BIANDRATE, Guido di

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 10 (1968)

BIANDRATE, Guido di

Sofia Boesch Gajano

Figlio di Alberto, rimase orfano molto piccolo, dato che la madre, ricordata come contessa di Biandrate, senza precisazione del nome, partecipava all'assedio di Como del 1119 in aiuto dei Milanesi "suum gestando brachio natum" (Anonimo Novocomense, p. 418); nel 1127 il B. "puer" prendeva parte, sempre con la madre, all'attacco finale contro la città (ibid., p. 452).

I dati dell'Anonimo non sono però sufficienti per stabilire, come ha fatto il Muratori (Rer. Ital. Script., V, p. 418, n. 81), che il B. avesse circa cinque anni nel 1119 e circa tredici nel 1127, il che farebbe porre la data di nascita intorno al 1114. Ignota è anche la data del suo matrimonio; ma se nel 1158uno dei suoi figli era già suddiacono della Chiesa romana e in età da essere eletto arcivescovo di Ravenna, la sua nascita sembra doversi anticipare di vari anni rispetto al 1114.

Il matrimonio con la sorella del marchese Guglielmo di Monferrato (le fonti più antiche non ne ricordano il nome) fu di grande importanza politica poiché univa due delle più potenti famiglie dell'Italia settentrionale, che già dal tempo del padre del B. si erano trovate unite nella politica filoimperiale. Inoltre Guglielmo aveva sposato una sorellastra di Corrado III di Svevia, zia quindi del futuro Federico I.

Alla seconda discesa di Lotario III di Supplimburgo il B. si recò presso di lui: era infatti presente a San Bassano nel 1136 (Lotharii III. Diplomata, n. 101); non si sa invece se e quale parte abbia avuto nella spedizione di Lotario contro Amedeo VIII di Savoia a Vercelli e a Torino del novembre 1136: solo un'ipotesi è l'identificazione del B. con il conte Guido nominato nel diploma imperiale, probabilmente dell'ottobre 1136, per il monastero cluniacense di SS. Pietro e Paolo a Castelletto (Stumpf-Brentano, III, n. 103; Lotharii III. Diplomata, n. 96). Il B. seguiva poi l'imperatore nell'Italia meridionale e il 22 sett. 1137, ad Aquino, era testimone del privilegio imperiale a favore di Montecassino (Lotharii III. Diplomata, n. 120).

Morto Lotario e succedutogli Corrado III (1138), il B. si recava in Germania, per rendergli omaggio, e soprattutto per ottenere la conferma dei suoi beni. Il 13 febbr. 1140 era ancora in Italia, dove alla presenza del vescovo Litefredo di Novara, refutava a Ugo, preposto di S. Gaudenzo, quattro mansi nel luogo di Brione, ricevendone poi l'investitura (Hist. patriae Mon., n. 481), ma probabilmente si trovava a Norimberga già nel settembre di quell'anno, se è vera la notizia del discusso diploma di Corrado III in favore del B., secondo la quale in questa città l'imperatore avrebbe concesso al B. il diritto di fodro; sicuramente era a Komburg nel gennaio (?) 1141, quando compare tra i testimoni del diploma imperiale in favore di Ranieri di Bulgaro (Stumpf-Brentano, III, n. 106). All'inverno 1140-41 andrebbe datato anche il privilegio di Corrado III in suo favore, sulla cui autenticità sono stati avanzati molti dubbi, ma che costituisce comunque una testimonianza della vastità dei territori di cui il B. pretendeva il dominio, e cioè tutto il Novarese, esclusa la città di Novara, tutta l'Alta Valsesia, la Val d'Ossola, la riva del Ticino da Sesto Calende a Cerano, più le regalie di Castano e Lonate, il diritto di fodro su tutto il comitato e il diritto a essere citato in giudizio solo dinanzi all'imperatore (Stumpf-Brentano, III, n. 476).

La pergamena, scritta sicuramente in Italia da tre mani diverse, priva di sottoscrizioni, monogramma,recognitio, data, ma con traccia di sigillo, è stata considerata da J. Ficker (Beiträge zur Urkundenlehre, II, Innsbruck 1878, pp. 504 s.), e sulla sua scia dal Raggi (pp. 422 s.), come la minuta o l'abbozzo del diploma imperiale, che in mancanza di una nuova trascrizione, fu autenticata dal sigillo; il Bernhardi (Konrad III., pp. 204 s., n. 3) ritiene invece, sulla base di convincenti considerazioni, che il B. abbia ottenuto solo un diploma relativo al fodro a Norimberga, ora perduto, e che nessun altro diploma sia stato autenticato da Corrado; sembra certo tuttavia che il diploma del 1140 sia servito da minuta per il diploma del 1152, che lo riproduce in alcune parti alla lettera.

