GRANO

Enciclopedia Italiana - I Appendice (1938)

GRANO (XVII, p. 726)

Francesco Todaro

La battaglia del grano. - Si andava accentuando in Italia, in questi ultimi decennî, un preoccupante squilibrio fra il consumo e la produzione nazionale del grano, così che l'importazione recava annualmente allo straniero un nostro contributo di miliardi di lire.

Lo squilibrio traeva origine in parte dall'aumentata popolazione e, forse più, dal continuo elevarsi del tenore di vita del proletario urbano, principalmente, e rurale. E la preoccupazione assunse carattere di estrema gravità nel corso della guerra mondiale, aspramente combattuta contro di noi anche con il siluramento del naviglio da cui, combattenti e non combattenti, dovevano attendere il pane quotidiano.

Fin dalla preistoria il grano ha parte importante nella nostra agricoltura, come si conviene a quella derrata alimentare che, nella sua completezza, anche da sola può sufficientemente nutrire l'uomo.

L'agricoltore che non conobbe le ansie del mercato fu sempre pago del prodotto che in qualsiasi misura il suolo più o meno sfruttato e la stagione gli consentivano di realizzare nella singola annata. Successivamente egli fu messo dalla civiltà - tanto più quanto più avanzata - nelle stesse dure condizioni dell'imprenditore industriale che deve competere e lottare con produttori - di paesi anche molto lontani - più valenti o più fortunati. Ed eccoci sul mercato mondiale dei nostri giorni che nella libera sconfinata concorrenza travolge i meno forti; eccoci alle recenti crisi della produzione granaria di tutte le terre a vecchia agricoltura dell'Europa sud-occidentale, sotto l'ondata formidabile dei grani prodotti a vilissimo prezzo di costo particolarmente nelle terre vergini dell'America Settentrionale e Meridionale.

Dopo aver contribuito, con la tassa sul macinato, alla riduzione del consumo del grano - più fortemente colpito - i governi dell'anteguerra applicarono un dazio doganale d'importazione che, oltre a procurare una necessaria entrata al bilancio dello stato, ne difendeva e sosteneva il prezzo. Se pure a stento, tale difesa sottraeva il produttore nazionale di grano a quella rinuncia alla coltura che qualche nostro economista non aveva esitato a prospettare. La caduta quasi automatica della protezione doganale nel difficile approvvigionamento degli anni della guerra e dell'immediato dopoguerra contribuiva a creare alla nostra granicoltura condizioni durissime. A gran pena si reggeva la nostra produzione granaria anche nel più libero respiro assicurato dal Fascismo, rimanendo comunque lungi dalla possibilità di offrire a un popolo che è tra i più forti mangiatori di pane questo fondamentale alimento, alla cui produzione in casa sono strettamente legate l'indipendenza nazionale in pace e la vittoria in guerra.

Di questo problema vitalissimo si andavano da qualche tempo interessando nella loro associazione i tecnici agricoli, particolarmente gli esponenti di quella minoranza che sosteneva la necessità politica, prima ancora che economica, di chiedere al suolo italiano tutto il nostro pane. E una loro commissione di cinque membri poté mettere il problema in piena luce davanti al capo del governo, il quale, convinto dell'urgenza di un provvedimento, con immediata determinazione, il giorno 11 giugno 1925 proclamava la "Battaglia del grano". Con tutta la forza dell'immenso suo prestigio Benito Mussolini ne assunse il comando effettivo e diretto, come presidente di quello "stato maggiore" che entrò immediatamente in funzione per lo sviluppo del piano, di cui qui si richiamano le linee fondamentali:

È da evitare ogni aumento della superficie coltivata a grano. Si deve aumentare invece il rendimento medio di grano per ettaro. Sono quindi da affrontare: il problema selettivo dei semi; il problema dei concimi e dei perfezionamenti tecnici; il problema dei prezzi.

