GUGLIELMO I principe d'Orange, conte di Nassau, detto il Taciturno

Enciclopedia Italiana (1933)

GUGLIELMO I principe d'Orange, conte di Nassau, detto il Taciturno

Adriano H. Luijdjens

Nacque il 24 aprile 1533, primogenito di Guglielmo di Nassau-Dillenburg e di Giuliana di Stolberg, nel castello di Dillenburg in Germania. I genitori erano entrambi luterani; e sebbene il padre per prudenza non palesasse troppo apertamente i suoi sentimenti religiosi, la madre educava G., come tutti i suoi figli, nella confessione di Augusta. Nel 1544 moriva il cugino germano di G., Renato di Nassau, che, dal 1530, divenuto principe di Orange, lasciava i grandissimi suoi possessi (il principato di Orange era il titolo più vistoso, ma assai maggiori erano i possessi nei Paesi Bassi, in specie nel Brabante) proprio a G. Carlo V decise, nonostante consigli avversi, che il testamento a favore "del figlio di un eretico" fosse valido; tuttavia l'undicenne principe, d'un tratto divenuto il nobile più ricco dei Paesi Bassi, avrebbe dovuto trasferirsi a Bruxelles per essere educato alla corte della governatrice dei Paesi Bassi, Maria d'Ungheria, e nella religione di Roma. A Bruxelles, per il suo vivace intelletto, ben presto divenne il prediletto dell'imperatore. Nel 1551 sposò Anna, figlia del ricco conte Massimiliano di Buren. Nello stesso anno fece la sua prima campagna contro i Francesi. Il 25 ottobre 1555 assistette a Bruxelles all'abdicazione di Carlo V.

Anche Filippo II, di carattere diametralmente opposto a quello di G., continuò in un primo tempo a favorirlo, nominandolo membro del Consiglio di stato (1555) e insignendolo del Toson d'oro; e G. servì il re nella guerra contro la Francia e gli rese poi grandi servizî come diplomatico, in occasione delle trattative che condussero alla pace di Cateau-Cambrésis (1559). Come ostaggio per l'adempimento del trattato, G. si recò insieme con il duca d'Alba e il conte di Egmont a Parigi; durante una partita di caccia Enrico II, pensando che il principe fosse a parte del segreto, gli raccontò come il duca d'Alba gli avesse proposto in nome di Filippo II un'unione con l'intento di estirpare dai loro paesi l'eresia. Filippo si sarebbe servito delle. truppe spagnole, lasciate all'uopo nei Paesi Bassi, per castigare tutti gli eretici. Nella sua Apologia del 1580, G. affermò che tal ragionamento lo turbò sì profondamente, da fargli prendere già da allora la risoluzione di liberare i Paesi Bassi dalla soldatesca spagnola. Tuttavia non vi è alcuna prova che in quel tempo G. simpatizzasse con i protestanti; sembra invece che a lui, come alla maggioranza dei nobili neerlandesi dell'epoca, educati nelle idee umanistiche di Erasmo, mancasse del tutto una convinzione religiosa. E certo è ch'egli, contornato in Bruxelles da una corte splendida, partecipava alla vita spensierata e gaia dei nobili neerlandesi.

Tuttavia egli ebbe parte nella decisione degli Stati generali, i quali l'8 agosto 1559, in un con i cavalieri del Toson d'oro, chiesero al re, che stava per lasciare i Paesi Bassi, l'allontanamento delle truppe spagnole, e ciò in virtù di vecchi privilegi. Qui s'inizia il contrasto fra G. e Filippo II. Il re accusava G. ed Egmont di essere le due colonne sulle quali gli Stati si appoggiavano nei loro tentativi di diminuire il potere della corona. G. lasciò il suo posto nel Consiglio di stato, nonché la carica di "chief des finances", e solo per l'insistente preghiera del re ritornò alle sedute del Consiglio. Prima di partire il re nominò G. suo statolder (cioè governatore) nelle tre provincie di Olanda, Zelanda e Utrecht, cosa veramente a cui l'alta posizione del principe quasi lo costringeva.

La ragione fondamentale del contrasto fra i due uomini era soprattutto in ciò che Filippo, tutto spagnolo, considerava i Paesi Bassi come un importante posto avanzato del suo impero, in cui voleva regnare da re assoluto; il principe, invece, li considerava come un territorio indipendente dalla Spagna, che avrebbe dovuto avvicinarsi di più all'impero germanico, e sul quale il sovrano spagnolo doveva governare solo con l'aiuto degli Stati e rispettando i privilegi.

