GASPARRINI, Guglielmo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 52 (1999)

GASPARRINI, Guglielmo

Maurizia Alippi Cappelletti

Nacque a Castelgrande in Basilicata il 13 genn. 1804 da Angelo Maria e Isabella Federici. Compì gli studi elementari a Castelgrande e poi, quindicenne, fu inviato a Napoli, a spese della provincia natale, nel collegio di medicina veterinaria. Questo però, nel 1821 fu chiuso per ragioni politiche e il G., già molto interessato alla botanica, fu nel frattempo ospitato da M. Tenore presso l'Orto botanico di cui era fondatore e direttore. Quando il collegio fu ripristinato, il G. poté farvi ritorno e nel maggio del 1823 vi si laureò veterinario con la nomina di botanico senza diploma. Dopo un breve soggiorno ancora nel paese natale, tornò all'Orto napoletano per proseguire gli studi botanici.

Qui strinse amicizia con G. Gussone, che seguì poi nel 1824 per coadiuvarlo nella direzione dell'Orto botanico di Boccadifalco presso Palermo, fondato come Reale Giardino botanico nel 1818 da re Ferdinando I. Anche altre ville e parchi reali, per le dimensioni e per la qualità delle specie raccolte, di fatto divennero luoghi di ricerca per i botanici.

Collaborò con il Gussone nell'erborizzazione del territorio siciliano e nella successiva compilazione della flora siciliana (Florae Siculae prodromus, Neapolis 1827-28; Florae Siculae synopsis, ibid. 1824-1844), nella quale l'autore cita quasi ad ogni pagina il contributo del Gasparrini. Del resto anche nella Flora Italica (Bononiae 1833-67) di A. Bertoloni il G. fu ricordato più volte per la sua partecipazione attiva all'opera sistematica dei botanici italiani. Nel 1827 il G. fu nominato direttore aggiunto di Boccadifalco e poi, quando il Gussone si trasferì a Napoli con l'incarico di curare i giardini reali, con altro decreto regio del 10 apr. 1828 ne divenne il direttore effettivo. In quel periodo dedicò a quell'Orto le Osservazioni intorno ad alcune piante nuove e rare…, in Annali civili del Regno delle Due Sicilie, I (1833), 4, pp. 116 s. Nel 1831 fu abolito l'Orto di Boccadifalco e il G. fu costretto a tornare a Napoli, dove ottenne l'incarico di botanica e di aiuto in clinica nella scuola veterinaria diretta da F. De Nunzio. Nel marzo 1833 conseguì la laurea in scienze fisiche e naturali all'Università di Napoli. Nel '37, per decreto, fu nominato agronomo del Demanio pubblico di Napoli, finché nel '44 vinse la cattedra di professore aggiunto di botanica all'università. Noto per le sue idee liberali, quando nel '48 fu istituito il governo costituzionale, fu nominato da A. Scialoja, ministro dell'Agricoltura, capo del II ripartimento del ministero di Agricoltura e Commercio. In tale veste propose l'insegnamento dell'agraria nelle province del Regno delle Due Sicilie.

Passata quella fase politica, nell'aprile del 1852, con nota della prefettura di polizia, fu accusato di sedizione e destituito con la perdita dello stipendio e della pensione dell'Orto di Boccadifalco. Ma a differenza del re Ferdinando II, che pare gli fosse ostile e che gli attribuiva a demerito anche le proposte fatte per l'istruzione agraria nel territorio napoletano, Luigi di Borbone, conte di Aquila, fratello del re (per il quale aveva composto un Catalogo delle piante che si coltivano nella r. villa di… il conte di Aquila in Sorrento, Napoli 1856) e G.B. Di Capua, duca di Mignano, lo stimavano e proteggevano tanto che alla fine, anche per il tramite di R. de Visiani, nel 1857, il G. fu nominato dal governo lombardo-veneto professore straordinario a Pavia di botanica superiore, divenendo l'anno successivo professore definitivo.

La cattedra era stata istituita per la prima volta in Italia per separare l'insegnamento della fisiologia e anatomia dalla pura sistematica, come già era in uso in altre università europee; l'Università di Pavia, restaurata e rinnovata dagli imperatori d'Austria Maria Teresa e Giuseppe II, era una delle poche italiane che risentisse della cultura centroeuropea.

