FARA, Gustavo

Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 44 (1994)

FARA, Gustavo

Alessandro Brogi

Nacque a Orta Novarese (ora Orta San Giulio) il 18 sett. 1859, da Carlo e Antonietta Bedone. Frequentò l'Accademia militare di Modena e ne uscì nel luglio del 1879 col grado di sottotenente dell'8° reggimento bersaglieri, arma che avrebbe servito per il resto della vita. Promosso tenente nel 1881, tornò nel dicembre del 1883 all'Accademia di Modena, prima come ufficiale di compagnia, poi incaricato dell'insegnamento di storia e arte militare.

Raggiunto il grado di capitano nell'aprile del 1888, il F. chiese di essere assegnato alle truppe d'Africa; in ottobre partì quindi per l'Eritrea e nel gennaio 1889, al comando della 3ª compagnia di ascari del I battaglione, partecipò alla marcia su Asmara. Il giovane capitano si mise presto in luce ottenendo nel giugno 1890 a Agordat la prima grande vittoria italiana in Africa orientale. Per l'impresa fu decorato con la croce dell'Ordine militare di Savoia.

La difficile operazione mise subito in evidenza l'abilità strategica del F., che riuscì a cogliere di sorpresa i dervisci sul loro stesso terreno: il comandante supremo militare della colonia, il generale B. Orero, preoccupato per la continua avanzata dei dervisci verso il mare attraverso la Colonia Eritrea, inviò il F. con due compagnie di ascari nella zona di Cheren, dove il maggiore G. Cortese attendeva rinforzi per attaccare Dega. Lungo la strada però il comandante scoprì che i dervisci erano improvvisamente comparsi nella regione di Beni Amer, dove avevano compiuto razzie e fatto prigioniere famiglie di indigeni appartenenti alle tribù che facevano capo al negus Menelik, fautore di una politica di compromesso con l'Italia. Intuendone la direzione di marcia, il F. decise di tendere un agguato ai dervisci bloccando il passaggio della gola di Damatai presso Agordat. Con un combattimento fulmineo furono messi in fuga e il F. riuscì a recuperare il bottino razziato a Beni Amer e a liberare i prigionieri. A Cheren il capitano fu accolto da una folla esultante e anche in Italia la vittoria, la cui importanza fu forse sopravvalutata, accese di nuovo l'entusiasmo per l'avventura africana.

Colto da febbri malariche nel 1891, il F. fu costretto a rientrare in patria, dove fu destinato al 18° reggimento bersaglieri. Il 30 ag. 1893 si sposò con Giulia Mazzoni. Nel 1899 venne promosso maggiore al comando del XXXIV battaglione del 10° reggimento bersaglieri e nel 1905, sempre nello stesso reggimento, raggiunse il grado di tenente colonnello. La successiva promozione al grado di colonnello avvenne nel 1910 e si accompagnò all'attribuzione del comando dell'11° bersaglieri. Le capacità dimostrate dal F. in Eritrea furono tenute presenti al momento della dichiarazione di guerra all'Impero ottomano e l'11° battaglione fu tra i primi a sbarcare a Tripoli nell'ottobre del 1911.

La prima esperienza del colonnello F. in Tripolitania fu però un'amara sconfitta, avvenuta a Sciara Sciat il 23 ott. 1911. Essa va attribuita alle scarse informazioni sull'entità delle truppe turche e sull'aiuto che esse ricevevano dalle popolazioni indigene: colto di sorpresa, l'11°bersaglieri fu quasi completamente sterminato in quella che venne ricordata come "la giornata nera di Tripoli".

Ricostituito il battaglione, il F. offrì un prezioso contributo all'operazione che portò alla conquista dell'oasi di Aïn Zara, il 4 dic. 1911, battaglia ben coordinata con l'appoggio delle forze aeree, per la prima volta sperimentate dall'Italia. La conquista di tale località permise di allentare l'assedio turco a Tripoli e la guerra si spostò all'interno.

Il 19 dicembre il generale A. Pecori Giraldi affidò al F. il comando di una imponente colonna, costituita da due battaglioni di bersaglieri e un battaglione di granatieri per organizzare un colpo contro l'oasi di Bir Tobras (a 15 km da Aïn Zara), dove gli Arabi in rivolta tenevano in ostaggio le famiglie di alcuni notabili che si erano da poco sottomessi all'Italia. Si ripresentava così al F. un'occasione simile a quella affrontata in Eritrea vent'anni prima.

