TRENT'ANNI, GUERRA DEI

Enciclopedia Italiana (1937)

TRENT'ANNI, GUERRA DEI

Romolo Quazza

. La serie grandiosa di avvenimenti, che si suole indicare col nome di guerra dei Trent'anni (1618-48), è risultato di fattori molteplici, la cui formazione deve essere ricercata molto prima della data scelta per inclicare l'inizio del conflitto. I precedenti - complesso di cause di ordine spirituale, economico, dinastico - risalgono lontano. Ricordarli è necessario per intendere meglio i complicati elementi, che s'intersecheranno via via nell'azione.

La pace religiosa di Augusta (25 settembre 1555), riconoscimento ufficiale del luteranesimo, stabilì in linea di diritto la tolleranza religiosa, ma la subordinò al concetto di religione di stato; assicurò agli aderenti alla confessione augustana i beni ecclesiastici che possedevano, ma per la clausola del Reservatum ecclesiasticum impose la perdita dei beni e delle dignità a quei signori feudali ecclesiastici, membri dell'impero, che abbandonassero in seguito la vecchia religione. In complesso la pace d'Augusta determinava una situazione densa d'incognite per l'avvenire, lasciava adito a un pericoloso e frequente spostamento della proprietà e quindi a gravi ripercussioni economiche; poteva produrre sensibilissimi mutamenti per l'emigrazione dei sudditi che non intendevano seguire la religione del principe; consentiva il più acceso proselitismo tanto in senso cattolico quanto in senso protestante, e permetteva che ai moventi spirituali si intrecciassero quelli materiali. Conseguenza generale della pace di Augusta fu pertanto una preoccupante instabilità, poiché ad ogni successione di sovrani laici, ad ogni vacanza di seggio nei principati ecclesiastici e nelle ricche abbazie, si ebbe spesso guerra, per la quale ogni partito si rivolgeva agli amici di fuori, come nella guerra d'Aquisgrana, di Colonia, nella successione vescovile di Strasburgo. Avvenne perciò la più completa sovrapposizione di elementi politici e religiosi, per cui i cattolici reclamavano i beni perduti, sempre rimettendo in causa le decisioni del 1555 e gli evangelici rifiutavano di sottomettersi ai decreti della camera imperiale e facevano dipendere da concessioni in materia religiosa gli aiuti richiesti dall'imperatore contro la minaccia turca. Lo sviluppo raggiunto da alcuni degli stati germanici nel corso del secolo XVI rese di particolare gravità il loro atteggiamento in confronto degli Asburgo, aspiranti a conservare la corona imperiale e sostenuti dal papato, quantunque giudicati spesso troppo tolleranti in materia religiosa.

Il contegno di Massimiliano II aveva infatti facilitata la penetrazione del protestantesimo nella borghesia e nella nobiltà; le ineguaglianze del carattere di Rodolfo II favorirono gli urti fra cattolici e protestanti: a queste cause s'intrecciò la sorte delle penose lotte dinastiche. Nondimeno mantenere la successione nella casa asburgica parve l'unica salvaguardia dall'elezione di un imperatore protestante. Il disfacimento del sacro romano impero germanico si accelerò, quando il fattore puramente politico intervenne con tutto il suo peso, portando nel teatro della lotta l'azione della Francia, manifestatasi con modi e mezzi diversi, ma sempre in qualche forma presente, ispiratrice o attrice, da Vervins in poi: sostenitrice della nascente forza dell'Olanda; istigatrice in Transilvania; accorta sobillatrice della Baviera; fautrice dell'ingresso nella mischia delle milizie scandinave; pronta a suscitare ovunque vampate nazionalistiche (Boemia, Polonia, Catalogna, Portogallo); antagonista diretta in Italia; vigile per oltre mezzo secolo, tranne nel periodo della reggenza di Maria de' Medici, a cogliere ogni occasione per indebolire la casa d'Asburgo.

Nell'impero diviso in due parti, cattolica e luterana, si aggiunse, infiltrandosi a poco a poco, un terzo elemento: il calvinismo, prima malvisto dagli altri protestanti, ma ben presto alleato. Nel concludere con gl'insorti ungheresi la pace di Vienna (23 giugno 1606) l'arciduca Mattia, incaricato delle trattative, alla fine concesse loro, pur senza nominarlo, libero esercizio del calvinismo. Nella dieta di Ratisbona del 1607 le questioni religiose proruppero violente: l'esecuzione del bando imperiale contro la città di Donauwörth (esecutore Massimiliano di Baviera) avendo fatto sospettare l'esistenza di vasti preparativi contro gli eiangelici, cancellò i dissidî esistenti tra gli stati luterani dell'impero e i calvinisti del Palatinato. La ribellione di Mattia incoraggiò il partito palatino, che alla fine d'aprile del 1608 si ritirò dalla dieta. Così l'ultimo organo vitale dell'impero veniva ad essere scosso e rotta ogni unità.

