GUILLAUME de Marcillat

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 61 (2004)

GUILLAUME de Marcillat

Monica Grasso

Nacque a La Châtre nel Berry, nella diocesi francese di Bourges, da Pietro di Marcillat. È ignota la data di nascita, posta convenzionalmente nel 1468-70, poiché Vasari, che pure fornisce un anno di morte sbagliato, afferma che G. era cinquantenne nel 1520 e sessantaduenne nell'anno della morte.

Oltre alla vita di Vasari, che fu suo allievo, le fonti principali per ricostruire l'attività di G., sono due registri contabili autografi provenienti dal monastero di Camaldoli e conservati l'uno nell'Archivio di Stato di Firenze e l'altro nella Biblioteca comunale di Arezzo. Questi elencano le entrate e le uscite dell'artista dal 1515 al 1529, anno della sua morte.

Per il periodo antecedente al 1515 rimane l'approssimativo racconto vasariano, secondo il quale il giovane G., buon disegnatore e maestro vetraio, fu costretto a vestire l'abito domenicano per sfuggire a una condanna, dopo esser stato coinvolto in una rissa conclusasi con un omicidio. G. continuò a svolgere anche da frate la sua attività artistica e venne in Italia al seguito di un maestro vetraio francese citato da Vasari solo come "Maestro Claudio". Costui era stato contattato da D. Bramante per conto di Giulio II, poiché il pontefice, visti a Roma alcuni esemplari di vetrate francesi, ne volle di simili per decorare le finestre dei palazzi vaticani. Se l'appartenenza di G. inizialmente all'Ordine domenicano, probabilmente nella diocesi di Nevers, è confermata dai documenti, nulla certifica la data e le circostanze del suo arrivo in Italia, né se ci fu una sosta in Lombardia, come alcuni hanno ipotizzato (Atherly).

Per quanto riguarda le vetrate eseguite con il maestro Claudio per il palazzo Vaticano, e secondo Vasari distrutte durante il sacco di Roma, non ne è stata accertata neanche la precisa collocazione nelle sale: se fossero identificabili con quelle della sala regia, citate in una descrizione di Paride Grassi, maestro di cerimonie, sarebbero antecedenti al 1508 (Henry, 2001). Ma l'arrivo a Roma di G. potrebbe anticiparsi perfino al 1505, se fosse lui il "Frate Jacopo Gallico" nominato in quella data nei registri delle spese papali (Luchs; Henry, 2001).

La prima testimonianza certa della presenza di G. a Roma, nonché della benevolenza di Giulio II nei suoi confronti, è la bolla del 19 ott. 1509 che consentì a G. di lasciare l'abito domenicano e di scegliere tra quello benedettino e quello di canonico regolare di S. Agostino. Avendo optato per quest'ultimo, egli con la bolla del 15 febbr. 1510, in cui è definito "continuo familiare del papa", ricevette il priorato di S. Teobaldo nella diocesi di Verdun. Questa prebenda, di cui prese possesso per procura il 4 marzo 1511, gli valse il soprannome di "priorino" e "priore francese".

Sempre per Giulio II, e secondo Vasari ancora in collaborazione con il maestro Claudio, G. eseguì due vetrate per il coro di S. Maria del Popolo a Roma, nel 1508-10 circa. Ancora in loco, le vetrate raffigurano Storie della Vergine e dell'infanzia di Cristo e sono sormontate dallo stemma pontificio. Gli sfondi architettonici di gusto bramantesco e la chiara spazialità dimostrano l'aggiornamento al linguaggio rinascimentale.

A detta di Vasari il maestro Claudio morì a Roma poco dopo l'esecuzione di quest'opera e G. proseguì da solo. Non se ne hanno più notizie per circa cinque anni, quando nel 1515 è documentato a Cortona al servizio di Silvio Passerini (Mancini, 1909). Non ha peraltro trovato alcuna conferma documentaria l'ipotesi di una partecipazione di G. alla decorazione delle stanze di Raffaello in Vaticano (Venturi; Henry, 2001).

Silvio Passerini, datario di Leone X e cardinale dal 1517, incaricò G. di alcuni interventi decorativi nel suo palazzo.

Eseguiti, secondo i pagamenti, tra il 1515 e il 1517, i lavori compresero ben quarantaquattro finestre, di cui otto "figurate" con personificazioni di Virtù e le rimanenti decorate con stemmi papali o semplicemente bianche. Inoltre, G. affrescò sulla facciata del palazzo i mitici fondatori di Cortona, Corito e Dardano, accompagnati da altre due figure non precisate e dallo stemma pontificio (Mancini, 1909).

