GREGORIO

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 59 (2002)

GREGORIO

Andrea Bedina

Duca longobardo di Benevento, secondo le Tavole chiusine - databili con ogni probabilità al 729, fonte epigrafica che gode della fiducia della più recente storiografia (Gray, p. 65) -, apparteneva a quella che viene presentata quale "regia progenie" mentre Paolo Diacono (Historia Langobardorum, VI, 55) lo indica senza incertezze quale "nepos" di Liutprando, re dei Longobardi dal 712 al 744.

Negli anni immediatamente precedenti alla sua nomina ducale beneventana, pare altresì accertato anche il suo incarico ducale a Chiusi, nel Senese: lo attesterebbero, ancora un volta, le Tavole chiusine, murate nell'attuale chiesa locale dedicata a S. Mustiola, fatta restaurare all'epoca proprio da Gregorio. La sua probabile identificazione nel "gloriosissimus dux" di cui si dichiara notaio il "vir clarissimus" Benedetto, che è tra i sottoscrittori in una charta venditionis pisana del gennaio 730 (Codice diplomatico longobardo, I, n. 45 p. 151), non deve far dubitare, secondo le più recenti indagini di Gasparri (1978, p. 94), del suo incarico ducale a Chiusi né, per contro, deve far pensare a un suo incarico funzionariale per Pisa (Jarnut, 1972, p. 358).

L'assunzione del potere nel Beneventano da parte di G. rappresenta un momento importante nell'articolato quadro della politica liutprandina che impegnava il re in una duplice, poderosa azione che si esplicava aggressivamente sia con una forte spinta espansiva, sia con un altrettanto forte e deciso consolidamento interno. Il confuso e drammatico conflitto iconoclastico, scoppiato a metà degli anni Venti dell'VIII secolo tra il pontefice romano Gregorio II e l'imperatore Leone III Isaurico, aveva rapidamente condotto a una serie di pericolosi irrigidimenti politici e religiosi, e a sanguinose rivolte nella già provata penisola italica. Delle tensioni tra il papa e l'imperatore bizantino, e del conseguente clima di grave incertezza politica a Bisanzio e nelle aree di influenza bizantina in Italia, seppe abilmente approfittare Liutprando, che in una prima fase del dissidio si schierò con Gregorio II, con un'alleanza del tutto strumentale alla sua politica che gli consentì un rapido colpo di mano nei territori dell'Esarcato e della Pentapoli, in ambiti urbani e rurali nei quali da tempo covavano insofferenze nei confronti del duro governo orientale. Il malcontento dei Romano-Italici sudditi di Bisanzio in tempi recenti si era fatto sempre più acuto e palese con la nascita di fazioni apertamente antibizantine che avevano portato a sollevazioni e a violentissimi scontri con le truppe fedeli all'esarca. Anche di tale esplosiva situazione si valse Liutprando cui, in breve, si sottomisero spontaneamente non pochi importanti centri fortificati in area emiliana. Truppe longobarde non condotte dal re si spinsero inoltre fino al castrum di Sutri, ai confini del Ducato romano, conquistandolo. Alle successive pressioni papali per la restituzione dello strategico centro fortificato, Liutprando - cattolico - cedette senza apparenti difficoltà, donando il borgo al papa (728).

Il re era tuttavia preoccupato per l'indubbio potere politico e militare raggiunto dai duchi longobardi di Spoleto e di Benevento, che, in buoni rapporti con i pontefici, si erano di fatto creati una loro autonomia, in fase di consolidamento, e un loro distinto ruolo nel panorama politico internazionale. È del 729 un accordo tra Liutprando ed Eutichio, l'esarca appena giunto in Italia, che sanciva un'alleanza militare tra il Regnum longobardo e i Bizantini contro i duchi di Spoleto e di Benevento. In pratica, come la più aggiornata storiografia ha ampiamente sottolineato, la penisola italica avrebbe dovuto sottostare a due distinte dominazioni: quella dei Longobardi - che si impegnavano a sottomettere i duchi ribelli - e quella bizantina, cui sarebbe spettata la repressione delle pur vigorose tendenze separatistiche presenti tra Esarcato, Pentapoli e Ducato romano. Sempre nel 729 Liutprando procedette decisamente da Pavia verso Spoleto; il locale duca Transamondo (II) e il duca di Benevento, Romualdo (II) gli si sottomisero. La dimostrazione di forza proseguì, le truppe di Liutprando e dell'esarca Eutichio puntarono verso Roma e ottennero anche in quell'occasione l'effetto sperato: si giunse infatti a un accordo con il pontefice. L'azione liutprandina di controllo sull'operato dei duces non si limitò, tuttavia, alla sola Italia centrale e meridionale; un intervento regio si ebbe anche nel fortissimo Ducato del Friuli, contro l'operato del duca Pemmone, che venne deposto e sostituito - per volere di Liutprando - da suo figlio Ratchis.

