CORBETTA, Gualtiero

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 28 (1983)

CORBETTA, Gualtiero (Gualterius, Valterius)

Roberto Ricciardi

Nacque a Milano verso la fine del XV secolo da Innocenzo, la cui famiglia, originaria della località lombarda di Corbetta, apparteneva da tempo alla piccola nobiltà milanese.

Dopo aver ricevuto una prima istruzione umanistica, il C. si dedicò agli studi di diritto, entrando in dimestichezza con Andrea Alciato, del quale condivise gli indirizzi giuridici e le occupazioni letterarie. Nelle opere dell'Alciato il nome del C. ricorre con una certa frequenza, come quello di un discepolo e di un fidato collaboratore. Così nella lettera dedicatoria del suo Contra vitam monasticam ad Bernardum Mattiam del 1514-1517 (Lugduni 1695) l'Alciato lo definisce "utriusque nostrum amatissimus", mentre in quella dei Pnaetermissorum libri, al senatore e giureconsulto Iacopo Minuzio (Mediolani 1519), lo menziona come precettore del Minuzio stesso per la lingua greca e come "iuvenis nobilissimus et mihi commercio studiorum perquam carus" (Barni, p. 226). Frutto di questa collaborazione è un commento tuttora inedito alle Nuvole di Aristofane, che l'Alciato aveva tradotto dal greco in versi latini, dedicato al senatore milanese Minuzio Taegio. Insieme con la versione dell'Alciato, le Annotationes in Nebulas si conservano nel cod. Trivulz. e 65, ff. 94-105 (Porro, p. 7), ma il loro valore esegetico è molto scarso.

Il C. raccoglieva, inoltre, antichi codici e apprestava edizioni di classici. In una lettera a F. Calvo, (da Bourges. 5 sett. 1530) l'Alciato, menzionando il viaggio che il C. aveva appena compiuto per visitarlo e portargli notizie, salvo a ripartire subito per l'Italia a causa delle sue precarie condizioni di salute, accenna a una "oratio Ciceronis in L. Pisoneni integra... quam opinor est editurus", in possesso del C. (Barni, p. 112). Per quanto sappiamo, tale edizione non venne mai alla luce. Che il C. possedesse anche libri greci prova inoltre il ms. 803 della Biblioteca Trivulziana, un apografo eseguito da F. Ciceri di "quinque opuscula graeca ex libro quem. Valterius Corbeta a Demetrio Calcondylae filio olini habuit" (Porro, p. 77). In casa sua esisteva ancora una collezione di iscrizioni latine e greche, come quella del 393 d. C. pubblicata per la prima volta dal Muratori (Novus Thesaurus, p. 394).

Intanto il C. portava a termine i suoi studi giuridici e si laureava in legge. Nel 1524 fu ammesso di diritto nel Collegio dei giureconsulti niilanesi. L'anno successivo, in qualità di oratore ufficiale di Milano, pronunciò nella chiesa di S. Domenico a Napoli l'orazione funebre per la morte di Ferrante d'Avalos, marchese di Pescara (Giovio, p. 394), che tuttavia non conserviamo (benché i contemporanei, come Gerolamo Monti, ne parlino come di un capolavoro di eloquenza). Il C. si adoperò fattivamente, come membro del Collegio, perché le orazioni dei soci e i verbali delle sedute fossero conservati ed eventualmente pubblicati. Egli stesso pronunciò un discorso per l'assunzioúe nel Collegio di G. B. Castiglioni, che ci è pervenuto in testa alle Orationes VI pro cooptatione in Collegium Iurisconsultorum, pubblicate a Lione nel 1547 con la prefazione di G. Monti dedicata a G. Casati. Il 7 sett. 1534 il C. fu nominato senatore, e dal 1535 al 1537 fece parte, in qualità di magistrato patrizio, dei Sessanta decurioni di Milano; come rappresentante della Porta Orientale ebbe inoltre incarichi alla Cancelleria ducale. In politica il C. tenne un atteggiamento filospagnolo, il cui indizio più evidente è l'orazione funebre da lui pronunciata in duomo per la morte di Francesco II Sforza nel novembre del 1535 (edito, con dedica a Massimiliano Stampa, con il titolo Oratio habita in funere divi Francisci II Sfortiae, s. l. 1535).