Nel 1561 G. ottenne ancora il governatorato della Franca Contea, e nello stesso anno si sposò nuovamente (la prima moglie era morta nel 1558) con Anna di Sassonia, figlia dell'elettore Maurizio e luterana convinta. Una volta sposata, la principessa, come G. stesso, ascoltava formalmente la messa e viveva apparentemente come cattolica. Ma proprio in quel periodo papa Pio IV con una severa lettera (dicembre 1563) rimproverava a G. la poco energica persecuzione dei calvinisti nel suo principato. Durante le trattative per il matrimonio era pure scoppiato apertamente il conflitto tra G. e Granvelle, vescovo di Arras, che condusse ad una vera lega di un'importante parte della nobiltà con a capo G, Egmont e Hoorne contro Granvelle, di cui si chiese nel 1563 l'allontanamento. Avuta ancora risposta sfavorevole, i tre capi sunnominati decisero di non frequentare più le sedute del Consiglio di stato. G. insistette sull'urgenza di convocare gli Statí generali per rimediare specialmente all'universale malcontento e alle difficoltà finanziarie. E finalmente Filippo richiamò il Granvelle (1564). Per un anno i nobili ressero il paese con Margherita di Parma. G. prese subito nel Consiglio di stato un posto preponderante.

Ma la questione politica si complicava ogni giorno più con la questione religiosa: il luteranesimo guadagnava terreno e dalla Francia s'avanzava ora anche una corrente calvinista, che faceva molti proseliti, in specie nei Paesi Bassi meridionali. Poco chiara in questi anni la politica del Taciturno, in rapporti con i principi tedeschi luterani e con alcuni capi degli Ugonottí in Francia. Il 31 dicembre '64 nel Consiglio di stato egli pronunciò un importantissimo discorso, in cui ' dichiarava di non poter approvare la potenza tirannica che i re e principi si attribuivano sulle coscienze dei propri sudditi, prescrivendo loro la forma di religione. Enorme l'impressione; ma poco dopo giunsero le famose "lettere da Segovia" nelle quali per la prima volta Filippo II si esprimeva chiaramente, ordinando d'intensificare la persecuzione senza tregua di tutti gli eretici. Nel Consiglio G. insistette sull'esecuzione degli ordini del re, ma nelle provincie sottoposte al suo statolderato rifiutò l'applicazione della grida. Politica ambigua, che non impediva al popolo di vedere in lui il difensore delle sue libertà e perfino ai calvinisti di fidarsi di G. Questi poi, in apparenza sempre cattolico, in Germanía si mostrava luterano. Del calvinismo rivoluzionario invece non volle saperne. Rimaneva fuori del compromesso dei nobili minori (v. brederode; breda) e non partecipò alla consegna della supplica alla governatrice; ma dietro le quinte fu l'anima di questo movimento. Il 13 luglio 1566 G. si recava ad Anversa, di cui era burgravio, per pacificare la plebe calvinista. Accolto trionfalmente dal popolo e dai "gueux", guidati dal Brederode, riuscì a rimettere l'ordine e ad impedire, senza crudeltà, ulteriori prediche all'aperto da parte dei calvinisti. Ma aveva appena lasciato la metropoli fiamminga, che la plebe invase le chiese rovinando oggetti di culto, quadri, ecc. (19 agosto). In pochi giorni il movimento iconoclastico si diffuse in tutti i Paesi Bassi. G. lo disapprovò e lo punì severamente; ma la governatrice, costretta per l'incalzare degli eventi a far m0lte concessioni e perciò ferita nel suo orgoglio, accusò nelle sue lettere al re G. e i suoi amici di essersi "dichiarati contro Dio e contro il re", affermando che G. nutriva l'intenzione d'impadronirsi dello stato.

Difficilissima era la posizione di G., trattato dai calvinisti come traditore, e dal governo visto con sfiducia. Tentò egli ancora di ristabilire l'ordine nel senso di un moderato divieto delle prediche calviníste; ma la governatrice, rimessasi dalla prima paura, non volle lasciare ai protestanti nessuna libertà. Per tramite del fratello Luigi, G. aveva, a quanto pare, aperto trattative con i capi calvinisti, e tanto lui quanto il Brederode stavano raccogliendo somme di denaro per comperare dal re la libertà di coscienza, o, assai più verosimilmente, per assoldare truppe per opporsi alla venuta delle milizie spagnole. Filippo II infatti mandava nei Paesi Bassi un grande esercito sotto il duca dí Alba; prevedendo il regime di terrore, e fallito, per la mancata adesione di Egmont, un tentativo di G. per opporsi, il principe si ritirò in Germania a Dillenburg (1567). Migliaia di protestanti e molti cattolici seguirono il suo esempio.