Da un documento inedito del febbraio 1143 il B. risulta, in Italia, signore della castellata d'Invorio (cfr. Raggi, p. 424), ma altro non si conosce della sua attività in questi anni. Lo si ritrova tra i partecipanti alla seconda crociata, insieme con Guglielmo di Monferrato - "ambo de Lombardia magni et egregii principes" li definisce Guglielmo di Tiro - e altri signori italiani, tra cui Amedeo di Savoia e Ermanno, marchese di Verona, presente il 24 giugno 1148 nei pressi di Accon all'assemblea riunita affinché re e principi si accordassero sul modo di proseguire e condurre a termine la crociata. È possibile che il B. abbia seguito Corrado III al fallito assedio di Damasco e sia tornato con lui in Europa nell'autunno di quello stesso anno.

Il silenzio delle fonti non permette di conoscere l'attività del B. fino al 1152, quando, morto Corrado III (15 febbr. 1152) ed eletto Federico I (marzo 1152), egli si recava alla dieta di Würzburg dell'ottobre di quell'anno (compare, tra l'altro, come testimone nel privilegio imperiale - Stumpf-Brentano, II, n. 3646 - a favore del vescovo e dei canonici di Vercelli), dove riceveva dal nuovo eletto la conferma di tutti i suoi beni allodiali e feudali (ibid., III, n. 336).

Confrontati con quelli menzionati nel diploma del 1140-41, i possedimenti del B. risultano molto ampliati; se manca S. Giorgio, che solo successivamente diventerà dei conti di Biandrate, si aggiungono numerosi beni nel Chierese, cioè Cesole, Riva, Porcile, Val di Masio e Monteacuto, ceduto da Rodolfo di Monteacuto, che lo aveva avuto da sua figlia Berta, moglie di Oddone: è pura ipotesi l'identificazione proposta dal Raggi (p. 429) di questa Berta con una figlia del B., come pure quella di suo marito con il cugino Ottone Altaspada, morto in Terrasanta.

Il B. possedeva dunque, oltre agli altri territori, tutto il comitato di Novara, esclusa la città, e questo costituisce il problema principale dei suoi rapporti con Milano. Ottone di Frisinga, parlando di Novara al momento della prima discesa in Italia del Barbarossa, ricorda che il B. "preter morem Italicum totum ipsius civitatis territorium, vix ipsa civitate excepta, Mediolanensium possidet auctoritate" (pp. 120 s.), e il suo continuatore, Rahewino, definisce il conte di B. come "naturalis in Mediolano Civis" (p. 219). Certamente i Biandrate erano già prima legati a Milano, come dimostra la presenza all'assedio di Como della vedova di Alberto, che secondo il cronista Novocomense vi andò "tota cum gente Novaria" (p. 418); ma il rapporto più stretto si stabilì con ogni probabilità con il B., la cui politica fu tutta volta a rafforzare ed estendere il dominio della famiglia, e che ritenne di potersi utilmente servire della potente città soprattutto per frenare il pericolo rappresentato dai nascenti comuni posti nei suoi territori. I Milanesi, d'altra parte, dovettero ritenere utile appoggiarsi a quella potente famiglia feudale per estendere la propria influenza verso il Piemonte e le città piemontesi: fu forse Milano a esigere allora dal B. il giuramento del cittadinico, né è da escludere che in segno di fedeltà abbia preteso dal B. la cessione di alcuni castelli, quali Momo, Mosezzo e Fara. Solo questo reciproco interesse può spiegare i rapporti, per tanti versi singolari, che intercorsero tra il B. e Milano durante la lotta di questa con il Barbarossa.

A Würzburg fu decisa e forse giurata dai principi colà convenuti (Simonsfeld, p. 129) la prima spedizione italiana di Federico da compiersi entro due anni. Il re inviava intanto, per trattare con il papa Eugenio III, un'ambasceria di cui fecero parte il conte Ulrico di Lenzburg, Anselmo di Havelberg e il B. (i due ultimi partiti probabilmente da Würzburg, forse alla fine di ottobre: cfr. Simonsfeld, pp. 136 s., n. 425), cui si unirono più tardi in Italia il vescovo Ermanno di Costanza e il conte Guido Guerra. L'accordo tra il papa e l'imperatore, con il quale Federico si impegnava a non far pace con i Romani né con il re di Sicilia senza il consenso del pontefice, e si impegnava anzi a sottomettere i Romani al papa e alla Chiesa in cambio naturalmente dell'incoronazione imperiale, fu raggiunto a Roma tra il gennaio e il febbraio 1153, alla presenza dei legati imperiali e di numerosi cardinali, e fu confermato a Costanza il 23 marzo successivo con il cosiddetto pactum Constantiense, che costituisce la sola fonte per l'episodio (Const. et acta, I, p. 201).