Il 15 e 16 maggio 1608 in Ahausen, villaggio dell'Ansbach, fu conclusa un'alleanza, col nome di Unione, tra l'elettore palatino, il Palatinato di Neuburg, il Württemberg, Baden-Durlach, Brandeburgo-Ansbach, Kulmbach. L'Unione invocò l'aiuto dell'Inghilterra, delle Provincie Unite. e della Francia. Oltre alla fede, essa intendeva naturalmente difendere i beni posseduti. Analogamente, negli stati ereditarî della casa d'Austria, alcune centinaia di nobili, unendo allo scopo religioso l'aspirazione a formare repubbliche oligarchiche, iniziavano una loro organizzazione, mettendosi in contatto col partito antiasburgico, specialmente col palatino Federico IV e con Cristiano d'Anhalt-Bernberg. La lotta fra i membri della casa d'Asburgo dava incremento alle loro speranze. Mattia, incoronato re d'Ungheria (19 novembre 1608) cedette presto alle insistenti domande di libertà religiosa; Rodolfo, minacciato di aperta ribellione dagli stati boemi, il 9 luglio 1609 con la Lettera di maestà, permise la confessione boema, elaborata nel 1575, misto di dottrine ussitiche, calviniste e luterane; estese poi la concessione agli Slesiani. Nei paesi austriaci solo l'arciduca Ferdinando manteneva ancora l'unità della fede. Come contraccolpo si ebbe allora nell'impero la formazione di un'alleanza difensiva cattolica, da tempo ventilata, ma sempre procrastinata per le gelosie tra Baviera e Austria e per l'esitazione dei principi ecclesiastici. La firma della Lega avvenne a Monaco il 10 giugno 1609 (aderenti Baviera, Würzburg, Costanza, Augusta, Ratisbona, Passavia, Strasburgo, Ellwangen, Kempten). I tre elettori di Magonza, Colonia e Treviri, vinti i dubbî che li agitavano per l'esclusione dell'Austria, vi accedettero il 30 agosto 1609 sotto l'incalzante pericolo della successione dello Jülich-Clèves. Questo territorio ambito dagli Spagnoli, passando sotto la loro influenza, avrebbe accresciuto pericolosamente per la Francia la potenza asburgica, di cui Enrico IV sognava l'isolamento. L'intervento nello Jülich entrava pertanto nel piano dell'azione ideata dal Cristianissimo, cui si appoggiò l'Unione, mentre la Lega doveva far capo alla Spagna e al papa. Però l'esclusione dell'Austria intimoriva tanto Paolo V quanto Filippo III; l'iniziativa, invece, di Enrico IV appariva vasta e risoluta; e si esplicò nella Svizzera, nelle Provincie Unite, nell'alleanza con l'Unione per la questione dello Jülich e presso Carlo Emanuele I di Savoia. L'uccisione del re di Francia (14 maggio 1610) capovolse per il momento la situazione, spezzando il congegno, che stava per mettersi in moto. Il 24 ottobre 1610 un compromesso tra l'Unione e la Lega stabilì che le due parti deponessero le armi.

Nuove lotte avvenivano intanto, con serie di trattati e di rotture, tra Rodolfo II e Mattia. Questo, fatto re di Boemia, fu, dopo la morte di Rodolfo II, eletto imperatore (13 giugno 1613). Melchiorre Klesl, suo consigliere, tentò di ristabilire l'autorità imperiale con concessioni ai protestanti e con l'attrarre la Lega nell'orbita austriaca. Invece nella dieta di Ratisbona del 1613, il partito palatino-calvinistico, forte dell'alleanza inglese e olandese, tenne contegno provocante. L'elezione dell'arciduca Ferdinando a re di Boemia (incoronato il 19 giugno 1617) accrebbe l'irritazione di Federico V. Mentre egli e l'Unione si adoperavano contro la designazione dell'Asburgo a imperatore, sorse la causa occasionale del conflitto.

Periodo boemo-palatino-valtellinico. - La politica degli Asburgo, tollerante in materia religiosa nei paesi imperiali, tendeva invece a limitare l'espansione protestante nei paesi ereditarî e nella Boemia. Quivi la resistenza cattolica rinfocolava l'ardore degli avversarî, sorretti dal partito nobiliare, guidato dal conte Enrico Mattia di Thurn e dal partito calvinista dell'impero, ambedue antiasburgici. L'oscurità delle leggi religiose di Rodolfo II offrì l'occasione dell'urto. Alla fine del 1617 e al principio del 1618 alcune questioni, da sei anni pendenti, circa la costruzione di chiese protestanti a Braunau e a Klostergrab furono risolte negativamente dal governo e dall'arcivescovo di Praga. I capi protestanti giudicarono opportuna la circostanza per trascinare gli stati a rivolta aperta. Il 23 maggio 1618 si ebbe l'episodio (defenestrazione di Praga), nel quale i luogotenenti cattolici dell'imperatore Mattia, Martinitz e Slavata, col segretario Fabricius furono precipitati dalle finestre del castello di Hradčany. I ribelli ebbero immediato aiuto dai protestanti di Slesia e d'Austria e da Federico V, che sperò prossimo il crollo degli Asburgo, e, con l'Unione, cercò appoggio al difuori. Ma l'Inghilterra e la Francia restarono neutrali. Gli stati generali d'Olanda non poterono agire da soli e limitata efficacia aveva l'adesione di Carlo Emanuele I di Savoia. Sebbene, morto Mattia (20 marzo 1619), la ribellione si facesse ancor più violenta, tuttavia la fase vittoriosa, culminante nell'avanzata del Thurn fino a Vienna, si arrestò presto. Con truppe raccolte da ogni parte - alcune ne guidava il Bucquoy - la città fu fortemente difesa. Il Thurn dovette retrocedere verso la Boemia, mentre Ferdinando, convocata a Francoforte la dieta elettorale, veniva eletto imperatore (28 agosto 1619).

