Gran Bretagna

Il Libro dell'Anno 2005

Richard Newbury

Gran Bretagna

Dieu et mon droit

Il leader del

nuovo Labour

di Richard Newbury

5 maggio

Nelle elezioni per il rinnovo della Camera dei Comuni il Partito laburista, con il 35,9% dei voti, conquista 355 seggi confermandosi, nonostante un calo di 47 seggi rispetto alla precedente legislatura, la prima formazione del Regno Unito e consentendo a Tony Blair di diventare il primo laburista a ottenere tre mandati consecutivi.

Neolaburista o non laburista?

"Il Partito laburista fu molto più amichevole nei miei confronti quando persi nel 1987, di quanto lo sia stato con Tony quando ha vinto per la terza volta consecutiva nel 2005", ha commentato Neil Kinnock, che fu la vittima della terza vittoria elettorale di Margaret Thatcher e che è stato il primo sponsor di Tony Blair, da lui chiamato "un Bambi, ma con i denti di acciaio".

"Non so cosa sia questo giovane, ma sicuramente non un laburista": così Jim Callaghan, il primo ministro sconfitto dalla signora Thatcher nel 1979, descrisse Blair quando stava per diventare il primo inquilino laburista di Downing Street dopo diciotto lunghi anni di ininterrotta egemonia parlamentare e ideologica che i conservatori si erano procurati grazie alla decisa inversione di rotta con la quale la 'Lady di ferro' aveva posto fine alla politica postbellica del consenso e della gestione del declino.

Dal 1997 è stato il turno del Partito conservatore, sotto la guida di quattro successivi leader, a essere lasciato ad annaspare tra estremismo, ideologie superate e imitazioni poco persuasive, da questo premier che l'Economist ha definito "il miglior primo ministro conservatore", un uomo in grado di anticipare le paure e le aspirazioni della middle England, quel 60% della popolazione che adesso si autodefinisce come ceto medio. Questa nuova classe media corrisponde a quella formata dai lavoratori specializzati che la Thatcher sottrasse ai laburisti nel 1979 e che Blair riconquistò nel 1997. Nel frattempo l'altro 'nemico' in rotta è stato il vecchio Labour, che ha visto un leader atipico affrontare sistematicamente tutti i suoi tabù, riscrivere i suoi testi sacri e ridicolizzare i suoi stregoni, incapaci di spiegarsi la sua attrattiva elettorale, basata sull'essere più un non laburista che un neolaburista.

Quando nel 1983 il laburista Tony Blair divenne il più giovane parlamentare della Camera dei Comuni, il suo partito aveva appena subito una secca sconfitta ed era stato quasi superato da quelli che adesso sono i liberal-democratici per colpa di un programma descritto come "la più lunga lettera di suicidio della storia", che includeva l'uscita dalla Comunità europea, la nazionalizzazione di tutte le banche senza alcun risarcimento e il disarmo nucleare unilaterale. Blair non ha mai dimenticato che queste politiche del vecchio Labour avevano portato suo padre - un figlio illegittimo cresciuto in povertà e diventato con le sue sole forze avvocato e professore di legge - ad aspirare a essere eletto con i conservatori.

Da audace politico Blair è convinto di saper sempre persuadere i più recalcitranti a rischiare il nuovo. Ha poco tempo per le tradizioni, come mostrano le sue riforme costituzionali, e per la paura del futuro, anche se ci tiene al posto che occuperà nei libri di storia come uno "che ha cambiato il clima politico". Possiede la necessaria miscela di alte ambizioni e capacità di bassa politica. Inoltre ha fascino e sa come usarlo. Le sue convinzioni religiose e i suoi valori morali, tuttavia, vengono dal suo passato e spiegano anche una spietatezza poco incline al sentimentalismo, che lo ha portato addirittura a licenziare due volte Peter Mandelson, uno dei suoi alleati più vicini.

Blair non è nato nell'area laburista, come sua moglie o il cancelliere dello Scacchiere Gordon Brown, e i suoi eroi sono i grandi liberali: William Gladstone, David Lloyd George e William Beveridge. La sua filosofia politica è ispirata al communitarianism del teologo scozzese John Macmurray. Vuole trasformare il Partito laburista in uno strumento che non solo esprima le aspirazioni della classe media, ma permetta anche a chi si trova in condizioni disagiate di raggiungerla nel benessere. Mentre la Thatcher pensava che l'ingiustizia sociale fosse il prezzo da pagare per la libertà di mercato, Blair ritiene che l'ingiustizia sociale e l'esclusione siano uno spreco di risorse umane e finanziarie sia per chi è ingabbiato nella dipendenza dall'assistenzialismo, sia per chi deve pagare le tasse. Un'economia forte e una società stabile si rinforzano a vicenda. Blair non vede una divisione manichea tra lavoro e capitale, tra pubblico e privato, proprio come da lettore della Bibbia e del Corano vede un'unità di intenti e di propositi tra cristianità - sia protestante sia cattolica - e Islam.

Per Blair l'11 novembre 1989 - il giorno della caduta del Muro di Berlino - sono crollate le ideologie, non i valori. Questi sono in realtà diventati i fini ai quali indirizzare i mezzi pragmatici della politica e della guerra. La questione centrale è come garantire la solidarietà senza che questa diventi collettivismo. Blair ha 'rubato' i valori di moralità (legge e ordine), risparmio (economia) e autonomia (difesa) dalla loro 'naturale' matrice conservatrice per guidare una nazione che ha intrapreso con successo ripetuti interventi militari 'morali' e dove il crimine è in calo e l'economia appare la più competitiva del G8.

Nell'educazione, nella preparazione culturale, nelle maniere e nel linguaggio Blair è un modello di primo ministro conservatore. Tuttavia, più che essere quel traditore del proletariato che sia i tories sia il vecchio Labour credono, è la dimostrazione che il nuovo Labour può rappresentare l'habitat naturale delle ambiziose classi medie - la nuova maggioranza - e delle loro aspirazioni.

La formazione

All''Eton scozzese' - il Fettes college - Blair non mostrava alcun interesse né per la politica né per la religione. Era conosciuto per le sue interpretazioni di Shakespeare - come un memorabile Marco Antonio - e le imitazioni di Mick Jagger. Da perfetto scolaro diventò un ribelle senza causa, ma era pur sempre un outsider che non vedeva l'ora di rientrare. Gli vennero negate tutte le posizioni di autorità e scampò all'espulsione solo perché si ritirò presto.

Vinse comunque una borsa per studiare legge al St. John's College di Oxford, dove formò il gruppo rock The ugly rumours e, aspetto ben più importante, conobbe il reverendo Peter Thomson, "una delle più convincenti, oneste e degne persone che abbia mai incontrato nella mia vita. Non c'è niente di debole in lui. È duro e pieno di coraggio. Il suo cristianesimo è esemplare". Thomson era un ricercatore australiano, già cappellano alla Geelong grammar school, l''Eton australiana', nonché preside della scuola di esercitazioni di sopravvivenza Timbertops, frequentata per un anno anche dal principe Carlo. Secondo il parere di molti Thomson più di chiunque altro può spiegare Blair. È stato lui a introdurlo al communitarianism di Macmurray, che per Blair riunisce l'essere e l'agire. "Se volete comprendere ciò che sono, dovete dare un'occhiata a un certo John Macmurray. È tutto lì", ha dichiarato Blair quando è diventato il leader del Partito laburista nel 1994.

In un'introduzione alle opere di Macmurray del 1996 spiega: "Era moderno nel senso che affrontava quella che sarebbe stata la questione critica della politica del 21° secolo: il rapporto tra individuo e società.

