GUARIENTO di Arpo

Enciclopedia dell' Arte Medievale (1996)

GUARIENTO di Arpo

F. Flores d'Arcais

Pittore documentato dal 1338 al 1367, di origine padovana e forse, più precisamente, di Piove di Sacco (prov. Padova), dove possedeva parecchi beni. G. nacque verosimilmente attorno al 1310 o poco prima e morì entro il 1370.La formazione di G. dovette avvenire a Padova, città che era diventata, con la ripetuta presenza di Giotto, uno dei più vivaci centri pittorici dell'Italia padana. Molto importante fu certo per il giovane artista anche la presenza, nella chiesa degli Eremitani, attorno al 1324, di due tra gli esponenti più significativi della prima generazione dei pittori riminesi, Giuliano e Pietro.La prima opera di G. nota dovrebbe essere la grande Croce di Bassano del Grappa (Mus. Civ., Bibl. e Arch.). La tavola, proveniente dalla chiesa di S. Francesco della stessa città, reca la firma dell'artista e una scritta con il nome della committente, Maria dei Bovolini; recenti studi, relativi alla chiesa di S. Francesco e alla famiglia bassanese dei Bovolini, porterebbero a datare il dipinto intorno al 1332, con un certo anticipo rispetto alla cronologia precedentemente accettata, attorno al 1340.La grande tavola è impaginata secondo moduli derivati da quelli giotteschi, nella fattura del corpo del Cristo, ma anche nelle due figure dei tabelloni laterali; pure una vibrazione di luce si coglie nei riflessi metallici della veste verde brunito e rosa di s. Giovanni, mentre il perizoma si arricchisce di panneggi di sapore gotico. All'inizio del quarto decennio del Trecento, dunque, anche G. sembra partecipare autorevolmente a quella svolta gotica che accomuna le esperienze della pittura italiana e di cui egli doveva diventare del resto, di lì a poco, un raffinatissimo interprete.Nel 1338 G. era presente a Padova nella chiesa degli Eremitani: si potrebbe datare a quel momento la decorazione, purtroppo rovinatissima, della seconda cappella a destra, di cui restano leggibili solo le figure di sante nel sottarco, caratterizzate da una straordinaria finezza del segno di contorno e da colori dai timbri preziosi e rari.Il piccolo trittico con Crocifissione e santi (coll. privata), per il quale si può ipotizzare una cronologia all'inizio del quinto decennio, è opera squisita, ove il 'giottismo' risulta definitivamente risolto in una melodia lineare e in una delicatezza di colori trasparenti e chiari, ormai di segno chiaramente gotico.Datato 1344 è il polittico dell'Incoronazione, proveniente dalla parrocchiale (od. duomo) di Piove di Sacco (Pasadena, Norton Simon Mus.): committente dell'opera fu l'arciprete di Piove di Sacco, Alberto, che era in stretto rapporto con i Carraresi. La tavola centrale con l'Incoronazione della Vergine e le tavolette laterali con Storie di Cristo sono una traduzione in termini di eleganza gotica di un 'giottismo' padovano, non privo, anche nei risvolti iconografici, di riferimenti alla pittura riminese. Le forme sono diventate asciutte e nervose, la linea di contorno delicata e morbida; il colore, schiarito e arricchito di gamme preziose e rare, è intriso di luce e percorso da rigagnoli luminosi. Il polittico della Incoronazione segna forse il momento di contatto, attraverso l'arciprete Alberto, con la corte dei Carraresi, signori di Padova, per i quali G. lavorò durante tutto il corso della sua attività.Non è noto se G. facesse parte dei pittori che iniziarono, sotto Ubertino da Carrara (m. nel 1345), la decorazione, totalmente distrutta, della nuova reggia dei signori di Padova. È certo però che egli appare in una commissione ufficiale, attorno al 1351: si tratta della decorazione, voluta da Francesco I da Carrara, detto il Vecchio (m. nel 1393), delle due tombe, costruite in forme nuovissime da Andriolo de Santi, di Ubertino e Jacopo II da Carrara (m. nel 1350), poste nel presbiterio della chiesa, anch'essa purtroppo distrutta, di S. Agostino a Padova e oggi conservate nella chiesa degli Eremitani.Della decorazione, certamente complessa, si sono conservati interessanti, anche se rovinatissimi, frammenti: una Incoronazione della Vergine e due offerenti, conservati nella chiesa degli Eremitani, e una testa maschile (Innsbruck, Tiroler Landesmus. Ferdinandeum). Nella Incoronazione il