Contemporanea fu la deposizione di Ferdinando dal trono boemo, decretata dagli stati di Boemia, Slesia, Moravia. In suo luogo fu incoronato Federico V del Palatinato (4 novembre 1619). I protestanti dell'Ungheria superiore si accordarono con Bethlen Gabor, che, fidando nei Turchi e nei protestanti austriaci, si avanzò a sua volta contro Vienna. Ma furono questi, in sostanza, i soli veri aiuti che ebbe il palatino "re d'inverno". Contro di lui si organizzava invece, una vasta azione: Massimiliano, risoltosi ad appoggiare l'imperatore, ebbe da questo il comando della Lega ricostituita e la promessa verbale dell'Elettorato al posto del Palatino. La Spagna mandò truppe attraverso il Tirolo; contro Bethlen fu istigata la Polonia. Nelle adunanze tenute a Würzburg (dicembre 1619; febbraio-marzo 1620) la Lega deliberò i mezzi dell'azione. Riuscì l'abile tentativo di separare dall'Unione l'elettore di Sassonia, attirato dalla concessione della Lusazia in pegno e da promesse tranquillanti circa i beni ecclesiastici incamerati. E mentre Federico V, ignaro della lingua e dei costumi boemi, disgustava i nuovi sudditi, il duca di Baviera, favorito dalla diplomazia francese - fu mandata in Germania un'ambasciata guidata dal duca d'Angoulême - poté staccare interamente dal palatino l'Unione (trattato di Ulma, 3 luglio 1620). Vinti e ridotti a prestare omaggio i ribelli dell'Austria superiore, egli penetrò nella Boemia con un esercito, nel quale erano numerosi i gesuiti, cappuccini, carmelitani incitanti appassionatamente alla crociata antieretiea. L'8 novembre 1620, a ovest di Praga, alla Montagna Bianca, una battaglia durata meno di un'ora segnò la rotta completa degl'insorti, seguita dalla fuga del Palatino e dalla fine del suo effimero regno. La repressione fu sanguinosa, con molte esecuzioni capitali, confische di beni, rovina completa della vecchia nobiltà e radicale soppressione dei vecchi privilegi della costituzione boema.

Massimiliano avanzò poi vittorioso nel Palatinato superiore, dominio ereditario di Federico; e dopo la conquista di Cham (6 settembre 1621) inseguì nel Palatinato Renano il Mansfeld, uno dei condottieri, che, al pari del duca Cristiano di Braunschweig-Wolfenbüttel e del calvinista margravio Giorgio Federico di Baden-Durlach, univano al servizio di Federico personali moventi. Nel novero dei grandi generali, per merito dei quali l'arte della guerra fece allora grandi progressi, l'altro campo mntava Ambrogio Spinola, che, scaduta la tregua duodecennale con le Provincie Unite, assediò Bergen op Zoom, dopo aver battuto il Mansfeld a Fleurs; e il Tilly, che il 6 maggio 1622 riportò presso Heilbronn completa vittoria sul margravio di Baden; il 20 giugno sul duca di Brunswick a Höchst sul Meno; il 19 settembre costrinse alla resa Heidelberg (dove fu preda di guerra la celebre biblioteca, poi donata a Gregorio XV) e i primi di novembre Mannheim.

Nuovi indizî apparivano intanto a rivelare l'estendersi rapido e il profondo significato del conflitto. L'Olivares, pur disponendo che nel teatro del Reno Inferiore si compissero vigorosi sforzi per attenuare le conseguenze della campagna del Mansfeld sull'Ems e della vittoria navale degli Olandesi a Dunkerque, non perdeva di vista altri campi.

Era sorta infatti un'altra questione, quella della Valtellina. Colà gli attriti religiosi, sfociati nel Sacro Macello, avevano offerto agl'intrighi politici largo campo e pronta occasione d'intervento al governatore di Milano, duca di Feria. La Francia non avrebbe potuto a lungo tollerare che in possesso della latente avversaria fosse quel corridoio grigione-valtellinico, che faceva rinascere nella mente dell'Olivares il sogno di una Lotaringia spagnola. Il persistente pericolo interno ugonotto aveva consigliato dapprima anche al governo francese le vie diplomatiche, vivamente caldeggiate da Gregorio XV (trattato di Madrid, 25 aprile 1621). Tuttavia l'Olivares, istigando i varî partiti, in modo da giustificare l'intervento del Feria e dell'arciduca Leopoldo, ottenne che per il trattato di Milano (gennaio 1622) i Grigioni rinunciassero alla Valtellina, i passi rimanessero aperti alla Spagna, la Valle di Monastero, la Bassa Engadina, Davos e Prättigau passassero sotto la signoria austriaca. Ma in Francia la difesa diplomatica si andava organizzando, come dimostrarono la pace di Montpellier (18 ottobre 1622), conclusa con gli Ugonotti, il riavvicinamento tra Baviera e Francia col trattato del 1622 e la preparazione della Lega franco-veneto-savoiarda (firmata poi il 7 febbraio 1623). Il papa, per evitare il conflitto tra le due potenze cattoliche, si assunse il peso di ricevere in deposito i forti della Valtellina (14 febbraio 1623); nel tempo stesso si adoperò per procurare a Massimiliano di Baviera la concessione della dignità elettorale. L'idea raccoglieva limitato favore negli altri elettori, o per ragioni di parentela col palatino o per ragioni religiose, e nella Spagna, la quale temeva che, irritato, Giacomo I, suocero di Federico V, desse agli Olandesi quegli aiuti vigorosi, che essa si sforzava di evitare, anche a costo di promettere il ristabilimento dello statu quo ante in Germania. L'opera del cappuccino Giacinto Natta di Casale, le vittorie di Massimiliano nel Palatinato valsero a ottenere dapprima un'investitura segreta (22 settembre 1621), poscia da parte della dieta di Ratisbona il conferimento solenne della dignità elettorale (25 febbraio 1623), limitata però alla persona di Massimiliano, vita natural durante. Poco prima Bethlen Gabor aveva conchiusa con l'imperatore la pace di Nikolsburg; e la presa di Glatz (25 ottobre 1622) aveva segnata la fine dell'insurrezione nei paesi austriaci.

