BAISIO, Guido da

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 5 (1963)

BAISIO (Abaisi, Abaisio, Abaisius, Abaixi, Abaysii, Abaysio, Abbaixii, Abbaixo, Baiiso, Baisius, Baiso, Baixio, Basio, Baypho, Baysi, Baysio, Bayso, detto l'Arcidiacono), Guido da

Filippo Liotta

Nacque, nella seconda metà del secolo XIII da una famiglia originaria di Reggio nell'Emilia, che tradizionalmente si fa risalire a Guglielmo da Baiso, uno dei cattani del Frignano, sull'Appennino modenese, vivente nel 1156: da questo discenderebbe anche il ramo bolognese della famiglia (Savioli, Annali...). Il Fantuzzi, dal quale gli altri autori dipendono, afferma invece che la famiglia era originaria di Bologna, donde fu esiliata per aver seguito la fazione ghibellina dei Lambertazzi (Notizie..., I, p. 316). Comunque, il toponimo del castello d'origine "Baiso", nella sua forma latinizzata, "Baisius", accompagna sempre il nome di tutti gli appartenenti alla stirpe sino a diventarne, con ogni probabilità, nell'esito volgare "Baisio", il cognome. Nufla, oltre queste poche notizie, ci dicono le fonti sulla famiglia di Guido, salvo il nome del padre, che il Sarti (De claris...) dice essersi chiamato Ugo.

A Reggio il B. si addottorò in diritto avendo avuto per maestri Guido da Suzzara e Giovanni d'Anguissola e, senza essere distolto dalla carriera ecclesiastica, cominciò a professarne l'insegnamento, pare, a Reggio. Fu giudice in una controversia tra ecclesiastici, come attesta il Tiraboschi (Memorie storiche... Codice diplomatico, p. 33, n. 1), e a Reggio prese parte ad avvenimenti accademici di quella scuola giuridica (Gualazzini, La scuola giuridica...). Ma la sua carriera si può seguire con il sussidio di una maggiore documentazione da quando divenne cappellano di Gerardo Bianchi da Parma che, nominato cardinale prete della basilica dei Dodici Apostoli, fu vescovo di Sabina e, certamente, personaggio influente della curia romana al tempo di Bonifacio VIII. Alla protezione del Bianchi, il B. deve la rapida ascesa nella carriera ecclesiastica. Trasferitosi a Bologna sin dal 1283 (ma non al seguito del Bianchi, che, al contrario di quanto afferma lo Schulte [Die Geschichte..., p. 186], non fu mai vescovo di Bologna, cfr. Eubel Hierarchia Catholica..., I, Monasterii 1913, p. 140), cominciò a professarvi privatamente il diritto canonico. Questo non gli impedì di essere nominato nel 1295 da Bonifacio VIII (con bolla del 12 agosto) canonico e cantore della Chiesa di Chartres senza pregiudizio dell'arcidiaconato che già possedeva nella Chiesa di Reggio in Emilia; e, nel 1296 (con bolla del 12 settembre), di essere elevato all'arcidiaconato della Chiesa di Bologna (da qui l'appellativo di arcidiacono con cui, per antonomasia, è spessissimo indicato), carica che gli conferiva di diritto il titolo e l'ufficio di arcicancelliere dell'università, con dispensa dall'obbligo di risiedere nei luoghi ove possedeva benefici, e dei quali, però, conservava i redditi. Nonostante coteste molteplici incombenze, il B. non smise di insegnare privatamente il diritto canonico: al contrario, le sue lezioni erano frequentate e apprezzate dagli studenti bolognesi, i quali, nel 1301, si rivolsero agli Anziani del Comune per chiedere che il B. fosse assunto come pubblico professore e che gli fosse affidata la cattedra ordinaria di Decretum istituita sin dal 1289. Richiesta, questa, che, accolta dalla municipalità, condusse all'ingaggio triennale del B. per leggere Decreti con lo stipendio annuo di 150 lire. Allo scadere del contratto che lo legava allo Studio di Bologna (1304), il B. si recò alla corte del papa Benedetto XI dal quale era stato nominato "litterarum contradictarum auditor et cappellanus domini papae", ufficio che conservò anche dopo il trasferimento della curia pontificia ad Avignone, dove anch'egli si recò al seguito di Clemente V.