La prima metà del 20° secolo ha visto la nascita delle grandi istituzioni della volontà collettiva: lo stato sociale e il governo. Nella seconda metà si è osservata una reazione a esse nel nome dell'individuo che, in parte grazie al potere del governo, è diventato più facoltoso, paga le tasse e ha sviluppato una categoria di esigenze economiche e sociali più centrate sul singolo. Ora il compito della società consiste nello stabilire un nuovo accordo tra l'individuo e la società stessa. Abbiamo raggiunto i limiti di un individualismo egoistico, ma abbiamo anche imparato quali errori può compiere il potere collettivo. Vogliamo la stabilità sociale e sappiamo che il governo può svolgere un ruolo attivo, perché il mercato non è più il padrone. Ma la stabilità e il ruolo attivo del governo li vogliamo per il mondo di oggi, dove la cultura, lo stile di vita e i redditi personali sono stati trasformati".

Blair si è cresimato nella cappella anglicana del St. John's. Per lui il cristianesimo riguardava "l'unione dell'individuo e della comunità. Non siamo arenati in un isolamento senza aiuti, ma abbiamo un obbligo verso gli altri e verso noi stessi. L'Eucarestia ci insegna che non cresciamo in totale indipendenza, ma in un rapporto di interdipendenza". Il coinvolgimento di tutti - classi, religioni e sessi - nella comunità, con responsabilità reciproche che fissano i diritti individuali, è il fulcro di ciò che ha spinto Blair in politica, sebbene per un periodo avesse pensato di diventare un pastore anglicano. Non per nulla la satira lo chiama 'il parroco di St. Albion'.

Gli esordi

Tony Blair entrò nel Partito laburista nel 1975 quando, dopo essersi laureato a Oxford, andò a Londra a studiare per l'abilitazione da avvocato. Progressivamente crebbe il desiderio di usare le sue formidabili abilità oratorie e di persuasione come membro del Parlamento. Lo stesso accadeva a Cherie Booth, una sua collega che Blair convinse a lasciare il fidanzato per sposarlo. Mentre i risultati degli esami di lui erano stati modesti, Cherie aveva ottenuto i voti migliori in legge sia alla London school of economics sia nell'esame di abilitazione per avvocati. Tuttavia "una volta che soccombi al fascino di Tony, non te ne sottrai più", ha ammesso Cherie.

Vi era tra loro un accordo: chi dei due avesse per primo conquistato un seggio parlamentare (con la sua indennità di 20.000 sterline all'anno) sarebbe stato sostenuto dall'altro con le 200.000 sterline guadagnate da un avvocato di successo.

A essere razionali, negli anni Settanta solo un pazzo o un fanatico avrebbe voluto scegliere una carriera senza sbocchi da parlamentare laburista. Nel 1974 i minatori in sciopero che avevano portato alle dimissioni il conservatore Edward Heath erano stati compensati dal governo laburista di Harold Wilson con un aumento del 35% in busta paga. La conseguenza fu la bancarotta nazionale e la necessità dell'intervento del Fondo monetario internazionale. James Callaghan cercò con un contratto sociale di porre un freno allo strapotere dei 'baroni' dei sindacati, che con il blocco dei voti controllavano la politica del Partito laburista, da loro finanziato. Se avesse indetto le elezioni nel 1978 Callaghan avrebbe vinto, ma il partito sarebbe stato nelle mani di una sinistra il cui modello di Stato era quello socialista dell'Europa orientale. Nel 1979 l''inverno del malcontento' con i lavoratori dei servizi pubblici impegnati in uno sciopero a oltranza sfociò nella vittoria a sorpresa della signora Thatcher. La Lady di ferro tentò di trasformare il Regno Unito negli Stati Uniti, nonostante l'opposizione dei 'gentiluomini' del suo gabinetto animati da un senso di 'noblesse oblige' verso la popolazione. Il golpe 'leninista' compiuto da Margaret Thatcher all'interno del suo partito fu ammirato e studiato da Blair e Brown.

Come poteva un giovane laburista, con qualche tendenza conservatrice, portare avanti le sue ambizioni in quello che un suo collega definiva "un partito di massa senza membri, una crociata ideologica senza una ideologia condivisa, un partito popolare lontano dal popolo"? Spiegava Blair: "Non è che io non abbia un'ideologia. Ho delle concezioni molto radicate, ma non sono stereotipate nei termini di una contrapposizione destra-sinistra. Ma poi chi la sostiene ai giorni nostri, eccetto quelle persone che sono abituate a essere all'opposizione?".

Blair il conciliatore, preoccupato dei risultati e non dei mezzi, fin dall'inizio cercò di cucire insieme la destra e la sinistra moderate, mentre citava Lenin alla sinistra estrema: "Rigettare i compromessi per principio, rigettare la possibilità di compromessi in generale, non importa di che specie, è infantile, un atteggiamento che è addirittura difficile da considerare con serietà". Non fu comunque tentato dall'unirsi alla scissione dell'estrema destra che portò alla formazione del Partito socialdemocratico. Riteneva che senza il voto della classe lavoratrice i laburisti non sarebbero riusciti a ottenere la base dei 200 seggi sicuri.

Di fatto nel 1983 i socialdemocratici ottennero il 25% dei voti e 25 seggi, mentre i laburisti con il 27% ne conquistarono 220.

In effetti il progetto del nuovo Labour che finalmente, 22 anni dopo l'ingresso di Blair nel partito, avrebbe riportato i laburisti al governo, combinava le politiche socialdemocratiche con la macchina elettorale del vecchio Labour, talmente prostrato dalle ripetute sconfitte da accettare qualsiasi cosa il generale Blair avesse chiesto di fare, se solo questo poteva significare vittoria. Nelle parole di Blair: "All'opposizione ti svegli pensando 'Che cosa dirò oggi?'; al governo 'ecco cosa farò oggi!'".

I governi ombra

Blair ha la caratteristica indispensabile del politico di successo: la fortuna, con la capacità di sfruttarla al massimo. Quando nel 1983 dopo il conflitto delle Falklands la signora Thatcher convocò le elezioni anticipate, i laburisti si trovarono senza candidato per il seggio tradizionalmente sicuro di Sedgefield, nel bacino carbonifero di Durham. Blair ottenne con intuito e fortuna la candidatura, mentre Cherie ne ebbe una senza speranza di vittoria. A Sedgefield Blair ebbe la certezza che ciò che interessa alla classe operaia è un lavoro sicuro, la giustizia sociale, la stabilità economica e l'ordine, non le questioni che figurano nell'agenda degli attivisti della classe media metropolitana, che imputano sempre alla 'società' tutti i mali e preferiscono compatire il criminale piuttosto che la vittima.

Alla convinzione delle proprie idee, alla fiducia in sé e all'ambizione va così aggiunta la fortuna. Blair, che a 30 anni era il più giovane parlamentare laburista, fu il primo degli eletti nel 1983 a essere invitato dal nuovo leader Neil Kinnock a partecipare nel 1984 alla squadra del Tesoro del governo ombra. Nel 1987, proprio prima delle elezioni, fu promosso ministro ombra per gli Affari della City e dei consumatori. In questa veste attaccò pesantemente la privatizzazione dell'elettricità voluta dai conservatori, non per difendere i lavoratori del Labour sindacalizzato ma contro la minaccia di maggiori oneri per i consumatori. L'elettorato, che si andava spostando dalle industrie pesanti a quelle di servizi, votava più come consumatore che come lavoratore e come tale era incostante. Il 1979 aveva visto lo spostamento dal desiderio di un governo che si prendeva cura di tutto all'aspirazione all'autonomia individuale: solo Blair, a parte la signora Thatcher, se ne era reso conto.

"Guardate Blair - diceva Kinnock - ha fegato".

Ne diede prova nel 1989 quando fu designato al portafoglio ombra dell'Occupazione, dove piuttosto che difendere contro la legislazione dei tories il sistema dell'adesione sindacale forzata, con altissimo rischio politico convinse i sindacati dell'antidemocraticità del corporativismo obbligato e li persuase ad accettarne l'abolizione, con una rottura con il passato tanto sconvolgente quanto lo sarebbe stata successivamente, durante la sua leadership, la riscrittura della costituzione del partito.