Gli accordi intervenuti non recarono seco un'atmosfera di pace. Il fondamentale carattere della lotta - predominio in Europa o agli Asburgo o alla Francia - si fece sempre più evidente. Continuarono nel 1624 le sovvenzioni francesi ai condottieri, che avevano servito il palatino, e agli Olandesi; fu chiesto ad Urbano VIII di consegnare la Valtellina ai Grigioni; e avendo egli rifiutato, fu ordinata la campagna del Coeuvres; e si condussero in porto i negoziati per il matrimonio anglo-francese. La presenza del Richelieu nel consiglio reale spiega la nuova politica francese. Sebbene il cardinale non avesse ancora un piano definito e neppure piena libertà d'iniziativa, tuttavia aveva chiara l'idea della necessità di allentare la pressione spagnola, pur evitando d'impegnare prematuramente la Francia in un conflitto. Infatti il sistema da lui adottato per un periodo di tempo abbastanza lungo s'imperniò, oltre che nella lotta diplomatica, nello spingere all'azione militare altri stati, dando loro mezzi finanziarî e cooperazione di truppe e comandi francesi.

La rivolta del Soubise (gennaio 1625) dimostrò al Richelieu la necessità di risolvere il problema interno, prima d'impegnarsi a fondo al di fuori. Rifiutò quindi l'alleanza offensiva offerta dall'Inghilterra; ma, se la guerra fu sospesa in Valtellina, il Richelieu consentì che si effettuasse una parte del piano contemplato dalla Lega franco-veneto-savoiarda, che, utilizzando principalmente l'ardore bellicoso di Carlo Emanuele, con il sussidio delle forze francesi del Lesdiguières, mirava a colpire in Genova la Spagna. La conquista spagnola di Breda (25 maggio 1625), la contemporanea pace austro-turca sulle frontiere ungheresi, la sconfitta navale inflitta dalla Spagna agl'Inglesi (Cadice, ottobre-novembre 1625), il fallimento dell'azione contro Genova gli fecero sentire sempre più viva la necessità della lotta antiasburgica. Nondimeno, combattuto violentemente all'interno, pur sapendo approfittare della sconfitta toccata al Soubise presso l'Isola di Ré (15 settembre 1625) e dell'abbandono dell'assedio di Verrua imposto agli Spagnoli dal valore piemontese, si piegò a concedere momentaneo trionfo alla fazione ispanofila di Francia, capeggiata dalla regina madre, Maria de' Medici, e dal Bérulle, e lasciò che si firmasse la pace di Monçon (5 marzo 1626) tra Francia e Spagna. Essa ristabiliva la situazione del 1617, annullando ogni speciale concessione di passaggio alpino agli Spagnoli. Quest'ultimo punto era, nella sostanza, quello che importava veramente al governo di Luigi XIII; lo ripagava della perdita temporanea dell'amicizia del duca di Savoia, irritato dell'improvviso abbandono, e gli permetteva di rinsaldare la situazione interna per poter arrestare il trionfo minaccioso delle fortune asburgiche nel territorio dell'impero.

Periodo danese. - I principi protestanti della Germania, minacciati della perdita dei beni secolarizzati, che da tanto tempo ormai possedevano, rovinati dalle contribuzioni e dal passaggio degli eserciti, avevano cercato un aiuto nelle due potenze non cattoliche dell'Europa settentrionale: Danimarca e Svezia. Sennonché tra queste esistevano rivalità gravi per la questione degli stretti e il predominio commerciale e militare nel Baltico. Nel timore di essere prevenuto dall'emulo, e avendo il vantaggio di far parte come duca di Holstein del circolo di Sassonia e di non aver quindi bisogno di pegni territoriali in Germania, Cristiano IV di Danimarca fu il primo a rispondere all'appello.

Il piano, che doveva svilupparsi nel 1625, con la collaborazione dell'Olanda, dell'Inghilterra, della Francia, del re di Danimarca e di Bethlen Gabor, si trovò al momento dell'attuazione mutilato in molte delle sue parti per le condizioni interne della Francia, per la perdita di Breda, subita dagli Olandesi, per la pace conclusa da Bethlen con l'imperatore (8 maggio 1624), per il raffreddamento tra Francia e Inghilterra. Perciò mancavano aiuti decisivi a Cristiano IV, quando nel maggio 1625 entrò nel circolo della Bassa Sassonia. Poteva contare solo sugli eserciti condotti da lui stesso, dal duca Giov. Ernesto di Weimar, che occupò la diocesi di Osnabrück, dal Mansfeld e da Cristiano di Halberstadt. Contro di essi stava il Tilly, il cui esercito per la sua gravosa permanenza in Sassonia era stato una delle cause dell'appello al re danese. L'imperatore, per non dipendere nell'azione militare esclusivamente da Massimiliano di Baviera, capo della Lega, affidò al Wallenstein la formazione di un suo proprio esercito. Gli attriti e le disparità di vedute tra i due capi furono frequentissimi. L'azione del Tilly si volse direttamente contro Cristiano; quella del Wallenstein contro il Mansfeld, cui si andava riavvicinando Bethlen Gabor, solito a esibirsi al maggior offerente. Vinto al ponte di Dessau sull'Elba il 25 aprile 1626, il Mansfeld si diresse verso la Slesia e la Moldavia a raggiungere Bethlen; ambedue subirono uno scontro sfortunato a Neuhäusel (30 settembre 1626); ad esso tenne dietro la morte in Bosnia del Mansfeld. Quasi contemporaneamente moriva il duca di Weimar, e poco prima (giugno) era mancato Cristiano di Halberstadt. La scomparsa dei tre condottieri, la sconfitta completa subita da Cristiano IV per opera del Tilly a Lutter sul Baremberg (27 agosto 1626) sembrarono significare rovina definitiva del partito protestante in Germania. Le truppe imperiali e quelle della Lega si spinsero fino al Baltico e al Mare del Nord. La potenza del Wallenstein raggiunse l'apogeo, ma si esplicò con tale sistema di violenza e di sfruttamento dei paesi, per cui passavano gli eserciti, da suscitare l'ostilità profonda di tutti gli stati facenti parte dell'impero. Nel luglio 1627 l'esercito danese in Slesia fu distrutto dagl'imperiali. Il declinare della fortuna staccò da Cristiano la maggior parte degli alleati tedeschi. Egli si rifugiò nelle isole; ma il timore di vedere l'azione del Wallenstein e del Tilly spingersi al punto da minacciare l'esistenza stessa della dinastia regnante in Danimarca, destò nei Danesi il desiderio di sostenere il loro re. E Cristiano IV, con azioni dannose al commercio lungo le coste del Baltico, continuò la resistenza. Ma intanto un'altra questione sorgeva, poiché in seguito alle grandi vittorie militari ingigantivano le speranze del partito cattolico.

