GUALTIERO di Châtillon

Enciclopedia Italiana (1933)

GUALTIERO di Châtillon (Gualterus de Castelione)

Angelo Monteverdi

Poeta latino, nato a Lilla verso il 1135: prese il nome da Châtillon (-surMarne?), dove esercitò con successo l'insegnamento; fu per qualche tempo funzionario di Enrico II d'Inghilterra sul continente e nell'isola; soggiornò anche in Italia, a Bologna e a Roma; divenne infine segretario dell'arcivescovo Guglielmo di Reims, per il quale scrisse (1178-82) e pubblicò (1184) il suo maggiore poema, l'Alexandreis; e ne ottenne un canonicato ad Amiens, dove la lebbra e gli eccessi della disciplina lo condussero a morte. Scrisse in prosa un teologico Tractatus contra Iudaeos; in versi, oltre alla Alessandreide, un poema georgico in massima parte perduto, e un certo numero di ritmi.

L'Alessandreide (in 10 libri, più di 5000 esametri; in Patrol. Lat., CCIX, col. 463 segg.) è forse il più ardito e il più felice tentativo epico che la letteratura latina medievale possa vantare. Canta le gesta di Alessandro Magno; ma rifiuta sdegnosamente le favole che, messe in giro a suo tempo dallo Pseudo-Callistene, erano largamente sfruttate in quegli anni dagli autori del Roman d'Alixandre. Si attiene dunque alla storia (quale è rappresentata, anche se non fedelissimamente, dal libro di Q. Curzio Rufo); ma non ha nulla della cronaca versificata. È un vero poema epico; e, costruendolo, G. ebbe costantemente dinnanzi agli occhi il modello di Virgilio. Né temette di servirsi all'occasione dei miti pagani (specie in una vivace descrizione dell'inferno); ma tutto seppe avvolgere di spirito cristiano. Grande fu il successo del poema, largamente imitato, e adottato per lungo tempo nelle scuole a lato e in luogo dei classici. Non minore è l'importanza di G. poeta lirico e satirico. Abbiamo di lui una cinquantina di ritmi, semplici tutti nella struttura metrica e strofica. E non vi mancano canti giocosi e canti amorosi; ma i più sono gravi: inni sacri, invettive politiche, satire violente contro la corruzione generale e soprattutto contro quella del clero e della curia di Roma, confessioni di un'anima oppressa dallo sconforto. Ne esce la figura d'un poeta non solo dotto e ingegnoso, ma nobile e ardente.

Bibl.: H. Christensen, Das Alexanderlied W. v. Ch., Halle 1905; K. Strecker, Die Lieder W. v. Ch. in der Hs. 351 von Saint-Omer, Berlino 1925; id., Moralischsatirische Gedichte W. v. Ch., Heidelberg 1929.

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