È probabile che il B. si sia trattenuto a Roma, dato che non appare presente a Costanza, e che a Roma, il 2 maggio 1153, alla presenza del papa e di numerosi cardinali cedeva al vescovo Anselmo di Asti il castello di Monteacuto, ricevendone l'investitura feudale dal vescovo stesso (Il Libro verde..., nn. 180, 181).

Sceso Federico Barbarossa in Italia, il B. fu naturalmente tra i signori presenti alla prima dieta di Roncaglia (compare come testimone nei seguenti documenti: Stumpf-Brentano, II, nn. 3701, 3703), ed è con il Barbarossa anche nella successiva campagna volta contro Milano, anche se da lontano, poiché il momento non era ancora maturo per un attacco diretto: distrutta Rosate, passato il Ticino e fatti distruggere i due ponti costruiti dai Milanesi, l'imperatore si accampò, a dire di Ottone Morena (p. 18), presso il castello di Biandrate, dove rifiutò l'accordo proposto dagli ambasciatori milanesi, lì convenuti. Seguì la distruzione di Momo, Trecate e Galliate, avamposti di Milano contro Novara (Ottone e Rahewino, p. 120).

Festeggiato il Natale sotto le mura di Galliate, Federico I passò per Vercelli e Casale, e da qui emanava il 3 genn. 1155 un diploma di conferma di beni - tra cui il comitato di Pombia - al vescovo di Novara, in cui compare come testimone anche il Biandrate (Stumpf-Brentano, II, 3703). Le fonti non dicono se egli abbia seguito l'imperatore anche nelle successive azioni militari contro Chieri, Asti, Tortona - il Raggi (pp. 432 s.) lo esclude salvo che per Chieri, città su cui il B. vantava, come si vedrà, dei diritti - poi alla incoronazione in Pavia e nel viaggio verso Roma.

È certamente presso l'imperatore nel luglio 1155 (Stumpf-Brentano, II, nn. 3714, 3715, 3718). Se non lo seguì subito al ritorno in Germania, ivi si trovava già nel febbraio 1156, presente all'assemblea di principi riuniti intorno al Barbarossa; il 20 di quel mese, infatti, a Francoforte, otteneva un diploma imperiale, che lo ripagava ampiamente del riconoscimento imperiale del contado di Pombia al vescovo di Novara, da lui accettato probabilmente solo per motivi politici contingenti: l'imperatore, oltre a prendere il B. sotto la sua protezione e a confermargli tutti i beni e diritti già concessi, tra cui quello di non essere sottoposto a giudizio se non in presenza dell'imperatore, gli concedeva il conductum su tutto il comitato e vescovato di Novara e stabiliva che nessun combattimento dovesse essere fatto se non in sua presenza; stabiliva inoltre che gli uomini del B. avessero libertà di comprare e vendere in tutto il territorio dei vescovati di Novara, Vercelli e Ivrea, come i mercanti di quelle città; gli concedeva inoltre la libertà "iusticiam e iudicium faciendi per comitatum suum" (Böhmer, n. 97; per l'importanza del privilegio come testimonianza non di un semplice dominio, ma di un effettivo, concreto potere del B., cfr. Ficker,Forschungen, I, p. 290; II, p. 55).

II B. si trattenne ancora in Germania per le nozze di Federico I con Beatrice di Borgogna, avvenute ai primi di giugno del 1156a Würzburg; ivi si trovava ancora il 17di quel mese, data in cui risulta testimone in un privilegio imperiale in favore del marchese di Monferrato (Stumpf-Brentano, II, n. 3744).

Al ritorno in Italia il B. si trovò di fronte a una situazione assai difficile: i Milanesi avevano ben presto ripreso animo, proseguendo l'espansione nella valle di Lugano e verso il Novarese.

Nel giugno 1156avevano assalito il castello di Cerano, poi avevano attaccato Morghengo, alla cui conquista seguì quella dei castelli di Momo, Mosezzo e Fara (Barni, IV, p. 23), sconfitti i Pavesi nel luglio 1156, tra il novembre 1156e il marzo 1157ricostruivano il ponte sul Ticino tra Abbiategrasso e Cassolo. Nel giugno 1157passavano il Ticino devastando con l'aiuto dei Bresciani la campagna novarese verso la Lomellina e ponendo il campo a Cassolo (Gesta Federici I., p. 24). Allora i Pavesi, il marchese Guglielmo di Monferrato, Obizzo Malaspina e altri sette conti e marchesi, incoraggiati forse dalla presenza in Italia dei legati imperiali, si riunirono a Vigevano. I Milanesi, senza attaccarla dapprima direttamente, posero il campo a Terdoppio, poi Gambolò, che distrussero.