Fin dal 1623-24 in tutto l'impero si era avuto un movimento notevole per ottenere con processi la restituzione di conventi e di fondazioni cattoliche soppresse o usurpate. Arrestato dalla guerra, il movimento riprese poi intenso. Si fece strada l'idea dell'opportunità di una decisione di carattere generale. La dieta tenuta dagli elettori a Mülhausen (18 ottobre 1627) trattò la cosa, in favore della quale premevano il nunzio Carafa, il confessore di Ferdinando II (padre Lamormaini) e il Wallenstein. Col riacquisto dei vescovati settentrionali, l'imperatore avrebbe avuto modo di provvedere al figlio minore, arciduca Leopoldo; sarebbe stato accresciuto il numero dei voti ecclesiastici alla dieta dell'impero; si sarebbe facilitata la sognata egemonia asburgica sui mari del Nord. Le difficoltà della formulazione giuridica, l'antagonismo tra la casa d'Asburgo e quella di Wittelsbach, acuitasi in seguito alla condotta del Wallenstein, le gelosie per la ridistribuzione dei principati ecclesiastici e le rivalità inevitabili tra gli ordini religiosi, ritardarono fino al 6 marzo 1629 la pubblicazione dell'Editto di restituzione. Esso doveva venir considerato come un'interpretazione autentica della pace d'Augusta in molti punti oscura e stabiliva la restituzione delle fondazioni religiose non immediatamente soggette all'impero, strappate ai cattolici dal trattato di Passau in poi; l'illegalità e decadenza del possesso, da parte di protestanti, di fondazioni e vescovati immediatamente soggetti all'impero, occupati contro il Reservatum eccles., con perdita del diritto di voto e di seggio nella dieta; l'equiparazione completa degli stati cattolici e di quelli aderenti alla confessione augustana nell'esercizio del principio cuius regio eius religio; l'esclusione di ogni altra confessione dalla pace religiosa. L' applicazione dell'Editto sarebbe stata paragonabile a un vero terremoto nel campo della proprietà. L'evidente intenzione di avocare alla decisione imperiale i modi dell'esecuzione e l'esclusione dei calvinisti rendevano maggiore il pericolo del provvedimento, accrescevano il numero dei malcontenti, e favorivano l'intromissione di tutte le forze esterne contro la casa d'Asburgo. Fino dal maggio 1628 si era parlato di pace con la Danimarca, ma le trattative, causa le esagerate pretensioni dell'impero, procedevano assai lente. L'intervento diretto della Francia nella guerra di successione di Mantova indusse Ferdinando, impegnato ormai in Italia, a rinunciare in blocco alle sue richieste. Lo stesso Cristiano IV, apprendendo le conclusioni, esclamò: "In verità l'imperatore mi dà più di quanto io desideri". Con la pace di Lubecca il re danese conservò lo Schleswig-Holstein con lo Jütland e fece solo il sacrificio dei principati ecclesiastici.

Nessun altro fatto più dell'affrettata conclusione della pace con la Danimarca (maggio 1629), giova a dimostrare che le vicende d'Italia non erano giudicate da meno di quelle germaniche.

Periodo italiano. - La questione della successione al trono gonzaghesco era seguita con attenzione già dal 1612, da quando era morto Francesco II senza figli maschi. Ma nelle guerre, cui essa aveva dato origine dal 1613 al '18, l'azione di Carlo Emanuele I di Savoia aveva rappresentato l'elemento preponderante. Nel 1627 il problema, che giungeva alla fase acuta per la morte dell'ultimo Gonzaga della linea principale, aveva portata più vasta. In primo luogo, non si trattava più della sola successione monferrina, ma, insieme, di questa e di quella mantovana. In secondo luogo, il ramo familiare avente manifesto diritto alla successione era quello discendente da Ludovico Gonzaga, i cui rappresentanti erano ormai francesi di nascita e di educazione. In terzo luogo, se la Spagna aveva sempre vigilato, affinché l'autorità del Cristianissimo non si insinuasse a poco a poco in Italia con mediazioni e arbitrati, ora essa comprendeva che la questione gonzaghesca, aprendosi in un periodo di così vaste lotte intorno alla casa d'Asburgo, poteva, risolvendosi in un senso o nell'altro, dare ai trionfatori - Francesi o Asburgo - il predominio dell'Italia settentrionale e quindi uno dei pegni più sicuri dell'egemonia sull'Europa.

Se, quindi, furono invocati ufficialmente contro il Nevers pretesti di mancata osservanza verso l'autorità dell'imperatore e del Cattolico, l'unica ragione fatta valere presso Ferdinando II, per indurlo a una sconfessione completa del Nevers, fu l'interesse della corona cattolica, essendo l'Italia il cuore della potenza spagnola e perciò la questione mantovana uno degli affari più importanti della monarchia. Assecondando la Spagna e deliberando (20 marzo 1628) il sequestro degli stati di Mantova e Monferrato, l'imperatore manifestò la connessione diretta fra le sorti della questione mantovana e la guerra sugli altri campi. Contemporaneamente il Richelieu misurava la portata del problema, che intendeva affrontare. Mentre Carlo Emanuele rapidamente s'impadroniva (primavera 1628) della parte del Monferrato, a lui assegnata nell'accordo stretto, il 25 dicembre precedente, con don Gonzalo di Cordova, reggente il governo di Milano, gli Spagnoli, immobilizzati dalla forte resistenza della rocca di Casale (v. mantova e monferrato, guerra di successione di) pensarono ad una alleanza con i Grigioni, per avere libero passaggio attraverso i valichi della Valtellina, e ad una tregua con gli Olandesi, che consentisse loro di riversare in Italia tutte le loro forze; e rinnovarono all'imperatore le più calde sollecitazioni.

