Gola

Enciclopedia Dantesca (1970)

gola

Lucia Onder
Vittorio Russo

In senso proprio, per la parte anteriore del collo, in If XII 116 una gente che 'nfino a la gola / pareo che di quel bulicame uscisse; XXVIII 64 forata avea la gola / e tronco 'l naso; Pg V 98 arriva' io forato ne la gola; XXXI 94 Tratto m'avea nel fiume infin la gola; Fiore XXVI 7, CXXXVI 12, CCXXVI 13, CXL 2, Detto 207.

Per la sede degli organi vocali, in If VI 14 Cerbero... / con tre gole caninamente latra, e XXIII 88 Costui par vivo a l'atto de la gola, " ad actum respirandi, et loquendi in gutture " (Benvenuto).

Con riferimento alla g. in quanto vi passa il cibo, in Rime LXXVII 3 Bicci novel... / giù per la gola tanta roba hai messa, / ch'a forza ti convien torre l'altrui.

Per estensione il termine è usato come sinonimo di " ingordigia ", " golosità ", uno dei sette vizi capitali secondo la morale cattolica, in If VI 53 per la dannosa colpa de la gola / ... a la pioggia mi fiacco; Pg XXIII 65 seguitar la gola oltra misura, e XXIV 128).

Figuratamente, nel senso di " golosa, avida brama " (Scartaizini-Vandelli), " desiderio ": Pd III 92 d'un altro [cibo] rimane ancor la gola (cfr. X 111 tutto 'l mondo / là giù ne gola di saper novella, dove si registrano le varianti e ne ha gola e n'ha gola, in luogo di ne gola; v. GOLARE). Ugualmente con valore traslato, nel sintagma ‛ aver g. ' , in Rime CIII 81 quella donna... m'invola / quello ond'io ho più gola, e in Fiore CXXX 13 tal gola / avea de dir male d'ogne gente.

Per analogia g. indica la parte più profonda e buia di un fosso, di una voragine: in particolare la bolgia dell'ottavo cerchio, la gola fiera in cui è piombato Vanni Fucci (if XXIV 123); il fondo, la parte più stretta della bolgia, la gola / del fosso (XXVI 40); infine indica lo stesso Inferno, nell'espressione ampia gola / d'inferno (pg XXI 31), che allude al limbo, il primo e quindi il più ampio dei cerchi. v. anche GULOSITADE; GULOSO.

La colpa della gola. - La golosità è uno dei sette peccati capitali condannati dall'etica cristiana (Tomm. Sum. theol. II II 148 5 " Vitium gulae... convenienter ponitur inter vitia capitalia "). Essa si ha quando l'uomo, spinto dagli stimoli dell'appetito concupiscibile, eccede la giusta misura nel dedicarsi ai piaceri del cibo e delle bevande (" pertinet ad gulam, quod aliquis, propter concupiscentiam cibi delectabilis, scienter excedat mensuram in edendo "). Tale disordinata concupiscenza dei piaceri del palato contamina la vita spirituale dell'uomo (" hominem spiritualiter coinquinat "), e, se giunge a distogliere l'uomo dal suo fine ultimo, cioè dal pensiero della salvezza dell'anima e di Dio, può divenire peccato mortale (" Si ergo inordinatio concupiscentiae accipiatur in gula secundum aversionem a fine ultimo, sic gula erit peccatum mortale ").

In Cv III VIII 17 D. accenna al vizio della g. annoverandolo tra i vizii consuetudinarii (sì come la intemperanza, e massimamente del vino), distinti dai vizi connaturali, cioè da quelli a li quali naturalmente l'uomo è disposto (sì come certi per complessione collerica sono ad ira disposti).

Il peccato di g. ha una collocazione precisa nelle due strutture topografiche e morali dell'Inferno e del Purgatorio. Nell'Inferno esso è punito nel terzo dei nove cerchi (dopo la lussuria e prima dell'avarizia e prodigalità, secondo uno schema progressivo di maggiore gravità: cfr. if VI), al di fuori della città di Dite, tra i peccati cioè meno gravi d'incontenenza, che men Dio offende e men biasimo accatta (XI 82-84). Nel Purgatorio esso è punito nel sesto dei sette gironi del sacro monte (Pg XXII 115 ss., XXIII, XXIV), dopo l'avarizia e prodigalità e prima della lussuria, secondo uno schema progressivo di minore gravità: tra quei peccati, cioè, generati dall'erroneo indirizzarsi dell'amore d'animo, con troppo... di vigore (Pg XVII 96), con ordine corrotto (v. 126) in quanto corrompe l'ordine naturale al bene.

I golosi dell'Inferno sono dannati a restare distesi sotto lo scroscio costante di una pioggia etterna, maladetta, fredda e greve, fatta di grandine grossa, acqua tinta [" sporca "] e neve (If VI 8 e 10). A guardia del luogo della loro pena vi è Cerbero, il mitico mostruoso cane trifauce (di derivazione virgiliana), che li occhi ha vermigli, la barba unta e atra, / e 'l ventre largo, e unghiate le mani (vv. 16-17; descrizione di avidità animalesca volutamente ambigua e antropomorfa nei termini barba, mani, a raffigurare i caratteri simbolici del goloso). La pioggia per la sofferenza che produce fa urlar... come cani le anime dei peccatori che dei piaceri del ventre fecero il solo scopo della loro vita (Paul. Philipp. 3, 19 " quorum deus venter est "), e un cane dal ventre largo le grafia, iscoia ed isquatra, e con i suoi latrati le 'ntrona... / sì, ch'esser vorrebber sorde (If VI 18, 32-33).

