GRAVITA QUANTISTICA

XXI Secolo (2010)

Gravità quantistica

Carlo Rovelli

Qualunque teoria che descriva le proprietà quantistiche, cioè gli aspetti microscopici, granulari e probabilistici, del campo gravitazionale si può definire, in senso stretto, teoria quantistica della gravità o gravità quantistica. Oggi, tuttavia, non esiste una teoria della gravità quantistica la cui validità fisica sia stata accertata. Esistono diverse linee di studio che hanno portato ad alcune teorie ipotetiche, sulle quali è concentrato l’interesse della ricerca. Fra queste, le più studiate sono la teoria delle stringhe e la teoria dei loop.

La ristretta definizione sopra esposta non coglie la portata del problema della gravità quantistica. Per illustrare il senso di questo problema, è necessario inquadrarlo nel contesto dell’evoluzione recente della fisica fondamentale. La conoscenza scientifica del mondo fisico ha registrato nel 20° sec. una rapida crescita, alla cui radice si situano due grandi rivoluzioni concettuali che hanno rifondato la fisica teorica durante i primi anni del Novecento, modificando in profondità la nostra comprensione del mondo: la meccanica quantistica e la teoria della relatività generale di Albert Einstein. La prima ha sostituito la meccanica classica e ha modificato in maniera radicale la nostra comprensione della materia e dell’energia. La seconda ha sostituito la teoria della gravità di Isaac Newton e ha modificato in maniera altrettanto radicale la nostra comprensione della natura dello spazio e del tempo. Queste due teorie sono oggi ampiamente confermate dall’esperienza. La prima è alla base di un accrescimento della conoscenza che comprende la fisica atomica, nucleare, delle particelle, dello stato solido e la biologia molecolare; la seconda è il fondamento di tutti gli studi che involvono fenomeni gravitazionali – dall’astrofisica relativistica, alla cosmologia, alla ricerca delle onde gravitazionali – ed è quindi alla base dei grandi e recenti progressi nella nostra conoscenza del Cosmo. L’importante progresso teorico ha portato a sua volta ai notevoli sviluppi tecnologici del 20° sec., come i semiconduttori, i computer, il laser, il sistema di posizionamento satellitare GPS (Global Positioning System) e tanti altri. Questa rapida crescita del sapere, d’altra parte, ha fatto cadere il quadro concettuale della vecchia fisica newtoniana, senza però sostituirlo con uno nuovo coerente. Meccanica quantistica e relatività generale sono teorie incomplete e a prima vista incompatibili: ciascuna delle due è usualmente formulata sulla base di assunzioni contraddette esplicitamente dall’altra. Quindi, se è innegabile la crescita della conoscenza verificatasi durante il 20° sec., ciò ha anche lasciato in eredità una grande confusione concettuale sulla natura del mondo fisico, e un ancora più grande problema scientifico da risolvere: la ricerca di una sintesi capace di offrire una visione coerente del mondo, compatibile con il sapere raggiunto, all’interno della quale la meccanica quantistica e la relatività generale possano essere comprese in modo non contraddittorio.

In altre parole, la rivoluzione scientifica iniziata nel 20° sec. non è ancora conclusa: attende una sintesi in grado di portarla a compimento e di porsi come nuovo quadro generale per pensare il mondo fisico. L’ipotetica teoria capace di combinare i passi avanti concettuali rappresentati da meccanica quantistica e relatività generale e, in particolare, di descrivere gli aspetti quantistici dei fenomeni gravitazionali è la gravità quantistica. La ricerca teorica del 21° sec. in fisica fondamentale affronta dunque un’importante sfida, che assorbe una parte considerevole della riflessione attuale: la formulazione di tale teoria.

La mancanza di una teoria di questo tipo era evidente fin dagli anni Trenta del 20° secolo. Einstein stesso, introducendo la relatività generale, ne aveva subito rilevato l’incompletezza e aveva sottolineato la necessità di combinarla con la meccanica quantistica. Nel corso del secolo soltanto un piccolo numero di scienziati si è occupato direttamente del problema; la maggior parte della ricerca era concentrata sull’esplorazione dei nuovi territori aperti dalle due teorie e dalle loro innumerevoli applicazioni. Verso la fine del secolo, rallentato questo slancio applicativo, la riflessione teorica è tornata alle questioni fondamentali e l’interesse per la gravità quantistica ha continuato a crescere. All’inizio del 21° sec., tale problema è riconosciuto da molti come il più importante ancora aperto in fisica fondamentale, e descritto talvolta come la ‘ricerca del Santo Graal della fisica moderna’.

I fenomeni fisici la cui comprensione necessita di una teoria della gravità quantistica sono contraddistinti da energie molto alte, ovvero scale di lunghezze molto piccole. La loro dimensione caratteristica è la lunghezza di Planck lP = √−−−−−ℏG/c3 ∼1033 cm, determinata dalla combinazione delle tre costanti fondamentali che governano rispettivamente i fenomeni gravitazionali (la costante di gravitazione universale di Newton G), i fenomeni relativistici (la velocità della luce c) e i fenomeni quantistici (la costante di Planck ℏ). Per avere un’idea dell’estrema piccolezza di queste scale di lunghezze, si tenga conto che se s’ingrandisse un solo atomo fino a renderlo uguale all’intero Sistema solare e proporzionalmente s’ingrandisse la lunghezza di Planck, questa resterebbe comunque ancora 10.000 volte più piccola dell’atomo di partenza. Fenomeni a tali scale non sono ancora accessibili alla nostra tecnologia e si realizzano solo in condizioni estreme. Esempi di situazioni fisiche in cui la gravità quantistica gioca un ruolo importante sono la struttura stessa dello spazio fisico a piccolissima scala, le fasi finali dell’evaporazione di un buco nero, o le fasi iniziali della dinamica dell’Universo vicino al Big Bang. Una teoria della gravità quantistica dovrebbe aprire la porta allo studio di tali fenomeni.