L'autore dei Gesta Federici I. riferisce, a questo punto, che i Milanesi posero il B. a capo dell'esercito per l'assedio contro Vigevano: la cosa - al di fuori di ogni polemica pro o contro il presunto "tradimento" del B. verso l'imperatore (in cui entra invece il Raggi, pp. 435 s) -si spiega solo con l'interesse reciproco: da parte di Milano, di avere un abile condottiero per le sue truppe (per le sue qualità di soldato, cfr. Acerbo Morena, continuatore di Ottone Morena, p. 170) e di staccare il potente signore dai suoi comuni alleati; da parte del B. di non inimicarsi completamente Milano da cui dipendeva per tanta parte del suo territorio.

La fonte pure filomilanese, nel raccontare le vicende dell'assedio di Vigevano fino alla sua conquista (18giugno), non dà assolutamente adito a sospetti circa una campagna militare volutamente mal condotta: si potrà solo dire che il B. non aveva nessun interesse ad inimicarsi ulteriormente quei signori con cui egli era anche imparentato, o quelle città legate all'imperatore; non è un caso pertanto che egli non sia nominato al momento delle dure trattative della resa, imposte, a quanto sembra, da maestro Guntelmo.

Anche nelle imprese condotte dai Milanesi nei mesi successivi (Barni, IV, pp. 26ss.) il B. non ha più parte; invece il 4nov. 1157 era di nuovo presso l'imperatore in Borgogna (Stumpf-Brentano, III, n. 131), insieme con Guglielmo di Monferrato e i vescovi di Trento, Spoleto, Treviso, Ivrea e Novara, evidentemente per preparare la nuova spedizione italiana di Federico I.

Sceso in Italia nel giugno 1158, fallito ogni tentativo di accordo con Milano, il Barbarossa pensò a un attacco diretto contro la città; il 5agosto intorno a lui erano radunati, secondo la testimonianza dei Gesta Federici I. (p. 30), le truppe di Parma, Cremona, Pavia, Novara, Asti, Vercelli, Como, Bergamo, Biandrate, Marengo e di molte altre città italiane. Un nuovo diploma imperiale dell'agosto 1158, emanato da Bolgiano sul Lambro (Stumpf-Brentano, III, n. 346), confermava al B. la concessione in feudo di Chieri fatta dal vescovo di Torino Carlo, rinnovata qui dal vescovo stesso alla presenza dell'arcivescovo di Colonia perché avesse "totius firmitatis vigorem"; l'imperatore aggiungeva tutte le regalie sui medesimi luoghi.

Continuava quindi con successo la politica del B., che sapeva cogliere ogni occasione per l'espansione del proprio dominio; ma è indubbio che il Barbarossa dovette tener conto anche delle pretese del vescovo se il 26genn. 1159gli confermava le corti di Chieri, con le pievi, i castelli, i mercati (Stumpf-Brentano, II, n. 3838).

I Gesta Federici I. non parlano più del B. nelle successive vicende dell'assedio e poi della resa di Milano; Rahewino invece, che non lo nomina precedentemente al seguito dell'imperatore, dà grande rilievo all'azione da lui svolta all'intemo della città in favore della pace con il Barbarossa; e nell'accordo, concluso il 1ºsett. 1158, e nel quale il B. ebbe ancora una parte in quanto insieme con Guglielmo di Monferrato e tre consoli milanesi ebbe il compito di approvare i trecento ostaggi da consegnare all'imperatore (Const. et acta, I, p. 242).

Dal racconto di Rahewino risulta che egli si trovava all'interno della città quando cominciarono a formarsi i due partiti, uno favorevole alla prosecuzione della guerra, l'altro fautore della pace. La decisione fu sottoposta a una grande assemblea: "huius auctor negotii" fu il B., il quale "naturalis in Mediolano civis, hac tempestate tali se prudentia et moderamine gesserat, ut... et curiae carus et civibus suis non esset suspiciosus" (p. 219). Il discorso che Rahewino fa pronunciare al B. dinanzi a questa assemblea è tutto imperniato sulla sua fedeltà a Milano mantenuta e provata fino a quel momento; giusta riconoscenza, del resto, verso la città che aveva mostrato tanta benevolenza nei suoi confronti fin da quando era in tenera età. Dopo avere insistito sulla necessità della prudenza e sui vantaggi che Milano poteva trarre dalla pace, il B. terminava dicendo di essere pronto in ogni caso a dare la vita per il suo popolo e per la sua città. Anche se è evidente l'intento del cronista filoimperiale di presentare il B. come vero cittadino milanese, salvandolo da ogni sospetto di tradimento, non vi è ragione di mettere in forse tutto il suo racconto, che costituisce indubbiamente la testimonianza più rilevante della singolare posizione politica del Biandrate.

