DELLA VALLE, Guido

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 37 (1989)

DELLA VALLE, Guido

Franco Cambi

Nato a Napoli il 25 genn. 1884, da una famiglia di salde tradizioni culturali (il padre, Antonio, era professore di anatomia comparata presso l'università; la madre, Giuseppina Matronola, di Cassino, era pronipote del filosofo hegeliano A. Tari), si formò presso l'università partenopea. Seguì i corsi filosofici di F. Masci, di A. Chiappelli e di I. Petrone, ma anche quelli letterari di F. D'Ovidio e di F. Torraca, e si appassionò profondamente agli studi di antichità (archeologia e letteratura).

Centrale nella sua formazione fu l'incontro con Masci che lo iniziò alla filosofia kantiana, della quale il maestro napoletano veniva sviluppando le implicazioni psicologiche e proponendo un'interpretazione in chiave "neocriticista".

Laureatosi nel 1904 con una dissertazione su Psicogenesi della coscienza: saggio di una teoria generale dell'evoluzione (Milano 1905), ispirata ai principi del fenomenismo kantiano, ma altrettanto attenta alle posizioni della cultura contemporanea (in particolare l'evoluzionismo e la psicologia sperimentale), si perfezionò a Firenze - in psicologia sperimentale (con F. De Sarlo), in storia della filosofia (con F. Tocco) e negli studi classici (con G. Vitelli) -dove venne occupandosi ancora dei processi Percettivi e delle "oscillazioni delle sensazioni minime" (ai quali dedicò la sua tesi di perfezionamento). Sempre nel 1905 si recò a Lipsia con una borsa di studio per perfezionarsi ulteriormente negli studi psicologici. Seguì i corsi di W. Wundt (col quale affinò la tecnica sperimentale) e si interessò alle lezioni di W. Ostwald, il grande e celebre fisico, dal quale fu spinto a porre al centro della propria ricerca in campo psicologico le nozioni di "lavoro" e di "energia". Proprio in questo periodo di formazione, denso di esperienze intellettuali, il D. si avvicinò, criticamente, anche alle correnti irrazionalistiche e mistiche, rivendicando contro di esse il valore della razionalità, ma pur riconoscendo a quelle posizioni una funzione permanente e insostituibile nel pensiero filosofico, in quanto questo risulta costantemente attraversato da istanze metafisiche e religiose. Queste ultime tesi furono esposte in Le nuove forme dell'etica irrazionalistica (in Rivista filosofica, VIII [1906], pp. 356-75). La formazione del D., a questo punto, era sostanzialmente compiuta e il suo pensiero veniva delineandosi al punto d'incrocio tra psicologia sperimentale, filosofia kantiana e attenzione ai valori.

Nel 1907 il D. iniziò la sua attività di insegnamento presso la scuola normale di Matera, passando poi a Foggia e infine a Torino, dove restò fino al novembre del 1911, quando fu chiamato ad insegnare pedagogia all'università di Messina, nella quale tenne anche l'insegnamento di filosofia teoretica e diresse la scuola pedagogica (cioè un corso di perfezionamento per i maestri). Fu proprio in questa fase di attività più strettamente legata all'insegnamento che il D. venne avvicinandosi alla pedagogia. Già dal 1908 iniziò la sua collaborazione alla Rivista pedagogica che continuerà fino al termine della pubblicazione, nel 1937, e della quale sarà direttore negli anni '11-'16; sulla rivista uscirono, in questi primi anni del Novecento, alcuni suoi studi su E. De Amicis, sulla "pedagogia sperimentale" di E. Meumann, su problemi "logico-didattici", su Maria Montessori e il problema dell'infanzia. Intanto, nel 1910, pubblicò a Torino il primo studio ampio e sistematico, Le leggi del lavoro mentale, che sintetizzava il lavoro di un decennio.

L'opera si proponeva un duplice obiettivo: scientifico e ideologico. Sul primo versante intendeva elaborare una "teoria del lavoro mentale" interpretando quest'ultimo come un'attività rivolta a un fine, che si sviluppa attraverso "resistenze", ma che manifesta anche precise regolarità. La vita psichica si caratterizzava come "energia" e "lavoro", come attività cosciente e volontaria, uniforme e costante, regolata da dieci leggi fondamentali (della funzione matematica del tempo; della dipendenza del lavoro psicologico dalla traiettoria integrale; di periodicità; di interdipendenza; di equivalenzal di correlazione funzionale, di interferenza psicofisiologica; di disproporzionalità; di individuazione progressiva; di incremento psicoenergetico diretto) che devono esser messe alla base della pedagogia, in quanto capaci di ridefinirla in forma scientifica e di saldare in essa l'elemento psicologico con quello etico, poiché il lavoro mentale è anche attività etica, orientata ad un fine-valore, anzi esso appare addirìttura come il "succedaneo laico della preghiera".