Quasi non c'erano parlamentari laburisti a sud della linea tra Hull e Bristol, nelle regioni centrali e meridionali della Gran Bretagna che, sede di industrie di servizi in forte crescita, applicavano il libero mercato sia al lavoro sia allo stile di vita e non volevano 'sermoni'. Londra da sola ha più abitanti di Scozia e Galles insieme e la metà della popolazione dell'isola vive in un raggio di cento miglia da Londra. Sebbene nato a Edimburgo, il telegenico Blair, avvocato di Londra eletto in un seggio inglese, si propose come il 'tipo medio della middle England', in grado di vincere, appunto, in quella regione.

Quello che convinse sia i media sia il mondo politico è stato che, in qualità di ministro ombra dell'Interno, tra il 1992 e il 1994, con lo slogan "duri con il crimine, duri con le cause del crimine" Blair si impadronì dei valori di ordine e famiglia, sottraendoli ai conservatori.

Nel 1992 Gordon Brown, metodico scozzese quarantunenne, non aveva voluto correre per la leadership, con Blair come vice, contro il suo padre politico, il cinquantaquattrenne John Smith, e in cambio aveva avuto la nomina a cancelliere ombra dello Scacchiere. Nel biennio 1992-94 Blair rimase frustrato dalla sicurezza di Smith, secondo il quale per sconfiggere i conservatori sarebbe bastato "un solo ulteriore piccolo sforzo". Quando Smith morì d'infarto nel maggio del 1994, Blair pensò che Brown aveva perso la sua occasione nel 1992 e all'età di 41 anni si propose per quella leadership che Brown riteneva gli dovesse inevitabilmente spettare.

Tuttavia, poche ore dopo la morte di Smith, i media sia di destra sia di sinistra dichiaravano che l'unico candidato possibile era Blair.

Da allora Brown non ha più smesso di sentirsi tradito.

Blair capì che solo un falò ideologico avrebbe convinto la middle England a votare laburista. La campagna elettorale del 1997 si incentrò sui votanti indecisi dei 70 collegi marginali dove la supremazia dei conservatori era inferiore alle 5000 preferenze e che il Labour doveva assicurarsi per raggiungere la maggioranza parlamentare. 'L'uomo con la Ford Mondeo' doveva essere convinto che i laburisti lo avrebbero incoraggiato a comprare un'automobile ancora più grande se lo avesse voluto, senza tassare le sue aspirazioni. 'La donna di Worcester' voleva tasse più basse e un maggior impegno di spesa del governo per scuole e ospedali. Grazie alla triangulation ispirata a Clinton, Blair sottrasse le idee ai conservatori, promettendo di applicarle con maggiore decisione.

Il risultato fu una schiacciante vittoria, con una maggioranza di 179 seggi: più che una affermazione, un annientamento.

I motivi del successo

Il successo del nuovo Labour fu opera di un drappello di una mezza dozzina di persone. Ne facevano parte i politici Tony Blair e Gordon Brown, lo stratega politico Peter Mandelson, lo stratega dei media Alastair Campbell, il guru dei sondaggi Philip Gould e il coordinatore politico Anji Hunter. Dopo la sconfitta del 1992 Blair aveva commentato: "La vera ragione della nostra sconfitta è semplice. È la stessa dal 1979. Il Labour non ha saputo soddisfare le aspirazioni della maggioranza delle persone in un mondo moderno". Per generazioni il Partito laburista si era cristallizzato su ricette politiche - aumento delle tasse, miglioramento dello stato sociale, riduzione delle spese per la difesa - e non sui suoi valori fondanti di promozione delle pari possibilità, equità e giustizia sociale, basati sulla fede nella comunità e nella responsabilità. La rivoluzione di Blair è consistita nel ritorno a questi valori e a questi fini, e nell'adattare i mezzi - la politica - alla realtà costituita dagli elettori e dagli interessi personali della maggioranza dei ceti medi. La scelta era tra tener fede ad antiquate ideologie e perdere, o aggiornare i valori al mondo moderno e vincere. L'equità era molto più importante di qualsiasi altro particolare connubio di proprietà pubblica e privata, le opportunità individuali più importanti degli impossibili impegni di ridistribuzione della ricchezza. Come Blair chiarì nel suo manifesto per la leadership del partito nel 1994: "Gli individui prosperano meglio in una società forte e attiva, i cui membri si impegnano verso gli altri così come verso sé stessi e, quantomeno in parte, devono il successo dell'uno a quello dell'altro".

In qualità di leader, dal 1994 Blair ha cominciato a ridefinire gli scenari politici sui quali lottare per vincere le elezioni successive. Tutta l'ideologia laburista si è alleggerita della sua zavorra, in modo da proporre alle menti degli elettori un nuovo modello non solo del Labour ma anche dei conservatori. Le due più importanti parole nella politica inglese sono 'moderato' ed 'estremo' e il monopolio della prima è la chiave per arrivare al governo. Lo sforzo di Blair fu fare apparire estremi i conservatori. Se John Major pensava che l'ingiustizia sociale fosse il prezzo da pagare per l'economia di libero mercato, Blair sosteneva il reciproco rafforzamento derivante da un'economia forte e una società stabile. Se i conservatori volevano ridurre fortemente i benefici sociali, i laburisti volevano utilizzare il budget della spesa sociale per indirizzare i disoccupati ad altri lavori. I conservatori danneggiavano gli interessi strategici nazionali attraverso posizioni antieuropeiste, mentre i laburisti avrebbero collocato la Gran Bretagna nel 'cuore dell'Europa'. Posto tra l'individualismo estremo del periodo della Thatcher e l'ideologia dichiaratamente abbandonata del passato laburista, Blair venne a occupare l'inestimabile posizione del centro dello schieramento politico.

Al pari della signora Thatcher Blair si presentava come un leader nazionale rivolto a tutta la nazione, al di là dei vertici del suo partito.

"Non è sufficiente cambiare. Dobbiamo provare di essere cambiati" dichiarò Blair, divenuto leader dei laburisti. La prova fu data facendo votare al partito la riscrittura della sua emblematica Clausola IV, risalente ai tempi della Rivoluzione russa e incentrata sulla "proprietà comune dei mezzi di produzione, distribuzione e scambio". Mandelson riteneva che impedisse al partito di proclamare chiaramente per cosa si batteva e confondeva gli elettori riguardo alle sue intenzioni. La formulazione alternativa proposta da Blair riconosceva l'economia di mercato all'interno di una società in cui "potere, ricchezza e opportunità sono nelle mani di molti, non di pochi".

La formula magica della squadra di Blair per vincere le elezioni del 1997 è consistita dunque nel rassicurare l'elettorato sui cambiamenti del partito, nel ricordargli i fallimenti e gli errori dei tories e nel ricompensarlo con ciò che il nuovo Labour aveva da offrire.

Una campagna elettorale permanente durante il biennio 1995-97 e gli anni di governo basata su questa formula ha fatto sì che si instaurasse un approccio del tipo 'vertice-base' tale da subordinare la politica alla formula stessa, piuttosto che del tipo 'base-vertice', imperniato sui cinque principi fondamentali di comunità, democrazia diretta, responsabilità sociale, creazione di ricchezza e modernizzazione.

Al governo

"Siamo stati eletti come nuovo Labour. Governeremo come nuovo Labour" ha dichiarato Blair alle 5 del mattino, mentre spuntava il sole, il 2 maggio 1997. Aveva pronosticato una maggioranza di 70 seggi e aveva programmato una coalizione con i liberal-democratici, con il loro leader Paddy Ashdown come ministro degli Esteri, e si ritrovò incredulo con una maggioranza complessiva di 179 seggi, il divario più grande dalla vittoria dei liberali nel 1906 e il peggiore risultato per i conservatori dalla Grande legge di riforma del 1832. Sia i conservatori sia il vecchio Labour credevano che il nuovo Labour fosse solamente una maschera dietro alla quale sarebbe emerso un governo socialista tradizionale. Tuttavia, con loro sorpresa, Blair faceva sul serio, senza bisogno di seguire il consiglio di Clinton: "Fai tutto quello che abbiamo fatto noi fino alle elezioni (del 1992) e niente di quello che abbiamo combinato nei due anni successivi", quando i democratici erano tornati alle origini e avevano perso il centro.

