PETRONI, Guglielmo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 82 (2015)

PETRONI, Guglielmo

Giorgio Patrizi

PETRONI, Guglielmo. – Nacque a Lucca il 30 ottobre 1911 da Bruno e Giuditta Santini.

Interrotta la scuola già all’età di 13 anni per andare a lavorare nel negozio paterno di calzature, Petroni mostrò presto un’inquieta vocazione creativa, cui guardò con la speranza che potesse consentirgli di uscire dall’angusto universo paterno. I giovani amici della piazzetta lucchese – lo scultore Gaetano Scapecchi, il pittore Giuseppe Ardinghi, lo scrittore Arrigo Benedetti – lo spinsero ad accostarsi al mondo dell’arte, in cui Petroni s’immerse ripensando, spinto anche dalla vivacità intellettuale che caratterizzava quegli ambienti, alle esperienze della scuola francese, da Cézanne a Monet, a Courbet; e tuttavia tenendo ferma la lezione di stile e di tecnica dell’amato Giorgio Morandi (come testimonia lo stesso Petroni in uno scritto rievocativo del 1978: Pittura anni trenta a Lucca). Anche le letture nella biblioteca cittadina lo portarono presto a confrontarsi con le esperienze contemporanee di cui veniva eco dai caffè fiorentini, soprattutto Le Giubbe Rosse.

Petroni cominciò così a dedicarsi alla pittura sotto la guida dei due grandi amici artisti lucchesi che lo aiutarono a completare quella formazione culturale che non si era potuta realizzare sui banchi di scuola. Gli esiti di questo apprendistato presto rivelarono, nel giovane, una vena espressiva interessante che gli procurò l’elogio di Ardengo Soffici, in visita allo studio di Lucca. Anche il lavoro poetico gli valse apprezzamenti: Corrado Pavolini volle pubblicare quattro poesie ne L’Italia letteraria del 10 aprile del 1932, mentre altre apparvero su Il Selvaggio di Mino Maccari. Il nome di Petroni cominciava a circolare tra letterati scrittori e studiosi. Una visita in bicicletta di un gruppo di studenti della Normale di Pisa (fra cui Giuliano Manacorda, Vittore Branca, Walter Binni, Aldo Borlenghi, Giuseppe Dessì) sancì la prima notorietà dell’esordiente. Tra la bottega paterna, lo studio dei pittori e il lavoro poetico, presto Petroni si trovò a dover scegliere una strada da privilegiare. L’aiutò la sorte: quando, nell’autunno del 1931, un incendio accidentale distrusse i dipinti conservati nel povero locale che fungeva da studio, il destino sembrò spingerlo verso la pratica letteraria, cui pure pareva invitare l’affettuosa attenzione che gli mostravano alcuni artisti e intellettuali.

Entrato in contatto, in rapide trasferte fiorentine, con il circolo di Solaria, strinse amicizia con personaggi di primo piano come Elio Vittorini, Eugenio Montale, Aldo Palazzeschi, Alessandro Bonsanti. Nel 1934, la poesia, Per la nascita di P.I. in un paese toscano, gli valse il premio Cabala (con una giuria formata da Giuseppe Ungaretti, Massimo Bontempelli, Filippo Tommaso Marinetti, Sibilla Aleramo). Fece seguito, presso Guanda, la pubblicazione del suo primo libro, Versi e memoria (Modena 1935), che riuniva poesie composte fra il 1928 e il 1935 e in cui già si annunciavano i termini che avrebbero caratterizzato la sua poetica.

Vi si poteva riscontrare una forte impronta moralistica e la capacità di «vedere le cose, e non i nomi, sorgive, virginali» (Binni, in Il Campano, marzo-aprile 1934, espressa in lingua sobria, scarna. Muovendo da Leopardi, Petroni trovò un modello in Umberto Saba, con la sua narratività antilirica, piuttosto che nel Pascoli dei ‘buoni sentimenti domestici’. Permane comunque e costantemente, nel cuore delle scritture, una tematica leopardiana: la memoria della fanciullezza come purezza, pienezza creativa, ormai perduta, con l’età e con l’epoca. «Una sorta di “totalità” posseduta e raccolta intorno ad una geografia domestica – la casa, la campagna, il paese» (Angeletti, 1981, p. 45), poi perduta nell’affrontare le prove della storia. Lo aiutava, in questo percorso iniziatico, la cultura pittorica: l’impressionismo, come si è detto – per primo l’amato Cézanne – visto come crisi dei linguaggi naturalistici e ricerca di un nuovo linguaggio per nominare l’autenticità delle cose.

Petroni collaborò a importanti testate letterarie dell’epoca, come Il Selvaggio di Maccari e Letteratura di Bonsanti, ove apparve, nell’ottobre del 1937, il suo primo impegno narrativo, Le lettere da Santa Margherita.