La caduta della Rochelle permise al Richelieu di riprendere senza esitazione il piano di lotta per procurare alla Francia il predominio europeo. Entrato in Italia l'esercito francese, il cardinale riportò, più che vittorie militari, grandi vittorie politiche, poiché nel marzo 1629 indusse Carlo Emanuele a firmare trattati, per i quali il duca di Savoia si obbligava a tener aperto il passaggio verso Casale e ad allontanare don Gonzalo dall'assedio di quella città. Poco dopo, mentre era ancora in Italia, il Richelieu fece pace con l'Inghilterra, che promise di abbandonare gli ugonotti. Di rimando l'imperatore concluse con la Danimarca l'affrettata pace di Lubecca e deliberò la spedizione in Italia.

Con l'affacciarsi degli Alemanni alle Alpi, tutta l'Europa comprese che in quel momento l'Italia settentrionale diveniva il punto centrale del grandioso conflitto, da tanto tempo iniziato. L'esercito imperiale, conandato dal Collalto, scese nel settembre 1629 nella piana lombarda; e nell'ottobre dal Cremonese penetrò nel Mantovano. Mantova subì un primo assedio, duro per difensori e assalitori. Ma contro il supremo sforzo, col quale Spagna e impero difendevano il loro predominio in Italia, il Richelieu tornò a contrapporsi. Per mezzo di Ercole Charnacé, cooperò all'entrata in campo di Gustavo Adolfo, procurandogli tregua con la Polonia (Altmark, settembre 1629) e preparò la seconda spedizione in Italia. Dalle trattative, che la legazione pontificia (di cui era parte attivissima il Mazzarino) si affannava a condurre, risultava evidente che ognuno dei gruppi belligeranti pensava al modo di garantirsi dal predominio futuro dell'altro. L'occupazione di Pinerolo, che assicurava l'adito francese in Italia, e la certezza che Casale poteva ancora resistere, permisero al Richelieu di aspettare le mosse degli avversarî. Le sorti della guerra in Italia poterono dare all'imperatore l'illusione della potenza e della vittoria, poiché, per la pessima prova dell'esercito veneto, Mantova cadde il 18 luglio 1630 in balia degli assalitori. Ma invano gli Spagnoli, comandati da A. Spinola, incalzavano Casale. La sorte diversa delle due città influì grandemente sulle vicende ulteriori. Quando si riunì a Ratisbona la dieta dell'impero (3 luglio 1630), le condizioni erano assai cambiate dal tempo della pace di Lubecca: i primi di luglio G. Adolfo sbarcò in Pomerania; il 10 i Francesi vinsero ad Avigliana; l'11 a S. Giovanni di Moriana fu firmato il trattato franco-veneto per le sovvenzioni al re svedese. Perciò Ferdinando II dovette piegarsi al licenziamento del generalissimo, avendo i principi elettori esasperati fatto appunto dipendere dall'allontanamento del Wallenstein il loro concorso contro G. Adolfo, nel tempo stesso in cui chiedevano la pace d' Italia. Invece, spinto dalla speranza della caduta di Casale, il governo di Filippo IV avrebbe voluto indurre l'imperatore a un accomodamento col re di Svezia e coi protestanti. Anche il Richelieu, poiché la presenza di G. Adolfo in Germania e l'acquisto di Pinerolo gli erano ormai garanzia di tenere a freno gli avversarî, era disposto a dare assetto alle questioni italiane: di qui, per mezzo del Mazzarino, la tregua (4 settembre-15 ottobre 1630) e le istruzioni date al Léon e al padre Giuseppe, delegati francesi a Ratisbona. Nella pace firmata colà (13 ottobre 1630), l'imperatore credette di aver ottenuto dalla Francia l'impegno di non appoggiare in nessun modo i nemici della casa d'Austria e dell'impero. Ma il Richelieu, appellandosi a una pretesa inosservanza delle sue istruzioni, negò la ratifica. Si ripresero quindi a Cherasco le trattative e quivi, coperte da quelle ufficiali, si svolsero quelle segrete franco-sabaude; Vittorio Amedeo I, per salvare lo stato esausto, si adattava alla perdita di Pinerolo. Il primo trattato dî Cherasco (6 aprile 1631) fu ritenuto inaccettabile da Ferdinando II, ma, avendo urgenza di ritirare le sue truppe dall'Italia, accettò quello del 19 giugno. Le condizioni di esso toglievano alle armi spagnole e imperiali la via alpina d'accesso in Italia, mentre i precedenti negoziati segreti l'avevano assicurata alla Francia.