L'immediato ripristino in conveniente misura del dazio d'importazione, recava un primo non piccolo contributo alla risoluzione del fondamentale problema dei prezzi. Un contributo veramente risolutivo vi ha aggiunto nel 1936 l'ammasso obbligatorio e totalitario del grano, che sottrae il produttore all'artiglio della speculazione e dell'usura e, governando il mercato in pieno clima corporativo fascista, dà la sicurezza dello smercio e della realizzazione del giusto prezzo. Senz'alcun indugio veniva anche affrontata la risoluzione degli altri problemi che non si poteva naturalmente ottenere in breve tempo e senza adeguati mezzi finanziarî. Mancando la possibilità di precisare le tante e svariate assegnazioni, spesso anche cospicue, di enti locali e di singoli agricoltori per le azioni di battaglia nelle rispettive zone, dobbiamo limitarci a ricordare che i fondi annualmente erogati dallo stato ascesero in media a poco meno di nove milioni e mezzo di lire nei primi 8 anni della battaglia, oscillando fra un minimo di 6.754.263 e un massimo di 14.630.000, e si aggirano intorno agli otto milioni annui a partire dal 1932-33

Era già ben avviata all'inizio della "battaglia" l'opera - di singoli agricoltori e più ancora dei nostri istituti genetici - rivolta alla produzione di buone sementi di grano. Un primo miglioramento era emerso dall'uso sempre più largo di vagli cernitori meccanici, che assicurano fondamentalmente i benefici della selezione in massa, e un progresso di portata ben più rilevante si andava realizzando con la dimesione delle razze elette, frutto del lavoro dei predetti istituti la cui fondazione risaliva al principio del secolo. A una più vasta fondazione di buone razze la "battaglia" diede e continua a dare opera alacre e quanto mai fattiva. Fortemente stimolata dai più larghi mezzi a disposizione, l'attività degl'istituti di miglioramento genetico delle piante agrarie offre ai granicoltori, a mano a mano che la battaglia si sviluppa, razze sempre più rispondenti all'incessante progredire della coltura, contribuendo anche quanto più largamente possibile alla determinazione - d'importanza pratica fondamentalissima, particolarmente nella nostra campagna ad ambienti vegetativi tanto svariati - dei settori territoriali in cui ogni singola razza può esplicare la massima sua produttività.

Soddisfatta la condizione della piena reciproca rispondenza tra ambiente vegetativo e razza, è evidente che quest'ultima, con le sue attitudini superiori a quelle delle comuni più o meno caotiche varietà, potrà essere il primo determinante, e anche l'unico, dell'incremento produttivo della coltura. Ma il più spesso, con le maggiori sue esigenze, la razza eletta determina un perfezionamento colturale ben più cospicuo, mobilitando per così dire tutti gli altri fattori - lavorazione del suolo, concimazione, ecc. - delle produzioni di punta. Le quali stimolano potentemente al progresso, nella gara che suscitano fra le masse agricole vicine e lontane, che vedono o sentono dire e magnificare.

Larghe indagini sperimentali di campagna e di laboratorio il Comitato permanente del grano ha disposto e va disponendo per la risoluzione dei problemi attinenti alla tecnica colturale del frumento e particolarmente alla concimazione che, insieme e accanto alle razze migliorate, ha portato il massimo contributo all'incremento della nostra produzione granaria.

Relativamente alla concimazione del grano, come vera e non piccola conquista della "battaglia" e a grande merito della tecnica agraria italiana, può essere qui registrata l'ardita innovazione dell'impiego di fertilizzanti azotati salini in dosi unitarie elevatissime: molto superiori a quelle reputate non superabili anche nei paesi in cui le più elevate e più costanti scorte idriche del suolo sembravano consentire le massime somministrazioni. E più ancora lo spostamento in deciso anticipo - nella prima fase dello sviluppo del grano - dell'impiego stesso. In questo nuovo quadro della nostra tecnica l'azoto salino è divenuto il regolatore delle più alte produzioni unitarie, se debitamente associato all'impiego in adeguate dosi di fertilizzanti fosfatici e, ove occorra, anche potassici.

In rapporto all'abbassamento dei costi di produzione è da ricordare il continuo estendersi - durante la battaglia - dei migliorati processi di semina che, oltre a contribuire per sé stessi all'incremento del prodotto della coltura, rendono possibile una migliore e meno dispendiosa esecuzione delle "cure consecutive", con la sostituzione di strumenti meccanici agli arnesi manuali. Pur essendo bene avviato, il miglioramento della tecnica granaria in questo settore ha tuttora larghi margini di possibile conquista.