Nel novembre 1158 il B. si trovava a Roncaglia (Stumpf-Brentano, II, n. 3824), ed era poi tra i legati inviati dall'imperatore in alcune città per ricevere il giuramento di fedeltà, far rispettare le norme stabilite nella dieta e in alcuni casi imporre il podestà. Seguiva l'imperatore diretto verso Genova nel dicembre 1158 e, dopo l'accordo raggiunto con i Genovesi, si recava con Rainaldo a ricevere il giuramento di fedeltà nella città (Annali genoves p. 52). Mentre per Genova la sua funzione di legato imperiale appare sicura, più incerta è la sua posizione nel caso di Milano: Rahewino (p. 266) parla dell'invio di Rainaldo e dei conti Ottone e Gozwino per imporvi i podestà e i consoli imperiali; nel tumulto popolare seguito al loro arrivo sarebbe intervenuto il B. con altri nobili a strappare i legati all'ira della folla. Ottone Morena (p. 64) specifica che i legati a Milano sono Rainaldo e Ottone, senza fare cenno al B.; e così i Gesta Federici I. Dati i rapporti del B. con Milano, sembra più probabile che egli non abbia avuto nel caso di questa città un incarico ufficiale, ma piuttosto si sia trovato presente forse con la consueta mansione di paciere.

Il 7 febbr. 1159a Marengo il B. riceveva da Federico I un altro privilegio (Stumpf-Brentano, III, n. 350), che gli confermava tutti i beni posseduti dalla sua famiglia, annullando anche le eventuali alienazioni fatte dai suoi predecessori, e gli concedeva le regalie in tutto il suo comitato e nel vescovato novarese.Testimonianza ancora maggiore della fiducia e della benevolenza di Federico verso il B. fu la nomina del figlio Guido, che già su suo invito Adriano IV aveva nominato suddiacono della Chiesa romana, alla sede arcivescovile di Ravenna, quale successore di Anselmo di Havelberg, morto il 12ag. 1158. L'elezione, però, che avveniva in un particolare momento di crescente tensione tra i due poteri, incontrò la ferma opposizione del pontefice, tanto che non si giunse mai alla consacrazione.

Giovanni di Salisbury, in una lettera a Randolfo de Serris, parlando del concilio di Pavia del febbraio 1160, cita, come esempio di quella che egli giudica una farsa, il B., costretto a fare le veci dell'arcivescovo di Ravenna, dato che il figlio non era stato riconosciuto: ulteriore prova dell'importanza politica raggiunta dal conte di Biandrate.

Prima della morte di Adriano IV (1º sett. 1159) il B. era stato inviato a Roma con un'ambasceria, di cui facevano parte anche il preposto Ariberto di Aix e il conte Ottone. Sopraggiunta la morte del pontefice, i legati imperiali presenti a Roma favorirono l'elezione di Ottaviano divenuto papa col nome di Vittore IV, dopo che già era stato eletto il legittimo pontefice Alessandro III.

Mentre le fonti imperiali parlano solo di presenza dei legati all'elezione, quelle di parte papale insistono sull'appoggio effettivo dato all'antipapa dai legati imperiali. Alessandro III, fuggito a Terracina, avrebbe tentato ancora di convincere i legati, ma invano: onde l'accusa del Liber pontificalis di malafede e fraudolenza, perché, per timore di dispiacere all'imperatore, essi preferirono appoggiare Ottaviano, pur conoscendo bene la canonicità dell'elezione di Alessandro III. Non si può dire quanto il B. si sia trattenuto a Roma: comunque non è più nominato, neppure al momento dell'ambasceria inviata da Federico per invitare il papa a recarsi a Pavia.

La posizione assunta in questa occasione costò al B. la scomunica: poco dopo il concilio di Pavia (5-11 febbr. 1160), che confermava l'elezione di Vittore IV, Giovanni di Anagni, legato di Alessandro III, da Milano la comminava prima all'antipapa e all'imperatore (28 febbraio), poi il 12 marzo ai vescovi di Mantova, Cremona, Lodi, al marchese di Monferrato, al B., ai rettori e consoli di Cremona, Pavia, Novara, Vercelli, Lodi, Seprio, Martesana (Gesta Federici I., p. 39).