Risalgono alla sua attività presso il "tribunal litterarum contradictarum" le Constitutiones super observancia audienciae contradictarum emanate dal B. il 23 ott. e il 28 nov. 1311 sotto il pontificato di Clemente V (secondo Schulte, p. 190, le Constitutiones sarebbero state emanate il 23 ottobre, dal B. insieme a Bertrando e a Beltramino, ma dall'esame dei manoscritti tutto ciò non risulta. Le Constitutiones di Bertrando e di Beltramino sono state emanate, come quelle dei B., autonomamente, e non congiuntamente dai tre o auditores") dal momento che Bertrando e Beltramino, rispettivamente arcivescovo di Embrun e vescovo di Bologna le emendarono il primo nel 1327-1333; il secondo nel 1355. Si tratta, di ordinanze dirette a regolare alcune attività del tribunale, dei procuratori e di altri ufficiali di quell'organo giurisdizionale. Esse ci sono state tramandate da due codici conservati nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Pal. lat. 685, f. 42 v-43 v, e Vat. lat. 3986, f. 2 v-3 v), edite da J. Teige, Beiträge zur Geschìchte des Audientia Contradictarum, Band I., Prag 1897, pp. III-VI. Queste Constitutiones dovettero avere larga applicazione se, come si ricava dai due manoscritti citati (Vat. lat. 3986, f. 4; Pal. lat. 685, f. 43 v), furono espressamente richiamate da Giovanni XXII (16 nov. 1331).

Durante la permanenza ad Avignone il B. continuò ad esercitare l'ufficio di arcidiacono nella Chiesa di Bologna per mezzo di un vicario (già nominato con bolla dell'11 maggìo 1304) - che probabilmente fu il nipote Guido da Baisio figlio di Filippo -, le cui spese erano a carico del Comune di Bologna (Ruffini, Dante e il protervo..., p. 19), ed a possedere ogni altra rendita e beneficio con dispensa dall'obbligo di residenza (bolle di Benedetto XI dell'11 maggio 1304). Morì a Borgo di Val di Taro prima dell'11 luglio 1313, data in cui viene nominato a succedergli nell'arcidiaconato bolognese Guglielmo da Brescia.

Non deve suscitare meraviglia l'accumularsi delle prebende e delle dispense di cui il B. godette durante la sua vita; né su questo si può fondare il severo giudizio espresso dal Thomas e dal Ruffini sulla sua figura morale. Era uso del tempo concedere ai funzionari della curia pontificia benefici e prebende in luoghi lontani esentandoli dall'esercitare lo ufficio annesso proprio perché traessero da tali benefici un vantaggio economico che li compensasse della loro attività in curia, ed è naturale che anche il B. se ne avvantaggiasse. Tuttavia non è senza significato la bolla di Bonifacio VIII, del 7 marzo 1300, con cui il papa fu costretto a richiamare al diritto il B., ordinandogli di rilasciare una prebenda nella Chiesa di Bologna di cui si era impossessato a danno di un certo Filippo di Nucio da Todi.

Il B. godette presso i contemporanei di grande fama, peraltro venutasi a mano a mano spegnendo, e non del tutto a torto, dopo che il suo grandissimo allievo, Giovanni d'Andrea (che il B. stesso condusse al dottorato gratuitamente), offuscò l'autorità e la rinomanza di ogni altro canonista. Tuttavia non vi è dubbio che la personalità scientifica del B. dominò fortemente la scienza del diritto canonico del suo tempo, se lo stesso Giovanni d'Andrea apre la sua Glossa in Sextum riconoscendo l'importanza del magistero del B. con le parole: "... si quid fuerit notatum dignum et utile... adscribo reverendissimo patri sub cuius umbra quiesco et doctor sedeo (licet indignus) Domino Guidoni de Baysio Archidiacono Bononiensi ex cuius scriptis et dictis (quae non in glossas recipio, sed in textum, et maxime in lectura per ipsum super libro Decretorum noviter compilata) infrascripta collegi... et profiteor me tenere quod approbat et non tenere quod reprobat. Et si qua in hoc opere suis dictis vel scriptis essent contraria, habere cogito illa pro non scriptis, et per hoc cunctis pateat me reprehendi non posse" (Princ. Gl. Ord. in Sext. §. Laudantes).

L'opera sul Decretum cui allude Giovanni d'Andrea è il Rosarium Decretorum (edizioni: Argentinae 1472, Romae 1477, Venetiis 1481, Parisiis 1505, Mediolani 1508, Venetiis 1513, Lugduni 1549, 1558, Venetiis 1559, 1577, 1580, 1601) come il B. l'intitolò, o Rosarium seu in Decretorum volumen commentaria come si legge nelle edizioni a stampa, che egli finì di comporre il 25 genn. 1300 dedicandola al suo protettore, il cardinale Gerardo Bianchi, e che, probabilmente, cominciò sin dagli inizi del suo professorato a Bologna.