Non essendoci dati sperimentali diretti che ne guidino la costruzione, la teoria della gravità quantistica viene oggi cercata sulla base dell’input empirico rappresentato dalle teorie della relatività generale e della meccanica quantistica, e dal loro successo sperimentale. Tale situazione, con due teorie di grande successo empirico ma in apparente contraddizione fra loro, non è inusuale nella storia della fisica, anzi, ha caratterizzato momenti particolarmente fertili nella crescita del sapere: lo sforzo di combinare teorie in apparente contraddizione ha condotto a molti dei maggiori sviluppi scientifici. Per es., Galileo Galilei e Johannes Kepler avevano trovato leggi matematiche diverse per il moto degli oggetti sulla Terra (parabole) e nel cielo (ellissi): su questa base, Newton ha portato a compimento la rivoluzione scientifica del 17° sec. mostrando che tali moti diversi non sono che manifestazioni di un unico insieme di leggi generali. Similmente, il fisico inglese James C. Maxwell ha trovato le equazioni fondamentali dell’elettromagnetismo nello sforzo di combinare in una struttura matematica coerente quanto era stato compreso sull’elettricità e sul magnetismo. E ancora, Einstein ha introdotto la teoria della relatività come soluzione di un’apparente contraddizione fra meccanica e teoria elettromagnetica. Considerando questi esempi, i più importanti passi in avanti nella nostra comprensione del mondo non sono stati ottenuti come conseguenza diretta di nuovi dati sperimentali, bensì dal risultato di una riflessione teorica approfondita sulle contraddizioni apparenti fra teorie che avevano mostrato la loro efficacia empirica. La situazione attuale della fisica teorica potrebbe quindi rilevarsi particolarmente feconda: relatività generale e meccanica quantistica, teorie di straordinario successo empirico ma in apparente contraddizione, possono offrire la chiave per un importante passo in avanti nel nostro sapere sul mondo.

La garanzia dell’efficacia di una teoria scientifica, comunque, non può che venire in ultima analisi dalla verifica sperimentale diretta. Quindi una teoria della gravità quantistica diventerà credibile soltanto nel momento in cui avremo conferme sperimentali di sue previsioni specifiche. Al momento attuale, nessuna delle teorie studiate può vantare tali conferme, si rende quindi necessario considerarle tutte come ipotetiche. Tuttavia, nel corso dei primi anni del 21° sec. sono state avanzate diverse proposte per testarle empiricamente e da tali sperimentazioni si potrebbero ottenenere risultati rilevanti.

Spazio e tempo quantistici

La relatività generale di Einstein ha approfondito la nostra comprensione della natura dello spazio e del tempo, mostrando l’incompletezza della familiare concettualizzazione newtoniana. La necessità di combinare la relatività generale con la meccanica quantistica mette a sua volta in discussione la concezione einsteiniana e obbliga a un ulteriore approfondimento e a un cambiamento della nostra concezione dello spazio e del tempo. Non si tratta di contraddire le scoperte di Einstein, ma di proseguire sulla strada aperta da queste ultime. Anche se non vi è ancora consenso su una teoria compiuta di gravità quantistica, i tratti principali di tale cambiamento sono abbastanza delineati, perlomeno all’interno delle linee di ricerca più attente alla necessità di questa rifondazione concettuale.

Spazio

Nell’ambito della gravità quantistica, la nozione di spazio come contenitore entro il quale avvengono i fenomeni viene a cadere. Nella relatività generale lo spazio, o meglio lo spazio-tempo, acquista caratteristiche dinamiche; può cioè incurvarsi e cambiare forma come fosse un materiale elastico. La descrizione matematica di queste deformazioni dello spazio-tempo è stata data da Einstein usando la geometria riemanniana, ossia la matematica degli spazi curvi sviluppata dal tedesco Georg Friedrich Bernhard Riemann nel 19° secolo. In particolare, il contributo più importante alla comprensione dello spazio dato da Einstein con la relatività generale è la scoperta dell’identità fra lo spazio-tempo e il campo gravitazionale. Einstein, in altre parole, ha compreso che il campo gravitazionale e lo spazio-tempo sono la stessa entità fisica. La scoperta alla base della meccanica quantistica è che i campi fisici hanno una struttura granulare a piccola scala e una dinamica che non è deterministica, bensì probabilistica. Per es., il campo elettromagnetico si manifesta a piccola scala sotto forma di quanti, i fotoni, e la loro dinamica è determinata da funzioni d’onda di probabilità. La combinazione di questi risultati porta all’idea che lo spazio, essendo un campo fisico, abbia anch’esso una struttura granulare e una dinamica probabilistica. Lo spazio fisico descritto dalla gravità quantistica dovrebbe quindi risultare come uno spazio formato di quanti elementari di spazio, o ‘atomi di spazio’, la cui evoluzione è determinata da leggi di probabilità.