linguaggio di G. si è fatto più complesso: la composizione è impaginata entro un articolato trono gotico, di una spazialità quasi prospettica ben intuibile nel pavimento a mattonelle digradanti e nello scorcio del sedile; tuttavia Cristo e la Vergine presentano una tipologia più 'veneziana', in una diversa proporzione delle figure, più allungate e con i volti piccoli, dagli occhi stretti e dai lineamenti molto sottili: tipologie che indicano certamente un avvicinamento al linguaggio di Paolo Veneziano e in generale della pittura veneziana, che risulta del resto una costante dello stile di G., soprattutto nelle opere del sesto decennio del secolo. Allo stesso tempo, più intenso e morbido è il gioco falcato dei manti, in cadenze accentuatamente gotiche, e più ricche sono le ornamentazioni dorate, anch'esse di ascendenza e di moda veneziane. Le figure dei committenti emergono invece con la vivezza di ritratti, evidenziando in G. una pluralità di registri linguistici, che divenne sempre più evidente a partire proprio da questo momento.Di poco successiva è la decorazione della cappella privata della reggia carrarese (od. Accad. patavina di Scienze, Lettere e Arti), databile probabilmente intorno al 1354 (Gasparotto, 1966-1967), quando a Padova arrivò, ospite dei signori da Carrara, l'imperatore Carlo IV di Lussemburgo (1355-1378). Tale decorazione costituisce un nuovo raggiungimento dell'arte di G. in una più compiuta raffinatezza gotica e in una felicità decorativa e narrativa di straordinario effetto. La stretta cappella era decorata alle pareti da affreschi: due fasce con Storie dell'Antico Testamento su una zoccolatura a marmorino con finte archeggiature di forte sapore prospettico, indice di un ulteriore riferimento al modello giottesco. Nella parte superiore, a raccordo tra le pareti e un soffitto ligneo, erano tavole con figure di angeli e nel soffitto, secondo Rossetti (1765), che vide la sala prima della sua pressoché totale distruzione, la Madonna e i quattro evangelisti. Di questo complesso restano ventisette figure di angeli, la Madonna e s. Matteo (Padova, Mus. Civ.); altre tavole con figure angeliche sono in collezioni pubbliche (Arezzo, Mus. Statale di Arte Medioevale e Moderna) e in raccolte private. Il linguaggio di G. mostra nelle tavolette, in particolare nella Madonna con il Bambino, un momento di ulteriore avvicinamento al mondo veneziano e in particolare paolesco, per le tipologie 'bizantine' dei volti piccoli, dai lineamenti sottili, e per la ulteriore raffinatezza della tecnica pittorica, oltre che per l'uso di preziose vesti ricamate d'oro; mentre le figure angeliche, asciutte e nervose come statuette gotiche, avvolte in vesti chiarissime a sfumature luminose, e adorne di lunghe ali variegate, sono rese con una eleganza e una vivezza naturale nei gesti quotidiani, da richiamare la contemporanea pittura bolognese.Più quotidiano e terreno è il clima delle Storie dell'Antico Testamento, in parte ancora conservate sulla parete ovest della sala dell'Accad. patavina, che si srotolano, senza soluzione di continuità, lungo le pareti, con straordinaria vivacità narrativa e un'arguzia affatto moderna nelle espressioni dei volti e nella immediatezza dei gesti; le figurette, asciutte e nervose, si muovono con ritmi di danza contro sfondi spaziosi, siano essi di paesaggi rocciosi o, più spesso, di profonde e articolate architetture, avvolte in vesti dai colori raffinati e chiari, che talvolta propongono elegantissimi costumi alla moda.Probabilmente nel sesto decennio del Trecento o appena agli inizi del settimo si devono scalare le tre bellissime Madonne in trono, conservate la prima a Londra (Courtauld Inst. Gall.), la seconda in coll. privata e la terza a Berlino (Bodemus., Staatl. Mus., Pr. Kulturbesitz). In tutti e tre i casi le figure si impostano su un trono marmoreo ornato di motivi cosmateschi e la figura della Vergine incoronata maestosa e regale è avvolta in un manto di un azzurro luminoso, che ricade con un gioco di falcature morbidissime: raffinate sono le gamme dei colori e finissima l'esecuzione, specie negli ornati e nei veli trasparenti. Sorelle delle elegantissime Madonne di Lorenzo Veneziano, e non lontane da un certo gusto boemo, le tre tavole propongono G. come uno dei più