubblicati per deliberazione della Camera dei deputati, Roma 1905, voll. 3 e al suo volume in L'avvocatura, ultima ed. Milano 1920, cfr.: A. D'Atri, G. Z. e l'Italie moderne, Parigi 1903; Un Bresciano (Ugo da Como), L'intervento e le pressioni dell'Austria nella crisi ministeriale del 1893, in Nuova Antologia, 16 ottobre 1915; G. Giolitti, Memorie della mia vita, Milano 1922, passim; F. Salata, G. Oberdan, Bologna 1924, p. 280 segg.