A lato della cattedra il G. fondò il laboratorio di anatomia e fisiologia vegetale, considerato il primo in Italia. Aveva portato con sé da Napoli l'erbario, più tardi acquistato dal governo per l'Università pavese, ricco di 4000 specie rappresentanti la flora dell'Italia meridionale, della Sicilia e in piccola parte quella esotica. Dall'ottobre del 1858 il G. fu rettore magnifico e si prodigò nell'aiuto ai feriti delle battaglie del '59. In quel periodo poté compiere qualche viaggio a scopo scientifico a Parigi, Londra e Ginevra. Nell'ottobre del '60 il governo prodittatoriale di Napoli finalmente lo nominava professore incaricato di botanica nella locale Università con la direzione dell'Orto, e poi titolare nel novembre dell'anno successivo alla morte di M. Tenore.

Lasciata quindi Pavia il G. iniziò il 9 nov. 1861 l'insegnamento a Napoli e lo mantenne fino alla morte, che avvenne in quella città il 28 giugno 1866. Con testamento pubblico aveva destinato lasciti in denaro al Consorzio nazionale, alla Scuola veterinaria e all'Accademia di scienze di Napoli.

L'esordio scientifico del G. si realizzò nell'ambito della botanica sistematica quale inevitabile tributo alla scuola dei suoi maestri Tenore e Gussone, che concludevano in Italia la tradizione linneana, peraltro attenti anche alle novità che in ambito ampiamente biologico giungevano dalle università europee. Nel 1833 il G. pubblicò (in Il Progresso delle scienze, lettere, arti, IV, pp. 161-172) le Notizie intorno ad alcune piante della Lucania. Pur nella brevità della nota - un'indagine e catalogazione di poche specie vegetali rinvenute nei dintorni del paese natale da lui esplorati - egli mostra particolare acutezza di osservazione e autonomia critica. Delle specie esaminate tenta di rintracciare uno schema morfologico comune spesso mascherato o alterato da eventi teratologici, da variazioni individuali, ambientali o razziali. Riferendosi alle specie di Orchidee del genere Epipactis, il G. cerca di capire "come Natura proceda" nel costruire le forme: poiché nella simmetria e quantità dei vari pezzi fiorali nota il ripetersi del numero tre, fa l'ipotesi che una simmetria numerica - ternaria in questo caso - connoti tutti gli appartenenti a una data famiglia naturale. Il G. sembra qui riprendere un motivo fondamentale dei "Naturphilosophen", che cercavano schemi e ritmi numerici sotto la varietà delle forme.

L'individuazione negli organismi di caratteri utili a definire significati e limiti delle categorie sistematiche è tema che ricompare in un lavoro presentato dal G. nel 1844 per il concorso al posto di professore aggiunto alla cattedra di botanica a Napoli: Della varia importanza dei caratteri per trovare l'affinità delle piante (Napoli 1844): un testo che, comunque, non propone novità apprezzabili. Il G. vi ricorda e commenta fra l'altro il metodo classificatorio proposto da M. Adanson e ne rileva la non usufruibilità in quanto privo dell'indicazione di una scala di valore dei caratteri stessi.

Morfologia esterna e sistematica furono presto abbandonate dal G., che vi tornò soltanto in brevi, sporadiche note per dedicarsi allo studio anatomico e fisiologico delle piante. Intraprese un tipo di ricerca che lo pone tra i pionieri della fisiologia vegetale in Italia ed erede della tradizione anatomica malpighiana che si era andata ormai esaurendo. Nel ventennio 1840-60, in altri paesi europei, e specialmente in Germania, i botanici affrontavano i grandi temi fisiologici della riproduzione e della nutrizione vegetali, più che con i mezzi della sperimentazione, con una indagine anatomica organografica precisamente orientata. Lo stesso indirizzo seguì il G., che operò tuttavia con metodi originali e personali. E se molti furono i lavori pregevoli da lui pubblicati, numerosi altri ne restano inediti, sia perché eseguiti nel periodo delle personali difficoltà, sia a causa dell'eccessiva cautela nell'accettare il risultato sperimentale, e testimoniano quanti e quanto vari fossero i temi di ricerca avviati da questo autore. I principali comunque furono quelli dell'alimentazione, respirazione e riproduzione degli organismi vegetali. Iniziò lo studio di organi quali le foglie, le radici delle piante, i semi e l'embrione.