Fu questa una fase densa di eventi e di fondamentale importanza per l’apprendistato culturale: nel 1938 si trasferì a Roma, su invito di Curzio Malaparte, per entrare nella redazione della rivista Prospettive; l’anno successivo fece parte anche del gruppo redazionale de La Ruota, con Carlo Muscetta, Mario Alicata, Carlo Socrate, Antonello Trombadori, tutti protagonisti della cultura della sinistra romana, con cui Petroni strinse duraturi rapporti di amicizia e collaborazione. Il fervore militante, politico e culturale, di questi gruppi costituì, in questo periodo, il contesto ideale dell’attività di Petroni che proiettò la propria tensione morale sull’impegno, ideologico e artistico. Ma il sopraggiungere della guerra costrinse ad accelerare i tempi: venne interrotta l’attività letteraria per privilegiare quella del dissenso e della resistenza. Entrato nel gruppo della Resistenza romana, il 2 maggio del 1944, Petroni fu arrestato mentre distribuiva volantini contro gli occupanti. Condannato a morte dal tribunale militare tedesco, venne rinchiuso in varie prigioni romane: da quella famigerata di via Tasso, dove fu vessato e torturato, a quella di Regina Coeli, dove attese l’esecuzione con altri prigionieri politici. La liberazione di Roma da parte degli Alleati, il 4 giugno, lo salvò in extremis dalla morte. Da questa drammatica esperienza, nacque il romanzo che diede maggiore notorietà allo scrittore, Il mondo è una prigione.

Scritto tra la fine del 1944 e il settembre del 1945, alcuni capitoli apparvero a puntate nella rivista Mercurio, già dal dicembre del 1944. Successivamente il testo integrale fu pubblicato sul numero 1 di Botteghe oscure, nel 1948, e quindi, dopo un iniziale rifiuto dovuto al timore di una materia non facilmente fruibile, sull’onda del successo ottenuto dalla pubblicazione in rivista, in volume per Mondadori nel 1949, con un’acuta prefazione – già apparsa, l’anno prima, come recensione nel Corriere della sera – di Pietro Pancrazi. Seguirono, sempre presso Mondadori, altre due edizioni, nel 1960 – con un’interessante Nota dell’autore di riflessione sull’esperienza di quindici prima – e nel 1974.

Il romanzo è la narrazione della prigionia dello scrittore, dal 3 maggio del 1944 al 4 giugno successivo: la memoria degli eventi di questi trentatré giorni viene ricostruita come un percorso infernale da cui l’io narrante si difende attraverso la riflessione sugli eventi esperiti che, dietro l’apparente ‘indifferenza’ agli atti oltraggiosi, ai soprusi, alle violenze, si nutre però della straordinaria percezione di una catena solidale che lega le vittime tra loro. In tale prospettiva di ‘resistenza etica’ al male della storia, si svolge la descrizione – all’inizio e alla conclusione del romanzo – del faticoso viaggio di ritorno alla libertà, alla città natale, alla famiglia. Petroni si domanda: com’è possibile che un ricordo costituisca serenità e nasca dal dolore? Proprio qui «sta il segreto messaggio del Mondo è una prigione, la forza persuasiva di una prosa limpida e scarna che non ha paura d’implicare l’empito dei sentimenti e della passione etica» (Luti, 1995, p. 15).

È stato scritto che, dopo l’esperienza narrativa del libro sulla prigionia, è come se si fosse sciolto un nodo morale, in cui l’istanza etica s’intrecciava con quella creativa e intellettuale. E così due altri romanzi, nell’arco di dieci anni, recuperarono, se pur con sfumature diverse, il contrasto tra io e altro, tra universo del sé e mondo circostante: La casa si muove (1949) e Noi dobbiamo parlare (1955).

Il primo – apparso dapprima in Botteghe oscure, poi nel 1950 edito da Mondadori – è il racconto della ricerca della solitudine, radicalmente vissuta, del protagonista Ugo Gattegna, che rifiuta ogni possibile rapporto con i suoi simili, respingendo tutte le ‘contaminazioni’ con il mondo, e vivendo l’alterità come pericolo. Lasciati gli studi, le amicizie, la sola aspirazione di Ugo è «la cancellazione di tutto ciò che esce dai limiti della propria persona» (Angeletti, 1981, p. 93), a testimonianza così di una società ormai alla fine.

