Guglielmo di Lorris

Enciclopedia Dantesca (1970)

Guglielmo di Lorris

Luigi Vanossi

Autore della prima parte del Roman de la Rose (il nome appare al v. 10526 della continuazione di Giovanni di Meung, v.). La sua rilevanza nel campo degli studi danteschi è legata principalmente al Detto d'Amore e al Fiore, che ci documentano la frequentazione, da parte del giovane D., del capolavoro francese. L'influsso di G. predomina nel primo poemetto, che si muove ancora in un ambito d'idealità cortese, anche se radicalmente mutati appaiono i cardini poetici (col contrapporsi, al fluido dettato di G., dell'arduo artificio dell'aequivocatio), mentre la narrazione viene ricomposta secondo un progetto interamente originale (v. DETTO D'AMORE).

Nel Fiore dove diventa preminente la lezione di Giovanni di Meung, il romanzo di G. rappresenta il termine iniziale di un tragitto che porterà al superamento dell'amore cortese e all'acquisizione di nuovi domini di esperienza poetica. I 4049 versi di G. vengono resi nei primi 34 sonetti del poemetto, con forte concentrazione della materia poetica e manipolazioni profonde che toccano in taluni punti la sostanza stessa dell'allegoria. D. sembra mirare a una resa essenziale del romanzo, sopprimendone gli elementi descrittivi e decorativi, la rappresentazione degli aspetti mondani della civiltà cortese, e concentrandosi interamente sulla dialettica del fenomeno amoroso, sì da restituire alla forma allegorica una più rigorosa finalità conoscitiva. È indicativo che egli tralasci proprio la parte più splendida del romanzo di G., l'esordio primaverile, con la descrizione di uno spazio ideale, successione di quadri stupendamente miniati, su cui emblematicamente si colloca l'azione del protagonista. Il conflitto tra la concezione artistica e ideale dei due poeti diventa del resto esplicita agl'inizi del terzo sonetto, là dove al tempo del maggio, su cui si schiude il romanzo, D. sostituisce la stagione invernale (Del mese di gennaio, e non di maggio, / fu quand'i' presi Amor a signoria): dato che rispecchierà forse un elemento biografico, ma in cui sarà da scorgere più che altro un'indicazione di poetica (si pensi ai canti ‛ inversi ' dei trovatori, dove l'inizio invernale comporta in genere un inasprirsi della tecnica poetica; la stessa circostanza stagionale si riproporrà nelle Rime ‛ petrose ').

Nonostante queste limitazioni, l'apporto di G. nella formazione poetica di D. appare tutt'altro che trascurabile. Nel suo romanzo D. trovava l'esempio più illustre di una narrazione condotta attraverso un uso organico dell'allegoria. Il suo influsso sarà ancora operante nella Commedia, dove si riproporrà il modello di un allegorico itinerario dell'io; e non è senza interesse la circostanza che ambedue le opere s'inaugurino con l'indicazione dell'età del protagonista (si cfr. il primo verso del poema con l'avvio del racconto di G.: " Ou vintieme an de mon aage ", v. 21). I riecheggiamenti del romanzo si faranno particolarmente frequenti nell'episodio del Paradiso terrestre, dove vengono ripresi temi e immagini del giardino di Deduit, trasferiti dall'originario contesto cortese al nuovo della salvezza (cfr. E. Köhler, Lea, Matelda und Oiseuse, in " Zeit. Rom. Phil. " LXXVIII [1962] 464-469; rist. in Esprit und arkadische Freiheit, Bonn 1966, 370-376).