CAMINO, Guecellone da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 17 (1974)

CAMINO, Guecellone da

Josef Riedmann

Quinto di questo nome, figlio di Biaquino (I), il capostipite del ramo "di sotto" della grande famiglia feudale trevigiana, nacque intorno al 1208, ignoriamo, per il silenzio delle fonti a noi note, il nome della madre.

Biaquino (I), che aveva intrapreso un viaggio in Terrasanta dopo il 1220, morì in Palestina lasciando, oltre al C., anche un altro figlio, Tolberto (II): poiché erano ambedue ancora minori, si assunse la loro tutela, secondo la volontà dello stesso Biaquino, un parente di quest'ultimo, Tolberto (I). La posizione di rilievo che Tolberto aveva a Treviso, dove era giudice, non venne tuttavia assunta in un secondo tempo dai suoi pupilli, perché i Caminesi furono costretti a lasciare la città verso il 1227-28.

Quando Ezzelino da Romano, bandito da Verona, si stabilì a Treviso e aprì le ostilità contro il vescovo di Feltre e Belluno, contro i Padovani e contro il patriarca Bertoldo di Aquileia, i Caminesi - sembra che il C. fosse già allora l'esponente più attivo della famiglia - si schierarono dalla parte dei nemici del futuro tiranno. Questa presa di posizione, tuttavia, ebbe come conseguenza la perdita dell'importante castello di Oderzo che venne occupato da Ezzelino. L'opposizione ai da Romano comportava necessariamente una intesa dei Caminesi con i sostenitori della Chiesa e con i liberi Comuni. Una alleanza di queste forze, nella quale entrarono, accanto ai Caminesi, il conte di San Bonifacio, il marchese d'Este e le città di Padova e di Conegliano, inflisse una terribile sconfitta il 27 luglio 1232 ai Trevigiani guidati da Alberico da Romano. Ma la tragica uccisione - in cui fu coinvolto anche il C. - di Marino Dandolo, assassinato nella primavera del 1233 presso Mestre, provocò grande rumore, suscitando nuove difficoltà per i Caminesi, poiché il Dandolo era stato podestà di Treviso e candidato al dogato di Venezia. Il delitto dovette avere motivazioni politiche.

Treviso inasprì le misure contro il C., che era indicato come il mandante dell'assassinio, e contro gli altri membri della famiglia: confiscò tutti i beni della casata nel territorio di Treviso ed esiliò a vita Guecellone. Contro di lui si pronunziarono anche le autorità ecclesiastiche, mentre Venezia e il figlio dell'ucciso facevano pressioni a Treviso per una severa punizione del colpevole e degli altri membri della sua famiglia. Il C. e suo cugino Biaquino (II) - che ora viene menzionato come operante da solo - trovarono appoggio nell'alleanza delle città di Conegliano, di Ceneda, e di Padova, ora ampliatasi con l'adesione del vescovo di Ceneda, Alberto, del patriarca di Aquileia, Bertoldo, e della città di Vicenza. Apparentemente come indennizzo per la perdita della loro posizione a Treviso, il C., suo fratello, Tolberto (II), e Biaquino (II), ottennero la cittadinanza di Padova e di Conegliano. Il C. svolse, insieme con Biaquino, un ruolo decisivo nei successivi conflitti tra la lega da una parte e i Trevigiani, i Veronesi, i da Romano e il conte di Vicenza dall'altra. L'arbitrato di frate Giovanni da Vicenza, cui anche i Caminesi avevano promesso di sottomettersi, non portò la sperata pace nella Marca trevigiana. Nell'agosto del 1233 il C. si trovava probabilmente a Paquara, presso Verona, davanti al grande predicatore, quando fu reso di pubblica ragione l'arbitrato di quest'ultimo, che ordinava ai Camino, a Conegliano e a Ceneda di staccarsi dalla lega e imponeva la loro subordinaziorie a Treviso. Secondo l'arbitrato, inoltre, tutte le proprietà e i diritti dei Caminesi nel territorio di Conegliano dovevano essere ceduti a Treviso dietro un risarcimento in denaro. Fu tuttavia imposto alla città di trattar bene quella famiglia, mentre rimaneva valida la sentenza emessa sull'assassinio di Marino Dandolo dal vescovo Guglielmo di Modena e dal priore Giordano di S. Benedetto di Padova.