La scala alla quale questi aspetti granulari e probabilistici dello spazio dovrebbero manifestarsi è la scala di Planck, prima definita. Numerosi argomenti fisici suggeriscono che questa scala rappresenti un limite fisico reale alla divisibilità dello spazio: per es., la meccanica quantistica indica che nessun oggetto di massa m e velocità v può essere localizzato in una regione più piccola di x=ℏ/(mv), secondo il principio di indeterminazione di Heisenberg. D’altra parte, la teoria della relatività ristretta implica che il massimo valore della velocità è dato dalla velocità della luce c, e la relatività generale comporta che vi sia un limite alla quantità di massa m che si può concentrare in una regione di dimensione x, contenuto nella relazione x=Gm/c2: oltre questo limite, l’attrazione gravitazionale fa collassare la regione spaziale in un buco nero, sottraendola alla possibilità di osservarla dall’esterno. Dalla combinazione di questi due limiti segue l’impossibilità di osservare lunghezze più piccole della scala di Planck: ogni tentativo in questo senso non farebbe che creare un buco nero microscopico. La scala di Planck rappresenterebbe quindi una lunghezza minima, nello stesso senso in cui la velocità della luce rappresenta la velocità massima e la costante di Planck l’azione minima scambiata fra due sistemi nel corso di un processo.

La struttura continua e rigida dello spazio alla quale siamo abituati, non sarebbe quindi che un’apparenza, dovuta alla piccolezza della scala di Planck; così come una superficie di metallo ci appare continua e rigida anche se ha una struttura atomica granulare formata da particelle in rapido movimento.

La perdita della nozione di spazio di fondo (o background), su cui sono definiti tutti i campi fisici, implica una riformulazione sostanziale dell’intera fisica fondamentale, che attualmente si basa su tale spazio. In particolare, la formulazione della teoria quantistica dei campi, che rappresenta lo strumento più efficace e versatile per comprendere la fisica delle particelle, si appoggia sulla nozione di spazio di fondo. La costruzione del formalismo fondamentale della teoria quantistica rende dunque necessario un ripensamento globale della teoria quantistica dei campi, e la sostituzione di questa con una versione indipendente dal fondo (background independent) della teoria. I campi quantistici non devono essere pensati come definiti su un dato spazio, bensì, per così dire, come solo appoggiati l’uno sull’altro.

Tempo

La modifica della nozione di tempo determinata dalla gravità quantistica è ancora più radicale di quella della nozione di spazio. Già nella relatività generale viene a cadere la nozione di un tempo universale e comune, nel corso del quale avvengono i fenomeni fisici. In maniera molto più radicale, la variabile tempo sparisce dalle equazioni fondamentali della gravità quantistica. La teoria fisica non descrive più, quindi, l’evoluzione di tutte le variabili fisiche nel tempo, ma soltanto quella relativa delle variabili fisiche, l’una rispetto all’altra.

Ancora una volta, questo cambiamento concettuale implica una riformulazione della struttura di base della teoria fisica. In particolare, nella sua formulazione usuale la meccanica quantistica richiede l’esistenza di un tempo esterno, rispetto al quale è definita l’evoluzione dello stato fisico. Tale tempo è presente tanto nell’equazione di Schrödinger dei sistemi quantistici di dimensione finita, quanto nelle teorie quantistiche di campo, sotto forma di parametro del gruppo di Poincaré. Tanto l’equazione di Schrödinger ordinaria quanto l’invarianza sotto il gruppo di Poincaré, caratteristica delle teorie quantistiche di campo, non dovrebbero dunque sopravvivere come tali in una teoria fondamentale della gravità quantistica. La nozione di tempo potrebbe rivelarsi un concetto utile solo nell’ambito di una descrizione approssimata della realtà macroscopica. Le proprietà quantistiche dello spazio e del tempo dovrebbero manifestarsi solo a piccolissima scala, cioè alla scala di Planck, diventando trascurabili a scale macroscopiche.

Lo sforzo di costruire una teoria della gravità quantistica si traduce quindi, almeno in alcuni dei principali approcci al problema, in quello di costruire una nuova concettualizzazione del mondo fisico, in cui spazio e tempo non siano più pensati come un contenitore del mondo e come un flusso nel corso del quale avviene il cambiamento, bensì come aspetti fenomenologici macroscopici di un’entità fondamentale: il campo gravitazionale quantistico. Tale sforzo inoltre deve esprimersi in una teoria matematica capace di contenere queste novità concettuali.

Principali linee di ricerca

Per descrivere le forze fisiche non gravitazionali nell’ambito della fisica delle particelle, si sono rivelate estremamente efficaci le tecniche della teoria quantistica di campo. L’applicazione di queste tecniche alla relatività generale porta, invece, a risultati inconsistenti. Il principale problema è che alcune quantità calcolate nella teoria assumono valori infiniti. Queste quantità infinite, chiamate divergenze ultraviolette, appaiono anche in altre teorie quantistiche, dove però è possibile eliminarle con una tecnica chiamata rinormalizzazione; l’applicazione di tale tecnica alla relatività generale richiede, tuttavia, l’introduzione di un numero infinito di nuove costanti, con il risultato di rendere la teoria non predittiva e, quindi, inutile. La presenza delle divergenze ultraviolette dipende dalle ipotesi che la teoria avanza sulla natura della realtà fisica a piccolissima scala. Le principali linee di ricerca si basano dunque su ipotesi, o deduzioni, che riguardano la struttura della realtà a piccola scala.