Sul versante ideologico, invece, l'opera sosteneva tesi assai discutibili, richiamandosi al valore più specifico e originale della "civiltà borghese" (il lavoro, appunto) e ponendolo al centro delle "molteplici manifestazioni della vita moderna". In particolare il D. affermava il "lavoro mentale" come il carattere specifico della vita borghese e arrivava a sostenere che "la Borghesia è il Partito del lavoro mentale" e che, come tale, si oppone al "lavoro fisiologico", rappresentato dal proletariato, del quale deve essere la guida politica, agendo secondo i principi tipici del "dispotismo illuminato". L'opera del 1910 si caratterizzava, pur nella originalità del disegno e nell'ampiezza dell'esecuzione, come ancora legata ad una concezione tardopositivistica della psicologia, oltre che ad una visione idealizzata della civiltà borghese. Assai significativa appariva soprattutto l'interpretazióne della vita psichica proposta dal D. come attività teleologicamente orientata e caratterizzata dal binornio energia-lavoro, che collocava la sua teoria su un terreno, psicologico e filosofico, capace di ulteriori e più originali sviluppi.

Dopo il 1910, invece, il D. abbandonò la ricerca psicologica e si dedicò quasi esclusivamente agli studi filosofici e pedagogici. Nel 1911 pubblicò uno studio su La pedagogia sperimentale (in Rivista di filosofia neoscolastica, III [1911], pp. 69-91); nel 1913 crit ' icò radicalmente l'idealismo nell'articolo La concezione realistica della vita (in Rivista pedagogica, VI [1913], pp. 114) in cui riconfermò anche il valore e la funzione del realismo. Nel 1916 uscì,sempre a Torino, la sua sintesi filosofica, la Teoria generale e formale del valore come fondamento di una pedagogiafilosofica, di cui stese però solo il primo volume dedicato a Le premesse dell'axiologia pura. Secondo il D., "se la pedagogia aspira ad essere veramente una scienza, non può continuare ad essere una meschina teoria della scuola, ma deve trasformarsi in una grande e complessa Teoria dell'efficienza. umana" che, a sua volta, si risolve in una particolareggiata "Scienza sperimentale del Lavoro mentale, considerato come mezzo per l'acquisto di Valori" ed in un'ampia "Teoria speculativa dei Valori scelti come fini da realizzare", cioè in una "Psicotecnica" e in una "Teleologia".

Nello svolgere questa "teleologia", il D. ne riconosce la dipendenza dalla "Teoria generale e formale dei Valori o Axiologia pura" che tende a rivendicare "la piena ed autonoma realtà trascendente per ogni classe di valori non esistenziali", quali il Vero e il Bello, l'Utile e il Bene, che sono un po' come "gli immobili astri del firmamento ideale", ma che, al tempo stesso, agiscono come "fini e come ideali" storici. Nelle tre parti dell'opera viene sviluppata questa concezione essenzialmente neokantiana dei valori. Essi sono "universali" e "fuori del tempo", trascendono le funzioni psichiche e sussistono indipendentemente dal soggetto. Si elabora poi una "classificazione dei valori", distinguendo tra conoscenza (Gnoseologia), sentimento (Estetica), volontà oggettiva (Economia) e volontà soggettiva (Etica). Infine si delinea una "Pedagogia filosofica come Axiologia applicata" che si articola nei settori della educazione logica, estetica, economica, morale, politica e religiosa.

Il realismo axiologico del D. trovò nell'opera del '16la sua formulazione più matura e, pur rivelando una precisa dipendenza dalla riflessione di W. Windelband e di H. Rickert, venne ad affermarsi come l'espressione più organica della "filosofia dei valori" nell'ambito della tradizione italiana. Col suo "realismo critico" infatti, il D. si inseriva in quella corrente neocriticista che, ricongiungendosi all'insegnamento kantiano, si oppose al positivismo e all'idealismo in nome del duali.smo gnoseologico e di una concezione trascendentale dei valori. In questo orientamento filosofico - che venne costituendosi tra gli anni Novanta e l'inizio del secolo e che raccolse studiosi di varia provenienza (kantiani e herbartiani, spiritualisti e socialisti) - il D. occupò un posto di preciso rilievo in quanto ne sottolineò con vigore, ad un tempo, il principio realistico e l'impegno axiologico.