Due episodi sono emblematici del nuovo stile 'napoleonico' di governo di Blair. Jack Straw apprese dalla radio che era stato nominato ministro dell'Interno. Il plenipotenziario Alastair Campbell, addetto stampa di Blair, senza alcun imbarazzo spiegò che non c'era stato tempo di chiederglielo prima del notiziario di metà giornata. Gordon Brown, adesso cancelliere dello Scacchiere, volle immediatamente cedere la responsabilità dei tassi di interesse alla Banca d'Inghilterra. Blair seppe da Robin Butler (segretario del consiglio dei Ministri) che non ci sarebbe stato tempo per discutere questo improvviso cambiamento epocale in una riunione di gabinetto. "Crea problemi? - chiese Blair - Non ci faranno caso. Faremo un giro di telefonate". Clinton, controllato e tenuto a freno dalla Costituzione americana, invidiava il potere che l'enorme maggioranza garantiva a questo primo ministro 'presidenziale', che comunque insisteva perché tutti lo chiamassero Tony.

La macchina governativa era complessa per Blair che al tempo stesso era inesperto e impaziente. Inoltre, come gli altri membri del gabinetto, prima di allora non aveva gestito niente. Ma, grande attore, convincente, con una determinazione politica anche spietata nella ricerca e nel mantenimento del potere, si mostrò soprattutto capace di catturare e personificare l'umore della gente. Lo dimostrò in maniera eclatante alla morte di Lady Diana, che definì "la principessa del popolo". Raggiunse una popolarità pari a quella ottenuta da Churchill nel giorno della vittoria. Questo significava, in effetti, riformare la monarchia, proprio come aveva radicalmente reinventato una nuova Gran Bretagna, trasferendo poteri al Parlamento scozzese, all'Assemblea gallese e, come massima espressione delle sue doti di persuasione e della sua 'ambiguità creativa', all'Assemblea dell'Irlanda del Nord, dopo il miracolo degli accordi del Venerdì santo con l'IRA nel 1998. Allo stesso modo in cui il nuovo Labour era nato da un falò di ideologie e legami tribali, così sarebbe nata la nuova Gran Bretagna.

"È molto più difficile cambiare le modalità di funzionamento di un servizio pubblico, poiché non ha quel grande motore che il mercato costituisce sempre per il settore privato". La 'terza via' di Blair era un tentativo di sposare l'egoismo della 'mano invisibile' di Adam Smith, cioè l'avidità individuale che porta spontaneamente al benessere generale, con il bene pubblico imposto dal welfare, una generosità imposta dalla ben visibile mano della tassazione generale. Il communitarianism della terza via consisteva nell'idea che "l'interesse personale è assecondato meglio quando agiamo per gli altri, non per noi stessi". Le nuove parole d'ordine erano opportunità, responsabilità e comunità: così per esempio il diritto al sussidio di disoccupazione era subordinato alla responsabilità di cogliere l'opportunità fornita dal governo per riqualificarsi professionalmente. L'aliquota delle imposte sul reddito è stata ridotta, ma la ridistribuzione ha visto le entrate dei più poveri aumentate del 20% e quelle dei ricchi diminuite del 10%. "Abbiamo fatto più di qualsiasi altro governo laburista per i tradizionali sostenitori laburisti. Ma non lo facciamo alienandoci l'appoggio della nuova classe media". In questo, in effetti, Blair ha seguito il consiglio di Bill Clinton, da lui indicato come il "politico più brillante che abbia mai incontrato".

La politica estera

"È coinvolto dagli eventi mondiali in una maniera straordinaria. Il mondo è ciò che realmente lo appassiona e lo stimola", ha commentato un alto funzionario. "È il mio lavoro. Progettare il potere della Gran Bretagna", dice Blair, che vede la Gran Bretagna non più come una grande potenza, ma come una 'potenza perno', un ponte per mantenere in vita la NATO, costituita dal governo laburista del dopoguerra per proteggere l'Europa dall'Unione Sovietica, ma anche dall'isolazionismo americano. La Gran Bretagna ha influenza in Europa se ha influenza a Washington e viceversa.

I timori di Blair sulle armi di distruzione di massa di Saddam iniziarono già nel 1997 e, come ha riferito l'allora ambasciatore britannico a Washington, "tutti gli elementi che avrebbero portato alla grande spaccatura sulla guerra in Iraq del 2003 erano già presenti nel 1998". La prima guerra di Blair, rinviata tre volte per i vani tentativi delle Nazioni Unite di far collaborare Saddam, fu l'operazione Desert fox in Iraq nel 1998, quando circa 650 attacchi aerei angloamericani colpirono 250 obiettivi. Il programmato combattimento via terra, tuttavia, fu reso impossibile dal coinvolgimento di Clinton nello scandalo Lewinsky. Blair aveva, comunque, raggiunto tutti i suoi fini: sostenere gli Stati Uniti, limitare i bersagli dei bombardamenti aerei e controllare la reazione pubblica in patria.

Nel 1999 Blair considerava Milosevic un altro Saddam che avrebbe obbedito solo alla minaccia della forza. Nonostante i suoi 2 milioni di uomini in uniforme, l'Europa poteva penosamente, e con lentezza, schierare solo 50.000 soldati, in aggiunta ad altri 50.000 messi a disposizione dalla Gran Bretagna. Clinton era preparato a bombardare, ma non a mandare truppe sul campo. Blair pensò che una NATO incapace di agire era già morta, mentre i bombardamenti avrebbero portato a "un incubo, creando solo miseria umana, invece di salvare le vite". Per lui sarebbe potuta essere la fine e con Clinton ci fu uno scambio di telefonate di insulti. Allora Blair capì che si trattava di una guerra da CNN e mandò Campbell al quartier generale della NATO a Bruxelles a vincerla. Come disse a Clinton: "Possiamo vincere, ma solo se agiamo nel modo in cui tu e io facciamo campagna elettorale". Clinton in un incontro a due nel gabinetto della Casa Bianca accettò il compromesso di "fare ogni cosa fosse necessaria" per assicurare la vittoria contro Milosevic.

Altro punto chiave fu il concetto di comunità internazionale. Nel discorso The doctrine of international community, tenuto a Chicago nel 1999, Blair precisò cinque criteri in base ai quali la comunità internazionale può legittimamente intervenire in uno Stato sovrano, come nei casi dell'Iraq nel 1998 e 2003, della Serbia nel 1999, della Sierra Leone nel 2000 per fermare il genocidio e la guerra civile, o del Kosovo nel 2001. I cinque criteri erano: siamo sicuri della causa per la quale si combatte? sono stati compiuti tutti gli sforzi diplomatici possibili? l'azione militare può essere intrapresa con sicurezza? c'è la volontà per un'azione a lungo termine? sono implicati interessi nazionali? Questo discorso è stato l'equivalente internazionale della Clausola IV.

Quando Bush cercò di sradicare l'eredità di Clinton, della quale Blair era una parte essenziale, come poteva il primo ministro britannico mantenere la Gran Bretagna nella sua posizione di perno? Eppure il rapporto più importante per Blair, il leader modernizzatore e internazionalista della sinistra, capace di imprimere un nuovo corso alla sua premiership, è diventato proprio quello con un texano dalla mentalità insulare, che preferiva i latino-americani agli europei ed era circondato da consiglieri della destra intransigente.

Fu Clinton, che si trovava con Blair nella residenza di campagna di Chequers nel dicembre 2000 quando la Corte suprema decretò la vittoria di Bush, a metterlo in guardia: "Dicono che Bush è stupido, ma simpatico. Si sbagliano in entrambi i casi. Inoltre è capace di mettere in pratica una grande idea. Sii suo amico.

Sii il suo miglior amico. Sii quello a cui ci si può rivolgere".