In un primo gruppo di lavori esposti in Ricerche sulla struttura degli stomi fatte da G. Gasparrini (in Rend. delle adunanze e dei lavori dell'Acc. napoletana di scienze. Sezione della Società reale borbonica di Napoli, I [1842], pp. 17-23), descritti da finissime tavole illustrative, ripresi, confermati o parzialmente corretti in Nuove ricerche sulla struttura dei cistomi (ibid., III [1844], pp. 170-176), il G. affronta un tema su cui avevano lavorato o stavano tuttora lavorando autori come G.B. Amici (del quale utilizzò le migliorie introdotte nell'uso del microscopio), L.-Ch. Treviranus, A. Brogniart e J.-H. Dutrochet: la struttura e la funzione di certe minuscole aperture delimitate da due cellule semilunari e presenti in altissimo numero sulla pagina inferiore delle foglie, dette stomi. Non era stato ancora chiarito se gli stomi comunicassero coi tessuti sottostanti ovvero ne fossero separati da una membrana. Per rispondere a questi interrogativi il G. eseguì una serie di esami microscopici dell'epidermide di foglie sia membranose sia carnose, dopo averla distaccata dai sottostanti tessuti con un suo metodo originale di bollitura in acido nitrico. Volendo anche saggiare la possibilità del passaggio dell'aria attraverso queste aperture (ma già il Treviranus nel 1821 affermava che gli stomi permettono all'aria di entrare e uscire), il G. ne trova alcune chiuse da una membrana e le chiama cistomi e altre aperte e presenti solo nelle piante epatiche, gli stomi. Pur avendo interpretato in modo inesatto la struttura generale dei cistomi ed erroneamente attribuito a essi la qualità di altrettante aperture di un unico organo ramificato e interconnesso all'interno dei tessuti, quasi un polmone vegetale, il G. confermò la presenza di clorofilla nelle cellule reniformi sottolineandone anche l'essenziale importanza funzionale, suggerì la possibilità che gli stomi potessero essere sia aperti sia chiusi, contribuì a descrivere i parenchimi fogliari e fornì metodi utili nelle preparazioni istologiche.

Per il concorso alla cattedra, nel 1844, il G. presentò un lavoro di mole imponente e tuttavia non completo secondo i suoi desideri: Ricerche sulla natura del caprifico e del fico e sulla caprificazione (ibid., IV [1845], pp. 321-416, con tavv.). Tornò sul tema due anni dopo, rettificando e arricchendo quel già pregevole studio con Nuove ricerche sopra alcuni punti spettanti alla dottrina del fico e del caprifico, (ibid., VII [1848], pp. 394-417). Il tema presentava non poche difficoltà, ed era stato affrontato fin dall'antichità per stabilire quale fosse l'affinità delle due specie - da alcuni autori il caprifico fu ritenuta la forma selvatica del fico e da Linneo la sua forma femminile - ma soprattutto per conoscerne il modello riproduttivo che si realizza con fiori e frutti assai singolari e per mezzo di impollinatori animali e cicli complessi.