All'inizio del 1916 il D. si arruolò come volontario e venne inviato, per addestramento, alla Scuola superiore militare di applicazione per gli ufficiali di fanteria di Parma. Dopo la vittoria di Gorizia tenne un discorso (Ciòche la guerra costruisce, Milano 1916),che è forse, la testimonianza più esplicita dell'adesione all'ideologia nazionalista da parte del Della Valle.

Anch'egli, nel periodo convulso della guerra, si rivela dominato dalla retorica del nazionalismo e da una concezione fortemente ambigua dei valori. Questa esaltazione degli "ideali" si legava direttamente ad una concezione irrazionalistico-retorica dei valori, che ne metteva in rilievo lo statuto deontologico e metaindividuale e che avvicinava sensibilmente il D. (pur attestatosi su una precisa fedeltà, di origine kantiana, alla ragione) a quella cultura della "crisi", di orientamento ora "pragmatista" ora "nietzschiano", ben viva, tra D'Annunzio e Papini, anche nel primo Novecento italiano.

Nell'immediato dopoguerra, tornato a Messina, fondò nel '19 la sezione dell'Associazione nazionale dei combattenti e si occupò anche della formazione degli insegnanti nel Trentino orientale. Imbevuto ancora di nazionalismo, si impegnò in una "ricostruzione spirituale" della scuola e del paese che doveva realizzare il principio del "credere di più, lavorare di più", esaltando un'etica dei valori assoluti (scienza e moralità, arte, giustizia e Stato) e sollecitando un forte spirito patriottico. Il suo nazionalismo, però, non lo condusse dopo il 1922 ad aderire al fascismo, che riteneva la dittatura di una minoranza e un regime profondamente anticostituzionale e illiberale. Intanto nel 1919 era stato trasferito all'università di Napoli, alla cattedra dì pedagogia, e qui, nei successivi decenni, il D. organizzò la sua "resistenza" al fascismo condotta ora sul piano politico, ora su quello culturale. Nel 1924 aderì alla Unione di forze democratiche del Mezzogiorno, tenendo comizi e partecipando alle elezioni come candidato in liste contrarie al fascismo. Nel 1926 sposò Olimpia Jannel, di famiglia originaria della Boemia, dalla quale ebbe due figli.

Con l'avvento del regime fascista il D. venne emarginato dalla vita politica e si dedicò soprattutto a ricerche letterarie e archeologiche, pubblicando un importante studio storico su Tito Lucrezio Caro e l'epicureismo campano (Napoli 1935). Solo dopo la liberazione di Napoli tornò ad occuparsi attivamente di politica, schierandosi apertamente per la Repubblica ed affrontando, come assessore nella giunta comunale, che precedette le elezioni del 1946, i problemi della scuola e dell'assistenza sociale. Continuò, fino al 1954, il suo insegnamento all'università di Napoli e il suo lavoro di ricerca intorno ad una "pedagogia dei valori" (La pedagogia realistica come scienza del lavoro mentale e teoria dei Valori, in Rassegna di pedagogia, IX [1951], pp. 109-24), al pensiero meridionale (I grandi pensatori del Mezzogiorno d'Italia, I, Napoli 1950) ed alla cultura letteraria (Kypris, romanzo, ibid. 1960).

Morì a Napoli il 29 genn. 1962.

Bibl.: L. Limentani, Energetica e pedagogia, in Riv. pedagogica, IV [1911], pp. 243-320; M. Maresca, Il neo-criticismo in Italia, in Logos, VII [1924], pp.98-102; G. Gentile, Educaz. e scuola laica, Milano 1932, pp. 289-98; L. Cappiello, Il realismo pedagogico di G.D., in Riv. pedagogica, XXVII (1935), pp. 217-51; M. F. Sciacca, Il secolo XX, Milano 1947, pp. 169-74; C. Rosso, Figure e dottrine della filosofia dei valori, Torino 1947, pp. 132-39; Il pensiero e l'opera di G. D., a cura di C. Carbonara, Napoli s.d.; C. Carbonara, G. D., in Palaestra, II (1963), pp. 106 s.; G. Graziani, La scienza pedagogica nell'opera di G. D., in I problemi della pedagogia, IX (1963), pp. 565-72.

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