raffinati interpreti del Gotico degli anni centrali del Trecento.Intorno al 1361 G. venne chiamato a Venezia a decorare la tomba del doge Giovanni Dolfin (1280-1361) nella chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo: del complesso restano un motivo a fogliami gotici e piccole, deliziose figurette di Virtù a monocromo, di linguaggio ancor più nervosamente gotico.Di ritorno a Padova, forse con allievi, tra i quali il pittore veneziano Nicoletto Semitecolo, G. affrescò il presbiterio e l'abside della chiesa degli Eremitani: la complessa decorazione, databile entro il 1365, prima del secondo viaggio a Venezia, purtroppo in buona parte distrutta durante la seconda guerra mondiale, presentava nella zona absidale Cristo e gli angeli tra volute vegetali e, nella parte inferiore, i beati. Alle pareti sono grandi riquadri con Storie dei ss. Filippo, Giacomo e Agostino: queste sono impaginate con grande respiro entro architetture ampie e prospettiche, che mostrano un ulteriore sviluppo della problematica spaziale, ove la folla si muove disinvolta e vivace. Tuttavia la parte più nuova e interessante della intera decorazione è data dalle parti per così dire secondarie del ciclo: le piccole storiette dell'Antico Testamento ai lati delle finestre, rese con immediatezza nella sintetica velocità di segno, e soprattutto il basamento a finto marmo monocromo, dove sono rappresentati entro una complessa incorniciatura, in vesti alla moda, i sette pianeti, affiancati ciascuno da un personaggio femminile e uno maschile raffiguranti le sette età dell'uomo; il segno di contorno, particolarmente incisivo e duttile, crea figurette snelle ed eleganti, come un preludio di linguaggio 'cortese'. Nella parte absidale, con un contrasto di sapore altamente drammatico, sono invece, ancora a monocromo, come statue dipinte, figure di Cristo, solo e isolato, nei momenti più crudi della sua passione: tra queste figurazioni vale la pena di ricordare Cristo coronato di spine, avvolto da un mantello che gli copre a metà il volto, un'idea che anticipa le immagini tardogotiche dei pleurants.Un analogo punto di stile, nella incisività della linea arrovellata, nella fattura asciutta e nel colorito spento ma di timbri raffinatissimi, è nella tavola della Madonna con il Bambino a New York (Metropolitan Mus. of Art), ove la figura di tre quarti si staglia contro l'oro dello sfondo, priva di trono e di notazioni ambientali. E ancora nelle due tavolette, parte di uno stesso dittico (Longhi, 1934), conservate l'una a Raleigh (North Carolina Mus. of Art, in deposito a New York, S.H. Kress Foundation), raffigurante la Madonna e quattro santi, e l'altra a Ferrara (Pinacoteca Naz.), con la Crocifissione, caratterizzate da colori bruniti a forti effetti luministici.Sotto il dogado di Marco Cornaro (1365-1368), G. fu chiamato a Venezia per eseguire una delle opere più prestigiose della Repubblica: gli venne commissionato, per la sala del Maggior consiglio in Palazzo Ducale, un ciclo di affreschi con episodi della Storia di Venezia e la rappresentazione del Paradiso; della decorazione, rovinata nell'incendio del 1577, resta un avanzo del Paradiso. Esso traduceva con eleganza gotica e ricchezza tutta veneziana di ornamentazioni d'oro e d'argento una ierofania bizantina, ove Cristo e la Vergine in uno spazioso trono a doppia cuspide sono circondati da angeli e beati, seduti su scranni riccamente ornati, in una grandiosa sinfonia di linee e di colori, serrata e limitata alle estremità dalla concretezza delle due edicole in prospettiva con la raffigurazione dell'Annunciazione.È possibile che dopo questa prova G., già di nuovo presente a Padova nel 1367, lavorasse ancora alla decorazione della reggia carrarese, dove le fonti gli attribuiscono il ciclo con gli Uomini illustri.Altre opere attribuibili a G. sono: un volto di Cristo (Padova, Mus. Bottacin), due crocifissi (Bassano del Grappa, chiesa di S. Francesco; Cambridge, MA, Harvard Univ. Art Mus., Fogg Art Mus.), un Cristo Redentore (South Hadley, MA, Mount Holyoke College Art Mus.), un'Ascensione (Venezia, Fond. Cini), gli affreschi della chiesa dei Domenicani a Bolzano (distrutti nel 1944) e, infine, una Madonna dell'Umiltà (coll. privata).

Bibl.:

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