Il G. tentò e in gran parte (anche in Nova genera super nonnullis Fici speciebus, in Giorn. botanico italiano, I [1844], 2, pp. 209-219) riuscì a riordinare la sistematica di queste forme che reputava generi distinti; ma più tardi rettificherà tale opinione, sostenendo piuttosto che il caprifico e il fico fossero legati biologicamente dal fatto che uno stesso insetto pronubo, la blastofaga, le cui generazioni sono strettamente legate a quelle fruttifere del caprifico, fioroni, forniti e cratiri, entro i quali trascorre praticamente l'intero ciclo vitale, è lo stesso che opererebbe l'impollinazione del fico. Onde la pratica antica della caprificazione. Il G. ampliava la sua ricerca con innesti, analisi microscopiche degli organi fiorali e osservazioni sugli insetti ospiti. Convinto della necessità della fecondazione per la riproduzione di ogni organismo vivente, volle accertarla e illustrarla anche nel fico, dove era resa più difficile dal fatto che molti fiori maschili sono sterili oppure fioriscono in tempi diversi da quelli femminili. Tuttavia, poiché nei fiori in cui il ricettacolo ingrossa per formare i semi contenenti l'embrione notava la presenza di un piccolo ammasso di cellule sopra l'ovulo, il G. paragonava queste cellule a masserelle polliniche simili osservate nelle orchidee, e faceva l'ipotesi che esse rappresentassero i gameti maschili. In un lavoro successivo presentato al VII Convegno degli scienziati italiani (Ricerche sulla origine dell'embrione seminale, in Atti della Settima Adunanza degli scienziati italiani, Napoli 1846, pp. 957-1007) riprendeva questa ricerca e dal fico la estendeva agli agrumi e al Citino. Eseguì una indagine sulla poliembrionia del seme del melarancio e sull'embrione apicale del Citino, un risultato, questo, che serviva anche alla collocazione sistematica di tale specie, utilizzando in tassonomia il nuovo metodo embriologico. Nonostante la grande mole di lavoro eseguito il G. non poté trarre un risultato unico, ma ammise una grande varietà nella attuazione in natura del processo riproduttivo. Tutti questi lavori avevano una particolare importanza in quanto, nonostante le prove date da G.B. Amici, H. Mohl, E. Strasburger per dimostrare che il budello emesso dal grano di polline si fonde con l'ovulo per dare inizio allo sviluppo, contro il parere di M.J. Schleiden, che sosteneva l'embrione derivare dal solo granulo pollinico, vi era ancora qualcuno come H. Schacht che, avendo sperimentato su varie specie, confermava i risultati di Schleiden e per questo era stato perfino premiato dall'Istituto di Amsterdam. In Osservazioni sulla generazione di spore in Podisoma fuscum (in Rend. delle adun. e dei lav. dell'Acc. delle scienze. Sez. della Soc. reale borbonica di Napoli, VII [1848], pp. 346-356) il G. descrive con l'aiuto di disegni finissimi e precisi la struttura di questo micelio, i corpi fruttiferi, le spore e la loro germinazione. Con molta chiarezza mostra fin dove si può parlare di somiglianza tra spora e granello pollinico, ambedue granulari e capaci di gonfiarsi formando un tubicino quando l'acqua li imbeva, ma sostanzialmente differenti perché nella spora "è già contenuto l'embrione", mentre al polline è necessaria, per germinare, la fusione col sacco embrionale: merito del G. ribadire con ulteriori argomenti la verità già sostenuta contro Schleiden, necessaria a un riordino generale delle conoscenze sulla riproduzione. Notazioni brillanti nel testo sono anche quelle sulla genesi delle malformazioni e sulla loro dipendenza dalla più o meno avanzata differenziazione dei tessuti da cui derivano.

Nel 1851 cominciava a diffondersi nel Napoletano una malattia della vite che, comparsa nel '45 a Londra, aveva poi toccato il Belgio e la Francia. L'Accademia delle scienze ritenne necessario un lavoro sistematico per chiarire la natura dell'agente della malattia e il G. se ne prese l'incarico, riuscendo a fornire un quadro generale e definitivo sull'argomento (Sunto della relazione sulla malattia della vite apparsa nei contorni di Napoli, Napoli 1852, e Osservazioni sulla morfosi e l'origine dell'Oidium Tukeri, ibid., n.s., I [1852], pp. 136-146). Dell'oidio, una muffa rinvenibile sui tralci e pampini della vite, il G. indica l'origine geografica, descrive la struttura del micelio che, essendo accompagnato spesso da quello di altre forme fungine, doveva essere esaminato durante lo sviluppo e le trasformazioni. Era anche in dubbio se l'oidio fosse causa o effetto della malattia. Il G. provò esserne la causa e avanzò l'ipotesi di una trasformazione dell'oidio in mucedini secondarie accompagnatrici dell'infezione. Indica i molti fattori facilitanti la propagazione della malattia, suggerendo in tal modo una prevenzione e qualche rimedio efficace (Alcune osservazioni sopra taluni rimedi proposti contro le malattie della vite, ibid., n.s., V [1856], pp. I-XVIII).