Cominciò il governo del duca d'Alba. G. fu invitato a comparire davanti al tribunale speciale (Consiglio dei torbidi): non essendo venuto, il duca d'Alba fece rapire (13 febbraio 1568) da Lovanio il primogenito di G., Filippo Guglielmo, che fu imbarcato per la Spagna. G. protestò invocando i privilegi del Toson d'oro; nell'aprile pubblicò la Justification du prince d'Orange contre ses calomniateurs; chiese aiuto ai principi tedeschi protestanti, ai capi degli Ugonotti, alla regina d'Inghilterra; si mise in comunicazione con i fuorusciti neerlandesi in Germania e con i "pezzenti del mare", i fuggitivi cioè che sul mare tentavano di danneggiare la Spagna; progettò infine per l'estate del 1568 una grande invasione nei Paesi Bassi. Per primo il fratello Luigi invase la provincia di Groninga e fu vittorioso a Heiligerlee (28 maggio). Con questa battaglia cominciava la guerra degli Ottanta anni (v. paesi bassi; olanda). Ma poi Luigi fu totalmente sconfitto a Jemmingen e appena salvò la propria vita.

G. con un esercito di 20.0000 Tedeschi e Valloni, formato più da banditi che da soldati riuscì a passare la Mosa; ma contro la sua aspettativa nessuna città spontaneamente si ribellò; il duca d'Alba capitano a lui molto superiore, lo costrinse ad estenuanti marce; i soldati mal pagati si ribellarono e, senza aver incontrato l'esercito nemico, il principe si vide costretto a ritirarsi; privo di denaro dovette fuggire in Francia per liberarsi dalle minacciose pretese dei suoi soldati. In Francia prese parte alla battaglia di Roche l'Abeille e all'assedio di Poitiers in aiuto del Coligny.

Tornato a Dillenburg, divorziò per adulterio provato della sua seconda moglie. Fu il periodo più difficile della sua vita. Tutto intorno a lui crollava; ma egli non perdette tuttavia la speranza. Nulla più restava in G. dello spensierato nobile dei primi anni; il suo carattere col crescere degli anni si fa sempre più profondo e sincero. In Francia aveva osservato più da vicino il calvinismo, col quale cominciava ora a simpatizzare, tenendolo assai più in conto di prima. Un'altra causa di questo cambiamento d'indirizzo si deve ricercare nella disillusione provata da G. per la mancanza di valido aiuto da parte dei principi luterani della Germania; ed egli, che dopo il suo divorzio poteva ancora meno contare su tale aiuto, cominciava la sua politica francofila alla quale rimase poi sempre fedele.

Era pronto un nuovo grande progetto d'invasione per la primavera del 1572: G., venduti quadri, arazzi, argenterie, ecc. per assoldare un nuovo esercito, avrebbe invaso di nuovo i Paesi Bassi Meridionali dalla frontiera tedesca; Luigi, rimasto in Francia, il Brabante con aiuto francese; i "pezzenti del mare" avrebbero tentato di prendere una città alle foci dei grandi fiumi in Olanda. Il destino fece andar le cose in altro modo. Esclusi dai porti inglesi (Elisabetta temeva una guerra con Filippo II), "i pezzenti del mare", senza più rifugio, presero il 1 aprile 1572 per intimidazione la città di Brielle, di lì riuscendo in poco tempo a diffondere la ribellione in molte città d'Olanda e Zelanda. Ma difficile era la situazione di Luigi assediato a Mons, privo dell'aiuto promesso dalla Francia. G., accorso in suo aiuto, prese Roermond (17 luglio); poi Lovanio e Malines (agosto); altre città aprirono le porte al liberatore; ma nel settembre venne la notizia della notte di S. Bartolomeo. E un'incursione degli Spagnoli costringeva G., accampato presso Mons, a fuggire verso Malines. Unica speranza adesso l'Olanda, dove a Dordrecht si erano riuniti i rappresentanti delle città liberate: ad essi il 15 luglio 1572 Marnix van St. Aldegonde aveva annunziato che G. avrebbe mantenuto la libertà di culto per protestanti e cattolici e che non avrebbe fatto alcun trattato col re senza il benestare degli Stati.