In quegli stessi anni, G. ebbe a Cortona e dintorni numerose committenze, soprattutto di vetrate per chiese e conventi. Il 10 febbr. 1516 gli furono commissionate due vetrate per il coro del duomo di Cortona.

Oggi non più in loco, le vetrate raffigurano la Natività di Cristo (Detroit, Institute of arts) e l'Adorazione dei magi (Londra, Victoria and Albert Museum), sono ornate dallo stemma di Leone X e testimoniano di una certa fusione tra il linguaggio rinascimentale nordico e quello toscano, anche nelle scelte iconografiche (Atherly).

Nel 1516-17 G. eseguì alcune vetrate per il santuario di S. Maria delle Grazie presso Cortona, finanziate da committenti locali, di cui solo tre sono oggi superstiti e sicuramente autografe: le vetrate con S. Paolo, S. Sebastiano e l'oculo di facciata. Quest'ultimo raffigura la Madonna della Misericordia, fu eseguito per Pietro ed Evangelista Ridolfini e si distingue per la qualità coloristica e per la presenza di personaggi coevi inseriti sotto il manto di Maria tra i quali Leone X e l'imperatore Massimiliano I d'Austria (Mancini, 1909; Luchs).

Ma G. non si dedicò solo alle vetrate, come dimostrano le ordinazioni delle casse in vetro, smalto e oro, destinate ad accogliere i corpi di s. Margherita da Cortona e del beato Ugolino Zeffirini, ricordate nei registri contabili negli anni 1516-18 e oggi scomparse. È perduto anche il tabernacolo dipinto per Valerio Passerini, fratello del cardinale, e destinato ad accogliere una Madonna venerata nel duomo di Cortona (Mancini, 1909). Tra i committenti cortonesi di G. ci fu anche Luca Signorelli, che gli ordinò nel 1517 una vetrata per la sagrestia di S. Margherita e con il quale l'artista mantenne un rapporto di amicizia e di collaborazione.

Mentre era impegnato a Cortona, G. continuò comunque a recarsi spesso a Roma, dove andava regolarmente a rifornirsi di vetri e dove riscosse anche alcuni pagamenti (Mancini, 1909).

Nel 1516 gli fu commissionata una prima vetrata per il duomo di Arezzo con S. Lucia e s. Silvestro, alla quale sarebbero seguite negli anni successivi altre sette.

Nonostante gli impegni in Toscana, G. nel novembre 1518 si stabilì a Roma, dove prese in affitto due stanze in via Alessandrina. Non è stata però comprovata da alcun documento l'ipotesi di una sua partecipazione, in concomitanza con i soggiorni romani degli anni 1517-18, alla decorazione delle logge di Raffaello nei palazzi vaticani (Dacos, 1986 e 1990).

A Roma, il 19 genn. 1519, Giovanni De Belza, fiammingo, protonotario apostolico, commissionò a G. un oculo per la facciata di S. Maria dell'Anima, raffigurante la Madonna sul crescente di luna, santi, il committente, l'imperatore, l'arciduca di Borgogna e lo stemma di Leone X, opera oggi scomparsa (Mancini, 1909). Sempre a Roma, G. eseguì tra il luglio 1519 e il febbraio 1520, alcune vetrate negli appartamenti vaticani di Leone X, per conto di mons. Filippo Adimari.

Descritte nei registri contabili come decorate da stemmi pontifici, putti e fregi, le vetrate non sono sopravvissute, tanto che risulta difficile anche stabilirne l'esatta collocazione (Henry, 2001).

Il 18 luglio 1520 G. tornò ad Arezzo, dove proseguì l'esecuzione delle vetrate del duomo ed ebbe il 4 agosto la commissione della prima vetrata per la chiesa della Ss. Annunziata, l'oculo con S. Gerolamo. Svolta decisiva per la carriera aretina di G. fu la commissione il 31 dic. 1520 della decorazione ad affresco delle prime tre volte della navata centrale del duomo stesso. Il pagamento comprese anche l'usufrutto di un podere detto Fontesecca; nel novembre 1521 G. acquistò una casa ad Arezzo.

Del complesso di otto vetrate, eseguite da G. per il duomo di Arezzo tra il 1516 e il 1524, scomparsa quella con S. Antonio e s. Nicolò, rimangono: Ss. Lucia e Silvestro, La Pentecoste, Il battesimo di Cristo, La vocazione di Matteo, La resurrezione di Lazzaro, La cacciata dei mercanti dal tempio, Cristo e l'adultera. Con esse G. raggiunse la piena maturità nella tecnica e nel linguaggio della vetrata.