Periodo svedese. - La tendenza di Gustavo Adolfo ad avvicinarsi al campo di battaglia tedesco si era rivelata da molti anni. Il desiderio di sostenere i correligionarî collimava con fini politico-economici, tali da attirare vivamente uno statista. La guerra vittoriosa gli poteva, infatti, procurare un impero costituito dalla Svezia, dalla Norvegia, dalla Danimarca fino al grande Belt e dai paesi baltici; e poteva avere per frutto una unione doganale tm Svezia e Germania. Le trattative fra Svezia e Francia furono dapprima difficili, poiché tanto il re quanto il suo cancelliere, Axel Oxenstjerna, pensavano di assicurarsi una solida base sulle rive del Baltico. Infine il 23 gennaio 1631 fu conclusa a Bärwalde una vera e propria alleanza. G. Adolfo si obbligava ad armare 30.000 fanti e 6000 cavalli, ricevendo un sussidio annuo francese e olandese elevatissimo, a rispettare il culto cattolico, dove esso esisteva, e a restare neutrale di fronte alla Lega, se questa non agiva per prima. Da principio, solo Magdeburgo, Stralsunda ed alcuni stati minori si strinsero volontariamente agli Svedesi. Il Tilly occupò Magdeburgo, passaggio essenziale sull'Elba (20 maggio 1631) e la lasciò saccheggiare orribilmente. Ma G. Adolfo, padrone del Brandeburgo, di cui teneva in pegno alcune fortezze, giocò di strategia col Tilly, evitando gli urti e respingendolo verso la Sassonia, la quale sotto il peso devastatore dell'esercito leghista-imperiale si alleò con lo Svedese (11 settembre 1631). Da pochi giorni questi aveva anche l'adesione del langravio Guglielmo di Assia-Cassel. La vittoria di Breitenfeld (17 settembre 1631), dove trionfò anche il suo sistema tattico di unità mobili e leggiere contro le dense falangi del Pappenheim, segnò per G. Adolfo l'inizio di una marcia trionfale attraverso la Germania. Occupò Würzburg, Francoforte, Magonza, Spira, Worms, destando qualche preoccupazione nel Richelieu, che si dispose ad assicurarsi della Lorena. Intanto l'Arnim, marciando attraverso la Lusazia, con l'aiuto dei cèchi esuli, obbligò Praga alla resa. Il Tilly riuscì a strappare Bamberga (9 marzo 1632) allo svedese Horn, ma neppure un mese dopo, G. Adolfo occupò Donauwörth. Mentre si organizzava la resistenza per impedire il passaggio del Lech, che avrebbe aperta la via degli stati bavaresi, il Tilly fu ferito (aprile 1632); morì tre giorni dopo a Ingolstadt, sotto le cui mura per la prima volta si spuntarono le armi svedesi.

Mentre si sviluppava in Germania il piano di G. Adolfo, anche il principe di Transilvania, Rákoczy, minacciava l'Ungheria. La morte del Tilly riaprì il campo al Wallenstein. Il suo esercito e quello di Massimiliano, uniti, superavano le forze di G. Adolfo. Gli avversarî si inseguirono attraverso la Sassonia. A Lützen (16 novembre 1632) il re svedese fu colpito a morte. Cadde vittorioso, perché il campo rimase al suo luogotenente Bernardo di Sassonia-Weimar. La scomparsa di Gustavo Adolfo turbò il Richelieu, sebbene egli fosse geloso dei trionfi militari di lui. Non potendo ancora intervenire apertamente, causa le agitazioni interne (uscita della regina madre e di Gastone dalla Francia, episodio del Montmorency, ecc.), intensificò l'opera diplomatica; la solida organizzazione svedese permise all'Oxenstjerna di proseguire il piano di G. Adolfo; il marchese di Feuquières, mandato dal Richelieu in Germania, riuscì a far firmare il trattato di Heilbronn (25 aprile 1633) tra gli Svedesi, e gli stati protestanti dei circoli svevo e franco del Reno superiore e medio e a far rinnovare il trattato di Bärwalde.

L'invasione della Baviera, ripetuta dal Horn e dal Weimar nell'aprile 1633, suscitava intanto nuove discordie fra Massimiliano, che voleva difendere il suo territorio, e il Wallenstein, che voleva trasportare la guerra in Sassonia e in Slesia. Precipitarono le sorti del Wallenstein già da tempo infido e assai probabilmente trascinato al tradimento; il 25 febbraio 1634 egli fu assassinato. Nello stesso tempo il Richelieu, dopo aver costretto Carlo IV duca di Lorena all'abdicazione (gennaio 1634) in favore del fratello, Nicola Francesco (il quale poi fuggì), attuava di fatto l'annessione della Lorena.

In seguito alla terribile sconfitta subita dagli Svedesi a Nordlingen (6 settembre 1634) per opera di Ferdinando, re d'Unghena, del Galasso e del card. infante Ferdinando, che si apriva il passo verso la Fiandra, il Richelieu ottenne da essi (trattato di Parigi, 10 novembre 1634) la consegna dell'Alsazia e della riva destra del Reno da Breisach a Costanza. L'8 febbraio 1635 concluse un nuovo trattato con l'Olanda; in marzo ordinò al Rohan d'impadronirsi della Valtellina per tagliare le comunicazioni tra Lombardia e Tirolo; si assicurò l'aiuto della Svezia (Compiègne, 28 aprile). Già aveva deciso di prendere a pretesto della dichiarazione di guerra l'imprigionamento (26 marzo) dell'elettore di Treviri, postosi sotto la protezione francese e sorpreso dal governatore spagnolo del Lussemburgo. Si modificavano intanto le condizioni in Germania. Il 20 maggio 1635, infatti, l'elettore di Sassonia, concluse la pace (Praga) con l'imperatore, a patti, che in pratica cancellavano l'Editto di restituzione. Aderirono l'elettore di Brandeburgo, il principe di Assia Darmstadt e quasi tutti gli stati tedeschi di qualche importanza, tranne quello di Assia-Cassel. In conseguenza di questa pace e del trattato di S. Germano (ottobre 1635), per cui il Weimar diveniva condottiero al servizio della Francia, il periodo svedese si suole considerare finito.