Stringhe

Una parte considerevole della ricerca in fisica teorica fondamentale è in relazione alla teoria delle stringhe (o teoria delle corde). Essa non è soltanto una teoria della gravità quantistica in senso stretto, in quanto si propone un obiettivo più ambizioso: costruire una teoria unitaria in cui tutti i fenomeni noti appaiano come manifestazione di un’unica entità fisica. L’ipotesi di partenza dalla quale la teoria è nata è che tale entità possa essere vista come una stringa. A differenza delle particelle, che caratterizzano l’attuale fisica fondamentale, le stringhe sono oggetti microscopici estesi in una dimensione, come appunto piccole cordicelle, sicché tutti gli ingredienti fondamentali del mondo fisico, cioè elettroni, quark, forze elettromagnetiche, gravitazionali ecc., non sarebbero che manifestazioni del moto nello spazio di tali stringhe.

La teoria delle stringhe inizialmente non è stata concepita come una teoria fondamentale, bensì come una teoria effettiva per le forze nucleari. Un ruolo importante in questa fase del suo sviluppo è stato giocato alla fine degli anni Sessanta del 20° sec. dal fisico Gabriele Veneziano, che ha ricavato le prime ampiezze di diffusione, poi rivelatesi caratteristiche di una teoria di stringhe. Il tentativo di usare questa teoria per descrivere le forze nucleari si è rivelato un insuccesso, ed essa, quasi dimenticata, ha continuato a essere studiata solamente da un piccolo gruppo marginale di fisici, tra cui lo statunitense John H. Schwarz e l’inglese Michael B. Green. Soltanto all’inizio degli anni Ottanta, principalmente sotto l’influsso del carismatico fisico-matematico statunitense Edward Witten, è divenuta prepotentemente di moda, ma riproposta come una teoria generale che comprende tutte le particelle e tutte le interazioni.

Risultato centrale della teoria delle stringhe, infatti, è che essa porta in maniera necessaria alla stessa fenomenologia della relatività generale, ma senza divergenze ultraviolette. In questo senso, rappresenta una possibile soluzione al problema della gravità quantistica. Oggi tale teoria ha una posizione di forte dominanza, al punto che sono state avanzate alcune critiche per mettere in guardia dal pericolo che tutta la ricerca si concentri su una sola teoria nonostante questa sia ancora soltanto ipotetica.

Nella sua formulazione attuale, la teoria delle stringhe richiede diverse ipotesi fisiche forti. Una di esse è l’esistenza di dimensioni supplementari dello spazio fisico, al di là delle tre dimensioni che ci sono familiari. Le dimensioni supplementari potrebbero essere molto piccole e arrotolate su loro stesse a formare uno spazio compatto microscopico. Una difficoltà attuale della teoria è data dalla grande varietà di possibili configurazioni che tale spazio compatto può assumere, ciascuna delle quali determina una teoria effettiva differente, con la conseguenza che quella delle stringhe risulta coerente con un’estrema varietà di conseguenze empiriche, e dunque di scarsa capacità predittiva: quasi ogni nuovo risultato sperimentale può essere incorporato nella teoria, per cui essa non prevede pressoché nulla con certezza e ciò rappresenta un punto di debolezza importante. In altre versioni della teoria, le dimensioni supplementari potrebbero essere estese, mentre noi saremmo confinati a vivere su una superficie tridimensionale immersa in uno spazio più grande. Un’altra ipotesi richiesta dalla teoria è l’esistenza di particelle supersimmetriche, legate da particolari simmetrie alle particelle note.

Per ora nessuna di queste ipotesi è stata verificata sperimentalmente: in particolare, la rilevazione di particelle supersimmetriche, presentata a lungo come imminente, tarda ad arrivare. La situazione potrebbe cambiare presto con la recente entrata in funzione dell’LHC (Large Hadron Collider), il grande acceleratore di particelle dei laboratori del CERN di Ginevra. Una rilevazione di particelle supersimmetriche non rappresenterebbe di per sé una conferma diretta della teoria delle stringhe, ma farebbe cadere un’obiezione importante sulla sua verosimiglianza.

Nonostante si consideri possibile osservare sperimentalmente gli effetti derivanti dalle dimensioni supplementari, tali effetti non sono stati ancora osservati. Ciò non falsifica la teoria, grazie alla sua indiscutibile flessibilità, ma sicuramente ne diminuisce la credibilità. Essa richiede un enorme bagaglio di nuova fisica (dimensioni supplementari, nuovi tipi di particelle e campi, particelle supersimmetriche di arbitraria massa e spin ecc.) non ancora rilevata.

La teoria presenta due lacune. Da un lato, non è ancora stato possibile mostrare la sua totale coerenza con il mondo come ci appare nella realtà: la teoria delle stringhe è molto complessa e descrive una molteplicità sterminata di mondi possibili, ma fra questi non è stato ancora possibile trovarne uno che corrisponda completamente al mondo in cui viviamo. Dall’altro lato, esistono forti indicazioni che le approssimazioni che rendono possibile la teoria convergano verso una formulazione generale sconosciuta: ciò implica che essa renda più difficile affrontare problemi concettuali generali come la natura dello spazio e del tempo.

Nonostante queste difficoltà, la teoria delle stringhe resta la più studiata al fine di ottenere una teoria quantistica della gravità. La sua ricchezza matematica e il suo successo nel dedurre un numero cospicuo di aspetti del mondo reale a partire da una semplice ipotesi ne fanno un importante campo di indagine nella fisica teorica fondamentale.