È un'opera di grande mole con cui il B. si proponeva di accrescere e completare la glossa ordinaria al Decretum: nerisultò una raccolta ricchissima di opinioni e dottrine dei precedenti decretisti, specialmente di Uguccione da Pisa, dal quale attinse a piene mani, di Giovanni da Fintona, del quale accolse la divisione in parti delle distinzioni e cause del Decretum grazianeo, di Gerardo senese, ecc. La critica che più di sovente, e fondatamente, si rivolge al B., e cioè la mancanza di originalità e la prolissità cui non fa riscontro un'adeguata acutezza di giudizio, non sminuisce l'importanza che il Rosarium ha per lo studio della tradizione dei glossatori decretisti, poiché, proprio per essere un lavoro di diligente raccolta, ci conserva un vastissimo materiale che ancora non è stato adeguatamente studiato.

L'altra opera di vasto respiro che il B. compose, verosimilmente tra il 1306 e l'anno della morte, riguarda il Liber Sextus (promulgato da Bonifacio VIII il 3 marzo 1298) e fu pubblicata con il titolo di Lectura super Sexto Decretalium (edizioni: Mediolani 1490, Venetiis 1503, Lugduni 1547, Venetiis 1577, 1606).

Anche in quest'opera domina l'esigenza metodologica di un maggiore ampliamento degli apparati che già erano stati fatti intorno alla codificazione bonifaciana: quello di Giovanni Lemoine (Ioannes Monachus) e di Giovanni d'Andrea (ciò contrariamente a quanto ritenne N. Paulus confutato da Gillmann, Von der Hinterlegung...). Ma anche qui l'autore non riesce ad imprimere al vasto materiale raccolto il segno di una sua personale originalità, e il pregio principale dell'opera consiste nell'averci tramandato una copiosissima letteratura, parte della quale non ci sarebbe altrimenti pervenuta. Secondo una affermazione di Giovanni d'Andrea ricordata dallo Schulte, p. 189, n. 15), il B. avrebbe intrapreso l'opera sulla raccolta bonifaciana "ad studentium instantiam", e, secondo una notizia che risale al Diplovataccio (Schulte, p. 189), essa venne dedicata ai maestri dello Studio bolognese, ma è da ritenere che in quel periodo il B. non tenesse cattedra, poiché la data di composizione della Lectura, per quanto incerta, è da collocare tra il 1306 e il 1311 durante la residenza avignonese. Non si può dire che quest'opera abbia avuto la stessa grande risonanza che ebbe il Rosarium, almeno ove si consideri il numero dei manoscritti rimastici, il quale, poi, è assai limitato rispetto a quello delle opere analoghe di Giovanni d'Andrea e Giovanni Monaco; tuttavia, proprio per la varietà ed ampiezza delle fonti utilizzate, essa non può non essere considerata tra i più importanti apparati al Sextus composti nei primi anni del sec. XIV.

Un'ultima opera del B. è quella pubblicata dal Mansi (Sacrorum conciliorum... amplissima collectio, XXV, Venetiis 1782, coll. 417-426) con il titolo Tractatus super haeresi et aliis: si tratta di un libello polemico scritto per difendere la memoria di Bonifacio VIII dall'accusa di eresia mossagli innanzi a Clemente V dalla monarchia francese.

Infine, lo Schulte (p. 190) dà notizia di alcune Questiones inedite del B. tramandateci da manoscritti conservati a Bamberg e a Darmstadt. A queste si aggiunga una Questio disputata per dominum Guidonem Abaysii decretorum doctorem sub mcclxxxv die viii decembris (Incipit: Quidam. A. est publicus uxurarius acepit ab quodam mutuo. C. librarum bononiensium sub certis uxuris... explicit: Similes dicam. si cessionario oppono quod extinctum erat debitum in totum vel in partem penes cedentem per solut[i]onem uxurarum factam per ipsum debitorem. Gui de baysio), tramandataci da uno dei fogli di guardia di un codice, (ms. 224, fol. 2-2v), conservato presso la Biblioteca Casanatense in Roma.