La nomina di G. a duca di Benevento risale molto probabilmente al 732, quando, alla morte di Romualdo (II) che, come si è detto, si era sottomesso all'autorità regia, venne localmente eletto all'importante incarico l'ancora minorenne Gisulfo (II), figlio del duca defunto. Tale elezione fu subito ostacolata dall'aristocrazia longobarda di corte, che appoggiava la candidatura del gastaldo (Gasparri, p. 92) e referendario Audelahis. La formazione, anche in questo caso, di agguerrite, opposte fazioni locali, contribuì alla nascita di un disordine diffuso nel Ducato beneventano; tale situazione provocò l'intervento del re, che impose quale nuovo duca il suo nipote G., già duca di Chiusi.

I più recenti studi sulla situazione beneventana di quegli anni insistono giustamente sull'accorta politica sovrana che, con la promozione al ducato di un soggetto non locale, avrebbe teso a "spezzare i legami tra istituzione, aristocrazia e popolo" (Delogu, p. 153), che costituivano un innegabile, potenziale humus per l'insorgere, o meglio, l'ulteriore sviluppo di già ben individuabili tendenze autonomistiche. Non è certo che Audelahis, quasi certamente navigato funzionario beneventano durante il ducato romualdino, sia riuscito a soppiantare del tutto il giovanissimo Gisulfo (II), che forse, se non fuggì - ma sono pure illazioni - potrebbe aver mantenuto in parte il potere in un'area limitata dell'ampio Ducato. Certo è, invece, l'apparentemente risolutivo intervento regio che con la nomina di G. pose temporaneamente fine alle discordie.

G., tuttavia, non godeva delle simpatie dei due partiti che si contendevano il potere né, e forse soprattutto, dell'importante consenso popolare beneventano, assai legato alla propria dinastia ducale. Egli quindi non veniva considerato un legittimo successore del defunto duca, ma solo un funzionario imposto dall'alto. Nelle poche righe concernenti G. presenti nell'Historia Langobardorum (VI, 55) c'è spazio per un brevissimo cenno a un suo matrimonio con una non meglio identificata Giselperga; anche se in Jarnut (1972, p. 358) viene indicata una tale Austriconda per moglie o, forse, per madre di Gregorio.

La durissima prova di forza di Liutprando, che riaffermò in pieno, proprio con G. e nell'autonoma Benevento, il diritto sovrano di elezione ducale, non portò a un ridimensionamento delle tensioni in ambito locale. Del periodo ducale di G. non si hanno notizie; se Paolo Diacono (VI, 56) liquida rapidamente l'operato di G. accennando appena al suo governo settennale che, dunque, sarebbe terminato intorno al 739-740, qualche incertezza appare nella narrazione della Chronica S. Benedicti Casinensis, in cui, mentre in un primo computo la parabola ducale di G. parrebbe di sette anni (Incipit cronica Langobardorum, p. 480), questa viene ridotta a tre anni in un secondo e altrettanto laconico riferimento (Duces Beneventi). Concorda invece con i dati offerti da Paolo Diacono il Catalogus regum Langobardorum et ducum Beneventanorum.

Va osservato che più fattori di politica internazionale concorsero alla caduta e alla morte, forse violenta, di Gregorio. Infatti, la temporanea conquista di Ravenna da parte di Liutprando nel 735 favorì il riavvicinamento tra l'esarca Eutichio e il papa Gregorio III. Quest'ultimo, nell'intento di fermare la rapidissima espansione liutprandina, concordò un'alleanza allargata, oltre che alla nascente potenza venetica (pur sempre legata, e per non pochi aspetti, alle altalenanti fortune bizantine in Italia), ai duchi di Spoleto e di Benevento. Era pertanto necessario sottrarre quegli importanti Ducati a una gestione locale che risentiva decisamente troppo - nella prospettiva politica del papa - dell'indiscussa autorità del potente re longobardo. Occorreva defenestrare sia G. dal governo beneventano, sia Ilderico - anch'egli duca imposto da Liutprando al posto del fuggitivo Transamondo (II) - a Spoleto. La drastica soluzione, che non si esclude prevedesse l'eliminazione fisica di G. a Benevento e di Ilderico a Spoleto, venne probabilmente presa con l'approvazione di Gregorio III, e fece esplodere gravi disordini che a Spoleto, con il ritorno di Transamondo, portarono all'uccisione del duca Ilderico.