Loop

La gravità quantistica a loop, o teoria dei loop (nota anche come gravità quantistica ad anelli) non si propone di comprendere la natura come manifestazione di una sola entità, bensì soltanto di sviluppare un quadro concettuale all’interno del quale i vari aspetti della natura acquisiti fino a oggi, e in particolare la meccanica quantistica e la relatività generale, siano comprensibili in maniera coerente. La teoria dei loop riguarda quindi solamente lo spazio, il tempo e la forza gravitazionale, e non la totalità degli oggetti fisici; è in accordo con le diverse teorie attuali sulle particelle e le altre forze fisiche, ma non è integralmente unificata a queste, nel senso di ridurne gli oggetti a manifestazioni di un’unica entità fisica.

Tale teoria è cresciuta nell’ambiente della fisica relativistica e gravitazionale e non in quello della fisica delle particelle. Essa rappresenta l’evoluzione dei primi tentativi di costruire una teoria quantistica della gravità rispettando i principi fondamentali della relatività generale compiuti negli anni Sessanta principalmente dagli statunitensi John A. Wheeler e Bryce S. DeWitt. L’equazione fondamentale della teoria, una specie di equazione di Schrödinger per la relatività generale, è l’equazione di Wheeler-DeWitt. Nella formulazione iniziale di Wheeler e DeWitt, essa era mal definita e difficile da interpretare. La situazione è cambiata negli anni Ottanta, grazie al lavoro del fisico indiano Abhay Ashtekar che ha riformulato la relatività generale in termini di nuove variabili, semplificandone fortemente la struttura. Usando la nuova formulazione, Ashtekar stesso, il fisico statunitense Lee Smolin e l’autore del presente lavoro hanno proposto la formulazione a loop, che si è poi sviluppata nella teoria attuale, in cui la teoria di Wheeler e DeWitt diventa matematicamente ben definita e l’interpretazione fisica delle sue soluzioni si chiarisce.

La teoria dei loop non avanza ipotesi particolarmente forti sulla natura, ma considera i principi fondamentali della relatività generale e della meccanica quantistica opportunamente riformulati in modo tale da evitare reciproche contraddizioni. L’input nuovo viene dall’elettromagnetismo e dalle teorie di Yang-Mills. Un’idea ricorrente nell’ambito di queste teorie è che la descrizione naturale dei campi fisici si ha in termini di eccitazioni in forma di linee. Essa risale a Michael Faraday (1791-1867), il quale ha aperto la via all’elettromagnetismo di Maxwell con la sua intuizione che i campi elettrici e magnetici fossero costituiti da linee, oggi chiamate linee di Faraday. Il concetto alla base della teoria dei loop non è quello di introdurre oggetti fisici nuovi, bensì di descrivere la relatività generale di Einstein usando variabili che colgano questa idea: espressa in tale forma, la teoria di Einstein diventa più compatibile con la meccanica quantistica. I loop che danno il nome alla teoria sono le linee di Faraday del campo gravitazionale o, più precisamente, le eccitazioni quantistiche di tali linee. Poiché il campo gravitazionale è identificato nella teoria di Einstein con lo spazio, ne consegue che i loop rappresentano le eccitazioni quantistiche dello spazio-tempo. I loop non sono dunque immersi nello spazio, bensì rappresentano essi stessi lo spazio quantistico. Più precisamente, tali loop formano reti, chiamate spin network (o reti di spin), i cui nodi corrispondono ai quanti elementari dello spazio, gli ‘atomi di spazio’, e le cui linee determinano la connettività di tali atomi elementari, e quindi la struttura generale dello spazio.

Il risultato principale della teoria è la costruzione di un formalismo matematico rigoroso che descrive le proprietà quantistiche dello spazio e del tempo. Le divergenze ultraviolette non appaiono, perché lo spazio ha una struttura granulare nella quale non esistono le scale arbitrariamente piccole all’origine di tali divergenze. L’aspetto quantitativo più rilevante è il calcolo dello spettro degli operatori di area e di volume. Il significato di questo risultato è il seguente. La meccanica quantistica è caratterizzata dal fatto che certe grandezze fisiche sono quantizzate, cioè non possono assumere valori arbitrari, ma soltanto certi particolari valori discreti: per es., l’energia di un elettrone in un atomo di idrogeno può assumere solamente alcuni valori, che determinano gli orbitali atomici. L’insieme di questi valori discreti è chiamato spettro dell’energia. Area e volume sono quantità fisiche che dipendono dalla geometria dello spazio. La relatività generale mostra che tale geometria si identifica con il campo gravitazionale. Poiché quest’ultimo è un campo fisico con proprietà quantistiche, ne consegue che area e volume possono essere anch’essi quantizzati come l’energia di un atomo di idrogeno, quindi è possibile che assumano soltanto al­cuni particolari valori discreti i quali formano lo spettro dell’area e del volume. Il calcolo di questo spettro rappresenta una previsione quantitativa precisa, per ora tuttavia difficilmente verificabile, della teoria.

La somiglianza fra le immagini intuitive di una stringa e quelle di un loop è particolarmente interessante: si tratta in entrambi i casi di piccoli oggetti estesi in una dimensione. Tuttavia, l’analogia è molto parziale: mentre le stringhe sono cordicelle che si muovono nello spazio, i loop sono cordicelle che formano esse stesse lo spazio, come i fili di cotone formano una maglietta.