Ma questa volta la missione non colse lo stesso successo e il F., tallonato dai Turchi, ordinò la ritirata su Aïn Zara, evitando un altro eccidio. L'operazione era stata male organizzata e il generale C. Caneva, comandante della spedizione, oltre ad accusare Pecori Giraldi di non avergli comunicato il progetto di attacco, biasimò il F. per aver mal condotto l'impresa. Diverso fu il parere del generale L. Cadorna che, scrivendo all'aiutante di campo del re, generale U. Brusati, appuntò le critiche solo su Pecori Giraldi, mentre per il F. ebbe parole di encomio, caldeggiandone la promozione a maggiore generale; questa giunse pochi giorni dopo con missiva del re. All'11° bersaglieri fu assegnata la medaglia d'oro al valor militare per Ain Zara e Bir Tobras.

L'8 luglio 1912, di nuovo al comando di una grande brigata mista, composta di reparti di fanteria, di batterie da montagna e di una compagnia di ascari, il generale F. partecipò all'attacco contro le postazioni turche nel settore di Misurata, azione che si concluse con la conquista della città. La zona era difficile da tenere e il 20 luglio il F., nel tentativo di snidare i Turco-Arabi dalla vicina oasi di El-Ghiran, evitò per poco, come nel caso di Bir Tobras, che le sue truppe fossero annientate.

La campagna di Libia stava intanto suscitando aspre polemiche all'interno, essendo state deluse le aspettative di una facile guerra di conquista. Il capo di stato maggiore, generale A. Pollio, cercò di sanare la situazione di stallo delle operazioni, sostituendo alcuni generali, incluso il F., al quale veniva rimproverato di non aver saputo ottenere a El-Ghiran una vittoria schiacciante pur con le notevoli forze che gli erano state messe a disposizione. È da rilevare comunque che, più che alle responsabilità dei singoli, la difficile situazione traeva origine dall'inaspettata resistenza opposta dalle popolazioni arabe, che evitavano battaglie campali sfruttando la conoscenza del terreno.

Nonostante il "siluramento", il F. aveva conquistato indubbi meriti, per i quali gli furono attribuiti onori al ritorno in patria: il 2 giugno del 1913 ricevette la medaglia d'oro al valor militare per le imprese di Ain Zara, Bir Tobras, Misurata e El-Ghiran; il nazionalismo, alla ricerca di eroi che rappresentassero la potenza aggressiva di una nuova Italia, glorificarono le vittorie del F. e G. D'Annunzio gli dedicò alcune strofe del poema La nave, esaltandone le imprese in Libia. Da questo momento cominciò a stabilirsi un sodalizio tra il F., i nazionalisti e l'Estrema Destra.

Il 26 marzo 1913 il F. assunse il comando della brigata Friuli. In quegli stessi giorni egli abbandonò, probabilmente per ragioni politiche, la massoneria, alla quale si era iscritto durante la campagna di Libia.

Con la prima mobilitazione dell'Italia nel conflitto mondiale partì, al comando della 24a divisione, per il settore della Carnia. Promosso subito tenente generale, passò poi al comando della 4ª divisione, con la quale partecipò il 24 ott. 1915 alla presa del Sabotino, dove rimase ferito. Appena guarito, chiese l'invio al fronte, ed ebbe il comando della 19ª divisione. Con questa contribuì ad arrestare l'offensiva nemica in Val Lagarina, poi, con la 14ª divisione, conquistò le quote 125 e 85 a Monfalcone, meritando così la medaglia d'argento al valor militare.

Nell'agosto del 1917 il F. costituì la 47ª divisione bersaglieri, con la quale prese parte all'undicesima offensiva dell'Isonzo, giungendo oltre il fiume sull'altopiano della Bainsizza. Tale azione gli valse la commenda dell'Ordine militare di Savoia. Durante l'offensiva austriaca dell'ottobre combatté per mantenere le posizioni sul Grappa. Assunto nel 1918 il comando della 23 a divisione bersaglieri d'assalto, il F. si segnalò nel giugno per alcuni successi sul Piave e il 27 ottobre nella vittoriosa battaglia del trivio Paradiso, per la quale fu nominato grande ufficiale dell'Ordine militare di Savoia.

Cessato il conflitto, nel gennaio 1919 il F. fu assegnato, con promozione, al comando del corpo d'armata territoriale di Firenze. Ma nel luglio del 1920 la smobilitazione dei quadri dell'esercito avviata l'anno precedente da F. S. Nitti colpì anche il F., collocato in posizione ausiliaria. Ritiratosi nella sua residenza a Nervi, il generale raccolse un gruppo di ex combattenti e nel 1921 costituì il fascio locale, al quale si iscrisse formalmente nel maggio 1922 come semplice camicia nera. Durante l'ultimo grande sciopero organizzato dai socialisti nell'agosto 1922, gli squadristi di Nervi, guidati dal F., condussero "l'azione punitiva" a Genova contro palazzo S. Giorgio, sede del consorzio del porto diretto dal capitano V. Giulietti. Il primo contatto del F. con Emilio De Bono e Benito Mussolini avvenne in occasione della parata fascista di Udine del 20 settembre: il generale dei bersaglieri, che si vantava di aver comandato lo stesso battaglione (l'11°), in cui aveva militato poi Mussolini, si mise a disposizione dei capi fascisti per il previsto piano insurrezionale.