Dopo il loro primo incontro a Camp David nel 2000, Bush ammise: " Blair ha usato con me l'arma del fascino e ha funzionato. C'è un rapporto speciale tra Gran Bretagna e Stati Uniti e abbiamo intenzione di continuare su questa strada. Posso assicurarvi che quando uno di noi due avrà un problema, troverà sempre un amico all'altro capo del telefono".

Questo 'rapporto speciale', per il quale Blair era estremamente chiaro in privato - per esempio su Kyoto - ma assolutamente solidale in pubblico, gli procurò il ruolo di 'ponte' verso i leader europei.

Tuttavia, dopo l'11 settembre 2001 fu necessario impedire agli Stati Uniti di chiamarsi fuori dal sistema internazionale, rischiando uno scontro totale tra musulmani e cristiani, la spaccatura della NATO e un asse Russia-Cina contro gli USA. Alle 2 del pomeriggio dell'11 settembre Blair stava per tenere il discorso chiave sulle linee guida del suo secondo mandato in merito alla riforma dei servizi pubblici, dove aveva intenzione di spendere ulteriori 50 miliardi di sterline, in cambio di mutamenti radicali nel mercato del lavoro. Appena seppe che il primo aeroplano aveva colpito le Torri Gemelle interruppe il discorso e immediatamente - con il presidente Bush impossibilitato a comunicare - parlò agli anglosassoni e a tutto il mondo: "Questa non è una battaglia tra gli Stati Uniti e il terrorismo, ma tra il mondo libero e democratico e il terrorismo. Noi, di conseguenza, qui in Gran Bretagna, ci schieriamo spalla a spalla con i nostri amici americani in questa ora tragica e, come loro, non ci fermeremo fino a che questo male non sarà sradicato dal nostro mondo".

Il 20 settembre, quando Blair incontrò Bush a Washington, non solo lo informò che aveva già mobilitato le truppe britanniche per l'Afghanistan, ma convinse Bush a formare una vasta coalizione - percorse in volo 50.000 miglia per metterla insieme - per attaccare i talebani prima di Saddam. Nella battaglia tra la reazione viscerale dell'intervento unilaterale propugnata da Dick Cheney e quella 'di testa' dell'azione multilaterale sostenuta da Blair, vinse quest'ultimo, che però perse il sostegno degli Stati europei. Sia Bush sia Blair coglievano il parallelo con l'ipotesi di muovere guerra a Hitler per la Cecoslovacchia nel 1938, ma allora l'80% della popolazione inglese si oppose alla guerra e l''ubriaco guerrafondaio' Churchill si trovò a guidare solo un gruppo sbandato di 60 parlamentari contrari ai Patti di Monaco.

L'Iraq ha rappresentato poi un banco di prova tra le opzioni di un nuovo ordine mondiale e il caos globale, mentre il secolo si presentava con le minacce combinate di terrorismo, armi di distruzione di massa e Stati canaglia. Nel frattempo si sviluppavano due paradossi. Mentre solo una credibile minaccia militare di 'serie conseguenze' (la risoluzione nr. 1441 dell'ONU) avrebbe potuto costringere Saddam a cedere, la stessa minaccia rendeva inevitabile il conflitto.

Se, però, le Nazioni Unite avessero insistito sul fatto che Saddam poteva disarmarsi per salvarsi, un Consiglio di sicurezza che si fosse mostrato debole e diviso avrebbe anch'esso reso la guerra inevitabile. Blair non ha dubbi che tra venti anni la storia proverà che ha avuto ragione.

In un incontro del novembre 2003 con Gordon Brown, Blair, minacciato dalle inchieste Hutton e Butler - che in seguito lo avrebbero discolpato dall'accusa di aver manipolato le notizie sulle armi di Saddam per arrivare all'intervento armato in Iraq - sembrò d'accordo con l'ipotesi di cedere la leadership a Brown nel luglio 2004 in cambio del sostegno dei parlamentari del vecchio Labour alle riforme del sistema ospedaliero e del finanziamento alle università. Al rientro dalle vacanze estive del 2004 tuttavia Blair ha deciso di rimanere fino a una terza elezione e di procurarsi un posto nei libri di storia con la definitiva introduzione del libero mercato nella sanità e nella scuola, tale da rendere le classi medie desiderose di usufruire di entrambi questi servizi.

Ancora una volta, Blair ha tratto il meglio dalla sua fortuna. Prima ha convinto Chirac a non indire un referendum sulla Costituzione Europea per non essere sollecitato a farlo lui pure. Poi, per rimandare il problema europeo oltre le elezioni del 2005, per le quali aveva bisogno del sostegno dell'eurofobico Rupert Murdoch, con un voltafaccia ha deciso di convocare il referendum, spingendo Chirac a fare altrettanto. La Francia ha bocciato la Costituzione, giudicandola troppo anglosassone, e l'Olanda l'ha bocciata giudicandola non abbastanza anglosassone. Chirac ha giocato la carta dello sconto britannico (le facilitazioni ottenute da Margaret Thatcher nel 1983) e Blair ha ribattuto connettendo il 40% del budget comunitario rappresentato dalla politica agricola al tema morale del debito africano, che ha scelto come argomento centrale del G8 sotto la sua presidenza.

Non solo è riuscito a scongiurare il pericolo di doversi dimettere nel 2006 dopo aver perso il referendum, ma ha impiegato la sua capacità di persuasione per conquistarsi personalmente il voto di 60 dei 100 delegati olimpici che a Singapore hanno scelto Londra come capitale dei Giochi del 2012. In quanto a Bush, gli ha fatto ammettere che il riscaldamento del clima è conseguenza delle attività umane. Tutta la controversa legislazione sulla sicurezza emanata prima delle elezioni si è dimostrata previdente quando gli 'inevitabili' attentati terroristici hanno colpito Londra il 7 e il 22 luglio.

La risposta di Blair agli attacchi è stata ferma e si è fatta interprete dei sentimenti della gente e del Parlamento. Blair non è più il 'cavallo azzoppato' uscito dalle elezioni. Piuttosto, per usare l'espressione di Le Monde: "C'è un solo piano B: è il blairismo".

repertorio

Laburisti e conservatori

Il sistema basato su due partiti in competizione fra di loro nacque in Inghilterra alla fine del 17° secolo e costituisce da allora l'elemento più caratteristico della vita politica britannica. A favorire la polarizzazione del sistema secondo la logica bipartitica è stata l'esigenza di controllare il gabinetto di governo che, formato da un gruppo ristretto di ministri scelti dal premier all'interno del suo partito, costituisce il luogo centrale dell'esercizio dell'autorità politica. In quanto espressione del partito che ha la maggioranza nella Camera dei Comuni, il gabinetto esercita la sovranità del Parlamento e di fatto indirizza l'attività legislativa. Il bipartitismo è altresì rafforzato dalla pratica elettorale maggioritaria e dal sistema uninominale che, enfatizzando il ruolo del partito vincitore, ha da sempre teso alla marginalizzazione di partiti terzi. Un nuovo partito può infatti arrivare al potere soltanto in sostituzione di uno dei partiti contendenti, assumendo la rappresentanza di una delle due tendenze, genericamente definibili progressista e conservatrice, in cui si sviluppa da secoli la dialettica politica britannica. In questo senso si può parlare di una sostanziale continuità nella contrapposizione tra tories e whigs tra la fine del Seicento e la prima metà dell'Ottocento, tra liberali e conservatori nell'Ottocento e tra laburisti e conservatori a partire dal Novecento.