Le principali difficoltà della teoria dei loop riguardano la connessione con la fisica nota: la teoria è ben definita alla scala di Planck, ma i tentativi di usarla per calcolare quantità macroscopiche sono ancora a uno stadio preliminare. Fino a che tali tentativi non saranno maggiormente sviluppati, la teoria resterà incompleta. La teoria dei loop rappresenta comunque il tentativo più coerente e avanzato di combinare i principi fisici della relatività generale con quelli della meccanica quantistica.

Altre teorie

La teoria delle stringhe e quella dei loop e le loro varianti sono le più sviluppate e rappresentano la parte maggiore della ricerca nella gravità quantistica; nondimeno esistono diverse altre linee di ricerca, a differenti gradi di sviluppo. Per es., la geometria non commutativa studia gli strumenti matematici per descrivere le caratteristiche di uno spazio fisico che abbia le stesse proprietà di non commutatività delle variabili quantistiche, cioè tali che il risultato della misurazione di due quantità fisiche possa dipendere dall’ordine in cui le due misure sono ottenute.

Un altro esempio è dato dalla teoria dei twistori, introdotta dal matematico inglese Sir Roger Penrose (n. 1931), nella quale la nozione di spazio fisico è sostituita da quella di uno spazio matematico che rappresenta tutti i possibili raggi di luce dell’Universo.

La ricerca si evolve piuttosto rapidamente e linee di sviluppo diverse si separano o trovano abbastanza velocemente punti di convergenza. Una crescita corretta della scienza richiede sempre che ipotesi teoriche diverse siano investigate, e la molteplicità delle linee di ricerca non è segno di crisi, bensì di vitalità scientifica. Fino a che risultati osservativi non mostrino chiaramente che fra le teorie della gravità quantistica oggi studiate una sia fisicamente corretta, è opportuno che tutte le alternative vengano esplorate. Si noti comunque che nella situazione attuale non esistono teorie complete in competizione fra loro, in attesa del verdetto dell’esperienza, perché nessuna delle ipotesi teoriche esistenti ha ancora portato a una teoria completa e consistente. Quindi non abbiamo molte differenti teorie possibili; in effetti, non ne abbiamo ancora alcuna che sia del tutto convincente.

Applicazioni teoriche e ipotesi sperimentali

Diversi fenomeni fisici possono essere descritti soltanto con una teoria quantistica della gravità: questi costituiscono pertanto un banco di prova importante per le varie teorie proposte. Fra tali fenomeni, i più importanti riguardano le proprietà termodinamiche dei buchi neri e l’origine dell’Universo.

Buchi neri

Quando una stella esaurisce il combustibile nucleare che l’alimenta, e quindi termina di bruciare, collassa sotto il proprio peso fino a schiacciarsi in una massa estremamente densa. La teoria della relatività generale prevede che se la massa residua è sufficientemente grande, il collasso gravitazionale è inevitabile, e la stella sprofonda in sé stessa, fino a che l’attrazione gravitazionale sulla sua superficie diventa così forte che nulla, neppure la luce, può più uscire dalla stella. Si forma in questo modo un buco nero, un oggetto descritto in dettaglio dalle equazioni di Einstein. L’ipotesi dell’esistenza dei buchi neri, considerata teorica fino a una ventina di anni fa, è oggi pressoché universalmente accettata come la migliore spiegazione possibile per interpretare diversi oggetti reali che vediamo nel cielo. Quello che si osserva non è direttamente il buco nero, che in sé è invisibile, ma i suoi violenti effetti gravitazionali sulle stelle, sulla materia e sulla luce intorno a esso. I buchi neri descritti dalla relatività generale sono dunque considerati oggi una realtà. Nel 1974, il fisico inglese Stephen W. Hawking ha pubblicato un importante risultato teorico, basato sulla meccanica quantistica, che mostra come un buco nero emetta tuttavia radiazione a una temperatura che dipende dalla sua massa. Benché tale radiazione non sia mai stata misurata, la verosimiglianza del risultato di Hawking, poi ritrovato con diversi metodi alternativi, è generalmente accettata dai fisici teorici. Questo risultato è di grande interesse perché, sebbene derivato con metodi approssimati e in assenza di una teoria completa della gravità quantistica, offre uno spiraglio sulla fisica quantistica gravitazionale. Uno dei test di ogni proposta di teoria quantistica della gravità consiste nel derivare e comprendere la radiazione di Hawking, e calcolare la quantità termodinamica che la determina, cioè l’entropia di un buco nero. Sia la teoria delle stringhe sia la teoria dei loop sono state in grado di derivare l’entropia di un buco nero (e quindi la radiazione di Hawking) a partire dalla teoria fondamentale. Entrambi i risultati sono tuttavia incompleti e, curiosamente, lo sono in maniera complementare. La teoria dei loop permette di calcolare l’entropia del buco nero e di ottenere il risultato corretto, ma soltanto a meno di una costante moltiplicativa, chiamata parametro di Immirzi, che resta indeterminata nella teoria. La teoria delle stringhe arriva al calcolo completo, inclusa la corretta costante moltiplicativa, ma soltanto per buchi neri di una classe estremamente particolare e non per quelli reali. In entrambi i casi, vi sono dunque indicazioni positive, ma manca ancora una comprensione completa del fenomeno.

