Google e i motori di ricerca

ATLANTE GEOPOLITICO (2012)

Lorenzo Mosca

Alcuni studiosi di relazioni internazionali hanno concettualizzato la comunicazione come l’altra faccia del potere, utilizzando l’espressione soft power (contrapposta all’hard power dei mezzi di coercizione fisica) per richiamare il potere di persuasione di idee, cultura e valori. Il sociologo catalano Manuel Castells (2009) ha sostenuto che il potere è fondato sul controllo delle informazioni e della comunicazione, così come il contropotere sulla capacità di infrangere tale controllo.

Nel corso degli ultimi due decenni i media digitali e, in particolare, internet sono divenuti fonti di informazione particolarmente importanti (basti pensare a come Wikileaks abbia messo in crisi le forme tradizionali della diplomazia). Studi recenti hanno evidenziato come, pur collocandosi sempre un passo indietro rispetto all’informazione televisiva, internet stia rapidamente soppiantando la radio e i quotidiani come fonte privilegiata di informazione nella dieta mediale degli italiani. Diverse ricerche hanno inoltre chiarito come i motori di ricerca rappresentino la principale modalità di navigazione su internet, configurandosi come vere e proprie bussole per orientarsi nel caos della rete.

I motori di ricerca possono essere concepiti, da un lato, come attori non statuali delle relazioni internazionali che svolgono una funzione cognitiva sempre più globale; dall’altro, come strumento e risorsa per altri tipi di attori.

I search engines, che nascono all’inizio degli anni Novanta, rappresentano l’equivalente funzionale della figura del giornalista sul web, svolgendo un’importante funzione di gatekeeping (Mosca 2010). Diversamente dai media tradizionali, però, la funzione di mediazione dei motori di ricerca non è svolta da esseri umani, ma da macchine. I più diffusi di essi, infatti, funzionano mediante l’utilizzo di agenti intelligenti (crawlers), che scansionano la rete in maniera ipertestuale muovendosi da un link all’altro con l’obiettivo di archiviare le pagine web in database aggiornati continuamente. Ne consegue che le ricerche (query) effettuate su di essi interrogano una sua riproduzione parziale e che, non essendo i motori di ricerca capaci di archiviare tutti i contenuti presenti on-line, rendono difatti invisibile una significativa porzione di web, definita ‘internet profonda’. Per avere un’idea del fenomeno basti pensare che la capacità di inclusione dei motori di ricerca è stata paragonata a quella di una rete da pesca gettata nell’oceano.

Sempre più Google si è imposto nel tempo come il motore di ricerca per eccellenza, tanto che si è giunti a parlare di ‘googlecrazia’ per indicare il potere detenuto dalla creatura degli ex studenti di Stanford, Larry Page e Sergey Brin. Per dare un’idea della dimensione economica e geopolitica di Google sarà sufficiente citare alcune cifre: nel 2010 l’azienda impiegava più di 24.000 dipendenti con un fatturato annuo di oltre 29.000 miliardi di dollari; secondo diverse stime il colosso di Mountain View può contare su più di un milione di server dislocati in decine di centri di elaborazione dati con sede negli Stati Uniti, in Europa e in Asia. Google (che nel 2006 ha acquistato YouTube) è il sito web in assoluto più visitato a livello mondiale, oggi disponibile in 180 lingue diverse (ciascuna con il proprio dominio) per un totale di interrogazioni giornaliere del database che supera il miliardo. La ‘actorness’ di Google e il suo ruolo nello scacchiere internazionale sono dimostrati dal suo essere divenuto un interlocutore chiave di regimi politici non democratici (la Cina rappresenta l’esempio più eclatante).

Di Google è stata criticata, fra l’altro, la mancanza di trasparenza nei criteri che determinano i risultati delle ricerche. L’algoritmo PageRank è infatti basato su una valutazione quali-quantitativa dei link ricevuti da un sito, considerati come indicatori di reputazione e autorevolezza. Se, come sostengono alcuni studiosi, la stragrande maggioranza dei siti è scarsamente connessa mentre pochi siti fortemente connessi dominano la politica sul web, obbedendo quindi a una ‘legge di potenza’, ne consegue che la maggior parte dei siti resta nascosta agli utenti, non riuscendo a superare la soglia della visibilità.

Una ricerca comparata sugli attori che ottengono il più alto ;livello di visibilità nei quotidiani e nei motori di ricerca ha evidenziato che gli attori istituzionali e partitici sono quelli che ;dominano il discorso pubblico su entrambi i media (Koopmans, Zimmermann 2010); i vantaggi che attori poveri di risorse come i movimenti sociali possono trarre dalla loro presenza on-line sono quindi spesso sovrastimati (Mosca 2010). Secondo gli stessi ricercatori, in sintesi, la comunicazione on-line «è caratterizzata da una forte distorsione a favore delle élites, comparabile a quella rilevata sui media offline ... [pertanto] è improbabile che la forte prevalenza di attori governativi ed esecutivi e la marginalizzazione della società civile possa essere superata dall’avanzata di internet come mezzo di comunicazione politica» (Koopmans, Zimmermann 2010, p. 194).

Come è stato fatto notare, dunque, i motori di ricerca in generale e Google in particolare, attraverso l’utilizzo di criteri opachi per l’indicizzazione delle pagine web, produrrebbero distorsioni e discriminazioni che potrebbero danneggiare aggregazioni minoritarie dal punto di vista linguistico, etnico, culturale, scientifico, ecc. Così come è stato osservato che quei movimenti sociali che non ottengono copertura mediatica di fatto non esistono, allo stesso modo quei siti che non si posizionano entro i primi dieci risultati di una query  risultano sostanzialmente invisibili.

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