Tories e whigs

In un primo tempo coalizioni instabili attorno a personalità influenti e spesso prodotto di patteggiamenti e corruzioni, i tories e i whigs successivamente si affermarono sempre più per l'adozione di politiche diverse e ben definite rispetto ai temi di volta in volta in discussione. Alla fine del Seicento i due partiti vennero differenziandosi, il primo come sostenitore e il secondo come limitatore della prerogativa regia, in occasione della votazione della legge del Habeas corpus, che garantiva la libertà personale contro gli arbitri regi (1679); a distanza di qualche anno la contrapposizione si ripropose nel corso della lotta per la votazione della 'legge d'esclusione', che mirava a impedire, alla morte di Carlo II Stuart, la successione del fratello Giacomo perché cattolico. Alle divisioni provocate da quest'ultima disputa è fatta risalire l'origine del nome dei due partiti. Tories, appellativo con cui venivano chiamati i componenti delle bande di fuorilegge papisti che infestavano l'Irlanda in nome del potere regio dopo la sottomissione dell'isola da parte di Oliver Cromwell, fu adottato come insulto nei confronti dei partigiani del re. Il nome whigs, di probabile origine gaelica, con cui venivano chiamati in Scozia i ladri di cavalli e, più tardi, i presbiteriani scozzesi, per questo suo legame con il nonconformismo religioso fu esteso a coloro che reclamavano l'esclusione dalla successione dell'erede al trono per timore delle tendenze assolutiste e filocattoliche della dinastia Stuart.

La 'pacifica' rivoluzione del 1688, che portò alla fuga di Giacomo II e alla sua sostituzione con Guglielmo d'Orange, contribuì a normalizzare il ruolo dei partiti. L'anno successivo l'accettazione da parte del nuovo re di una dichiarazione con cui si impegnava a garantire i diritti del popolo inglese e a circoscrivere i poteri della Corona, insieme con il sorgere della nuova figura del primo ministro, accrebbero l'importanza del Parlamento e, in seno a questo, della Camera dei Comuni, elettiva, nei confronti di quella dei Lord, ereditaria. Non pochi fra gli stessi tories furono indotti ad accogliere una parte delle dottrine whig sulla monarchia limitata e costituzionale, rinunciando alla concezione della monarchia assoluta di diritto divino. La stabilizzazione della situazione politica favorì il consolidamento di quelle caratteristiche che avrebbero costituito la fisionomia dei due partiti tra Sette e Ottocento. Mentre i tories rappresentavano la corrente dei partigiani del re, della chiesa anglicana - in opposizione a ogni forma di dissidenza religiosa -, della tradizione della proprietà fondiaria e del ceto rurale, i whigs erano paladini del principio della resistenza al sovrano e della tolleranza religiosa, della città di Londra, degli interessi dei ceti commercianti arricchitisi con il traffico marittimo e coloniale.

L'avvento al trono nel 1714 della dinastia di Hannover con Giorgio I segnò una lunga fase di predominio del partito whig, che aveva favorito contro il legittimismo dei tories la nuova successione, autorizzata dal precedente della rivoluzione del 1688. Per un cinquantennio gruppi di aristocratici whig mantennero l'egemonia nella Camera dei Comuni. I tories sopravvissuti in Parlamento - circa un centinaio di gentiluomini di campagna, la cui influenza andava restringendosi sempre più all'amministrazione locale - non formavano più un partito organizzato in grado di competere per il potere. Furono piuttosto le divisioni interne all'oligarchia dominante a favorire la ripresa dei tories. Il crescere della protesta radicale contro il sistema di rappresentanza vigente e la crisi prodotta dalla perdita delle colonie americane indussero le forze conservatrici a ritrovare l'unità intorno a un nuovo leader, William Pitt il giovane, che coprì la carica di primo ministro dal 1783 al 1801 e dal 1804 al 1806. L'impatto della Rivoluzione francese e il coinvolgimento inglese nelle guerre contro la Francia rivoluzionaria e napoleonica contribuirono potentemente a coagulare quell'impasto di sentimenti patriottici e di interessi conservatori di cui Pitt fu l'interprete più acuto e da cui il partito tory trasse la forza e l'autorevolezza per governare il paese in una delle fasi più critiche della sua storia, segnata dalla duplice sfida costituita dal confronto con la Francia e dalle trasformazioni indotte dalla rivoluzione industriale.

L'epoca del predominio tory, che coprì all'incirca il trentennio a cavallo tra Sette e Ottocento, significò dal punto di vista costituzionale e amministrativo l'arroccamento intorno al sistema politico nato con la rivoluzione del 1688 dal compromesso tra le due anime dell'aristocrazia britannica. La paura della rivoluzione e lo spettro del giacobinismo bloccarono a lungo ogni tentativo di riformare un sistema di rappresentanza parlamentare ormai inadeguato a garantire i nuovi interessi creati dallo sviluppo economico e dalla rivoluzione industriale. La Camera dei Comuni era ancora costituita in base alle vecchie circoscrizioni delle contee e dei borghi, rimaste immutate attraverso i secoli, cosicché si arrivava all'assurdo che alcuni collegi elettorali esistevano soltanto sulla carta, mentre centri industriali di recente sviluppo, come Liverpool, Birmingham e Manchester, non avevano rappresentanti in Parlamento. Tale regime elettorale assicurava il predominio dei proprietari terrieri di fronte ai nuovi ceti borghesi industriali e commerciali. All'indomani della fine delle guerre contro la Francia la domanda per la riforma del sistema rappresentativo riprese con forza nel paese. Pressati a sinistra dai gruppi radicali, espressione delle classi medie e dei ceti popolari, i whigs seppero farsi interpreti delle richieste di riforma e, anche al fine di evitare il precipitare degli eventi in una crisi rivoluzionaria, si fecero promotori nel 1832 di una legge che aumentava l'elettorato di circa il 50% (da 430.000 elettori a poco più di 650.000). La riforma ammetteva al voto i capifamiglia del ceto medio urbano e ridistribuiva i seggi in Parlamento dando maggior peso ai centri industriali e commerciali: non si trattava di una riforma democratica, ma apriva una nuova era, destinata, fra l'altro, a sconvolgere il tradizionale equilibrio fra i partiti.

Conservatori e liberali

Nell'elezione successiva al passaggio della riforma elettorale del 1832, i tories subirono perdite considerevoli, lasciando il governo ai whigs che vararono altre misure di riforma. Nel 1832 per definire i tories che si erano opposti alla riforma elettorale cominciò a essere usata la denominazione di Partito conservatore, anche se il vecchio nome non fu mai del tutto abbandonato. Il leader del gruppo, sir Robert Peel, comprese che per affrontare il nuovo elettorato creato dalla riforma era necessario in primo luogo riorganizzare il partito, nel paese prima ancora che nel Parlamento. Costituì delle 'associazioni di conservatori' e varò un programma che prendeva atto della nuova realtà e dell'importanza ormai raggiunta dal commercio e dall'industria accanto al tradizionale interesse terriero, ma nello stesso tempo faceva appello a quanti si mostravano allarmati per la crescente pressione riformatrice proveniente dal basso e non ritenevano i whigs sufficientemente fermi nella loro azione di governo. Nel 1841 il Partito conservatore vinse le elezioni. Peel rimase al governo fino al 1846, quando una parte consistente del suo partito votò contro la legge da lui proposta, e appoggiata da un vasto schieramento di opinione nel paese, per l'abolizione dei dazi sul grano. Mentre Peel insieme con il gruppo dei suoi collaboratori di governo si allontanava dal partito, toccò a quanti erano rimasti fedeli alla vecchia politica protezionista il compito di riordinare le file dei conservatori, ormai passati all'opposizione.

Tra coloro che si erano contrapposti a Peel era emersa la figura di Benjamin Disraeli, già ispiratore del gruppo della 'Giovane Inghilterra' caratterizzato da una spiccata tendenza antiliberista e da una nostalgica idealizzazione del modello sociale della vecchia Inghilterra rurale. Divenuto nel 1848 leader dei conservatori ai Comuni, riorganizzò il partito su nuove basi, tanto da poter esserne identificato come il vero padre fondatore. Abbandonata la causa ormai senza speranza del protezionismo, il Partito conservatore cessò di presentarsi come il difensore esclusivo dell'aristocrazia per assumere il carattere e la funzione di un partito nazionale in grado di abbracciare tutte le classi e di fare appello agli interessi e alle aspirazioni comuni di tutti i cittadini britannici. Gli obiettivi che si proponeva il partito furono indicati da Disraeli nell'appoggio alle istituzioni nazionali, nel mantenimento e nell'espansione dell'impero coloniale e nell'elevazione delle condizioni delle classi disagiate, in nome di quella concezione di paternalismo sociale che venne definita 'democrazia tory'. Fu proprio l'appoggio offerto a una nuova legge elettorale, che raddoppiava il numero degli elettori includendovi gli operai delle città, a conferire al Partito conservatore la sua consacrazione nazionale e a dare per la prima volta a Disraeli, nel 1868, la carica di primo ministro, che avrebbe ricoperto di nuovo negli anni 1874-80. Nel frattempo per rafforzare l'organizzazione interna dei conservatori Disraeli promuoveva la creazione di una Unione nazionale con il compito di collegare le associazioni locali e di un Ufficio centrale per gestire le elezioni, organismi che tuttora fanno parte della macchina del partito.