In Noi dobbiamo parlare – pubblicato sempre per i tipi di Mondadori nel 1955 – il contrasto tra l’individuo e il mondo si ripropone in termini più espliciti, nel contrasto tra l’egoista Venturino, un opportunista arricchitosi, e la povera ma testarda nipote Natalina, venuta a denunciare la chiusura dello zio rispetto ai problemi familiari. E dopo scontri e brutalità ricevute, la sua ingenua, ma tenace volontà di far riflettere lo zio sulle proprie responsabilità disattese fa breccia nelle difese che Venturino si era costruito, durante la propria, poco limpida, ascesa sociale. Ma, nel contrasto tra i due protagonisti, si gioca una visione più dialettica dell’esistenza: «l’antitesi assoluta da cui aveva preso le mosse la vicenda, alla fine si stempera in un incontro che, se ha bruciato durante il cammino le forze e una parte vitale dei protagonisti, è l’adattamento al compromesso promiscuo della realtà» (Angeletti, 1981, p. 104).

A distanza di dieci anni, ancora presso Mondadori, Il colore della terra (1964), segnò il ritorno a toni di un autobiografismo più legato alle vicende storiche e sociali, costruendo – assieme a un’altra narrazione che scandisce, ancora a distanza di dieci anni, un ampio ritratto delle trasformazioni del Paese, La morte del fiume (1974), per il quale Petroni fu insignito del premio Strega – un dittico in cui gli strumenti della narrazione, della ricostruzione, nei personaggi del romanzo, delle esperienze dell’infanzia, servono anche a evocare i passaggi di una storia, insieme della storia, della società, dell’ambiente. Così il fiume morente – un Serchio inquinato, imputridito dal liquame – segna la distanza dal passato felice e avventuroso, quello di un’infanzia come epoca ingenua; per recuperare poi il senso di quegli anni nella consapevolezza filtrata dalle esperienze civili e intellettuali. Questa riappropriazione del passato è svolta con un originale ritmo narrativo, costruito su dialoghi serrati, di tipo teatrale, così che i personaggi possano «rappresentare direttamente con le proprie voci il clima umano e morale di quel piccolo mondo» (Vanelli, 2001, p. 51).

«Il percorso seguito da Petroni, da Il mondo è una prigione a La morte del fiume, è emblematico nella storia del realismo letterario di metà Novecento, in quanto è evidente l’influenza che su Petroni hanno avuto gli scrittori e i critici solariani» (F. Petroni, in L’esperienza del mutamento ne “La morte del fiume”, in La narrativa di Guglielmo Petroni, a cura di M. Tortora, Roma 2007, p. 76). Nel 1984 Petroni pubblicò infine, presso Rizzoli, Il nome delle parole (riproposto nel 2011, da Sellerio), premio selezione Campiello: un meditato ripensamento della propria vicenda autobiografica e intellettuale «da cui traspare un desiderio di sintesi, di bilancio: quasi un giustificare la scelta di dedicarsi, lui di famiglia povera, bambino autodidatta, alla cultura» (Nigro, 2011, p. 163). Ne scaturisce un appassionante ritratto di un mondo letterario rievocato con precisione e nostalgia.

Petroni morì a Roma il 29 aprile 1993.

Opere. Poesia: Versi e memoria, Modena 1935; Poesie, Vicenza 1959; Fermo sereno, Vicenza 1969; Poesie (1928-1978), Modena 1978. Narrativa: Le lettere da Santa Margherita, Roma 1946; Il mondo è una prigione, Milano 1949; La casa si muove, Milano 1950; Noi dobbiamo parlare, Milano 1955; Il colore della terra, Milano 1964; Le macchie di Donato, Milano 1968; La morte del fiume, Milano 1974; Il nome delle parole, Milano 1984 (2ª ed., a cura di S.S. Nigro e con una testimonianza di A. Camilleri, Palermo 2011). Scritti critici e saggistici: Scritti lucchesi, Lucca 1987; in particolare per la critica d’arte sono da ricordare: E. Fantuzzi, Roma 1961; C. Levi, Milano 1969, A. Sassu, Fiuggi 1973; E. Greco, Viareggio 1978.

Fonti e Bibl.: L. Angeletti, G. P., Firenze 1981 (monografia che costituisce la fonte primaria per un ritratto dello scrittore, con un’intervista e una ricca bibliografia primaria e secondaria). Numerose le edizioni di Il mondo è una prigione, con importanti prefazioni: ricordiamo quelle curate da G. Luti (Firenze 1995) e da S. Giovanardi (Milano 2005). Significativa anche l’introduzione di P. Vanelli a La morte del fiume (Lucca 2001), nonché la premessa di A. Camilleri e la postfazione di S.S. Nigro a Il nome delle parole (Palermo 2011). Ricordi dell’ambiente lucchese in G. Ardinghi, Novecento al caffè, Firenze 2000. Importanti, per molti aspetti dell’opera di P., il volume La narrativa di G. P., Atti della giornata di studi della Fondazione Caetani… 2006, a cura di M. Tortora, Roma 2007 (che include anche una ricca raccolta di lettere a P., dal 1932 al 1978).

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