Mentre per il sanguinoso epilogo dell'esistenza di quest'ultimo Paolo Diacono dimostra una certa attenzione, riguardo alla fine di G. non si sbilancia, usando un'espressione assai vaga, che lascia nel dubbio riguardo alla sua sorte personale: "vita exemptus est" (VI, 56). Non conosciamo quindi la data di morte di Gregorio. Gli successe Godescalco.

Fonti e Bibl.: Chronica ducum Beneventanorum, a cura di G.H. Pertz, in Mon. Germ. Hist., Scriptores, III, Hannoverae 1839, p. 212; Paulus Diaconus, Historia Langobardorum, a cura di G. Waitz - L. Bethmann, Ibid., Scriptores rerum Germ. et Ital. saec. VI-IX, ibid. 1878, pp. 184 s.; Chronica S. Benedicti Casinensis. Incipit cronica Langobardorum seu monachorum de monasterio sanctissimi Benedicti, ibid., pp. 201, 480; Duces Beneventi, ibid., p. 487; Catalogus regum Langobardorum et ducum, ibid., p. 494; C. Troya, Codice diplomatico longobardo, III, Napoli 1854, n. 485 p. 545; Codice diplomatico longobardo, a cura di L. Schiaparelli, I, in Fonti per la Storia d'Italia [Medio Evo], LXII, Roma 1929, n. 45 p. 151; F. Hirsch, Il Ducato di Benevento sino alla caduta del Regno longobardo, Torino 1890, passim; L.M. Hartmann, Geschichte Italiens im Mittelalter, II, 2, Gotha 1903, pp. 97, 126, 146 e passim; L. Duchesne, I primi tempi dello Stato pontificio, Torino 1947, pp. 17-20; N. Gray, The paleography of Latin inscriptions…, in Papers of the British School at Rome, XVI (1948), p. 65; O. Bertolini, I papi e le relazioni politiche di Roma con i Ducati longobardi di Spoleto e di Benevento, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VI (1952), p. 44; Id., Le relazioni politiche di Roma con i Ducati di Spoleto e di Benevento nel periodo del dominio longobardo, in Id., Scritti scelti di storia medievale, a cura di U. Banti, II, Livorno 1968, pp. 686 s.; J. Jarnut, Prosopographische und sozialgeschichtliche Studien zum Langobardenreich in Italien (568-774), Bonn 1972, pp. 357 s.; C.G. Mor, Alcuni problemi della Tuscia longobarda, in Lucca e la Tuscia nell'Alto Medioevo. Atti del 5° Congresso internaz. di studi sull'Alto Medioevo, Lucca… 1971, Spoleto 1973, p. 55; P. Llewellyn, Roma nei secoli oscuri, Roma-Bari 1975, p. 161; P.M. Conti, Duchi di Benevento e Regno longobardo nei secoli VI e VII, in Annali dell'Istituto italiano per gli studi storici, V (1976-78), p. 279; S. Gasparri, I duchi longobardi, Roma 1978, pp. 57, 92, 94; P. Delogu, Il Regno longobardo, in P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Longobardi e Bizantini, Torino 1980, p. 153; P.M. Conti, Il Ducato di Spoleto e la storia istituzionale dei Longobardi, Spoleto 1982, p. 135; G. Arnaldi, Le origini dello Stato della Chiesa, Torino 1987, pp. 94 s.; S. Gasparri, Il Ducato e il Principato di Benevento, in Storia del Mezzogiorno, II, 1, Napoli 1988, p. 105; C.G. Mor, Lo Stato longobardo nel VII secolo, in Italia longobarda, a cura di G.C. Menis, Venezia 1991, p. 70; J. Jarnut, Storia dei Longobardi, Torino 1995, pp. 90, 92; T.F.X. Noble, La Repubblica di S. Pietro. Nascita dello Stato pontificio (680-825), Genova 1998, pp. 65, 67.

© Istituto della Enciclopedia Italiana - Riproduzione riservata

CATEGORIE