Dall'altra parte dello schieramento politico britannico le novità non furono meno significative. Tornati al potere nel 1846, nei circa venti anni che, con qualche interruzione, restarono al governo i whigs cessarono di essere un partito vero e proprio per diventare l'élite dirigente di un più vasto schieramento formatosi all'indomani della vittoria antiprotezionista. Il 6 giugno 1859 in una riunione a Londra i whigs, i seguaci di Peel staccatisi dal Partito conservatore e i radicali diedero vita al nuovo Partito liberale. Figura dominante della nuova formazione fu William Gladstone. Nei 12 anni tra il 1868 e il 1894 in cui fu a capo del governo, alternandosi con Disraeli, Gladstone s'impegnò a riformare in senso democratico l'istruzione pubblica e l'amministrazione civile, per le cui cariche fu adottato il sistema dei concorsi pubblici aperti a uomini di ogni ceto sociale, promosse la legalizzazione dei sindacati (trade unions) e si batté per l'autonomia dell'Irlanda. Contro quest'ultima misura si consumò una scissione nel partito che portò il governo alle dimissioni nel 1886; l'uscita di scena definitiva di Gladstone avvenne nel 1894 quando un nuovo tentativo in quella direzione fu respinto dalla Camera dei Lord. L'ultimo periodo in cui i liberali furono al governo da soli è quello compreso tra il 1906 e il 1915, quando, sotto la guida di Herbert Asquith e David Lloyd George, furono gettate le basi del moderno welfare state. Piegando l'opposizione dei Lord tramite una legge che ne limitava il diritto di veto, Lloyd George ottenne l'approvazione di un grandioso progetto sulle assicurazioni sociali e sui sussidi di disoccupazione.

I primi anni del Partito laburista

Nel febbraio 1900 un congresso promosso e diretto dalle trade unions riuniva i rappresentanti della Social democratic federation, della Fabian Society e dell'Independent labour party, fondato da James Keir Hardie nel 1893, dando vita al Labour representation committee, al fine dichiarato di promuovere la formazione di una distinta rappresentanza socialista nel Parlamento e, attraverso questa, di un'efficace azione legislativa a tutela del lavoro. Sotto gli auspici del Comitato, nelle elezioni politiche del 1906 le trade unions e gli altri gruppi associati ottenevano 29 seggi; lo stesso anno le varie organizzazioni sindacali e politiche che si richiamavano al socialismo si federarono col nome di Labour Party, pur mantenendo ognuna la propria autonomia. Negli anni che precedettero la Prima guerra mondiale il Partito laburista, sotto la guida di James Ramsay MacDonald, rimase nella scia del Partito liberale e durante la guerra partecipò a governi di coalizione nazionale. Nel novembre 1918 il partito si ritirò dal gabinetto. Ma da quel momento il suffragio universale e la spinta socialista provocata dalla crisi postbellica aumentarono il peso dei laburisti nella vita politica britannica, finché il successo rilevante ottenuto nelle elezioni generali del 1922 (un terzo dei seggi alle due Camere) assicurò al partito la funzione di opposizione ufficiale al governo nelle assise parlamentari.

Il Partito laburista fu per la prima volta al potere nel 1924, con un governo di minoranza guidato da MacDonald che durò solo pochi mesi. Vi ritornò nel 1929 sempre con MacDonald e con l'appoggio dei liberali. Il secondo governo laburista restò in carica fino al 1931, quando divergenze sulla politica economica indussero MacDonald a dimettersi e a formare un nuovo governo di coalizione. Alla guida del governo nazionale, varato per far fronte alla 'grande depressione', subentrò nel 1935 il leader conservatore Stanley Baldwin. Durante questa fase il laburismo non rivelò tendenze radicali e la vita politica inglese restò saldamente contenuta negli argini del tradizionale parlamentarismo, così che anche il passaggio dal governo nazionale al nuovo governo conservatore di Neville Chamberlain avvenne senza scosse. Alla vigilia del Secondo conflitto mondiale il programma laburista si basava su un'organica ed efficiente assistenza sociale, sulla nazionalizzazione delle industrie-chiave, sulla limitazione del latifondo e, in politica estera, sul rafforzamento della sicurezza collettiva. I laburisti restarono fuori del gabinetto fino al 1940, quando il congresso di Burnemouth accettò che il partito partecipasse con la presenza del suo leader Clement Richard Attlee al nuovo governo nazionale guidato da Winston Churchill, che avviò la cosiddetta rivoluzione silenziosa, la riorganizzazione economica e finanziaria del paese resa necessaria per far fronte alla mobilitazione generale. Così nacque nel 1942 quel progetto di garanzie assicurative e di assistenza sociale 'dalla culla alla tomba' che prese il nome dal suo ideatore, l'economista e deputato liberale William Beveridge. Il piano Beveridge entrò in vigore nel 1948 quando i laburisti si ritrovarono, per la prima volta da soli, al governo.

Laburisti e conservatori dopo la Seconda guerra mondiale

La coalizione di guerra guidata da Churchill era stata dominata dai conservatori ma, nonostante il paese avesse vinto il conflitto, questi uscirono nettamente sconfitti dalle elezioni generali del 1945, che erano state richieste dal congresso laburista di Blackpool. Il governo di Attlee (1945-51) gestì la prima fase del dopoguerra in bilico tra un programma di nazionalizzazione delle industrie di grande rilevanza economica (carbone, acciaio, trasporti, Banca d'Inghilterra, aviazione civile, gas) nonché di promozione del welfare state (servizi pubblici, scuola e, soprattutto, sistema sanitario) e le ristrettezze del bilancio imposte dalla difficile ripresa postbellica. Nelle elezioni del febbraio 1950 la maggioranza parlamentare assoluta dei laburisti si ridusse a pochi seggi. Vivacemente contestato dall'opposizione guidata da Churchill, il quale rimproverava ai laburisti gli insuccessi economici e le nazionalizzazioni, il governo Attlee fu rovesciato nelle elezioni anticipate del 1951, che inaugurarono una lunga serie di ministeri conservatori, con Churchill (1951-55), Anthony Eden (1955-57), Harold Macmillan (1957-63) e Alec Douglas-Home (1963-64). I conservatori avevano avuto la meglio in quanto erano riusciti a presentarsi con un programma di politica economica più dinamico rispetto a quello laburista ancorato a vecchi obiettivi delle nazionalizzazioni, in parte già raggiunte nel 1951, rispetto alle quali tuttavia Churchill mostrò cautela, limitandosi a privatizzare di nuovo solo l'industria dell'acciaio e i trasporti su strada. Le sconfitte elettorali determinarono una lunga crisi interna al laburismo, dalla quale il partito uscì per opera del suo leader Hugh Gaitskell, che riuscì a far concordare i gruppi dissidenti sulla rinuncia alle nazionalizzazioni, salvo quella dell'industria siderurgica. A partire dal 1964 conservatori e laburisti si alternarono al potere. La scena politica fu dominata prevalentemente dallo scontro tra gestione privatistica dell'economia e difesa dello stato sociale, punti di riferimento principali di due schieramenti conflittuali in politica interna ma largamente convergenti in quella estera.