Le composizioni sono di straordinaria maestria spaziale, pur costrette in un difficile formato verticale, le forme sono aggiornate alla svolta manieristica della scuola raffaellesca. Del tutto originali la ricchezza degli effetti coloristici e il gusto per il dettaglio che impreziosiscono l'efficacia teatrale delle scene.

Il 19 genn. 1524 a G. fu commissionato l'oculo per la facciata di S. Francesco ad Arezzo dagli Operai della chiesa, raffigurante S. Francesco che dona le rose di gennaio a Onorio III, tuttora in loco ed ennesima prova della sua maestria nell'arte del vetro. Nello stesso anno fu chiesto a G. il progetto di un intervento architettonico per la facciata del duomo, di cui non rimane traccia (Mancini, 1909). Dell'attività architettonica di G. rimane però testimonianza sia nelle parole di Vasari, sia in alcune opere aretine, come l'altare e il lavamani disegnati per la Compagnia della Ss. Trinità. Quest'ultimo, datato al 1522, è rimasto nei locali della Compagnia e dimostra un bel disegno di impostazione monumentale.

Tra il 1520 e il 1525, G. completò il gruppo di sei vetrate per la chiesa della Ss. Annunziata, commissionate dalla Compagnia della Ss. Annunziata e da patroni locali. Perduta la vetrata con l'Annunciazione, sono ancora in loco lo Sposalizio della Vergine, l'Assunzione, S. Gerolamo, S. Maria Maddalena, S. Antonio Abate (Atherly; Virde, 1993).

Il 9 giugno 1526 G. ebbe il saldo finale per gli affreschi della navata centrale del duomo aretino. La valutazione fu arbitrata da Ridolfo del Ghirlandaio dopo una consultazione a cui parteciparono anche il Rosso Fiorentino (Giambattista di Iacopo), il Pontormo (Iacopo Carucci) e Andrea del Sarto. Il 10 ott. 1526 G. fu incaricato di proseguire gli affreschi nelle prime tre volte delle navate laterali, ma l'opera si interruppe dopo la prima campata a causa della morte dell'artista.

Il ciclo comprende Storie dell'Antico Testamento, nelle tre campate centrali, Storie del Nuovo Testamento nella campata laterale e raffigurazioni di Virtù e Vizi. Nonostante alcune incertezze nell'esecuzione tecnica, il linguaggio è di grande interesse per l'aggiornamento alle espressioni più innovative del manierismo tosco-romano. Spicca il michelangiolismo di alcune figure, sebbene le forme siano talvolta goffamente sagomate. L'unica campata neotestamentaria, terminata nel 1528, mostra nell'arioso neoquattrocentismo un'ennesima svolta nell'evoluzione di Guillaume.

Nei suoi ultimi anni G. ebbe diverse commissioni anche fuori di Arezzo, come la vetrata per la cappella di S. Lorenzo in S. Domenico a Perugia con Annunciazionee santi del 1526-28 (perduta) e la vetrata per la cappella Capponi in S. Felicita a Firenze del 1526. Quest'ultima raffigura il Trasporto di Cristo al sepolcro ed è conservata in palazzo Capponi alle Rovinate a Firenze. Era inserita nel complesso programma della decorazione del Pontormo commissionata da Ludovico Capponi, mercante fiorentino con il quale G. aveva rapporti commerciali fin dal 1519, per l'acquisto di vetri (Paolozzi Strozzi, 1996; Virde, 1997-98).

Scomparsa la vetrata con l'Albero di s. Domenico che G. eseguì tra il 1526 e il 1528 per la chiesa di S. Domenico in Arezzo, citata anche da Vasari, sarebbe stata invece rintracciata la tavola che egli eseguì per la cappella della Concezione in S. Francesco nel 1528.

Identificata con un dipinto raffigurante La disputa dei Padri della Chiesa sulla Immacolata Concezione (Berlino, Bodemuseum), l'opera è di grande interesse poiché rara testimonianza della pittura da cavalletto di G. e perché il volto di Origene è un suo autoritratto, riconoscibile dal confronto con il ritratto inserito nelle Vite vasariane (Dacos, 1987).

Il 15 luglio 1529 G. registrò la commissione di un oculo con la Comunione degli apostoli e lo stemma dei Baglioni per S. Domenico a Perugia ma, ammalatosi gravemente, secondo Vasari, di idrocele, il 30 luglio fece testamento e morì lo stesso giorno nella sua casa di Arezzo.