Con l'intensificarsi della lotta del Barbarossa contro i Comuni, e con lo schierarsi sempre più netto del B. a fianco dell'imperatore, si fece naturalmente più precisa l'opposizione di forze locali contro la sua potenza: il 22 febbr. 1160 il Comune di Asti stringeva un'alleanza di dieci anni coi signori di Mombercelli contro il B. e contro il marchese di Monferrato, (Codex Astensis, II, n. 182), probabilmente perché i feudi del conte intralciavano le comunicazioni di Asti con Torino (Raggi, p. 479). Nel 1161 il B. era costretto a cedere al vescovo Anselmo di Asti i suoi diritti sui castelli di San Michele e della Torre già dati a lui in pegno da Rodolfo di Monteacuto (Le carte... di Asti, n. 22). Qualche mese dopo egli tuttavia poteva ottenere in feudo dall'imperatore la Valle di Canale, Castelvecchio e Castelnuovo, che lo compensavano della perdita subita (19 genn. 1162: cfr. Stumpf-Brentano, III, n. 356).

Il 9 ag. 1160 il B. prendeva parte con l'imperatore alla battaglia intorno al castello di Carcano, assediato da tempo dai Milanesi, che rappresentò tuttavia una sconfitta (Ottone Morena, pp. 118 ss.). A Pavia il 26 agosto i vescovi di Novara, Vercelli, Asti, i marchesi di Monferrato, del Vasto, del Bosco e Malaspina, i conti di Cavaliate, il B. e altri promettevano al Barbarossa di fornirgli un contingente di soldati che con lui rimanessero a Pavia da settembre a Pasqua (Id., p. 126): a Pavia infatti l'imperatore aveva deciso di svernare in attesa di un nuovo esercito giunto infatti dalla Germania nella primavera del 1161 Non si sa se il B. sia rimasto presso l'imperatore; è comunque di nuovo al campo imperiale di Landriano nei pressi di Como, con il figlio Guido, il 1º sett. 1161 (Stumpf-Brentano, II, n. 3916). Nell'inverno seguente l'imperatore, nell'impossibilità di prendere Milano, decise almeno di impedirne il rifornimento, facendo sorvegliare in particolare i castelli di Mombrione e di S. Gervasio: la guardia del primo fu affidata al fratello dell'imperatore Corrado, al marchese di Monferrato e al Biandrate (Acerbo Morena, p. 147).

Le fonti tacciono sulla partecipazione del B. all'assedio di Milano, ma egli torna a figurare al momento della resa, di nuovo con una presentazione diversa a seconda delle fonti, anche se più chiara risulta questa volta la sua posizione filoimperiale.

È sicuramente un'invenzione di Giovanni Codagnello, il cui racconto è del resto tutto molto dubbio, la partecipazione del B. all'ambasceria inviata dai Milanesi presso il Barbarossa per trattare la pace; ma la notizia, anche se falsa, testimonia che il B. poteva ancora essere visto come persona "de quo Mediolanenses confidebant" (Libellus tristitiae et doloris, in calce a Gesta Federici I., p. 50).Secondo il racconto del notaio imperiale Burcardo, il B. fu invece tra coloro che nel campo imperiale si dimostrarono favorevoli ad accettare la convenzione proposta dai Milanesi il 21 febbr. 1162, cioè la resa a patti, e questo non tanto per affezione verso la città, quanto per un preciso calcolo politico in favore dell'imperatore; il quale, non potendo i Milanesi mantenere i patti "in misericordia minus peccaret, si conventione non soluta fortius in eos vindicaret" (Güterbock, p. 61). Decisisi invece i Milanesi per la resa incondizionata, egli aveva ancora una parte nell'atto finale: venuti i Milanesi a prostrarsi ai piedi dell'imperatore, il B. "pro illis olim amicis suis miserabiliter perorans" portò lui stesso la croce dinanzi a tutta la moltitudine dei cittadini, commovendo tutti, ad eccezione dell'imperatore (Id., p. 63).

Dopo la resa di Milano il B. rimase presso l'imperatore, testimone alla convenzione con i Pisani del 6 apr. 1162 (Const. et acta, I, p. 286); a quelle con i Genovesi del 9 giugno (ibid., p. 296); con i Cremonesi del 13 giugno (ibid., p.299). Al seguito dell'imperatore si recò in Borgogna, dove si trovava nel sett. 1162 con i vescovi di Mantova e di Parma, e con Guglielmo di Monferrato e Obizzo Malaspina (Stumpf-Brentano, II, n. 3967).

Tornato il Barbarossa in Italia nell'ottobre 1163, il B. era ancora al suo fianco e sempre in posizione di primo piano: i Gesta Federici I. (p. 57) ricordano che il 7 dicembre di quell'anno l'imperatore lo lasciava con Rainaldo di Dassel a Monza con l'incarico di decidere intorno ad alcune richieste avanzate dai Milanesi; la responsabilità della durezza nell'esazione delle tasse viene tuttavia lasciata dalla fonte al cancelliere. Inoltre dalla lettera di Udelrico di Treviso all'arcivescovo Eberardo di Salisburgo, scritta quasi certamente a Pavia all'inizio dell'aprile 1164 (Giesebrecht, VI, p. 427), si apprende che Rainaldo e il B. erano stati inviati incontro ai legati pontifici a Susa: questi, probabilmente, in seguito al colloquio, vista l'impossibilità di un qualsiasi accordo, non proseguirono neppure fino alla corte imperiale. Dopo il settembre 1164, lasciata Pavia, il B. seguiva l'imperatore oltralpe: il 5 ottobre era testimone insieme con il figlio Uberto di un diploma per Guglielmo di Monferrato (Stumpf-Brentano, II, n. 4031). Il 27 dicembre era già in Italia e "in castro Blandrati" investiva del castello di Mongrando un certo Carlevario, il quale a lui lo aveva venduto (Raggi, p. 485).