Periodo francese. - La dichiarazione di guerra alla Spagna fu recata a Bruxelles da un araldo francese (19 maggio 1635). Il Richelieu intendeva ora colpire la casa d'Asburgo nei Paesi Bassi, sul Reno, in Italia, dove riuscì a far firmare la lega di Rivoli (11 luglio 1635), in modo che Vittorio Amedeo I, con l'aiuto di milizie francesi, con l'appoggio del duca di Parma e l'adesione di quello di Mantova, potesse trattenere efficacemente le forze spagnole. Per garantire gli Svedesi alle spalle, negoziava intanto per essi l'armistizio di Stuhmsdorf coi Polacchi (12 settembre 1635). Un vivissimo desiderio di guerra infiammava Francesi e Spagnoli; tuttavia per le insistenze di Urbano VIII si disponevano a recarsi a Colonia i delegati per la pace. Ma quello stesso anno 1636 era stato terribile per attività militare. L'esercito spagnolo comandato da Tommaso di Savoia principe di Carignano, penetrò nella valle della Somme, si spinse fino al passo dell'Oise, minacciò Compiègne (agosto 1636). Una dopo l'altra erano cadute le piazze della Piccardia; la rovina e il panico, diffusisi fino a Parigi, furono tali che, dal nome di uno dei paesi occupati, fu poi ricordato con terrore l'anno di Corbie. Dovettero intervenire personalmente a Parigi il re e il Richelieu per organizzare la resistenza. Corbie fu ripresa nel novembre dello stesso 1636 e questo segnò l'inizio della riscossa. Il Galasso a stento fu arrestato nella sua marcia verso Digione dal Weimar lungo la barriera della Saona e di Verdun. Di contro all'occupazione spagnola delle Isole Lérins (settembre 1635) e alla riconquista di Magdeburgo (11 luglio 1636), si ebbero la vittoria dello svedese Banér a Wittstock (4 ottobre) e quelle di Vittorio Amedeo a Tornavento (22 giugno 1636) e a Mombaldone (8 settembre 1637); e nel corso del 1638 quelle del Weimar, che conquistò Friburgo in Brisgovia e Breisach, tagliando le comunicazioni tra dominî spagnoli d'Italia e di Fiandra. Rifornito di mezzi, il Banér respinse il Galasso fino in Boemia; e nel corso del '39 percorse, devastando, tutta questa regione, da cui solo nel 1640 gli Svedesi furono scacciati. Il rinnovo dell'alleanza con Cristina, reggente il ducato di Savoia, e l'ammissione di guarnigioni franeesi in piazze della Savoia e del Piemonte, manteneva intanto la guerra aecesa su tutti i fronti. Però la vittoria riportata dal Piccolomini sui Francesi a Thionville (7 giugno 1639) ed i progressi dei principi Tommaso e Maurizio di Savoia nel ducato sabaudo ne equilibravano le sorti. Nel tempo stesso in cui si designavano le città di Münster e Osnabrück in Vestfalia come sedi di trattative e si fissava al 25 marzo 1642 la data di apertura, le operazioni militari proseguivano intense. Il 17 gennaio 1642 i Francesi inflissero a imperiali e Bavaresi una sconfitta campale a Kempen presso Crefeld; e il 2 novembre 1642 gli Svedesi del Torstenson e i Francesi del Guébriant vinsero imperiali e Sassoni a Breitenfeld. Si poteva ormai intravedere l'esito finale del conflitto.

La potenza navale della Spagna aveva subito un duro colpo nel 1639 per l'interruzione del collegamento con le colonie, operata dall'olandese Martino Tromp. La rivolta della Catalogna, il distacco del Portogallo palesarono la debolezza dell'organismo statale. Le celebri fanterie spagnole videro distrutta la loro fama d'invincibilità per opera dell'Harcourt contro il Leganes presso Casale (aprile 1640) e specialmente in seguito alla battaglia di Rocroi (10 maggio 1643), celeberrima vittoria della cavalleria del duca d'Enghien sui fanti di don Francisco di Melo. Francesi e Svedesi si sentivano veramente vincitori. La pace ottenuta a gravi condizioni per la mediazione del Mazzarino (Bromsebro, 1645) dalla Danimarca, che la rivalità con la Svezia aveva spinto nel 1643 a coalizzarsi con i vecchi nemici, l'asservimento della Polonia alla politica francese, restituivano piena libertà d'azione agli Svedesi, che riportarono sugli Austriaci a Jankovic una grande vittoria (6 marzo 1645). Fu fortuna per l'imperatore Ferdinando III poter venire a trattative col Rákoczy (12 agosto 1645), cui la guerra di Candia toglieva l'appoggio turco. Per la prima volta Francesi e Svedesi formularono condizioni di pace rispettivamente a Münster e a Osnabrück l'11 giugno 1645. Le loro richieste investivano l'organizzazione interna dell'impero, e quelle svedesi proponevano nelle questioni economico-religiose le soluzioni dal partito protestante sempre desiderate. Nelle file cattoliche, pochi erano gl'intransigenti; gli esponenti principali, Massimiliano di Baviera e il plenipotenziario imperiale, Trauttmansdorff, tendevano ormai alla pace ad ogni costo. L'ultimo periodo delle trattative fu caratterizzato dal susseguirsi di transazioni da parte dei cattolici e dall'armistizio concluso da Massimiliano di Baviera con gli Svedesi (14 marzo 1647).

L'azione francese, imperniata, dopo la scomparsa del Richelieu, sull'astuzia del Mazzarino, aveva intanto proseguito la lotta contro la Spagna in Italia e in Catalogna. Ma il teatro principale e più diretto del conflitto era rimasto nel territorio franco-olandese. Ridotta al quadrilatero Gand, Bruges, Anversa, Namur, la Spagna fino dal 1645 aveva proposto la pace separata all'Olanda; essa fu firmata a Münster il 30 gennaio 1648, riconoscendo agli Stati Generali la sovranità sui Paesi Bassi riuniti.

Il ritiro della Spagna dalle trattative, mentre manteneva in vita il conflitto di questo stato con la Francia, affrettò la conclusione degli altri negoziati. Il testo definitivo dei trattati fu firmato il 24 ottobre 1648. La notizia della pace arrestò la marcia del Turenne e del Wrangel su Vienna e Praga. Il significato e le conseguenze delle condizioni pattuite fanno considerare le paci di Vestfalia come un momento importantissimo per la storia politica e per quella del pensiero (v. Vestfalia: Pace di).

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