Grande fu la rinomanza del B., e in vita e dopo la sua morte; grande l'autorità delle sue opere. Da queste fu tratto un gran numero di glosse (conservateci da alcuni manoscritti e dalle edizioni a stampa) che si trovano aggiunte alla glossa ordinaria del Decretum e del Sextus. Una, sino ad ora inedita, abbastanza singolare per il testo al quale è stata apposta, è tramandata da un manoscritto dell'Infortiatum con la glossa accursiana conservato nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. lat. 1460, fol. 172 v), alla parola datam della glossa Facultatem dedit ad D. 35.2.1 pr. che è ricavata dalla Lectura super Sexto Decretalium c. licet. de constitutionibus (C. 1, VI, 1, 2). Essa merita di essere segnalata per la icastica distinzione tra statutum e iuscommune,presenti alla coscienza del canonista come due elementi di un sistema giuridico essenzialmente unitario. Il problema - che era stato avvertito tra i canonisti anche da Giovanni d'Andrea (casus ad c. 1, VI, 1, 2 e gl. Facti ad c. 1, VI, 1, 2), e, con minore acume, e solo di passaggio, da Giovanni Monaco (In Sextum commentaria c. licet. de constitutionibus [c.1, VI, 1, 2]) -, è riconsiderato dal B. nella Lectura super Sexto in termini estremamente indicativi. Prendendo le mosse da Sinibaldo de' Fieschi e Enrico da Susa - la cui autorità egli allega: Inn. IV, In quinque libros Decretalium commentaria,c. 1, de rescriptis [ed. Venetiis, 1578, fol. 4] e Hostiensis, In primum decretalium commentaria, c. 1, de rescriptis [ed. Venetiis 1581, fol. 11 v-12] - che nei passi citati trattano dei rescritti pontifici -, il B. parla semplicemente di statutum come ius proprium di una particolare comunità, distinto dal ius commune;statuti, poi, che - come ci avverte una glossula in margine al casus ad c. 1, VI, 1, 2 tratta dal Rosarium §§. cum itaque e constitutio ad c. 5 D. I -, egli considera appartenenti al ius scriptum distinguendoli dalla consuetudine in grazia di una interpretazione filologica tipica della cultura e della mentalità medievale: "constitutio dicitur quasi commune statutum" (Rosarium), e Graziano nel suo dictum al canone commentato in questo passo (c. 5, D. I) aveva affermato che la consuetudine "inscriptis redacta... constitutio sive ius vocatur". Ma, a prescindere da ciò, che pure è estremamente sintomatico, qui giova soltanto mettere in risalto la sensibilità con cui il B. avvertì il fatto storico degli statuti e la coscienza che ne ebbe. Né la validità di questa sua posizione scade se si osserva che, probabilmente, egli si rifaceva al pensiero altrui.

Le glosse del B. sono generalmente contraddistinte con la sigla Arch., archd., Archid., archi., archidi., ard'., Archidia., Archidiaconus., G., Guido., Guy., G. de bay., Gui. de baysio.

La fortuna delle opere del B. nel sec. XIV non fu minore alla sua fama: alcuni manoscritti ci conservano di Giovanni d'Andrea le Glossulae ad commentarios Guidonis de Baisio super Sexto Decretalium (ms. conservato presso la Biblioteca Apostolica Vaticana Urb. lat. 176, foll. 9, 18, 30, 31 v, 55, passim), mentre di Angelo degli Ubaldi ci si tramanda un Repertorium super Rosarium secundum dominum Angelum de Perusio (ms. conservato presso la stessa Biblioteca Vat. lat. 2683, ff. 163-214 v), tuttora inedito, che inizia: Et ab de istis propter omni nominibus... e termina: ... vide de consecratione D II c. timorem (c. 25 D. II de cons.), in glossa cum ad cum approbationem etc. Amen. E, finalmente, di Baldo degli Ubaldi un altro inedito (ms. nella Bibl. cit. Barb. lat. 1398, ff. 226, 301 v): Incipit extractus super toto Archidiacono in novem quinternios qui. sequentur per dominum Baldum de Ubaldis de Perusio ad honorem eterni et boni dei (incipit: Satis dictaret umana ratio quod quis posset moderatas cesuras exercere... explicit: Salvator salva me et filios meos et scriptorem meum Iohannem de Nursia). Questi nomi sono, essi soli, la migliore dimostrazione del prestigio indiscusso che ebbe l'opera dell'Arcidiacono per tutto il sec. XIV.

È stato efficacemente confutato dal Ruffini, con vari argomenti, l'approfondito studio filologico del Chiappelli secondo il quale il B. sarebbe stato quel decretalista richiamato da Dante in un famoso passo del De Monarchia (III, 111, 10); ma rimane tuttavia non senza significato la posizione accesamente curialista del B., talché la sua autorità fu spessissimo invocata durante le lotte contro Ludovico il Bavaro per sostenere la plenitudo potestatis dei pontefici dai quali gli imperatori avrebbero derivato la loro potestas,dipendendone (Ruffini, Dante e il protervo..., p. 25).