Per il principe cominciò una nuova vita: con energia indomabile condusse per dodici anni l'epica lotta del piccolo gruppo di Olandesi e Zelandesi prima, di tutti i Neerlandesi poi, delle provincie settentrionali finalmente, contro l'immenso impero spagnolo. Si appoggiò non solamente sul piccolo ma coraggioso numero dei calvinisti, alla cui religione nel 1573, dopo lunga esitazione fra Lutero e Calvino, passò, ma chiamò tutti i patrioti senza distinzione religiosa alle armi contro l'oppressore e non esitò a difendere i cattolici contro il fanatismo dei calvinisti. Il suo ideale era di ridare a tutta la patria neerlandese l'antica prosperità, all'ombra degli antichi privilegi, sotto il controllo degli Stati generali, e con perfetta libertà di religione. Era un ideale troppo alto per quei tempi, e ben presto in Olanda e Zelanda fu proibita la libera pratica del cattolicesimo; rimase però la libertà di coscienza. Nei primi anni G. si considerava "statolder del re in Olanda, Zelanda e Utrecht", sebbene da anni privato di quella carica; più tardi fu il "capo" eletto dagli Stati. La guerra era contro la soldatesca spagnola nei Paesi Bassi, mentre nominalmente si rispettava il re.

Le sorti della guerra, compromesse col duca d'Alba, si risollevarono quando questi fu sostituito dal Requesens (1573). Con l'aiuto di G., che fece inondare gran parte dell'Olanda, la città di Leida dopo due lunghi assedi fu salva (1574). La vittoria accrebbe di molto la popolarità di G.; e il Requesens intavolò coi ribelli delle trattative che fallirono per la condizione spagnola che i calvinisti dovessero abiurare la loro fede. Ma, ciò nonostante, vi fu un momento di respiro; e quando, dopo la morte del Requesens (5 marzo 1576), l'esercito spagnolo si ammutinò e invase il Brabante, G. riuscì a cogliere i frutti della rivoluzione; nel settembre un nobile orangista fece un colpo di stato a Bruxelles, eliminando quei membri del Consiglio di stato che "spagnolizzavano" e quattro giorni dopo gli stati del Brabante convocarono gli Stati generali delle provincie, escluse Olanda e Zelanda. Ne seguì la pacificazione di Gand (v.). G. che nel giugno 1575 si era sposato per la terza volta con Carlotta di Borbone, imparentata a Enrico III di Francia, dall'assemblea fu nominato nuovameme statolder di Olanda, Zelanda, e Utrecht.

Frattanto era arrivato Don Giovanni d'Austria, il nuovo governatore, che, nonostante la cortesia dei modi, non riuscì a vincere le diffidenze di G.; e infatti poco dopo lo spagnolo svelava il suo giuoco, occupando la città di Namur (luglio 1577) ed esigendo maggior influenza personale ed aiuto armato contro "l'arciribelle Orange". La reazione fu pronta: il popolo demolì ovunque le cittadelle e acclamò in G. il suo liberatore. Il 23 settembre 1577 G. fece il suo ingresso trionfale in Bruxelles, acclamato dal popolo in delirio "padre della patria". Gli Stati generali, perduta ormai la fiducia in don Giovanni d'Austria, chiamarono un altro governatore nel paese: il giovane Mattia d'Austria, il quale avrebbe dovuto, nel loro intento, salvare i Paesi Bassi per la casa d'Asburgo e per la religione cattolica. Il popolo indignato irruppe nelle sale del consiglio di Brabante e costrinse il consiglio a nominare G. "tutore del Brabante": un titolo nuovo, poiché il Brabante, sede del governatore generale, non aveva statolder. Nonostante l'opposizione dei nobili conservatori, gli Stati generali contro la loro volontà si videro costretti a nominare G. "tenente" di Mattia e ben presto G. fu il vero capo.

Ma proprio allora s'accesero i dissensi interni. Nonostante la pacificazione, gli eccessi degli estremisti calvinisti avevano aperto un profondo contrasto fra le varie provincie. G. ne era indignato, ben sapendo che la maggioranza cattolica avrebbe perduto ogni simpatia per la causa nazionale. Egli solo aveva la visione netta di una grande nazione neerlandese indipendente, e sapeva che ciò non si sarebbe mai realizzato senza assoluta libertà di coscienza.

La morte di Don Giovanni e la venuta di Alessandro Farnese, duca di Parma, fecero precipitare gli eventi. Il 23 gennaio 1579 venne sottoscritta l'unione di Utrecht; pochi giorni prima le provincie vallone ad Arras avevano costituito la loro unione per salvaguardare la pacificazione nel senso cattolico. L'unità neerlandese ideale di G. era compromessa irreparabilmente. Dopo un ultimo tentativo di riunire tutte le provincie, il principe nel marzo 1579 firmò anch'egli l'unione di Utrecht.