L'immediata reazione generale contro la decisione del domenicano fece naufragare rapidamente la progettata opera di pacificazione, ed i conflitti armati ripresero con nuovo vigore. I Trevigiani, sostenuti dai da Romano, ebbero la meglio sui Caminesi alleati ai Padovani. Il conflitto sembrava già deciso in favore dei primi quando Ezzelino riuscì ad occupare il castello di Camino, e a far prigioniero e a condurre a Treviso Guecellone. Tuttavia la rivolta contro Ezzelino in questa città, forse attizzata dai Caminesi, portò al C. una insperata libertà e cambiò sostanzialmente la situazione politica nella Marca. Si giunse all'accordo di San Martino di Lupari dell'11 sett. 1235 tra Treviso e Padova che, sulla base della prima sentenza di Giovanni da Vicenza, incluse anche i Caminesi. Il C. fu quindi obbligato a sottomettersi di nuovo a Treviso; la città, tuttavia, che si era liberata dalla signoria di Ezzelino e si era ora schierata nel campo guelfo, accordò presto all'antico sbandito onorevoli cariche pubbliche. Sembra che sia stato solo temporaneo, nel novembre del 1236, il riavvicinamento del C. all'imperatore Federico II, alla cui corte in Padova risulta presente, nella primavera del 1239, con il cugino Biaquino.

Una nuova svolta produsse il distacco di Alberico da Romano dasuo fratello e dalla politica filoimperiale. Quando, il 14 maggio 1239, Alberico s'impadronì di sorpresa di Treviso, i Caminesi furono i suoi più importanti alleati. Insieme con Alberico il C. fu podestà di Treviso negli anni 1240-41. Come anima di una nuova lega guelfa essi opposero una vittoriosa resistenza agli attacchi di Ezzelino. Gregorio IX sollecitò due volte il C. e Biaquino - così come pure Alberico da Romano - a partecipare a un concilio ecumenico che si sarebbe dovuto riunire a Roma nel marzo del 1241. Il C. ottenne anche la conferma da parte del papa dei feudi della Chiesa di Belluno, tra cui i castelli di Oderzo e Fregona. Inoltre egli disponeva, insieme con gli altri membri della casata di ricchi possedimenti e feudi nel comitato di Ceneda, come anche di feudi di cui i Caminesi erano stati investiti dalla Chiesa di Aquileia. Ereditò poi metà del patrimonio dello zio Gabriele, morto senza figli.

Col C. e con suo cugino Biaquino (II) si giunse alla divisione definitiva della famiglia in due rami: insieme con il fratello Tolberto (II) il C. fu il capostipite dei Caminesi "di sotto", signori del contado di Ceneda inferiore, comprendente i borghi di Camino, Castelnuovo, Credazzo, Motta, Cessalto e Oderzo.

Ancora relativamente giovane - allora doveva essere sui trentacinque anni - il C. fece testamento a Chioggia, dove si era recato su incarico di Alberico da Romano il 14 ott. 1242. Lasciò legati alle tre figlie Aica, Tommasina e Agnese e alla moglie Aczola e nominò eredi i figli Biaquino (III) e Rizzardo. Dovette morire poco tempo dopo e fu sepolto a Folina.

Fonti e Bibl.: J. F. Böhmer, Regesta Imperii, V, Innsbruck 1901, nn. 13172a, 13285a, 13330, 13371, 13376, 13378; G. B. Picotti, I Caminesi e la loro signoria in Treviso dal 1283 al 1312, Livorno 1905, pp. 47 ss. (con ulteriori indicazioni sulle fonti e la bibliografia); G. Biscaro, Ifalsi documenti del vescovo di Ceneda Francesco Ramponi, in Bull. dell'Ist. stor. ital. ... e archivio muratoriano, XLIII (1925), pp. 93-178 (particolarmente pp. 126 ss.).

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