Giraldi, Guglielmo

Enciclopedia Dantesca (1970)

Giraldi, Guglielmo

Luigi Michelini Tocci

Guglielmo di Giovanni del Magro, o Magri, meglio conosciuto col nome di G.G., è il maggiore dei miniatori ferraresi del Rinascimento. All'arte sua è, in gran parte, dovuta la fama di un codice della Commedia ritenuto a ragione il più bello fra i codici miniati del poema, l'Urbinate latino 365 della Biblioteca Vaticana.

La prima sua opera conosciuta e anche la sola firmata è un Gellio del 1448, nel quale si avverte il richiamo dell'arte di Piero della Francesca, operoso a Ferrara in quel momento. Da allora il miniatore - che doveva essere sui 25 anni - è segnato indelebilmente dall'impronta del grandissimo maestro toscano, che ne tempera le pure evidenti caratteristiche propriamente ferraresi, la modellazione tormentata e l'esasperato impressionismo legati alla scuola di Cosmè Tura. I libri miniati per i Gonzaga, la collaborazione alla Bibbia di Borso d'Este, tra il 1456 e il 1461, la decorazione della Bibbia e dei Corali della Certosa di Ferrara, ma soprattutto il Salterio della stessa Certosa - uno dei punti focali dell'arte del G. -: questi i principali traguardi della sua attività artistica, quando, tra il 1477 e il 1478, gli fu affidata dalla corte di Urbino l'illustrazione di vari codici di lusso, fra i quali uno della Commedia.

La commissione di quest'ultimo dovette sembrargli, come in realtà era, severamente impegnativa, ma forse proprio per questo gli riuscì gradita, e anche per due altre ragioni. La prima, perché egli conosceva abbastanza bene e ammirava il poema, del quale probabilmente sapeva anche alcuni passi a memoria; la seconda, perché lo lusingava la personalità del committente, uno dei principi più colti e più celebri del suo tempo, oltre tutto grande bibliofilo e mecenate generoso, Federico di Montefeltro, insieme con quella del suo dotto e onnipotente primo ministro, Ottaviano Ubaldini della Carda.

Aveva fatto il suo nome in Urbino uno scriba, da qualche tempo a quella corte, dopo essere stato presso quella dei Gonzaga, Matteo de' Contugi da Volterra (v.), che l'aveva conosciuto a Mantova e a Ferrara. Questi, oltre che essere dotato di un'elegantissima scrittura, aveva intuito e competenza di editore: in quasi tutti i codici da lui esemplati si avverte un gusto univoco e sicuro per l'architettura della pagina, un meditato equilibrio tra scrittura e decorazione. Così il codice della Commedia che, secondo la commissione, doveva riuscire splendido più di ogni altro, senza badare a spese, fu progettato dal Contugi quasi certamente d'accordo col miniatore. Esemplato in Urbino dal Contugi, il codice nel 1478 era a Ferrara per essere miniato. Ma l'esecuzione del progetto vastissimo (120 miniature tabellari, più le iniziali e i fregi ricchissimi) per il quale era stata preventivata l'enorme spesa di 310 ducati d'oro, andò per le lunghe. Tutta la bottega del G. s'impegnò nel lavoro, col nipote Alessandro Leoni e con un terzo miniatore del quale non conosciamo il nome. G. vi lavorò prima a Ferrara e poi in Urbino, dove lo troviamo nel 1480. Ma non riuscì ad arrivare oltre la prima cantica, e il frontespizio e alcune miniature del principio della seconda. Partito da Urbino alla fine di quell'anno, del G. non si hanno altre notizie. Nell'illustrazione del codice subentra un altro celebre miniatore ferrarese, Franco de' Russi.

Le miniature si trovano al principio dei canti, e anche nel mezzo e alla fine. Sono dei veri e propri piccoli quadri di mm. 145 X 105 in media, racchiusi in cornici dorate e colorate a doppia e tripla gola. Quelle al principio dei canti sono inserite nel complesso decorativo dell'iniziale e del fregio a margine, formando una specie di grande P istoriata, come certe ampie iniziali carolingie, o anche una sorta di minuscolo, vivace stendardo. Si tratta di un vero commento figurato, più ancora che di illustrazioni, tanta è la cura con la quale l'artista aderisce allo spirito oltre che al contenuto del canto, scegliendone i momenti più importanti e iconograficamente suggestivi, dando talora anche un'interpretazione personale degli episodi. Egli si distacca così nettamente dalla tradizione illustrativa del poema, fino allora legata a schemi medievali, e s'innalza per la prima volta a una rappresentazione piena di vigore pittorico.

Delle miniature del codice, 25, più i frontespizi dell'Inferno e del Purgatorio, sono da attribuire al G., solo o con aiuti, 13 al nipote Leoni, solo o con l'aiuto di un terzo miniatore, 4, infine, a costui, almeno in molte parti. Le miniature del G. sono in gran parte di alto livello artistico, pochissime mediocri, alcune senz'altro di qualità eccezionale, veri capolavori: così quella che rappresenta Paolo e Francesca, quella che mostra i due poeti che varcano la porta dell'Inferno, un quadro " da dare gloria a qualunque pittore ", nel quale si trovano mirabilmente fuse le esperienze di quasi trent'anni di grandissima pittura, quella di Farinata, quella della selva dei suicidi, quella dell'argine fra la selva stessa e l'ardente sabbione, quella stupenda degl'ipocriti sotto le loro cappe di piombo dorato.

Bibl. - Il Dante Urbinate della Biblioteca Vaticana (Codice Urbinate latino 365), [Città del Vaticano] 1965, I, Introd.; ivi anche gran parte della Bibl. precedente.

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