Dopo un breve accenno alla sfortuna che sembra perseguitare la casata degli Sforza, il C. ne traccia una breve storia. Più che ad Anglo, nipote di Enea, egli pensa come loro capostipite a Muzio Scevola, il cui nome è stato ripreso da Muzio Attendolo. Trattandosi di una "laudatio funebris", la maggior parte dell'oratio è occupata naturalmente dalle lodi del deftmto, con cui si estingue la famiglia Sforza. Nel mettere in luce il lealismo (e la sottomissione) di Francesco, II verso Carlo V, il C. rivela le sue simpatie filoimperiali e si mostra "un aperto panegirista" (Petrocchi, p. 38) dell'imperatore nel chiamarlo "nume tutelare e presidio, dopo dio, della città di Milano". La sua abile piaggeria non sfuggì del resto a un osservatore attento come l'ambasciatore veneziano Cristoforo Cappello, che la definì "una conversion a Cesare bellissima" (Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Mss. Malvezzi 133, n. 251). Ma che il C. fosse già da tempo in amichevoli rapporti con gli Spagnoli è anche provato dalla lettera che Micer May aveva inviato da Roma il 5 giugno 1529 a Carlo V (Arch. gen. de Simancas, Estado 848, f 45). Nel discorso il C. appare comunque oratore misurato ed efficace, il suo stile è sobrio e il lessico accurato (anche per la probabile rielaborazione a cui il testo fu sottoposto rispetto a come fu pronunciato), benché complessivamente l'orazione non sembri la "coxa meraviglioxa" che faceva esultare il contemporaneo cronista Burigozzo.

Nonostante l'attività politica, il C. trovò pur sempre il tempo di dedicarsi agli studi eruditi e all'eloquenza, e di coltivare le sue elevate relazioni. Così fu in rapporto con il dotto medico comasco F. Cigalini (Monti, p. 191), e nel 1536 partecipò insieme con il collega Sfondrato auna cena in casa Borromeo, dove assistette, intervenendo probabilmente a favore del primo, alla discussione tra Andrea Alciato e Paolo Giovio riguardo ad alcuni punti della storia del secondo.

Il C: morì ancor giovane in Milano nel 1537.

Fu compianto ed elogiato dall'Alciato in un epigramma tuttora inedito (Argelati, II, p. 462), mentre G. B. Schiafenati scrisse in suo ricordo una nenia e un'elegia consolatoria per il fratello di lui, Ilarione. Di costui, monaco benedettino, sappiamo che prese i voti il 24 febbr. 1515, fu studioso di teologia, filosofia, giurisprudenza oltre che di letterature classiche, e scrisse molte opere che sono andate perdute o non furono mai pubblicate (Armellini, pp. 224-226). Non gli vanno comunque attribuite, come fa erroneamente il Kristeller (Iter Italicum, II, p. 583), le "litterae Mediolanensium ad [Carolum V] per Corbetam compositae", che possono essere ascritte all'attività del più noto panegirista.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Milano, Arch. Sforzosco, Reg. Duc., 193, f. 149v;I. B. Sclaphenatus, Elegiae et epigramm., Venetiis 1541, pp. 45, 57; P. Giovio, La vita di Ferrando Davalo march. di Pescara, Firenze 1551, p. 394;P. Morigia, La nobiltà di Milano, Milano 1619, p. 237;F. Picinelli, Ateneo dei letter. milanesi, Milano 1670, p. 374;M. Armellini, Bibl. Benedectino-Casinensis, I, Asisii 1731, pp. 224 ss.; L. A. Muratori, Novus Thesaurus veterum inscriptionum, I, Mediolani 1739, p. 394;Ph. Argelati, Bibliotheca script. Mediolanensium, II, Mediolani 1745, coll. 462 ss.;G. Porro, Catal. dei codici manoscritti della Trivulziana, Torino 1884, p. 7; V. Cian, Lettere inedito di A. Alciato a P. Bembo, in Arch. stor. lomb., XVII (1890), p. 842;S. Monti, Lettere di Benedetto Giovio, Como 1891, passim;E. Motta, Demetrio Calcondila editore, in Arch. stor. lomb., XX (1893), p. 159; C. Santoro, I registri delle lettere ducali del periodo sforzosco, I, Milano 1929; II, ibid. 1961, ad Indicem;G. L. Barni, Le lettere di A. Alciati giureconsulto, Firenze 1953, pp. 112, 226;F. Arese, Elenchi dei magistrati Patrizi di Milano dal 1535 al 1796, in Arch. stor. lomb., LXXXIV (1957), pp. 151, 189;M. Petrocchi, Lo Stato di Milano al novembre 1535, Napoli 1957, pp. 37s.; Storia di Milano, IX, L'epoca di Carlo V (1535-1559), Milano 1961, p. 14.

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