Nel 1856 concluse un'ampia ricerca sulle radici, per individuare le parti più direttamente responsabili dell'assorbimento degli alimenti nelle piante: Ricerche sulla natura dei succiatoi e le escrezioni delle radici ed osservazioni morfologiche su taluni organi della Lemna minor, Napoli 1856, dedicato al conte d'Aquila. Sull'origine, struttura, crescita delle radici avevano trattato già altri autori a iniziare da M. Malpighi, mentre sulle proprietà di assorbimento, oltre ai fondamentali lavori di Th. de Saussure, c'erano stati quelli di J. von Liebig, di A.P. de Candolle, dei nostri G. Carradori, A. Targioni Tozzetti e A. Trinchinetti. Quasi tutti questi autori ritenevano che solo la parte apicale detta spongiola avesse la proprietà di assorbire e soltanto H. Ohlert aveva asserito, su base sperimentale, che tale funzione avesse luogo a breve distanza dall'apice radicale; non aveva comunque specificato come ciò avvenisse. Il G., in via puramente teorica, escluse la funzione assorbente della spongiola, rilevandone la dimensione inadeguata per un così vasto compito e la struttura di "gemma embrionale", dunque destinata a una crescita ulteriore.

Iniziò comunque una serie di osservazioni sui numerosissimi peli sottostanti l'apice, che si insinuano, più o meno lunghi e tortuosi, nel terreno cui aderiscono strettamente. Calcolò l'ampiezza della superficie assorbente da essi sviluppata e vide che era così grande da essere pienamente sufficiente al suo ufficio. Nello stesso lavoro il G. rileva e descrive una funzione secretrice delle radici.

Il suo lavoro forse più importante, quello per il quale, su proposta di R. Pirrotta, con il suo nome - corpi del Gasparrini - furono in seguito chiamati i tubercoli radicali delle Leguminose, fu Osservazioni sulla struttura dei tubercoli spongiolari di alcune piante leguminose (in Atti della R. Acc. delle scienze. Sez. della Soc. borbonica di Napoli, VI [1851], pp. 221-239), risultato di una serie di ricerche su un gruppo di piante alle quali è legato un fenomeno già noto nell'antichità, quello di arricchire, anziché impoverire, di sostanze azotate il terreno su cui crescono. Mentre gli studi di Liebig, di Saussure, di J.-B. Boussingault avevano affrontato la chimica e la fisiologia del fenomeno ipotizzando per le sole Leguminose la capacità di utilizzare l'azoto atmosferico, altri autori, come Candolle, Trinchinetti e, ancor prima, lo stesso Malpighi, avevano rilevato la singolarità della morfologia radicale nelle Leguminose: Malpighi nel 1671-75 aveva scoperto la presenza dei tubercoli, Candolle nel 1825 aveva precisato alcune differenze nell'aspetto degli ingrossamenti radicali in specie diverse e Trinchinetti nel 1837 aveva sezionato i tubercoli e ne aveva attribuito origine e formazione all'eccesso di linfa che si verifica nella pianta, quando diminuisce la produzione di frutti; altri avevano interpretato queste escrescenze quali lenticelle modificate o sclerozii di funghi. Il G. segue la formazione dei tubercoli fin dal primo apparire nel ciclo biologico di varie specie dei generi Melilotus, Trifolium, Medicago e altre. Li seziona, osserva la struttura propria e quella dell'attiguo filamento radicale e, cosa più importante, annota la presenza di "corpiccioli cilindrici, confervoidei, dritti o leggermente curvati", che evidentemente sono i Rhizobia non ancora riconoscibili come batteri dal Gasparrini. Nel 1866 furono riconosciuti come tali da M. Woronine e solo nel 1886 H. Hellriegel e H. Willfahr poterono dimostrare la simbiosi tra i batteri e le Leguminose per la fissazione dell'azoto atmosferico.

Anche al progresso della biologia cellulare il G. dette contributi notevoli, mettendo in evidenza modificazioni strutturali e biochimiche sulle cellule epiteliali dei semi e dei frutti allorché vengono in contatto con l'acqua (Osservazioni sopra talune modificazioni organiche in alcune cellule vegetali, in Rend. della R. Acc. delle sc. fis. e mat., I [1862], pp. 246-254).

Come accennato sopra, molti lavori del G. erano rimasti inediti e ritenuti dispersi. Alla sua morte furono rinvenuti e riordinati, raccolti in catalogo da G. Caporale (Catalogo dei manoscritti inediti, Napoli 1869), che ne fece anche dei brevi riassunti per offrirli all'attenzione del mondo scientifico contemporaneo. Ora si conservano presso la Biblioteca nazionale di Napoli. A. Bertoloni dedicò al G. un genere delle Ombrellifere Gasparrinia e S.L. Endlicher un genere delle Cytandreae, mentre altri autori dedicarono specie come Euphorbia Gasparrinii Boiss., Allium Gasparrinii Guss., Erodium Gasparrinii, ecc.