Il F. entrò così a far parte dello "stato maggiore" che il 16 ottobre si riunì nella sede del fascio milanese, dove fu messo a punto il piano militare della marcia su Roma. Al generale fu assegnata la colonna che, partendo da Monterotondo, avrebbe rappresentato l'avanguardia per l'entrata nella capitale. Il F. accettò con entusiasmo l'incarico anche se, al pari di C. M. De Vecchi, espresse il timore che i tempi non fossero ancora maturi, dato che gran parte dell'esercito era rimasto fedele alla monarchia e alle istituzioni democratiche. A ciò egli aggiunse di nutrire dubbi sia sullo stato dell'organizzazione della milizia fascista, sia sul grado di diffusione dei movimento nelle regioni meridionali.

Quest'ultima incertezza gli fu fugata dal successo ottenuto dall'adunata di Napoli del 24 ottobre; in quell'occasione il F. stesso fu accolto con una vera e propria ovazione al teatro S. Carlo, dove si presentò in tenuta da legionario fascista e con le decorazioni e le medaglie al valore ottenute in guerra. Al termine dell'adunata il F. ricevette da Aurelio Padovani, capo del fascismo campano e suo ex commilitone, il distintivo di luogotenente generale della milizia.

Il 26 il F. tornò a Nervi per poi ripartire subito alla volta di Monterotondo, dove giunse, dopo varie peripezie per evitare i blocchi ferroviari imposti dai fascisti stessi, soltanto tre giorni dopo. Lungo la marcia furono tesi alcuni agguati alla colonna, confermando per qualche momento i timori iniziali del generale che l'impresa sfociasse in una guerra civile. La colonna, unitasi a quella comandata da U. Igliori giunse alle porte di Roma il pomeriggio seguente. Quello stesso giorno il F. venne nominato ispettore generale della milizia.

Alcuni mesi dopo la marcia su Roma la Milizia volontaria per la sicurezza nazionale venne istituzionalizzata, trasformando in reparti regolari le squadre fasciste: il F., come altri ufficiali che erano stati esonerati dal servizio attivo, fu tra i primi ad accettarvi un posto di comando, chiedendo inoltre il passaggio dalla posizione ausiliaria al servizio permanente attivo, nel quale egli rimase fino al 1928, quando fu collocato a riposo col grado di comandante di corpo d'armata. Il 22 dicembre di quell'anno fu nominato senatore del Regno.

Il F. morì a Nervi (Genova) il 24 febbr. 1936.

Fonti e Bibl.: Roma, Ufficio storico dello Stato maggiore dell'esercito, Biografie, cartella n. 28, fasc. 12, contenente tra l'altro le notizie sul periodo del conflitto mondiale e una cronaca dettagliata della battaglia di Agordat; Ibid., Archivio centrale dello Stato, Archivio Brusati, scatola 10, lettera di L. Cadorna a U. Brusati del 20 dic. 1911; articoli sul Corriere della sera: 20 ott. 1912, 26 marzo, 12, 14 e 21 aprile, 2 giugno 1913; Ministero degli Affari esteri, L'Italia in Africa, III, 1, Roma 1964, pp. 12-19; testo della conferenza tenuta da E. Chiurazzi al Circolo del commercio di Napoli il 14 marzo 1912 sul F., Napoli 1912; E. Savino, La nazione operante, Milano 1934, p. 415; V. Giglio-A. Ravenni, Le guerre coloniali d'Italia, Milano 1942, pp. 126 ss., 385 s., 401; C. De Biase, L'aquila d'oro. Storia dello stato maggiore italiano. (1861-1945), Milano 1969, pp. 254-261; F. Bandini, Gli Italiani in Africa. Storia delle guerre coloniali, Milano 1971, pp. 218 s.; A. Del Boca, Gli Italiani in Africa Orientale: dall'Unità alla marcia su Roma, Bari 1976, p. 383; Id., Gli Italiani in Libia, Bari 1988, I, pp. 135 s., 181. Per quanto riguarda la marcia su Roma cfr. G. Fara, Memorie e note, in Gerarchia, VII (1928), 10, pp. 966-977; G. A. Chiurco, Storia della rivoluzione fascista, Firenze 1925, p. 421; G. Rochat, L'esercito italiano da Vittorio Veneto a Mussolini, Bari 1967, ad Indicem; A. Repaci, La marcia su Roma, Milano 1972, ad Indicem; cfr. anche la testimonianza di G. Salvemini, Diario degli anni 1922-23, in Il Mondo, 14, 21 e 28 ott. 1958, 4, 115; 11 nov. 1958.

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