Riorganizzati dopo la morte improvvisa di Gaitskell intorno al nuovo segretario Harold Wilson, i laburisti, presentatisi alle elezioni del 1964 insistendo sul bisogno di cambiamento, vinsero di stretta misura. Confermata la maggioranza laburista nelle elezioni del 1966, questa volta con più ampio margine, il governo Wilson poté attuare nel periodo 1966-70 una severa politica di bilancio e dei redditi, con un atteggiamento fermo verso i sindacati e una concezione 'selettiva', più che universale, del welfare state. Nel 1970 fu lo stesso Wilson a chiedere una conferma elettorale del suo operato, ma dalle urne uscì una maggioranza conservatrice e alla carica di primo ministro fu chiamato Edward Heath (1970-74). Il governo conservatore dovette fronteggiare una fase di aspro scontro sociale e la più estesa disoccupazione del dopoguerra, affrontata con misure d'emergenza quali la settimana lavorativa di tre giorni in alcuni settori produttivi. I risultati non parvero risolutivi e se anche Heath riuscì, come aveva promesso in campagna elettorale, a portare la Gran Bretagna nella CEE (gennaio 1973), le elezioni del 1974 riconsegnarono il governo ai laburisti pur con esile maggioranza. Le misure del nuovo governo Wilson (1974-76) furono soprattutto riduzioni di spese, sia militari sia civili, e un blocco dei salari per sei mesi concordato con i sindacati. Il referendum del giugno 1975 confermava con la maggioranza di due terzi l'adesione britannica alla CEE e in forza di quel risultato Wilson poteva mettere fine alla spaccatura che da tempo divideva il partito sulla questione europea. Le misure di politica economica adottate dal leader laburista non riuscirono a frenare il processo di recessione in atto con il deprezzamento della sterlina, l'aumento dell'inflazione e della disoccupazione. Wilson si dimise da primo ministro e gli succedette James Callaghan (1976-79), che dovette allargare ai liberali una maggioranza ormai limitatissima. Le elezioni politiche del maggio 1979 segnarono un successo per i conservatori e il loro leader, Margaret Thatcher, assunse la carica di primo ministro che avrebbe mantenuto ininterrottamente fino al 1990.

Dagli anni della signora Thatcher all'ascesa di Blair

La signora Thatcher aveva conquistato la leadership del partito al congresso del 1975 su una linea fortemente innovativa rispetto al tradizionale moderatismo conservatore. Nella sua esperienza di ministro nel governo Heath aveva maturato la convinzione della necessità di una svolta politica economica che puntasse a una drastica riduzione del ruolo assistenziale dello Stato, a una privatizzazione delle aziende pubbliche nei settori industriale e dei servizi, a una riduzione del carico fiscale e a una nuova normativa per le attività sindacali al fine di favorire una ripresa dell'iniziativa privata. Il rigido monetarismo e l'impronta decisamente neoliberista del programma elettorale si tradussero in un'azione di governo che da subito impose forti tagli alla spesa pubblica, ridusse le aliquote fiscali, incrementò le imposte indirette, abolì ogni controllo valutario, aumentò il costo del denaro. Nonostante i successi ottenuti, ci furono contraccolpi, tra cui la grave crescita della disoccupazione, che provocarono forti tensioni sociali. Tra gli stessi conservatori emergevano critiche e preoccupazioni nei confronti di una politica per molti versi estranea alla loro stessa tradizione. La spinta a favore dell'iniziativa privata e dell'innovazione sembrava prescindere da costi e sacrifici, l'appoggio e il richiamo alla nuova classe media emergente si ponevano in contrasto con le gerarchie tradizionali, le quali vedevano anche minacciati gli antichi valori dell'Impero, della Chiesa e della Corona, quasi relegati al fondo di una scala di priorità d'impronta profondamente individualistica. Ma la risposta immediata e vittoriosa all'attacco argentino alle isole Falkland (aprile 1982) rappresentò per Margaret Thatcher l'opportunità di riconquistare l'appoggio di gran parte dell'opinione pubblica, facendo appello alle propensioni nazionalistiche della maggioranza della popolazione.

Nominata di nuovo primo ministro nel giugno 1983, dopo la vittoria dei conservatori alle elezioni con il 42,7% dei voti, la signora Thatcher avviò un nuovo programma, cui diede il nome di 'capitalismo popolare', che portò a triplicare, tra il 1979 e il 1987, il numero dei proprietari di azioni e ad aumentare i proprietari di case, attraverso la vendita agevolata di una significativa parte del patrimonio immobiliare municipale a coloro che vi vivevano in affitto. A questi successi in campo economico il primo ministro accompagnò una durissima azione politica contro i sindacati: oltre a promuovere nuove leggi che imponevano ai dirigenti delle unions di ricorrere al voto degli iscritti prima di decidere iniziative di lotta e che proibivano scioperi di solidarietà, nel marzo 1984 ingaggiò uno scontro durissimo con il sindacato dei minatori che uscì drammaticamente sconfitto dopo un anno di sciopero.

Le elezioni anticipate del 1987, svoltesi in un clima di forte contrapposizione con i laburisti guidati da Neil Kinnock, videro ancora una volta la vittoria del Partito conservatore. Ma le misure annunciate per il terzo mandato Thatcher (che prevedevano forme di privatizzazione nei settori della sanità, dell'istruzione, delle aziende elettriche, idriche e dei servizi professionali), nonché alcuni interventi censori sulla stampa e sui mezzi di comunicazione incontrarono una crescente opposizione nel paese. Inoltre, mentre gli indicatori economici segnalavano un'inversione di tendenza, un'altra crisi si apriva, all'interno dello stesso Partito conservatore, sulla questione dell'adesione al Sistema monetario europeo, avversata dal premier contro la posizione di una parte del partito e dello stesso governo. Le reali avvisaglie di una recessione economica in corso nella seconda metà del 1990, il rovesciamento del rapporto di forza tra conservatori e laburisti nelle elezioni europee del giugno 1989 e l'opposizione nel paese all'adozione di una nuova tassa comunale sulla persona (poll tax) portarono, il 22 novembre 1990, alle dimissioni della signora Thatcher da primo ministro e alla sua sostituzione con John Major.

In casa laburista, in seguito alla vittoria elettorale dei conservatori nelle elezioni del 1979, Callaghan perdeva la leadership a vantaggio di Michael Foot, esponente della sinistra, mentre da una scissione a destra nasceva il Social democratic party (1981) che aveva in Roy Jenkins uno dei principali promotori. Nella seconda metà degli anni Ottanta, in equilibrio tra la vocazione governativa e quella di tradizionale sostegno alle lotte sociali, indebolito dalla pesante sconfitta subita dai sindacati al termine del lungo e travagliato sciopero dei minatori, il partito guidato da Kinnock non riuscì a esercitare un'opposizione efficace ai governi conservatori, né a riconquistare la maggioranza: nelle elezioni del giugno 1987, pur registrando un aumento rispetto alle precedenti, otteneva solo il 30,8% dei voti contro il 41,3% dei conservatori. Nel 1992, nonostante la revisione del programma sulla linea dell'abbandono del disarmo unilaterale e della pregiudiziale antieuropeista, e nonostante la sostanziale debolezza del governo guidato da Major - costretto a mediare nel suo partito tra coloro che sostenevano la necessità di non abbandonare i fondamenti dell'individualismo thatcheriano e quanti erano più favorevoli a una correzione della linea neoliberista dell'ex premier, soprattutto in materia di politica fiscale e sociale - i laburisti vennero ancora una volta sconfitti (34,4% dei voti contro il 41,9% dei conservatori). Nello stesso anno Kinnock si dimise per essere sostituito da John Smith. Alla morte improvvisa di questi (1994) Tony Blair assunse la guida del partito. L'esigenza diffusa di un cambiamento politico dopo diciotto anni di egemonia conservatrice favorì la sua netta vittoria elettorale del maggio 1997 (ai laburisti il 44,4% dei voti contro il 36,5% dei conservatori).

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