HATHOR

Enciclopedia dell' Arte Antica (1995)

Vedi HATHOR dell'anno: 1960 - 1995

ḤATḤOR (v. vol. III, p. 1115)

A. M. Bisi

Un'indagine sull'iconografia di Ḥ. fuori dall'Egitto, difficile per la quantità e la dispersione del materiale proveniente da una vastissima area (Vicino Oriente, Grecia, Mediterraneo occidentale interessato dai commerci fenici, dall'Etruria alla Spagna meridionale), deve svolgersi su due piani. Da un lato va analizzato il fenomeno di sincretismo religioso per cui la Ḥ. egiziana viene chiamata, probabilmente già dall'Antico Regno e sicuramente dal Medio, «Signora di Biblo» nella sua veste di protettrice delle navigazioni verso la costa asiatica ricca di materie prime, mentre la Ba'alat Gebal («Signora di Biblo») assume a sua volta la corona di Ḥ. con il disco solare fra le corna di giovenca che manterrà nell'iconografia fenicia di età persiana (stele di Yeḥawmilk). Dall'altro lato va indagato il diffondersi di alcuni elementi dell'iconografia hathorica (la parrucca a bande rigonfie terminanti a ricciolo, le orecchie e le corna di giovenca, la testa usata come apotròpaion, vaso cultuale o stele-capitello) in un ambito cronologico e geografico che dalla glittica paleo-siriana (primi secoli del II millennio a.C.) attraverso la Fenicia e Cipro arriva all'arte dell'Occidente mediterraneo della prima metà del I millennio a.C. (bronzi e oreficerie tartessî, gioielli etruschi orientalizzanti, ecc.).

Nel primo caso si tratta di rapporti comprovati dall'archeologia, che ha messo in luce a Biblo un tempio di Ḥ. venerato già dai faraoni della VI dinastia. Nel secondo caso si è in presenza di un imprestito solo figurativo di elementi hathorici da parte di divinità straniere, come la Astarte siriana; questa divinità compare in effetti con la parrucca di Ḥ. a partire dalla seconda metà del XVI sec. a.C. nella glittica paleo-siriana (Ebla, Alalakh), ove si riscontra anche la presenza di una testa hathorica isolata, talora dispensatrice di vita come in un'impronta di sigillo di Alalakh VII. L'acconciatura hathorica applicata ad Astarte gode di grandissima diffusione anche nella Siria del Bronzo Recente, come mostrano i pendenti in lamina aurea con la dea dai tratti egittizzanti (Ugarit, Bet Šě'an, Lakiš, Gaza) e si trasmette a Cipro all'inizio dell'Età del Ferro (placche d'oro da Lapithos). Sempre in ambiente cipriota sono ripresi sia il tipo egiziano di colonna con capitello hathorìco in funzione cultuale e non portante (cfr. anche le placchette fittili dal santuario di Astarte a Kition-Bamboula), sia quello pure egiziano della stelecapitello, ispirato al sistro hathorico in bronzo. Ancora a Cipro, la ceramica di Amatunte della varietà Bichrome V (seconda metà del VI sec. a.C.) predilige le teste hathoriche, che non hanno solo un valore decorativo, in quanto il frammento più noto di questi vasi, al Louvre, mostra una scena di culto reso a una testa di Ḥ. su una stele capitello. Ancora a Cipro, alla fine dell'VIII sec. a.C., gli attacchi di calderone e le placche in bronzo provenienti dalla tomba 79 di Salamina, in cui un busto di Ḥ. alata sormonta una dea nuda siriana, inaugurano un processo di diffusione del motivo in Occidente (cfr. le coppe fenicie di Kourion e Bernardini e Castellani di Palestrina, in cui Ḥ. è vista come protettrice e dispensatrice di vita). In Oriente tratti hathorici sono attestati in alcuni avori di Nimrud, attribuiti a una bottega di Zincirli (Sam'al) della seconda metà dell'VIII sec. a.C., e in un sigillo fenicio del VII sec. a.C.

Una testa hathorica che esce dall'ombrella di papiro o dal collare «egida» appare sia a Cipro che nella stele di Memfi, forse opera fenicia di età persiana, come elemento terminale di un capitello papiriforme, ed è ripresa da due stele dei tofet di Cartagine e di Sousse. Il mondo coloniale fenicio conosce teste di H. in funzione prevalentemente apotropaica nella glittica di Cartagine del V sec. a.C. mentre alcuni bronzi tartessî della Spagna meridionale con forti elementi iconografici orientali («bronzo Carriazzo» e Astarti da Castulo) rappresentano la divinità femminile con parrucca hathorica.

Bibl.: K. R. Maxwell Hyslop, Western Asiatic Jewellery, Londra 1971, pp. 138-140, figg. 102-107; J. M. Blazquez, Tartessos y los origines de la colonización fenicia en Occidente, Salamanca 1975, pp. 93, 102-105, 110-114, tavv. XXV B, XXVII, XXXIV; D. Collon, The Seal Impressions from Tell Atchana (Alalakh), Neukirchen 1975, nn. 106, 136, tav. XXVII; I. J. Winter, Carved Ivory Furniture Panels from Nimrud, in MetrMusJ, XI, 1976, pp. 25-54; A. Caubet, M. Pic, Un culte hathorique à Kition Bamboula, in Archéologie au Levant. Recueil R. Saïdah, Lione-Parigi 1982, pp. 237-247; A. Herniary, Un nouveau chapiteau hathorique trouvé à Amathonte, in BCH, CIX, 1985, pp. 657-699; w. Culican, A Foreign Motif in Etruscan Jewellery, in Opera Selecta. From Tyre to Tartessos, Göteborg 1986, pp. 337-354; A. M. Bisi, Antécédents éblaites d'un apotropaion phénicopunique, in Wirtschaft und Gesellschaft von Ebla. Akten der Internationalen Tagung, Heidelberg 1986, Heidelberg 1988, pp. 21-33.

)