Sembra di poter dire che a partire dal 1165 cessi per il B. ogni attività politica di rilievo, e che egli sia stato a poco a poco sostituito dai figli che già avevano cominciato a figurare negli atti imperiali e che soli sono attestati nell'ultima parte della lotta tra il Barbarossa e i Comuni. Particolarmente significativo il fatto che nella carta del 12marzo 1167 che regolava i rapporti con i milites di Biandrate, rinnovando quella del 1093, compaiano solo i suoi figli Uberto, Guglielmo, Lanfranco, Rainerio e Ottone, anche se dallo stesso documento il padre non risulta defunto (edito da F. Gabotto, in appendice a Le origini signorili del Comune, in Boll. stor. bibl. subalpino, VIII[1903], pp. 147-150). Molto incerta è quindi l'identificazione del B. con il "comes de Blandrate", che era al fianco dell'imperatore quando nel 1167 lanciava il bando contro le città lombarde, e che successivamente percorreva e devastava il territorio milanese (Gesta Federici I., p. 61).

Il Sella nel Codex Astensis (I, p. 123) ricorda una donazione fatta dal B. con i figli Uberto, Guglielmo, Rainerio il 26 ag. 1172 alla chiesa di S. Giovanni di Ruspaglia nel Canavese, trascritta nella cronaca inedita di Benvenuto di San Giorgio. Il Raggi (p. 491), pur traendolo dalla stessa fonte, data il documento al 1174, ipotizzando tuttavia che, non concordando l'anno con l'indizione, si possa trattare del 1164, cui corrisponderebbe appunto l'indizione XII. A favore di questa ipotesi si potrebbe portare anche il fatto che di Guglielmo, figlio del B., non si hanno notizie, a parte questo documento, dopo il 1167 (l'ultimo è del 23 apr. 1167: Stumpf-Brentano, II, n. 4065). Ma corrispondendo al 1174 l'indizione VII, non si potrà escludere che l'errore di trascrizione riguardi non l'anno, ma l'indizione; in questo caso il B. sarebbe rimasto in vita più a lungo, senza tuttavia che sia possibile precisare la sua attività o distinguerla da quella generale dei conti di Biandrate, in particolare del figlio Uberto.

Il radicalizzarsi della situazione politica generale, ma anche la scomparsa dall'attività politica del B. - di colui cioè che per il suo personale prestigio e l'ampiezza del dominio aveva potuto abilmente destreggiarsi nello scontro tra il Barbarossa e i Comuni - con il conseguente indebolimento della potenza della famiglia, costrinse fatalmente i suoi successori a legarsi sempre più all'imperatore per averne appoggio contro le città piemontesi, che, passate gradualmente alla lega lombarda, perseguiranno una politica sempre più ostile ai Biandrate; essa doveva avere la sua prima, violenta manifestazione, nella distruzione del castello di Biandrate del marzo 1168.