Nel Purgatorio le anime di coloro che assecondarono i piaceri della gola oltra misura (Pg XXIII 65), purgano il loro peccato soffrendo gli stimoli della fame e della sete (il contrapasso è, in questo caso, evidente), resi più acuti dalla vista di due alberi posti alle due estremità del girone, pieni di pomi odorosi (a odorar soavi e buoni, XXII 132), e di una sorgente di acqua limpida (un liquor chiaro, v. 137), che bagna e rende fragranti con i suoi spruzzi le foglie di uno degli alberi (Di bere e di mangiar n'accende cura / l'odor ch'esce del pomo e de lo sprazzo / che si distende su per sua verdura, XXIII 67-69). Il tormento per le anime che girano incessantemente si rinnova di continuo (E non pur una volta, questo spazzo girando, si rinfresca nostra pena, vv. 70-71). Il loro aspetto è deformato dall'estrema magrezza: profonde e scure occhiaie, pallore sul volto, pelle a contatto diretto con le ossa dello scheletro (Ne li occhi era ciascuna oscura e cava, / palida ne la faccia, e tanto scema [" scarna "] / che da l'ossa la pelle s'informava, vv. 22-24); le occhiaie somigliano ad anella santa gemme, tanto gli occhi sono privi di luce, quasi invisibili e infossati nel profondo de la testa (vv. 31 e 40), e chi nel viso de li uomini legge ‛ omo ' / ben avria quivi conosciuta l'emme (vv. 32-33: cioè le due occhiaie simili a due ‛ O ', e la linea dei sopraccigli e del naso, simile a una ‛ M ', messa in rilievo dalla magrezza). Ai due estremi del girone, presso i due alberi odorosi e carichi di pomi, si ode una voce che indica rispettivamente ‛ esempi ' di temperanza e di intemperanza (presso il primo: l'episodio evangelico, narrato in Ioann. 2, 11, della vergine Maria, che alle nozze di Canaan spinse Gesù a compiere il miracolo di mutare l'acqua in vino, non per sua golosità, ma perché fosser le nozze orrevoli e intere, conformi alle buone usanze e complete [XXII 143]; la credenza, affermata da Valerio Massimo [II I 3], citato poi da s. Tommaso in Sum. theol. II II 149 4, secondo cui le antiche donne romane bevevano solo acqua; il racconto biblico, in Dan. 1, 3-20, secondo cui il profeta Daniele rifiutò i cibi raffinati della mensa del re Nabuccodonosor, accontentandosi del cibo semplice dei poveri, e ricevendo, quale ricompensa, da Dio le doti del sapiente e del saggio; la mitica leggenda dei tempi dell'età dell'oro, secondo cui gli uomini allora soddisfacevano ai bisogni del sostentamento con mezzi semplici, come le ghiande e l'acqua di ruscello; l'episodio evangelico, narrato in Matt. 3, 4 e in Marc. 1, 6, secondo cui s. Giovanni Battista, ritiratosi nel deserto, si nutrì di miele e di locuste. Presso il secondo: l'episodio, narrato da Ovidio in Met. XXII 210 ss., dei centauri, che, ubriacatisi durante le nozze di Piritoo, aggredirono la sposa e le altre donne presenti, generando una mischia furibonda, in cui molti di essi persero la vita per mano di Piritoo e di Teseo; l'episodio biblico del libro dei Giud. 6, 11 e 7, 25, secondo cui Gedeone, dovendo muovere contro i Madianiti, non volle tra le fila dei suoi soldati quegli Ebrei che presso la fonte di Arad mostrarono troppo slancio e mollezza nel voler soddisfare la sete; e oltre a queste, altre colpe de la gola / seguite già da miseri guadagni, XXIV 128-129). Inoltre la voce divina presso i due alberi fa precedere l'elenco degli ‛ esempi ' da un ammonimento (presso il primo: Di questo cibo avrete caro, " mancanza " [XXII 141], che ricorda il divieto fatto da Dio ad Adamo ed Eva di cibarsi dei pomi dell'albero della scienza del bene e del male, in Gen. 2, 17; presso il secondo: Trapassate oltre sanza farvi presso: / legno è più sù che fu morso da Eva, / e questa pianta si levò da esso [Pg XXIV 115-117], con più preciso riferimento al lignum del racconto biblico, che si trova più sù, in cima alla montagna del Purgatorio, nel Paradiso terrestre). Infine, le anime penitenti, ogni volta che giungono vicino al secondo albero, si fermano qualche istante gridando e alzando le mani verso le foglie, quasi bramosi fantolini e vani (v. 108), per poi riprendere, delusi, il loro andare, accompagnato dal canto " Labïa mëa Domine " (versetto 17 del Miserere; Pg XXIII 11).

Tra i golosi dannati nel terzo cerchio dell'Inferno D. immagina d'incontrare Ciacco (v.). Fra i golosi del Purgatorio il papa Martino IV, Ubaldino della Pila, Bonifazio Fieschi, Marchese degli Orgogliosi, Bonagiunta Orbicciani e Forese Donati: v. le singole voci e soprattutto quelle degli ultimi due personaggi, di grande rilievo nella Commedia.

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