A dimostrazione delle positive realizzazioni sin qui fatte, richiameremo succintamente le statistiche della produzione - rigorosamente controllata alla trebbiatura - che mettono in luce le successive quasi ininterrotte "avanzate" in questa prima fase di fervida attività, paragonabile a una vera azione bellica. Dati molto significanti possono emergere dalla comparazione fra le produzioni del sessennio precedente la battaglia (1920-25) e quelle del 1° dodicennio (1926 a 1937) di combattimento.

In tutti questi dodici anni, senza eccezione, il prodotto totale in grano (milioni di quintali 55, 53,3, 62,2, 70,8, 57,2, 66,5, 75,4, 81,3, 63,4, 76,9, 61,1, 80,1,) supera la media (milioni 50,87) del sessennio precedente: da un minimo di quasi 2 milioni e mezzo (2.430.000) a un massimo di oltre 30 milioni di quintali (30.430.000). E di 4 milioni circa (3.930.000) la produzione media dello stesso dodicennio (milioni 66,93) supera anche la massima (milioni 63) del sessennio 1920-25. Ma, per una più fondata previsione delle future possibilità, sembra opportuno astrarre dalle produzioni di carattere eccezionale, come quella del 1920 che, riflettendo le miserie sociali dell'annata rossa, non raggiunge neppure i 39 milioni (38,7) di quintali; dalla produzione degli anni 1930 e 1936, a decorso stagionale - di meno frequente ricorrenza - estremamente avverso, e da quella infine dei primi due anni (1926 e 1927) della battaglia: anni introduttivi, di necessaria preparazione alla medesima. Fatte queste ragionevoli eliminazioni, risulta che la "battaglia del grano" ha determinato:

un incremento medio di quasi 19 milioni di quintali (18,77) nella produzione totale (72,07-53,30), con un minimo di milioni 8,9 e un massimo di 28 milioni;

un incremento medio nella produzione unitaria, per ettaro, di quintali 3,13 (minimo 1,14, massimo 4,64), mentre l'aumento medio della superficie coltivata a grano (da milioni di ettari 4,67 in media a milioni 4,96) non ha raggiunto i 300 mila ettari (290.000) portandosi principalmente su terre nuove conquistate dalla bonifica idraulica.

È quasi superfluo qui constatare che le sanzioni ginevrine del 1935 hanno indotto a intensificare la battaglia del grano, nel più virile affermarsi del proposito di assicurare al Paese quella piena autarchia su cui la battaglia stessa puntava limitatamente al più tipico alimento del popolo italiano.

Può a questo punto fondatamente parlarsi di una conseguita "vittoria", ma nessuno pensa che a questa debba seguire la smobilitazione che succede alla vittoria nelle vere guerre cruente. Ciò perché non può ritenersi ancora realizzata la continua copertura - di tutti gli anni - del nostro fabbisogno. È necessario pertanto, oltre che tenere saldamente le posizioni conquistate, altre espugnarne attraverso il perfezionamento dell'assetto aziendale e col miglioramento, già da qualche anno in corso, di tutte le colture che precedono immediatamente il grano nella rotazione agraria. Sono le nostre più importanti sarchiate e leguminose prative: colture chiamate anche a risolvere per sé stesse problemi vitalissimi della nostra economia agricola - che non è tutta e soltanto nel grano - e dell'economia nazionale, come quelli attinenti alla produzione di altre derrate alimentari e di materie prime industriali, al più largo possibile incremento della materia greggia che attraverso la complessa industria zootecnica fornisce al Paese svariati prodotti di prima necessità.

Ben chiaro emerge che, puntando sul grano, massimo esponente della nostra agricoltura, il Fascismo ha voluto porre quest'ultima - con un diretto intervento statale - alla base e al centro dell'attività economica del paese; e aprire la via a quella bonifica integrale (v. bonifica, VII, p. 413 segg.) che resterà nella storia tra i maggiori vanti del regime fascista.

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