Nel testamento fece alcuni lasciti ai suoi collaboratori Pastorino da Siena e Stagio Sassoli e nominò suoi eredi universali i monaci del monastero di Camaldoli in Casentino, presso il cui eremo volle essere sepolto, nella chiesa di S. Salvatore. Tra gli altri allievi di G., attivi tra Arezzo e Cortona nella produzione e restauro di vetrate, si ricordano anche Maso Pozzo e Michelangelo Urbani.

Fonti e Bibl.: G. Vasari, Le vite… (1568), a cura di G. Milanesi, Firenze 1878-79, I, p. 204; II, p. 556 n. 2; IV, pp. 417-440; G. Milanesi, Testamento di G. de M., francese, maestro di vetri colorati, in Giorn. storico degli archivi toscani, III (1859), pp. 151-155; G. Mancini, G. de M. francese insuperato pittore sul vetro, Firenze 1909 (con bibl. prec. e regesto dei documenti); M. Salmi, Una pittura ignorata di G. de M., in L'Arte, XIV (1911), pp. 438-441; G. Vasari, Vita di G. da M., in Id., Vite cinque, annotate da G. Mancini, Firenze 1917, pp. 86-104; M. Salmi, in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, Leipzig 1922, pp. 260 s. (s.v.Guglielmo di Pietro de Marcillat); A. Venturi, Storia dell'arte italiana, IX, 2, Milano 1926, p. 236; G. Sinibaldi, G. de M. pittore di affreschi, in L'Arte, XXIX (1926), pp. 267-276; M. Donati, Dell'attività di G. di M. dal palazzo Vaticano, in Rendiconti della Pontificia Accademia romana di archeologia, s. 3, XXV-XXVI (1949-51), pp. 267-276; L. Berti, M. e il culmine classico della vetrata italiana, in Antichità viva, I (1962), 2, pp. 30-35; G. Previtali, Introduzione alla vita di G. de M., in G. Vasari, Le vite, a cura di G. Previtali - P. Ceschi, IV, Milano 1963, p. 115; J. Lafon, G. de M. et la France, in Scritti di storia dell'arte in onore di M. Salmi, III, Roma 1963, pp. 135-161; S. Atherly, Marcillat's Cortona "Nativity", in Bulletin of the Detroit Institute of arts, LVIII (1980), 2, pp. 72-82; A. Luchs, Stained glass above Renaissance altars…, in Zeitschrift für Kunstgeschichte, XLVIII (1985), 2, pp. 177-224; N. Dacos, Le logge di Raffaello, Roma 1986, pp. XIX-XXI, 109-112, 134 s.; Id., Un romaniste français méconnu: G. de M., in Il se rendit en Italie. Études offertes à André Chastel, Roma 1987, pp. 135-147; G. Virde, Le vetrate della chiesa della Ss. Annunziata in Arezzo, in La chiesa della Ss. Annunziata di Arezzo. Atti del Convegno, Arezzo… 1990, Città di Castello 1993, pp. 169-223; N. Dacos, Letters to the editor, in The Burlington Magazine, CXXXII (1990), p. 571; T. Henry, ibid., pp. 571 s.; Id., Centro e periferia: G. de M. and the modernisation of taste in the cathedral of Arezzo, in Artibus et historiae, XV (1994), 29, pp. 55-83; Id., Arezzo's Sistine ceiling: G. de M. and the frescoes in the cathedral at Arezzo, in Mitteilungen des Kunsthistorischen Institutes in Florenz, XXXIX (1995), 2-3, pp. 209-257; B. Paolozzi Strozzi, G. de M., Trasporto di Cristo al sepolcro, in L'officina della maniera (catal.), a cura di A. Cecchi - A. Natali - C. Sisi, Venezia 1996, pp. 282 s.; G. Virde, G. de M.: annotazioni tecnico-contabili dell'attività di un maestro vetraio del '500, in Atti e memorie della Accademia Petrarca di lettere, arti e scienze, n.s., LIX-LX (1997-98), pp. 399-444; G. de M.: la vetrata rinascimentale e la "maniera moderna" nell'Aretino. Convegno internazionale di studi, Arezzo 28-29 maggio 1999, in corso di stampa; G. Virde, La vetrata di Michelangelo Urbani nel tempio di S. Biagio a Montepulciano, in La Diana, V (1999), pp. 29-99; A. Natali, Il pane degli angeli. Una trama per la cappella Capponi, in Artista, 2000, pp. 8-21; T. Henry, Reflections on Il Marcillat's work in the Vatican palace, in Apollo, CLIII (2001), 467, pp. 18-27 (con docc. in appendice).

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