L’inizio dell’Universo

Una delle conseguenze teoriche più importanti della relatività generale di Einstein si è rivelata la capacità della teoria di descrivere l’evoluzione dell’Universo. Iniziata con un importante lavoro di Einstein del 1917, la cosmologia moderna ha avuto conferme osservative spettacolari e in questi primi anni del 21° sec. sta attraversando un periodo di sviluppo vertiginoso. Le osservazioni compiute dall’astronomo statunitense Edwin Hubble negli anni Venti del secolo scorso hanno dimostrato l’esistenza di altre galassie oltre alla nostra, e hanno portato alla conclusione che queste si allontano da noi a velocità approssimativamente proporzionali alla loro distanza: in altre parole, l’Universo visibile è in rapida espansione. Questa espansione è descritta bene dalla relatività generale, le cui equazioni implicano che in passato, prima della formazione delle galassie e delle stelle, l’Universo deve avere attraversato una fase molto calda e densa. Osservazioni astronomiche successive hanno confermato tale deduzione, e la storia dell’Universo è oggi abbastanza compresa. All’inizio, fra 13 e 14 miliardi di anni fa, l’Universo doveva essere in uno stato caratterizzato da densità e temperature estreme. Se usiamo le equazioni della relatività generale per seguire ulteriormente a ritroso l’evoluzione dell’Universo, arriviamo a un istante convenzionalmente chiamato Big Bang (grande esplosione), in cui la densità e la temperatura dell’Universo diventano infinite. L’estrapolazione delle predizioni a questo istante iniziale, tuttavia, non è corretta, perché in tali condizioni di grande densità e temperatura gli effetti quanto-gravitazionali diventano importanti e la relatività generale da sola non è più attendibile. Per studiare la dinamica dell’Universo nella sua fase iniziale è necessaria una teoria della gravità quantistica.

Tentativi di studiare l’evoluzione dell’Universo in questa fase iniziale sono in corso sia nell’ambito della teoria delle stringhe (principalmente da parte dei due fisici G. Veneziano, il cui lavoro è alla radice della teoria delle stringhe, e Maurizio Gasperini) sia nell’ambito della teoria dei loop (principalmente per opera di Ashtekar e del tedesco Martin Bojowald). Le previsioni delle due teorie sono ancora molto rozze, ma di nuovo, e in maniera abbastanza sorprendente, sembrano concordare. In entrambi i casi, lo scenario più probabile sembra essere quello dell’esistenza di una fase precedente il Big Bang. Quest’ultimo non sarebbe quindi il momento iniziale nell’evoluzione dell’Universo, ma solo un evento specifico nel corso della sua storia. Per quanto affascinanti, tali studi sono per ora altamente speculativi. Si deve anche tenere conto che in un regime fortemente quanto-gravitazionale come quello dell’Universo nella sua fase più calda e densa, le nozioni stesse di spazio e tempo potrebbero divenire inapplicabili e quindi la nozione di una fase che precede il Big Bang potrebbe essere priva di senso.

Fenomenologia

Fino a pochi anni fa, la prospettiva di poter compiere osservazioni dirette riguardanti fenomeni di gravità quantistica, cioè fenomeni alla scala di Planck, appariva estremamente remota. Un argomento tipico usato per illustrare questa difficoltà era l’osservazione che l’energia raggiunta anche dagli acceleratori di particelle più potenti, come l’LHC, non è che mille milioni di milioni di volte più piccola di quella caratteristica dei fenomeni quanto-gravitazionali. La situazione è però cambiata radicalmente negli ultimi anni, grazie a una serie di importanti osservazioni che hanno messo in luce la possibilità che in particolari situazioni effetti di gravità quantistica potrebbero comunque essere osservabili. Oggi la possibilità di misurazioni dirette di fenomeni di gravità quantistica appare assai meno remota.

Esempi di fenomeni fisici osservabili nonostante la loro scala estrema esistono anche in campi diversi della gravità quantistica. Per es., una serie di esperimenti molto importanti sono stati compiuti negli anni scorsi per verificare la predizione di alcune teorie ipotetiche secondo le quali il protone non è una particella stabile, ma ha una probabilità finita di decadere. Il risultato negativo di queste esperienze ha permesso di scartare alcune di queste teorie, come la teoria unificata SU(5). La scala che caratterizza il decadimento del protone non è molto lontana dalla scala di Planck, e il fatto di riuscire a condurre tali esperimenti mostra che in situazioni favorevoli è possibile effettuare osservazioni che riguardano scale anche enormemente più piccole di quelle esplorate direttamente negli acceleratori di particelle.

Un esempio di misurazione degli effetti di gravità quantistica può essere il ritardo con cui arrivano i segnali impulsivi provenienti da oggetti extragalattici molto lontani, che è proporzionale alla frequenza. Una possibilità suggerita è che la struttura granulare dello spazio prevista dalla gravità quantistica agisca sulla propagazione della luce come la struttura di un cristallo: cioè, determinando una velocità di propagazione della luce diversa secondo la frequenza della luce stessa. Data la piccolezza della scala di Planck, tale fenomeno è estremamente minuto, ma se cumulato per il tempo di viaggio molto lungo del segnale può diventare, in linea di principio, rilevabile: le componenti di colore di un flash di luce proveniente da una sorgente molto lontana potrebbero arrivare sulla Terra con un piccolo ritardo l’una rispetto all’altra. Un’osservazione recente del telescopio MAGIC (Major Atmospheric Gamma-ray Imaging Čerenkov) nell’isola di La Palma, alle Canarie, mostra proprio un ritardo di questo genere; anche se l’effetto non sembra essere di origine quanto-gravitazionale, e la sua spiegazione appare meno complicata, l’osservazione mostra comunque che effetti di questo tipo sono in linea di principio osservabili. La possibilità di misurazioni dirette di fenomeni quanto-gravitazionali non è dunque esclusa.