Sempre più convinto che senza G. la ribellione presto sarebbe finita, ed anche per impedirgli il suo disegno di trasferire la sovranità sui Paesi Bassi al duca d'Angiò, la corte spagnola, dietro consiglio del Granvelle, fece da Alessandro Farnese pubblicare un bando con una taglia altissima sulla testa del Taciturno, e il 13 dicembre G. presentò agli Stati generali da lui convocati a Delft la magistrale Apologie in cui, per la prima volta, egli parla con disprezzo del re "trompeur et hypocrite".

Verso la fine dell'anno la difficile questione della sovranità trovò una soluzione: G. offriva la sovranità su tutti gli stati a Francesco d'Angiò. Non si aspettava certo molto da questo duca; ma sperava di poter scatenare in tal modo una guerra tra Francia e Spagna. Alla fine del 1581 gli Stati generali a L'Aia solennemente abiurarono Filippo II come loro sovrano. Ma contro il duca francese v'erano pure molte diffidenze, e quand'egli tentò d'impadronirsi di varie città per regnare da sovrano assoluto (v. angiò, ercole francesco), dovette ritornare in Francia. G., convinto che senza l'aiuto francese la guerra contro il duca di Parma sarebbe stata impossibile, consigliò di fare col duca francese un nuovo patto; ma per questo atteggiamento perdette molte simpatie nelle Fiandre e nel Brabante, sempre francofobi, e il suo nuovo matrimonio con Luisa di Coligny accrebbe il conflitto, tanto che egli lasciò Anversa e si stabilì a Delft. Gli Stati generali offrirono a G. il governatorato generale sugli stati dell'unione di Utrecht; ed egli accettò. Ma rifiutò la sovranità sul ducato di Brabante; sembra invece che aspirasse oramai per sé e per i suoi discendenti a divenire conte di Olanda e Zelanda. Ma, prima di poter raggiungere questo scopo, fu assassinato il 10 luglio 1584 da un fanatico, Balthasar Gerard, nel palazzo di Delft.

Lasciava dodici figli, di cu- tre maschi: Filippo Guglielmo, dall'Alba mandato in Spagna, Maurizio, figlio di Anna di Sassonia, e Federico Enrico, nato sei mesi prima della sua morte da Luisa di Coligny.

Il Taciturno, uomo di stato di primissimo ordine, è rimasto per il popolo neerlandese il "padre della patria" il fondatore del loro libero stato. Egli ha dovuto lottare non solo contro la tirannia di Filippo II, ma persino contro il fanatismo dei proprî partigiani, i quali non seppero intendere l'alta sua idea della libertà di coscienza.

Fonti: G. Groen van Prinsterer, Archives de la Maison d'Orange-Nassau, 1ª serie, VIII, Leida 1835-47; L.P. Gachard, Correspondance de Guillaume le Taciturne, voll. 6, Bruxelles 1847-58; in Correspondance de Marguérite d'Autriche avec Philippe II, voll. 3, Bruxelles 1867-87; id., Correspondance de Philippe II, voll. 5, Bruxelles 1848-62; Ch. Weiss, Papiers d'Etat du card. de Granvelle, voll. 9, Parigi 1841-52; Piot, Correspondance de Granvelle, voll. 12, Bruxelles 1878-97. Nel 1933, quarto centen. della nascita di G., si pubblicherà a L'Aia una nuova edizione delle sue Lettere con più di 1200 lettere inedite, conservate in archivî ancora segreti al tempo del Gachard.

Bibl.: L. F. de Beaufort, Het Leven van Willem den Eerste, voll. 3, Leida 1732; J. L. Motley, Rise of the Dutch Republic, voll. 3, New York-Londra 1856-58; Th. Juste, Guillaume le Taciturne, L'Aia 1873; F. Rachfahl, Wilhelm von Oranien, I-II, Halle 1906-1908, II, L'Aia 1924 (il libro è incompleto e va fino al 1569); Ed. Heyck, Wilhelm von Oranien, Bielefeld e Lipsia 1908, vol. XXVIII delle Monographien zur Weltgeschichte; W. J. F. Nuyens, De Geschiedenis der Nederlandsche Beroerten, voll. 3, Amsterdam 1865-67; R. Fruin, Verspreide Geschriften, II e III, L'Aia 1900-01; P. J. Blok, Willem de Eerste, Amsterdam, 1919-20. Inoltre i libri generali di storia olandese e belga.