Oltre a quelli citati nel testo ricordiamo i più importanti scritti del G.: Descrizione di un nuovo genere di piante della famiglia delle Leguminose, Napoli 1837; Sull'origine del villaggio di San Ferdinando nel golfo di Gioia in Calabria e delle principali piante che si coltivano nel suo tenimento, ibid. 1837; Ricerche sulla natura della Pietra fungaia e sul Fungo che vi soprannasce, in Atti dell'Acc. Pontaniana, II (1841), pp. 197-254; Osservazioni sulla struttura del frutto dell'Opunzia, in Rend. delle adun. e dei lav. della R. Acc. delle scienze. Sez. della Soc. borbonica di Napoli, I (1842), pp. 401-407; Osservazioni sulla struttura dell'Arillo, ibid., II (1843), pp. 260-270; Osservazioni geognostiche e morfologiche sopra alcune specie di zucche coltivate, ibid., V (1847), pp. 445-456; Nota sulla natura degli ascidi nelle piante, in Giorn. botanico italiano, II (1847), pp. 320-324; Osservazioni sull'esistenza dell'invoglio fiorale intorno ai carpelli dell'Arum Italicum, in Atti della R. Acc. delle scienze. Sez. della Soc. borbonica di Napoli, VI (1851), pp. 211-219; Osservazioni intorno alla struttura della gemma e del frutto nell'Opunzia, ibid., pp. 165-192; Osservazioni sulla fecondazione ed embrione dell'Ipocistide (Cytinus Hypocistis), ibid., n.s., I (1852), pp. 188-195; Ricerche sull'embriogenia della Canapa, ibid., XI (1863), pp. 18-23.

Fonti e Bibl.: Necr. in Annuario della R. Univ. di studi di Napoli 1865-1866, pp. 5-16; In morte di G. G., Napoli 1868; in American Journal of science, XCV (1868), p. 124; V. Tenore - C. Palladino, Discorsi con l'elogio di G. G., Napoli 1869; G.A. Pritzel, Thesaurus literaturae botanicae, Lipsiae 1851, pp. 117 s.; Catalogue of scientific papers, II, London 1867, p. 778; VI, ibid. 1894, p. 665; V. Cesati, Alla memoria di sei illustri naturalisti nazionali. G. G., in Memorie della Soc. italiana delle scienze detta dei XL, III (1879), pp. 14-21; Annuario scient. e industr., XVII (1880), p. 1417; P.A. Saccardo, Il primato degli italiani nella botanica, Padova 1893, p. 65; La botanica in Italia, I, Venezia 1895, p. 78; II, ibid. 1901, p. 52; G. Briosi, Cenni biografici, in Atti dell'Ist. di botan. dell'Univ. di Pavia, III (1894), pp. III s.; B. Balsamo - M. Geremicca, Botanici e botanofili napoletani, in Boll. dell'Orto bot. di Napoli, III (1913), p. 54; G.A. Gargiulo, Il botanico G. G. nel progresso scientifico dei suoi tempi, Alessandria 1913; W. Horn - S. Schenkling, Index litteraturae entomologicae, II, Berlin-Dahlem 1928, p. 399; A. Béguinot, Botanica, Milano 1938, pp. 10 s., 15; G. Catalano, Storia dell'Orto botanico di Napoli, in Delpinoa, XI (1958), pp. 74-76; L'Orto botanico di Pavia, in Agricoltura, luglio 1963, p. 54; O. Pellegrini, Nel centenario della morte di G. G., in Atti dell'Ist. botanico e laboratorio crittogamico dell'Università di Pavia, s. 6, III (1967), pp. 219-231; G. Lazzari, Storia della micologia italiana, Trento 1973, pp. 241 s., 261; C. Conci, Repertorio delle biografie e bibliografie degli scrittori e cultori italiani di entomologia, Genova 1979, p. 917; Cento anni di botanica italiana, Firenze 1988, p. 180; A. Saltini, Storia delle scienze agrarie, IV, Bologna 1989, p. 525; S. Maresca, Di alcuni botanici napoletani (secc. XVIII-XIX), in Domus viridaria - Horti picti (catal., Pompei-Napoli), Napoli 1992, pp. 218, 221 s.; F. Parlatore, Mie memorie, a cura di A. Visconti, Palermo 1992, ad indicem.

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