Fonti e Bibl.: G. D. Mansi, Sacrorum conciliorum nova et amplissima collectio, XXV, Venetiis 1782, coll. 417-426; Ioannis de Trittemen (Trittemius) De scriptoribus ecclesiasticis, Parisiis 1512, sub voce; G. Panciroli, De claris legum interpretibus libri quatuor, Lipsiae 1721, lib. III, cap. XVI, p. 333; G. Fantuzzi, Notizie sugli scrittori bolognesi, I, Bologna 1781, pp. 316-322; L. Savioli, Annali bolognesi, I, 1, Bassano 1784, pp. 309, 311 n. C; G. Tiraboschi, Memorie storiche modenesi con il codice diplomatico, IV, Modena 1794, p. 106, cod. dipl., p. 33 n. 1; Id., Storia della letteratura italiana, V, parte 2: Dall'anno MCCC all'anno MCCCC, lib. II, cap. V, 2, Venezia 1823, pp. 462-466; Io. Alb. Fabricius, Bibliotheca latina mediae et infimae aetatis,cum supplemento C. Schoettgenii, III, Florentiae 1858, pp. 121 s.; Joh. Fr. von Schulte, Die Geschichte der Quellen und Literatur des canonischen Rechts, II, Stuttgart 1877, pp. 134 n. 7, 186-190, 202, 207, 210, 239; A. Thomas, Extraits des archives du Vatican pour servir à l'histoire littéraire du moyen-age,in Mélanges d'Archéologie et d'Histoire, II (1882), pp. 435-441 (pubblica bolle tratte dai registri di Bonifacio VIII e Benedetto XI); M. Sarti et M. Fattorini, De claris Archigymnasii Bononiensis professoribus, Bononiae 1888-1894, p. 484 n. 6; A. Mercati, G. da B., figlio di Ugo, il celebre canonista, fu arcidiacono di Reggio ?, in Il Reggianello, 29 maggio 1891, n. 22; F. Cavazza, Le scuole dell'antico Studio di Bologna, Milano 1896, p. 81; H. Finke, Aus den Tagen Bonifaz VIII., Münster i. W. 1902, pp. 249 s.; H. Hurter, Nomenclator literarius theologiae catholicae, II, Oeniponte 1906, coll. 511 s.; L. Chiappelli, Dante in rapporto alle fonti del diritto e alla letteratura giuridica del suo tempo, in Arch. stor. ital., s. 5, XLI (1908), pp. 19 n. 2, 28, 31, 32, 35; F. Gillmann, Die Abfassungszeit der Dekretsumme Huguccios, in Archiv für katholisches Kirchenrecht, XCIV (1914), p. 246; Id., Von der Hinterlegung des Allerheiligsten im Altarsepulchrum, ibid., CII (1922), pp. 37, 38 n. 2; F. Ruffini Dante e il protervo decretalista innominato, in Mem. d. R. Accad. delle Scienze di Torino, classe di scienze morali, storiche e filologiche, s. 2, LXVI (1922), pp. 1-69 (rist. in Scritti giuridici minori, II, Scritti giuridici vari, a cura di M. Falco, A. C. Jemolo, E. Ruffini, Milano 1936, pp. 425-560); N. Paulus, Geschichte des Ablasses im Mittelalter, I, Paderborn 1922, p. 382; II, ibid. 1923, p. 180; F. Gillmann, G. de B. und Johannes de Anguissola, in Archiv. für katholisches Kirchenercht,CIV(1924), pp. 54 s.; E. Besta, Le Fonti,in Storia del diritto ital., pubbl. sotto la direz. di P. Del Giudice, I, 2, Milano 1925, p. 838; S. Kuttner, Repertorium der Kanonistik, Città del Vaticano 1937, pp. 86, 87, 88, 156 n. 1; A. Van Hove, Prolegomena,Mechliniae-Romae 1945, pp. 475, 483, 489; W. Ullmann, Medieval papalism. The political theories of the medieval canonists, London 1949, vedi Indice; U.Gualazzini, La scuola giuridica reggiana nel Medio Evo, Milano 1952, pp. 117-122 e ivi rinvio ai documenti pubbl. in Appendice; M. Maccarrone, Teologia e diritto canonico nella Monarchia, III, 3,in Riv. di storia della Chiesa in Italia, V(1952), n. 1, pp. 18, 25, 26, 27, 28; D. Maffei, Il "Constitutum Constantini" da Graziano a G. de B., in Annali della Università di Macerata, XXII (1958), pp. 227-229; Lexicon für Theologie und Kirche, IV, col. 1267; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccles., VI, coll. 272 s.; Enciclopedia Ital., XVIII, pp. 253 s.; Enciclopedia Cattolica, VI, col. 1290.

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