Fonti e Bibl.: Anonymi Novocomensis Cumanus sive poema de bello et excidio urbis Comensis, in L. A. Muratori,Rer. Ital. Script., V, Mediolani 1724, pp. 418, vv. 208-209; 452, vv. 1838-1840; Hist. Patriae Monum., Chart., I, Augustae Taurinorum 1836, n. 481, coll. 782 s., n. 499, coll. 804 s.; Willermi Tyrensis archiepiscopi Historia rerum in partibus transmarinis gestarum, in Recueil des hist. des Croisades, Histor. Occid., I, Paris 1844, p. 758; Vincetii Pragensis Annales, a cura di W. Wattenbach, in Mon. Germ. Hist., Script., XVII, Hannoverae 1861, pp. 673, 675; J. M. Watterich,Pontif. Roman. Vitae..., II, Lipsiae 1862, pp. 491 s., 503; K. F. Stumpf-Brentano,Die Reichskanzler vornehmlich des X., XI., und XII. Jahrhunderts..., II, Verzeichniss der Kaiserurkunden, Innsbruck 1865-1883, nn. 3336, 3354, 3645-3652, 3701, 3703, 3714-3716, 3718, 3744, 3824, 3838, 3916; III,Acta Imperii adhuc inedita, Innsbruck 1865-1881,ad Indicem; J. F. Böhmer,Acta Imperii selecta, Innsbruck 1870, n. 97, pp. 90 s.; Chronica regia Coloniensis, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. germ. in usum schol., XVIII, a cura di G. Waitz, Hannoverae 1880,ad Indicem; Codex Astensis qui de Malabayla communiter nuncupatur, a cura di Q. Sella, I, Roma 1887, p. 123; II, ibid. 1880, n. 182, pp. 241 s.; Annali genovesi di Caffaro e de' suoi continuatori..., I, a cura di L. T. Belgrano, Roma 1890, in Fonti per la storia d'Italia, XI, p. 52; Liber Pontificalis, a cura di L. Duchesne, II, Paris 1892, p. 400; Gesta Federici I. imperatoris in Lombardia auctore cive Mediolanensi, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. germ. in usum schol., XXVII, a cura di O. Holder-Egger, Hannoverae 1892,ad Indicem; Constitutiones et acta publica imperatorum et regum,ibid., Legum Sectio IV, I, a cura di L. Weiland, Hannoverae 1893,ad Indicem; Il Libro verde della Chiesa d'Asti, a cura di G. Assandria, II, Pinerolo 1907, nn. 180, pp. 28 s.; 181, pp. 29 s.; Le carte dell'Archivio capitolare di Asti, a cura di F. Gabotto e N. Gabiani, Pinerolo 1907, n. 22, p. 23; Ottonis de Sancto Blasio Chronica, in Mon. Germ. Hist., Script. rer. germ. in usum schol., XLVII, a cura di A. Hofmeister, Hannoverae et Lipsiae 1912, p. 16; Ottonis et Rahewini Gesta Friderici I. Imperatoris,ibid., XLVI, a cura di G. Waitz-B. de Simson, Hannoverae et Lipsiae 1912,ad Indicem; Lotharii III. Diplomata,ibid., Dipl. reg. et imp. Germ., VIII, a cura di E. von Ottenthal e H. Hirsch, Berolini 1927, nn. 101, p. 163; 120, p. 202; Ottonis Morenae et continuatorum Historia Frederici I., ibid., Script. rer. germ., VII, a cura di F. Güterbock, Berlin 1930,ad Indicem; The letters of John of Salisbury, I, a cura di W. J. Millor e H. E. Butler. London 1955, p. 212; Romualdi Salernitani Chronicon, in Rerum Italicarum Scriptores, 2 ediz., VII, 1, a cura di C. A. Garufi, p. 243; J. Ficker,Forschungen zur Reichs-und Rechtsgeschichte Italiens, I, Innsbruck 1868; II, ibid. 1869; III, ibid. 1870,ad Indicem; W. Bernhardi,Lothar von Supplimburg, Leipzig 1879, p. 257 n.; W. von Giesebrecht,Gesch. der deutschen Kaiserzeit, V, Leipzig 1880,ad Indicem; W. Bernhardi,Konrad III., Leipzig 1883, I, pp. 185 n. 4, 204-205 n. 3, 663; G. Giulini, Mem. della città e della campagna di Milano, II, Milano 1885, pp. 460 ss.; D. Brader,Bonifaz von Montferrat bis zum Antritt der Kreuzfahrt (1202), Berlin 1907, pp. 201 ss.; H. Simonsfeld,Jahrbücher des deutschen Reiches unter Friedrich I., I, Leipzig 1908,ad Indicem; A. Raggi,I conti di Biandrate, in Arch. d. Soc. vercellese di storia ed arte, VIII (1916), pp. 419-441; IX (1917), pp. 474-493; B. Valimberti,Spunti storico-religiosi sopra la città di Chieri, I, Chieri 1928, pp. XVIII s., 419-421; F. Cognasso,Tommaso I ed Amedeo IV, I, Torino 1940,ad Indicem; F. Güterbock,Le lettere del notaio imperiale Burcardo intorno alla politica del Barbarossa nello scisma ed alla distruzione di Milano, in Bull. dell'Ist. stor. ital. per il Medio Evo e Arch. Murat., LXI (1949), pp. 23, 59-65 (ediz. della lettera); L. Vergano,Storia di Asti, in Riv. di storia,arte e archeologia per la prov. di Alessandria e di Asti, LX-LXI (1951-52), pp. 19 e passim; F. Cognasso,Novara nella sua storia, in Novara ed il suo territ., Novara 1952, pp. 128-137, 140; L. Barni,Milano verso l'egemonia, in Storia di Milano, III, Milano 1954, pp. 329, 345; Id.,La lotta contro il Barbarossa,ibid., IV, Milano 1954,ad Indicem.

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