WILLIS, Gordon

Enciclopedia del Cinema (2004)

Willis, Gordon

Stefano Masi

Direttore della fotografia statunitense, nato a New York il 28 maggio 1931. Artigiano dotato di uno stile ben riconoscibile, nel suo lavoro ha sempre fatto un uso delle luci ispirato a un principio di raffinata essenzialità, in base al quale la composizione del fotogramma, spesso decentrata, si fonda su un'attenta gestione dei vuoti, soprattutto nel formato Cinemascope. Vero e proprio autore, imitatissimo 'principe delle tenebre' della New Hollywood degli anni Settanta, maestro per la nuova generazione di operatori, si è rivelato capace di ritrovare vellutate morbidezze anche nelle zone d'ombra e nelle shakespeariane atmosfere lowkey dei tre film della saga di The godfather (Il padrino) di Francis Ford Coppola, e di rifondare un'estetica del bianco e nero in Manhattan (1979), uno degli otto film che ha invece fotografato per Woody Allen. Candidato nel 1984 al premio Oscar per Zelig (1983) di Allen e nel 1991 per The godfather, part III (1990; Il padrino ‒ Parte III), ha ottenuto anche tre nominations al BAFTA Award e ha ricevuto nel 1995 il premio alla carriera conferitogli dall'American Society of Cinematographers.

Figlio di un truccatore sotto contratto per la Warner Bros., effettuò il servizio militare come operatore di documentari e fotografo dei reparti aerei durante la guerra di Corea. Nel 1956 ritornò a New York per lavorare dapprima come assistente-operatore e poi come operatore nel campo del documentario e della pubblicità.Il suo primo film da direttore della fotografia fu End of the road (1970) di Aram Avakian. Con questo lavoro W. si ritagliò subito un ruolo strategico nel panorama del nuovo cinema americano, che necessitava di contenuti figurativi diversi da quelli della vecchia Hollywood. Firmò così le immagini di film indipendenti dell'area newyorkese come The landlord (1970; Il padrone di casa) di Hal Ashby o Little murders (1971; Piccoli omicidi) di Alan Arkin. A rivelare il suo talento figurativo fu però l'originalità con la quale costruì le atmosfere del noir metropolitano Klute (1971; Una squillo per l'ispettore Klute) di Alan J. Pakula, ma soprattutto di Bad company (1972; Cattive compagnie) di Robert Benton: questo colto western ambientato negli anni della guerra di Secessione, ricco di riferimenti alla pittura di E. Johnson e ai ritratti fotografici di M. Brady, rese evidente la raggiunta maturità artistica di W., ormai pronto a prendere parte anche a progetti più impegnativi. Fu così che Coppola gli affidò la responsabilità dell'immagine per The godfather (1972). Per l'occasione W. s'ispirò all'uso drammatico della luce in pittori come J. Vermeer, J. Sargent e Rembrandt, facendo uscire i personaggi dal buio con decisi tagli di luce; mediante un filtro giallo conferì inoltre alle immagini una patina ottonata che colloca la vicenda in una dimensione di epopea, in linea con le scelte cromatiche della scenografia di Dean Tavoularis. La lunga sequenza del matrimonio in Sicilia, invece, imita la resa fotografica del Kodachrome degli anni Quaranta. In altri momenti, il boss don Vito Corleone viene illuminato dall'alto per tenerne gli occhi nascosti in una zona d'ombra che materializza la segretezza dei pensieri celati nella sua mente. W. individuò quindi una formula fotografica più agile ma ugualmente raffinata per i thriller politici diretti da Pakula The parallax view (1974; Perché un assassinio) e All the President's men (1976; Tutti gli uomini del Presidente), e per The godfather, part II (1974; Il padrino ‒ Parte II).

Era quasi inevitabile che Allen scegliesse il più newyorkese degli operatori della New Hollywood per Annie Hall (1977; Io e Annie). Per quasi un decennio W. fotografò tutti i suoi film (prima che il regista ‒ come anche Coppola ‒ gli preferisse Carlo Di Palma), passando dal caldo colore bergmaniano di Interiors (1978) al bianco e nero neo-romantico di Manhattan e di Stardust memories (1980), dall'eclettismo figurativo di Zelig al raffinato gioco di specchi di The purple rose of Cairo (1985; La rosa purpurea del Cairo), dove il gioco degli sguardi fra i personaggi sullo schermo e quelli fuori dallo schermo viene ottenuto senza ricorrere a intarsi dell'immagine in truka. Nel frattempo W. si era concesso un'occasionale esperienza da regista con Windows (1980), thriller che ben poco aggiunse alla sua fama. In quel periodo uno degli esiti più complessi e raffinati della sua filmografia fu Pennies from heaven (1981) di Herbert Ross, un musical per il quale W. volle ispirarsi alla pittura iperrealista di E. Hopper, imitando alcuni tra i suoi più celebri quadri (come, per es., Nighthawks).

Dopo il distacco da Allen, nella seconda metà degli anni Ottanta la carriera di W. è stata sostanzialmente caratterizzata da film di scarso valore e di non brillanti qualità figurative. Ma quando Coppola gli ha fornito l'occasione giusta con The godfather, part III, W. è riuscito a ritrovare l'ispirazione dei suoi anni migliori. Ha in seguito fortemente diradato i suoi impegni, fotografando soltanto i thriller Malice (1993; Malice ‒ Il sospetto) di Harold Becker e The devil's own (1997; L'ombra del diavolo), suo sesto film per Pakula.

Bibliografia

Gordon Willis, in Masters of light: conversations with contemporary cinematographers, ed. D. Schaefer, L. Salvato, Berkeley-London 1984, pp. 284-310; Gordon Willis, in Principal photography: interviews with feature film cinematographers, ed. V. LoBrutto, Westport (CT) 1999, pp. 15-35.

CATEGORIE
TAG

Francis ford coppola

Dean tavoularis

Robert benton

New hollywood

Premio oscar