Un campo particolarmente favorevole per tali osservazioni è la cosmologia. Effetti quanto-gravitazionali rilevanti nella fase più calda e densa della storia dell’Universo potrebbero avere lasciato tracce osservabili nella struttura a larga scala del Cosmo. In particolare, le recenti misure di grande precisione sul fondo di radiazione cosmica, e le misure di onde gravitazionali che si spera di poter ottenere negli anni futuri, specialmente grazie all’antenna gravitazionale orbitante LISA (Laser Interferometer Space Antenna), potrebbero aprire una finestra di osservazione rilevante per la gravità quantistica.

Implicazioni filosofiche e concettuali

La ricerca attuale in gravità quantistica è caratterizzata da una grande complessità non solo tecnica, ma anche concettuale. Più o meno esplicitamente, la teoria si propone di rifondare alla base la nostra comprensione del mondo fisico, ridisegnandone la struttura. Le strategie messe in atto per raggiungere questo obiettivo sono diverse. Per es., questioni di natura concettuale sono affrontate più direttamente nell’ambito della teoria dei loop, mentre l’ipotesi seguita nell’ambito della teoria delle stringhe è che sarà lo stesso sviluppo tecnico della teoria a offrire la nuova struttura per comprendere il mondo; questa comunque non potrà che essere alquanto diversa da quella della fisica attuale. Tale complessità concettuale apre numerose questioni di carattere generale: affrontiamo qui brevemente quelle riguardanti lo spazio e il tempo.

La natura dello spazio e del tempo

La natura dello spazio e del tempo ha rappresentato un problema ricorrente nella storia del pensiero occidentale. L’evoluzione della ricerca filosofica si è intersecata con i risultati di quella scientifica, in uno scambio continuo rivelatosi particolarmente fecondo. Riflessioni e influenze di carattere filosofico hanno giocato, infatti, un ruolo importante nello sviluppo del pensiero di scienziati come Newton, Werner Heisenberg e Einstein; d’altra parte, la riflessione filosofica più attenta è sempre stata capace di tenere conto del progresso, anche in corso, della ricerca scientifica. Questo scambio è attivo anche oggi, e la filosofia della scienza dell’inizio del 21° sec. è particolarmente attenta ai problemi sollevati dalle linee di ricerca nell’ambito della gravità quantistica.

Due punti di vista opposti sulla natura dello spazio si sono alternati nel pensiero occidentale. Il primo è il punto di vista sostantivalista, secondo il quale lo spazio è un’entità, e ha quindi un’esistenza indipendente dall’eventuale presenza di oggetti fisici in esso contenuti, secondo la struttura concettuale su cui si fonda la fisica newtoniana. Nell’antichità, questo punto di vista era stato difeso da Leucippo e Democrito, nell’ambito dell’atomismo antico. Diverso è il punto di vista relazionale, secondo il quale lo spazio non è un’entità a sé stante, ma soltanto una relazione fra gli oggetti fisici. Per es., René Descartes definisce come moto il passaggio di un oggetto A dall’essere contiguo a un oggetto B all’essere contiguo a un altro oggetto C. Per Descartes non vi è nozione di movimento se non in relazione ad altri oggetti. È Newton che ha introdotto prepotentemente la nozione di spazio vuoto rispetto al quale è definito il moto (le accelerazioni), ed è l’immenso successo empirico della fisica newtoniana che ha reso questo punto di vista dominante nell’Europa moderna. La scoperta di Einstein dell’identità fra spazio newtoniano e campo gravitazionale ha modificato in profondità i termini della questione. In un certo senso, Einstein ha svelato un errore di Newton: quest’ultimo ha avuto ragione nel comprendere che l’accelerazione degli oggetti fisici è definita in relazione a qualcosa, ma ha avuto torto nell’identificare questo qualcosa con una struttura di fondo, rigida, della realtà. Einstein ha compreso invece che questo qualcosa è un campo fisico, analogo ai campi elettrici e magnetici. Le proprietà quantistiche di questo campo, messe in luce dalle diverse linee di ricerca in gravità quantistica, rendono ancora più difficile la possibilità d’identificare tale oggetto fisico con uno spazio, nel senso newtoniano di contenitore amorfo della realtà fisica. Anche se possiamo continuare a chiamarlo spazio, e quindi a mantenere una posizione formalmente sostantivalista, esso ha perso tutte le sue caratteristiche peculiari, ed è probabilmente più ragionevole considerarlo un campo fisico alla stregua degli altri, nell’ambito di una posizione relazionale nella quale la realtà è concepita come un insieme di oggetti (ora campi quantistici) in interazione fra loro, e non immersi in una struttura data a priori. In altre parole, il mondo descritto dalla gravità quantistica assomiglia più a quello di Descartes che non a quello descritto da Newton.

Le modifiche concettuali determinate dall’evoluzione del concetto di tempo introdotte dalla ricerca in gravità quantistica sono più drastiche, e hanno forse meno antecedenti nella storia del pensiero occidentale. Come detto, la teoria è formulata, almeno in al­cune linee di ricerca, senza alcun riferimento a una particolare variabile temporale. Così come la localizzazione spaziale di un oggetto è data soltanto in relazione ad altri oggetti, similmente, l’evoluzione temporale non è definita rispetto a un tempo comune, ma solamente per le diverse variabili della teoria in relazione l’una con l’altra. La questione se tale concettualizzazione del mondo possa essere coerente è aperta, e si viene a sommare ai già numerosi problemi suscitati dalla natura del tempo.

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