CLOUZOT, Henri-Georges

Enciclopedia del Cinema (2003)

Clouzot, Henri-Georges

Catherine McGilvray

Regista e sceneggiatore cinematografico francese, nato a Niort (Deux-Sèvres) il 20 novembre 1907 e morto a Parigi il 12 gennaio 1977. Pur non avendo diretto un gran numero di film, si può considerare uno dei protagonisti del cinema noir francese degli anni Quaranta; narratore di un mondo violento e colpevole, descritto con angoscia e lucidità prive di illusioni, si è affermato come autore dallo sguardo nitido, mai sentimentale, nel quale l'eredità del naturalismo è stata prima di tutto una dichiarazione di coerenza morale, oltre che di vigore espressivo: l'affermazione cioè della verità dell'arte contro il conformismo della società. Tra i riconoscimenti ottenuti, nel 1947 il premio internazionale per la regia con Quai des Orfèvres (Legittima difesa) e nel 1949 il Leone d'oro per Manon (1948), entrambi alla Mostra del cinema di Venezia; nel 1953 l'Orso d'oro al Festival di Berlino per Le salaire de la peur (Vite vendute o Il salario della paura) e, infine, nel 1961 la nomination all'Oscar per il miglior film straniero con La vérité (1960; La verità).

Concluso il liceo, dopo aver frequentato la scuola navale di Brest e aver intrapreso studi di matematica e giurisprudenza, si dedicò dal 1927 al 1930 al giornalismo con corrispondenze di cronaca e mondanità per il quotidiano "Paris-Midi". Cominciò quindi a lavorare in ambito cinematografico come aiuto regista di Anatole Litvak, Carmine Gallone e Jacques de Baroncelli e come dialoghista e sceneggiatore. Successivamente, passò all'ufficio soggetti della Société des films Osso e dal 1932 al 1933 fu a Berlino per dirigere le versioni francesi di film tedeschi o realizzati in coproduzione. Trascorse quindi un lungo periodo (1934-1938) in un sanatorio svizzero e qui visse un'esperienza che stimolò la sua creatività, come da lui stesso sottolineato. Tornato in Francia, dopo aver messo in scena due suoi testi teatrali (On prend les mêmes e La belle histoire, cui sarebbe seguito nel 1943 Comédie en trois actes) e aver scritto le sceneggiature dei film gialli (tratti rispettivamente dai romanzi di S.A. Steeman e G. Simenon) Le dernier des six (1941) di Georges Lacombe, e Les inconnus dans la maison (1942; Gioventù traviata) di Henri Decoin, esordì nella regia con L'assassin habite au 21 (1942; L'assassino abita al 21), tratto da un altro romanzo poliziesco di Steeman e dallo stesso C. sceneggiato, come tutte le opere successive. Il film fu interpretato dal suo attore più rappresentativo Pierre Fresnay, e da Suzy Delair. Cominciò così la fase noir della sua produzione, perfetto meccanismo di esasperazione emotiva e di enfatizzazione della suspense, che C. riesce a sviluppare con la precisione intensa e dolente, mai astratta, del suo moralismo. Nel tentare di sottrarsi alle convenzioni del modello americano, il cinema di C. mostra ascendenze che affondano le radici nella comédie-ballet di Molière, mentre il regi- sta sceglie la durezza di inquadrature scabre e nitide, quasi per film pensati senza sonoro, ma girati con logica implacabile e crudele. Se L'assassin habite au 21 è una classica enquête del commissario Wens (con la risalita dal buio dei delitti e dei sospetti attraverso la pista dei biglietti da visita firmati dall'assassino, il misterioso Durand), Le corbeau (1943; Il corvo) capovolge, invece, il punto di vista, accettando ancora il metodo di narrazione del giallo ma per esiti e ragioni artistiche ben diverse. Quella serie di lettere anonime firmate 'Il corvo', che scuote una cittadina di provincia, serve infatti a C. per narrare la disgregazione dei rapporti umani e la furia centrifuga che disintegra la realtà, quando domina soltanto il sentimento oscuro e ingiustificato del male. Ma il suo capolavoro è Quai des Orfèvres (tratto da un romanzo di Steeman): alla base vi è sempre un triangolo noir, ma il punto di tensione e la forza del film sono spostati sulla figura impassibile dell'ispettore Antoine (un grande Louis Jouvet) e soprattutto sul mondo che rappresenta, ossia il Quai des Orfèvres, la centrale di polizia. La chiave poetica della vicenda, più che nella soluzione del dramma poliziesco, sta nella fissità del male e nell'usura dell'umanità che diventa tanto più angosciosa, quanto più il Quai des Orfèvres sembra essere l'allegoria dell'inutilità della giustizia rispetto alle tragedie umane. Successivamente con Manon, trasposizione in chiave contemporanea del romanzo dell'abate A.-F. Prévost, C. si lasciò andare a effetti volutamente decadentistici ma di grande intensità visiva e drammaturgica; mentre realizzò con Miquette et sa mère (1950; Un marito per mia madre), dalla commedia di R. de Flers e G.A. de Caillavet, quasi un divertissement, anomalo rispetto alla sua abituale produzione.Dopo aver diretto un episodio di Retour à la vie (1949; Ritorna la vita), partì per il Brasile con l'intenzione di girarvi un film. Di fatto, l'esito del viaggio fu il matrimonio con l'attrice Véra Gibson-Amado (poi interprete dei suoi film come Véra Clouzot) e un libro dal titolo Le cheval de Dieux, pubblicato a Parigi nel 1951. In Francia diresse quindi Le salaire de la peur (tratto dal romanzo di G. Arnaud), costruito con scabra crudezza, e nel 1955 Les diaboliques (I diabolici), un morboso thriller, incentrato sul senso di colpa, che ottenne il Prix Louis Delluc. La storia di Christine (Véra Clouzot) che, aiutata da Nicole (Simone Signoret), uccide il marito (Paul Meurisse), verte in realtà sul paradosso di una colpevolezza in cui ambiguamente si nasconde l'innocenza. L'anno successivo realizzò Le mystère Picasso (Il mistero Picasso), che ottenne un premio speciale della giuria al Festival di Cannes, un importante documentario d'arte in cui vengono messi in rapporto il cinema e la pittura, ovvero il quadro pittorico con l'inquadratura. Nel 1957 diresse quindi Les espions (Le spie), sospeso tra toni grotteschi e inquietanti osservazioni sulla realtà del proprio tempo, e tre anni dopo La vérité, con Brigitte Bardot, in cui si confermò grande regista di attori. Nel 1964 cominciò a girare, ma non concluse, L'enfer (che fu poi realizzato con lo stesso titolo da Claude Chabrol nel 1993, L'inferno), e tra il 1965 e il 1966 cinque film televisivi dedicati alla musica, in uno dei quali viene ripreso H. von Karajan mentre dirige la Messa da Requiem di G. Verdi. Il suo ultimo film fu La prisonnière (1968; La prigioniera), tragica storia a tre che si sviluppa anche come virtuosistica riflessione sul mezzo cinematografico.

Bibliografia

A. Banti, Clouzot, in "Paragone", 1950, 2.

C. Cosulich, Il fenomeno Clouzot, in "Filmcritica", 1950, 1.

P. Bianchi, Henri-Georges Clouzot, Parma 1951.

P. Pilard, Henri-Georges Clouzot, Paris 1969.

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