GUCCI, Guccio

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 60 (2003)

GUCCI, Guccio

Renzo Nelli

Nacque, probabilmente a Firenze, da Dino prima del 1313, come si può desumere dalla data della sua prima elezione fra consoli dell'arte della lana (1343), carica per la quale era richiesta un'età minima di trent'anni.

Appartenne a una famiglia che la tradizione storiografica fiorentina fa discendere da un certo Gennaio, comitatino inurbato proveniente da Montecarelli nel Mugellano - dove sarebbe stato fidelis di un signore locale - che si stabilì a Firenze nella parrocchia di S. Michele Bertelde per esercitarvi il mestiere di fornaio. In realtà, sembrano esservi stati in seguito almeno due rami della stessa famiglia (o, forse, due famiglie diverse): i Gucci Gennai, residenti nel quartiere di S. Giovanni, e i Gucci di Dino (detti anche Gucci Rinieri), ai quali appartenne il G., residenti nel quartiere di S. Maria Novella.

Sposato con Francesca di Lippo Spini, il G. ebbe da lei almeno otto figli: due femmine (Albiera, andata sposa a Iacopo Salviati, e Giovanna, che fu moglie di Maso di Francesco Fioravanti) e sei maschi (Giorgio, Tommaso, Giovanni, Attaviano, Calvano e Dino). La famiglia era fiscalmente residente nel quartiere di S. Maria Novella, "gonfalone" Unicorno, e abitava nel "popolo" di S. Lucia Ognissanti. Il palazzo (che si affacciava con ogni probabilità sull'odierna via Borgo Ognissanti, non lontano dall'attuale incrocio con via dei Fossi) faceva parte di una serie di proprietà contigue nelle quali quasi tutti i figli maschi continuarono ad abitare anche dopo i rispettivi matrimoni.

L'attività lavorativa del G. si svolse interamente nell'ambito dell'arte della lana, della quale fu console per ben otto volte negli anni 1343, 1356, 1361, 1364, 1368, 1374, 1381 e 1385. Se dalla fine degli anni Cinquanta in poi ricoprì la massima carica della corporazione a intervalli abbastanza regolari e ravvicinati, il tempo intercorso tra la prima e la seconda nomina fa pensare che prima di quel periodo il G. non avesse ancora raggiunto una posizione di rilievo all'interno dell'arte e che, probabilmente, non fosse ancora il titolare di una sua compagnia.

Come era prassi comune in quel tempo, dovette prima fare pratica all'estero al servizio di altri lanaioli: infatti nel luglio 1351 lo troviamo a Bruges, dove era incaricato degli acquisti di lana inglese per conto della compagnia di Domenico di Lapo Guidalotti. Negli anni Sessanta era invece titolare in proprio, insieme con altri soci, di una compagnia che possedeva una filiale a Venezia; peraltro, anche in anni difficili per l'economia fiorentina come quelli che vanno dal 1360 al tumulto dei ciompi, la compagnia del G. fu una delle poche a non abbandonare la piazza veneziana, a differenza di altre anche molto più famose, come quella dei Del Bene. Dai primi anni Settanta del Trecento fu titolare, insieme con Bartolomeo di Sandro di Soldo, di una compagnia dell'arte della lana nella quale aveva investito la somma di 4000 fiorini e, sempre in quegli anni, fece parte di quel gruppo di lanaioli fiorentini che, attraverso Venezia e altre città adriatiche, avevano iniziato o ripreso i contatti commerciali con i porti di Levante. Sempre in questo ambito di interessi verso i mercati di Levante si inquadra, nel 1374, la fondazione di una nuova compagnia in società con Stefano di Corsino Corsini, che stabilì una filiale a Cipro per la vendita di panni; anche in questo caso il capitale investito fu probabilmente non inferiore ai 3000-3500 fiorini.

Tutti questi elementi fanno ipotizzare che il G. si elevasse abbastanza chiaramente al di sopra della categoria dei piccoli lanaioli, anche se forse la sua attività non giungeva al livello di quella delle grandi compagnie dell'epoca. Egli risulta comunque aver occupato una posizione di assoluta preminenza all'interno del "convento" di Oltrarno (una delle quattro suddivisioni nelle quali erano stati topograficamente e fiscalmente ripartiti gli immatricolati all'arte della lana), anche se occorre aggiungere che le compagnie più importanti - che lavoravano i panni ottenuti dalla pregiata lana inglese - erano per lo più concentrate nel "convento" di S. Martino.

A fronte di una consistente posizione economica, anche l'attività politica del G. fu di non scarso rilievo e coprì un arco di oltre trenta anni, dal 1355 al 1386. In questo periodo egli fece parte per cinque volte (a intervalli quasi regolari, nel 1357, 1362, 1365, 1368 e 1372) della Signoria, e in una di queste (1368) fu gonfaloniere di Giustizia. Inoltre, fu per sette volte dei Dodici buonuomini (nel 1355, 1360, 1366, 1369, 1374, 1380 e 1386) e per cinque dei Sedici gonfalonieri di Società (nel 1356, 1359, 1364, 1371 e 1376). Il G. fece quindi parte di uno dei tre maggiori organi di governo della Repubblica per ben diciassette dei trentadue anni che vanno dal 1355 al 1386. Inoltre, anche quando non rivestì cariche ufficiali fu spesso chiamato a partecipare alla vita politica prestando la sua opera come inviato e ambasciatore.

Nel 1373, con altri tre concittadini, fu inviato per una ambasceria nella sempre turbolenta Pistoia; nel 1379 i Priori lo mandarono in missione speciale presso Giovanni Acuto (John Hawkwood) e nell'agosto 1380 fu scelto fra gli ambasciatori che dovevano recarsi da Carlo d'Angiò Durazzo, il futuro re di Napoli (Carlo III). In seguito, nell'aprile del 1382, fu inviato ad Arezzo, in sostituzione di un tal Spinello della Camera, per concludere un accordo con le compagnie di ventura che in quel tempo stavano infestando il territorio aretino, minacciando anche la sicurezza di Firenze. A riprova della delicatezza e dell'importanza di quest'ultima missione, suo compagno in quella circostanza fu uno dei più noti e influenti uomini politici della Firenze di allora: Guido di messer Tommaso di Neri Del Palagio.

Il G. raggiunse il culmine della sua carriera politica allorquando (1376) fu chiamato a far parte di quella particolare magistratura degli Otto di guerra che ebbe l'incarico di condurre le operazioni belliche e diplomatiche durante la guerra tra Firenze e il Papato, i membri della quale dovevano poi passare alla storia con il nome di Otto santi.

Tale appellativo, coniato dagli stessi contemporanei, veniva interpretato in termini elogiativi o sarcastici, a seconda delle diverse posizioni politiche; tuttavia, anche la storiografia moderna tende, in genere, a dare un giudizio positivo sulla dimensione etica di questi personaggi. Becker, per esempio, parla di novicives come Giovanni Dini e, appunto, il G. "who demonstrated that they preferred the safety of their country to the salvation of their own souls", e tende a sottolineare che "for their eroic efforts, both suffered excommunication at the hands of the Church and abuse from the Parte".

In effetti, oltre ai danni morali conseguenti all'interdetto papale, molti fiorentini dovettero sopportare notevoli rovesci economici, dovuti al fatto che le loro merci giacenti in città sottoposte al Papato - o, comunque, desiderose di non inimicarselo - furono poste sotto sequestro o addirittura confiscate. Lo stesso G., sul finire dell'estate 1376, si vide sequestrare nel porto di Ancona un ingente quantitativo di balle di cotone, valutate la rilevante cifra di 6600 fiorini d'oro, e i suoi sforzi per rientrarne in possesso risultarono vani.

Tuttavia, a fronte di queste perdite economiche, gli Otto godettero di notevole fama e prestigio; già nell'aprile 1376 venne emanata una provvisione nella quale si parlava esplicitamente dei grandi servigi resi al Comune dagli Otto di guerra e, oltre a ricompensarli con vari e preziosi doni, si stabiliva che essi e i loro discendenti per linea maschile avessero diritto a portare sul proprio stemma la parola Libertas. Inoltre, fu loro chiesto se accettavano di essere nominati cavalieri dalle autorità comunali. È più che probabile che gli Otto non abbiano accettato la dignità cavalleresca, dal momento che furono armati cavalieri due anni dopo, durante il tumulto dei ciompi, ed è significativo che i ciompi stessi, nella loro frenesia di creare nuovi cavalieri - con l'evidente scopo di legittimare, attraverso simili atti, la propria autorità - abbiano immediatamente pensato al G. e ai suoi colleghi come ai soggetti più degni di essere insigniti di tale dignità; la loro fama era, evidentemente, ancora assai grande e ben viva.

A partire dal 1386, anno in cui risulta far parte per l'ultima volta dei Dodici buonuomini, non si hanno più notizie del G., né sul fronte della vita politica né su quello degli affari e dell'attività economica, ma occorre considerare che egli aveva, all'epoca, sicuramente più di settant'anni (anzi, probabilmente si avviava verso gli ottanta); non è quindi improbabile che si fosse ritirato a vita privata, lasciando ai figli e ai nipoti anche la cura dell'azienda.

Il G. morì probabilmente all'inizio dell'autunno del 1392, forse non molto tempo prima della morte violenta del figlio maggiore Giorgio, ucciso nella notte tra il 19 e il 20 ottobre dello stesso anno.

Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Firenze, Catasto, 40, cc. 445r, 449; Lana, 20, cc. 2r, 92v; 32, cc. 9r, 13r, 14v, 15v, 16v, 18v, 20v, 22r; Manoscritti, 251: Priorista Mariani, c. 820r; 266: A.M. Biscioni, Gli Dodici buonomini e gli Sedici gonfalonieri delle compagnie del popolo, cc. 16v-17r, 26v-27r; Notarile antecosimiano, 20698 (Ugolino di Pieruzzo), cc. n.n., 18 luglio 1393; Provvisioni, 65, c. 18v; Tribunale di mercanzia, nn. 1137, 6 apr. 1361; 1146, 8 sett. 1365; 1156, 12, 21 e 26 marzo e 29 apr. 1370; 1175, 15 febbr. 1377; 1176, 9 giugno 1378; Tratte, 393, cc. 58, 62, 64, 66, 69; Marchionne di Coppo Stefani, Cronaca fiorentina, a cura di N. Rodolico, in Rer. Ital. Script., 2ª ed., XXX, 1, pp. 353, 378; Naddo da Montecatini, Memorie storiche, in Delizie degli eruditi toscani, XVIII (1784), p. 57; Diario di anonimo fiorentino dall'anno 1358 al 1389, in Cronache dei secoli XIII e XIV, a cura di A. Gherardi, Firenze 1876, pp. 302 s., 441; E. Gamurrini, Istoria genealogica delle famiglie nobili toscane e umbre, IV, Firenze 1679, p. 167; G. Salvemini, La dignità cavalleresca nel Comune di Firenze, Firenze 1896, p. 117; G.A. Brucker, Florentine politics and society (1343-1378), Princeton 1962, pp. 42, 299, 314; M.B. Becker, Florence in transition, II, Baltimore 1968, p. 139; R.C. Trexler, The spiritual power. Republican Florence under interdict, Leiden 1974, p. 91.

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